I lupi di Smoky Mountains
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Solo per me questo è “Profumo di lupo”. Sono seduta sul paracarro della strada che mi riporterà alla civiltà. So perfettamente di avere un aspetto terribile. Ѐ poco più di un anno che vivo in mezzo ai lupi, che attraverso foreste, che mi lavo nei torrenti, che vivo come una selvaggia. Quando sono partita, ho lasciato a casa tutte le comodità e l'ho fatto coscientemente perché avevo un obiettivo importantissimo da raggiungere. Importantissimo per me, naturalmente. Mi sono guardata nel ruscello e ho visto i danni che la vita nella foresta mi ha lasciato, ho guardato i miei vestiti, che non ho quasi mai tolto, mi rendo veramente conto di essere inguardabile. Con ago e filo riparo gli strappi dei miei vestiti, con le mani cerco di raccogliere i capelli arruffati, con l'acqua della borraccia lavo mani e viso. I segni e l'odore dei miei lupi, quelli non li posso cancellare. Non ancora. Sento quell'odore forte e selvatico, lo posso scomporre e attribuire a ognuno dei miei amici. Solo per me questo è profumo. Aspetto l'arrivo di un'auto per avere un passaggio sino in città e intanto, ripenso a chi ho lasciato: musi intelligenti, denti bianchissimi, occhi intensi e pelo lucente. Un anno fa ero una giovane laureata, bella, con i capelli lunghi, le unghie curate e la pelle splendente e tonica. Oggi sono molto diversa, ma sono anche molto più felice e realizzata. Mi chiamo Savannah ed ho sempre amato i lupi, sin dalla prima infanzia. Mentre ascoltavo le favole dove il lupo cattivo inseguiva i protagonisti, a me sembrava solo affamato. Avevo discusso più volte con i nonni e con i miei compagni di scuola sul fatto che se quella povera creatura fosse stata nutrita, non avrebbe mai inseguito i protagonisti e non li avrebbe mai mangiati. Solo alle superiori avevo dovuto cedere alla logica stringente di un mio compagno: niente lupo affamato, niente inseguimenti, niente storia. Crescendo, l'amore per quell'animale era diventato il mio obiettivo, avevo studiato con passione, conseguito due lauree, letto tutto ciò che era stato stampato sull'argomento e mi ero preparata per percorrere la strada che mi aveva portato sino a lì.
Il paracarro su cui sono seduta è al sole, appena una lama di luce tra le ombre ondeggianti degli alberi. La strada è deserta, forse trovare un passaggio richiederà parecchio tempo, giusto quello che mi serve per pensare a come organizzare i prossimi giorni. Mi vengono in mente le persone che incontrerò tra poco, che non vedo da più di un anno. Santo Cielo! Mia madre, sempre deliziosamente profumata, che mi guarderà e arricciando il naso, un po' ridendo, mi dirà: “Vai a lavarti ragazzina!”. Sarà meglio che io sia ben ripulita e pettinata prima di chiamare Robin, i miei colleghi di università, i giornalisti e tutti quelli che vorranno sapere tutto, ma proprio tutto su com'è possibile vivere per tanto tempo con i lupi. Guardando il sole, mi accorgo che ho passato due ore seduta su questo paracarro, non ho speranze che arrivi una limousine a prendermi, quindi è meglio che io mi rimetta in marcia. Gli scarponi sono ridotti veramente male, ma se mi hanno portato sino a qui, percorreranno ancora qualche chilometro. Sento un rumore alle mie spalle, un motore che romba, sbuffa, scoppietta. Ecco, ci mancava una carcassa di camioncino, cigolante e arrugginito. Speriamo di non dover combattere con un conducente con le mani lunghe. Il camioncino inchioda facendo schizzare la ghiaia del bordo strada. Mi avvicino al finestrino, mi stampo un sorriso rassicurante e resto stupita. Il conducente è una vecchietta rugosa, abbronzata, con un cappellino di paglia, capelli candidi che scappano da una crocchia, un abito a fiori sgargianti e guanti di pizzo. Anche il finestrino cigola mentre la donna lo sta abbassando. - Figlia mia! Che ci fai qui nel nulla? Hai avuto un incidente? - - Buon giorno! No! Niente di tutto questo. Dovrei raggiungere la città se posso chiederle un passaggio. Mi rendo conto di essere molto sgradevole... - - Monta! - - Mi siedo nel cassone, sono sporca e puzzo! - - Sali! Non puzzerai di più dei maiali che allevo! - - Grazie! - L'abitacolo è caldo, polveroso, odora di cuoio e di lavanda. Probabilmente questa simpatica vecchietta profuma di lavanda quando va in città. Sto lontana da quel vestito a fiori e mi guardo bene dal chiudere il finestrino. - Che ci fai qui, se posso chiederlo? Sembra che hai passato parecchio tempo lontano dall'acqua e sapone. - - Stessa cosa che direbbe mia madre. Sì, è quasi un anno che non mi lavo con del buon sapone. Sono stata nella foresta ed ho vissuto in un modo un po' selvaggio. - - Capisco. Sembra interessante, non è da tutti, questo è certo! Posso chiederti che cosa hai fatto per un anno nella foresta? - - Ho studiato i lupi e vissuto con loro. - - Oh! Bestiacce! - - Brutte esperienze con i lupi? - - Puoi dirlo forte ragazzina! Ci ho rimesso tre grossi maiali nell'ultimo anno - . - Mi dispiace. - - Tu li studi e li difendi? Sai quanti danni fanno? - - Sì. So che per gli allevatori sono un grosso problema, ma so anche perché i lupi scendono tra le greggi invece di starsene in montagna. La colpa, come sempre, sta nel mezzo. Spero che le mie ricerche possano cambiare un po' la situazione. - - Da come parli, sembra che ci tieni proprio tanto a quelle bestiacce. - - Parecchio. È una passione che nasce sin da piccina. E poi sono vissuta in mezzo alle “bestiacce” e non mi hanno mangiato... - - Già. Incredibile! Chi sa che storie interessanti hai da raccontare... - - Un giorno forse le racconterò l'intera storia, se le fa piacere! - - Mi piacerebbe molto, mia cara! Sono sempre pronta ad ascoltare belle storie. - Vorrei scrivermi il suo indirizzo per mandarle davvero il mio libro, passare a salutarla ogni tanto, ma non ho niente per scrivere. Mi dice che in paese la conoscono tutti e che trovare la sua fattoria non è un problema. Posso solo ringraziarla mille volte. La vedo voltarsi verso di me, avvicinarsi pericolosamente ai miei vestiti lerci e sento aumentare il profumo di lavanda, con due labbra umide che mi baciano sulla guancia, mentre la mano coperta di pizzo stringe la mia. Sono imbarazzata, non riesco a dire niente, ho un sorriso sciocco e sforzato. Riesco a mormorare “Grazie!” più volte, ma ho il cuore in tumulto per tutta la dolcezza che mi lascia questa nonnina. Il camioncino azzurro si allontana ed io guardo la via in cui sono cresciuta, il vialetto, il giardino curato, la mia casa. Tutto fermo nel tempo, mutevole solo per le stagioni. Mia madre apre il portoncino, sul viso un'espressione perplessa, i capelli che si scompongono per un refolo di vento. Ѐ impeccabile, anche quando lavora in casa. - Chi è? La posso aiutare? - - Mamma! Non mi riconosci? - - Savannah! Santo Cielo! Come stai? Hai bisogno di un buon bagno, ragazzina! - - Come stai, mamma? Hai un aspetto magnifico! Grazie, sto bene anch'io. Vado subito a lavarmi! - - Oh, cara! Scusami, ma hai davvero un aspetto spaventoso. Vieni, fatti abbracciare! - - Ti abbraccio dopo mamma, non voglio sporcarti. - - Vieni qua, figlia mia. Questo non ferma una madre! - Il suo corpo profumato contro il mio, le braccia intorno al collo che mi stringono, la sua forza che mi trasmette un brivido di affetto. Sento gli occhi inumidirsi, quanto mi è mancata! So bene che avrà passato mesi angoscianti, aspettandomi, chiedendo notizie all'università o alla guardia forestale, facendo forza su sé stessa per non impedirmi di partire e pregando di non doverlo rimpiangere. Chiudo gli occhi e mi godo quell'abbraccio. Sento gli occhi che s'inumidiscono e mi stacco. Sbatto le palpebre, ricaccio indietro le lacrime e guardo con una smorfia orripilata la macchia scura sul suo grembiule rosa. Il danno è fatto. - Hai già detto a Robin che sei tornata? - - Non ancora, poi magari mi ha dimenticato, dopo tutto questo tempo... - - Ti ha aspettata tesoro. È venuto a cena ogni venerdì sera, ha sempre parlato di te. Credo che ti voglia davvero molto bene. È meglio, comunque, che non ti veda in questo stato. - - Chiamalo, per favore. Trova una scusa per farlo passare prima di cena, sarà una sorpresa. Intanto io vado in casa... - - A farti una doccia! - Mi stacco definitivamente da lei, guardo i vicini che mi stanno spiando dalle finestre, qualcuno vorrebbe avvicinarsi. Sento sulle spalle i loro sguardi curiosi, salgo i due gradini del portico, mi volto, saluto a destra, poi a sinistra, sorrido a tutti, strizzo l'occhio a mia madre ed entro in casa. Quanto tempo, la fresca penombra che preserva i mobili, il profumo di cera, il salotto a sinistra, lo studio di mio padre a destra, la cucina impeccabile che è il regno indiscusso di mia madre. Gli scalini con la passatoia scura, su cui lascio impronte chiare, che portano alla mia stanza, irrimediabilmente rosa e al bagno, lucido e azzurro. Tutto pulito, tutto profumato, splendente. Quando avrò finito, non uscirò da quel bagno se non potrò lasciarlo come l'ho trovato. Due ore. Due ore di acqua calda sono il tempo che impiego per portare via lo sporco di mesi, unito a quantità industriali di bagnoschiuma, shampoo e balsamo. L'acqua che finisce nello scarico è nera, poi marrone, poi giallognola, infine solo insaponata. La mia pelle è rossa, irritata dalla forza che ho usato e dal calore dell'acqua che ha appannato tutti i vetri, la doccia bollente ha disteso e purificato i miei muscoli e la mia pelle, mi sento leggera, come se mi fossi liberata di un peso. Respiro più liberamente. Non ho ancora il coraggio di guardarmi allo specchio, prendo una crema nutriente, mi massaggio ovunque, abbondantemente; la mia pelle assorbe tutto il prodotto come se fosse una spugna. Con l'asciugamano asciugo il vetro della consolle. La donna che vedo ha la pelle abbronzata, ancora secca, livida in più punti, con un taglio profondo bordato di rosso e graffi ovunque. Un disastro inimmaginabile. Disinfetto, asciugo, massaggio di nuovo con la crema nella speranza di ritornare, al più presto, liscia e morbida come prima. Tampono con l'asciugamano. La mia attenzione cade sui capelli, arruffati.
Maria Caterina Comino
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