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Autore: Francesca Ghiribelli
Il primo amore è per sempre
Narrativa Contemporanea Rosa
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Il primo amore è per sempre
Da moltissimi anni esiste un borgo, immerso nel delizioso paesaggio toscano, che si chiama Usigliano. La sua bellezza è di origine medievale. Gli occhi del cielo e quelli del verde si incontrano all'infinito, senza distinguerne alcun contorno o un percettibile confine.
In difesa del popolo si erge una cinta muraria, dove tralci di piante di cappero odorano le sue vie di un pungente e antico aroma.
L'intreccio di stretti passaggi, storici archi e vie acciottolate apre l'ingresso a una piazzetta, dove in un angolo aspetta una panchina malinconica e silenziosa.
Si respira ardente poesia nell'odore del suo solitario cuore per udire il riecheggiante suono di campane in festa, quelle della Chiesa di San Lorenzo che annuncia la messa.
Una piccola e preziosa costruzione che tiene alta la sua segreta fede tra l'ancestrale sussurrare delle mura, fino alla Cappella di San Rocco, anima sacra e ottocentesca situata in via della Montanina nella località denominata “La Sala”.
Un tempo il territorio si spingeva fino alle cave di San Frediano, lasciando a Usigliano il ricordo della “Lumachella” in ogni pietra o finestra del paese.
Dal passato di dominio storico in mano nobiliare, oggi la sua anima di piccola borghesia arricchita si è ammodernata, ma il suo cuore resterà sempre: indelebile “fattore” dell'economia dei suoi campi.
Comunque sia, l'amore rappresenta sempre la più antica battaglia da combattere per vincere la guerra.
Un libro di poesie un po' sgualcito è l'intenso ricordo di una vita.
Niente sarà più come prima, un'indimenticabile giovinezza resta l'indelebile inchiostro dell'anima.

Londra, 20 novembre 2011, mattina

La consistenza persistente dell'odore della sigaretta pervase le sue narici. Ogni volta ne restava deliziato a causa del suo vizio per il fumo, ma in quel momento gli risultò un po' nauseante.
Chiuse il giornale che aveva fra le mani. Quella mattina non si sentiva particolarmente bene, sembrava mancargli un po' il respiro. Fissò con aria disturbata il mozzicone che stringeva nella mano destra, mentre dette un'occhiata infastidita alle sue dita ingiallite dal tabacco.
Il suo sguardo poi si spostò sull'elegante e costoso tavolino di noce. Prese la sua consueta tazza di tè alla camelia, una vera “diavoleria” del commercio.
In fondo, era stato un amico a consigliargli quella rinomata marca, visto che era a capo di una delle più importanti aziende venditrici di quella preziosa bevanda.
Così lui ci era caduto con tutte le scarpe. Per fortuna poteva permetterselo, ma se avesse pensato anche soltanto per un secondo a quello che era stato un tempo!
Alle sue vere origini. A suo padre, a ciò che gli aveva insegnato con amore e devota costanza. Alla semplicità della vita e a quanto essa valesse più che di qualsiasi altra cosa materiale.
Ma ad Alberto non era bastato affatto, era cresciuto appena in un piccolo paese, per poi scappare a fare le superiori poco più lontano, ma alla fine il sapore della conquista e la voglia di conoscere più in là del suo naso, avevano prevalso.
Se ne era andato per studiare all'università di Pisa, quella grande città che in confronto a Londra non era un bel niente, ma agli occhi di un umile ragazzino era tutto.
Era la voglia di evadere e iniziare a raggiungere il suo ambito sogno imparando a conoscere il mondo.
Poi al conseguimento della laurea la sua promessa di restare in Italia era svanita e il suo desiderio di ambire al posto di caporedattore di una grossa testata giornalistica inglese lo aveva reso insensibile alle richieste di un padre, Giulio, sempre presente, ma che aveva passato la Seconda Guerra mondiale e tanti periodi economici difficili risalenti al dopoguerra.
Sì, visto che non aveva radici benestanti aveva guadagnato tutto con il sudore della sua fronte e con innumerevoli sacrifici.
Un uomo che in seguito a tante sofferenze non era riuscito a poter amare la persona che più avrebbe desiderato avere al suo fianco.
Gettò la sigaretta nel prezioso portacenere di Limoges e alla fine scaraventò con fretta sul divano il giornale appena letto.
Con febbricitante voglia si alzò per riprendere in mano l'amato catalogo che gli era stato spedito dall'Italia.
L'aveva trovato un po' insulso. Di solito lui era abituato a ben altro, lì nella capitale inglese. Proveniva da Lari, il minuscolo paese in cui era nato e dal quale era scappato a gambe levate.
Suo padre, dopo le costanti ricerche fatte invano negli anni, si era rivolto al nipote di un suo vecchio amico di paese.I giovani sanno utilizzare i pc in modo davvero magico e sorprendente, così aveva trovato il luogo, dove si trovava ora l'oggetto tanto ambito. A breve si sarebbe tenuta una gara d'asta proprio a Londra, città in cui adesso per un caso fortuito si trovava suo figlio.
Alberto aveva ricevuto una curiosa mail dal ragazzo, il cui contenuto mostrava finalmente la natura dell'articolo, per cui suo padre nutriva tanto interesse.
Sotto insistenza telefonica di Giulio, aveva chiesto a un suo collega di racimolare il prezioso catalogo riguardante la gara, che si sarebbe tenuta proprio a Sotheby's, rinomata casa d'asta.
Insieme al catalogo aveva allegato una lettera, dove parlava ad Alberto con profondo affetto e infinita speranza.

Caro figlio, come sai la tua lontananza opprime il mio povero cuore, ma so benissimo quanto tieni alla vita che hai ora. Così potrai capire quanto io tenga al favore che ti chiederò adesso. Ti mando questo catalogo che ha riacceso la speranza dentro di me. Esaudisci il mio antico sogno lontano. Trova la mia Aleida e ti sarò eternamente grato.

All'inizio Alberto aveva sbuffato un po' infastidito, ma poi sfogliandolo osservò curioso i tanti oggetti fotografati.
Erano numerose pagine e lo scorrere del tempo lo stava annoiando mortalmente, mentre il nodo della cravatta si faceva sempre più stretto e soffocante.
Alberto lo allentò, poi quasi allo stremo la sua vista evidenziò l'oggetto di suo interesse, cerchiato dalla mano malferma del suo vecchio papà.
Riprese la tazza ormai fredda in mano e mandò giù l'ultimo sorso di tè alla camelia.

***

L'aria di novembre si era già fatta abbastanza fresca, quasi a voler ricordare che l'inverno di lì a poco sarebbe arrivato.
Nonostante il bavero alzato dell'elegante cappotto nero di tweed e la sciarpa di caldo cachemire, Alberto sentì un forte brivido percorrergli la schiena.
Decise comunque di dirigersi a piedi fino all'importante fulcro che anima la città, congiungendo due strade importanti come Piccadilly Road e Oxford Street.
Qui si trovano i migliori negozi londinesi per un esclusivo shopping e la più famosa e prestigiosa casa d'asta, Sotheby's.
Non era molto lontano da dove lavorava e neanche dal suo appartamento, quindi era molto comodo arrivarci. Passò per le meravigliose vie di quella superba e grigia città, dove la nebbia faceva da regina.
Le luci dei locali più “in” sembravano mostrargli il cammino per giungere a destinazione: un po' come le briciole di Pollicino nel bosco per ritrovare la strada verso casa.
C'era molto traffico e code ai semafori.
Alberto sorrideva rapito, nonostante il caos, pensando a quanto suo padre si sarebbe trovato spaesato. Sicuramente avrebbe preferito morire prima di tornare a vivere in una simile metropoli.
L'uomo sulla quarantina inoltrata, teneva una mano infreddolita in tasca e nell'altra stringeva forte il piccolo catalogo, quasi come fosse l'ultima speranza esistente per suo padre.
Doveva ripagarlo per l'infinita lontananza che li divideva e per le lacune affettive, ogni volta procurate al suo animo fin troppo sensibile e al suo cuore sempre più stanco di soffrire.
Iniziò a immaginare cosa fosse racchiuso in ogni persona che stava camminando al suo fianco lungo la strada.
Era convinto che fosse gente semplice, nonostante l'abbigliamento apparentemente elegante e costoso. Nella vita la cosa che più aveva imparato a capire era quella che tutto non è come sembra, perfino la persona più appariscente o benestante ha qualcosa dentro di sé, che invece lo rende l'individuo più spartano di tutti.
Anche lui stesso aveva lottato con ambizione e sacrificio, pur di arrivare dove era giunto adesso, ma in passato era sempre stato convinto che sarebbe stato pienamente soddisfatto e felice.
Raggiungere il suo obiettivo sarebbe stato il sogno della sua vita. E così era stato.
Ma come mai ora provava qualcosa nell'anima che lo rendeva ancora inquieto e instabile?
Forse, quello che gli aveva detto suo padre era vero. Il lavoro non era tutto.
Sì, adesso lo comprendeva, non rappresenta quasi niente, quando sei riuscito a deludere chi più ti ama, allontanandoti per inseguire il tuo egoismo.
Alberto non aveva più la famiglia vicina e non aveva neanche una donna al suo fianco, ma fino a quel momento era stato capace di nascondere bene quel dolore.
Il dolore di una mancanza che non era mai riuscito neanche ad ammettere a se stesso.
Il suo amato sogno di entrare nel giornalismo lo aveva portato via da un paese troppo stretto per lui, strappandogli ciò che aveva di più caro, senza neanche rifletterci un istante.
Vedeva il suo corpo avanzare stanco e spinto dall'ormai quotidiana solitudine.
In fondo, quella grande metropoli lo faceva sentire ancora più solo e sembrava che la nebbia si fosse impossessata anche del suo cuore.
Continuò a osservare madri affrante che avanzavano con in braccio i loro bambini o cullavano fino a casa dolci neonati all'interno di soffici carrozzine.
Poco più in là c'era un ragazzino all'incirca di quattordici anni in attesa del suo succulento hot-dog, appena preparato da un ambulante sul lato della strada, proprietario di un allegro e colorato stand davvero invitante.
Gli occhi del ragazzo erano incollati sul panino, mentre sognava di prenderlo immediatamente a morsi, gustandoselo con piacere fino a casa.
O forse non aveva una casa, visto il suo abbigliamento abbastanza umile.
Alberto si chiese quanto invece magari fosse più fortunato di lui.
Chissà, quasi certamente aveva una dimora in cui tornare e una famiglia da abbracciare.
Lui invece, fra non molto, sarebbe rientrato nel suo appartamento, dall'arredamento di design che, negli anni,era riuscito a permettersi con tanti sacrifici, ma che adesso finalmente era tutto suo.
Non aveva nessuno a cui mostrarlo, se non qualche collega di lavoro, con cui cenava di sfuggita.
Oh, si odiava per come quella sera vedeva tutto così triste e distorto!
Sembrava che all'improvviso i suoi occhi avessero strappato il velo di un'apparente cecità e si fossero svegliati per la prima volta vedendo la luce.
Perché ogni volta pensiamo che gli altri siano migliori di noi o che stiano in condizioni migliori delle nostre?
È proprio questo che muove l'egoismo del mondo e rende la vita dell'uomo sempre più cinica e superficiale.
Ed ecco, era caduto, anche lui, in quella maledetta trappola.
Era riuscito a ottenere tutto quello che voleva, ma alla fine era più scontento di prima, perché era stata proprio quella sete di ambizione ad averlo inaridito così tanto.
L'esaltante luce dei negozi illuminati eternamente a festa lo fece ritornare alla realtà per renderlo partecipe di essere giunto quasi a destinazione.
Oxford Street era idilliaca nella sua sfarzosa eleganza per chi era abituato alla semplicità.
Era lo stesso effetto che aveva avuto su di lui la prima volta che era arrivato a Londra.
Anche se non era amante dello shopping, quella via sembrava creare un mondo a sé davvero sconvolgente e straordinario.
Proseguì in mezzo a quella doccia di luci, dove vide passare in un attimo tanti contorni che facevano da contrasto. Cani a spasso con i padroni, i visi di persone ormai abituate a quella visione come lui, mentre altri sguardi erano infinitamente curiosi di scoprire ogni singolo oggetto presente in quelle vetrine o all'interno dei punti vendita.
Ed ecco che dopo qualche giro a destra e a sinistra vide palesarsi di fronte ai suoi occhi la sede di Sotheby's.
L'immenso palazzo dalla facciata bianca, le sue finestre lucide come specchi, i numerosi piani che racchiudevano infine la sua imperiosa scritta dal carattere sobrio e snello. Una tendina nera reclamava il suo nome e fungeva quasi da altezzosa “entraîneuse” all'ingresso.
Alberto sembrò quasi emozionarsi, era la prima volta che vi entrava da quando era in Inghilterra, ma alla fine pensando a suo padre si fece coraggio e andò avanti.
Una ragazza molto graziosa vestita in maniera impeccabile gli sorrise cordialmente.
Lui le porse tutto l'occorrente per la registrazione.
- Salve, Mr. Baccini. Benvenuto nella nostra casa d'aste - disse lei dopo aver inserito i dati.
Egli confermò con un accennato sorriso. - Alberto Baccini. Grazie. -
- La sua professione? -
- Caporedattore di una testata giornalistica qui a Londra. -
Il suo petto sembrò per un attimo gonfiarsi come quello di un passerotto alla vista di una pozzanghera.
L'altra restò molto colpita dalla quella notizia.
- Davvero interessante. Complimenti. -
Poi gli strizzò l'occhiolino con fare generoso e lui ricambiò con un'amichevole stretta di mano.
Subito dopo l'hostess gli consegnò la paletta per partecipare alla gara d'asta.
Alberto non era mai stato presente neanche come spettatore a un simile evento, ma ormai la richiesta di suo padre lo aveva spinto ad accettare.
- Ecco, adesso dovete soltanto girare subito alla vostra destra e troverete la sala adibita alla gara, a cui siete venuto a partecipare. Spero che passiate un buon pomeriggio. -
Si accomiatò dalla ragazza e si avviò nella direzione indicatagli. Tutto era immacolato lì dentro, ma l'odore del passato sembrava restare pregno fra quelle mura.
Era questo a cui stava per partecipare: una gara d'asta attraverso il cuore di oggetti antichi e quasi dimenticati.
Appena trovò la sala che andava cercando, si mise seduto per accaparrarsi in anticipo un posto libero. La stanza molto ampia ed elegante era già colma di persone e per un attimo si sentì osservato con curiosa attenzione da tutti quegli occhi maliziosi e guardinghi.
Vi erano individui di ogni genere, da quelli più benestanti e aristocratici, a quelli più umili e semplici, che forse erano presenti soltanto per scoprire di cosa trattasse veramente quella specie di evento.
Alberto si accorse di battere nervosamente il piede della gamba sinistra accavallata su quella destra, quasi come fosse uno scacciapensieri.
Per alcuni istanti sfregò le mani l'una con l'altra nascondendo un certo nervosismo, poi si schiarì la gola con un frettoloso colpetto di tosse. Alla fine per ammazzare l'attesa decise di riprendere dalla tasca il famoso libricino rappresentante il catalogo.
All'improvviso una vocina lo destò dalle sue preoccupazioni e si voltò quasi con aria spaventata.
- È emozionato, vero? -
Inquadrò il volto delicato di una signorina poco più giovane di lui con accanto una donna anziana dall'espressione annoiata e taciturna.
La giovane però sembrava voler attaccare bottone, seppur timidamente.
Alberto non conosceva nessuno a Londra, oltre ai numerosi colleghi di lavoro, non era moltissimo che viveva lì.
Decise senza saperne il motivo di rispondere educatamente a quella flebile richiesta di conversazione.
- Diciamo, più che emozionato, direi ansioso di andarmene al più presto. È la prima volta che vengo qui e non so bene come possa andare a finire un simile evento. -
Nel frattempo Alberto aveva aperto il catalogo alla pagina interessata e la signora accanto alla ragazza con l'occhio lungo osservò il famoso oggetto cerchiato con una penna rossa.
- Ah, lo credo che siete preoccupato, sicuramente avrete molto da fare prima di accaparrarvi un simile “gioiello”! -
Alberto strabuzzò gli occhi e per un attimo restò impietrito dalla sfacciataggine di quella donna. Sembrava avesse soltanto l'aria assente e infastidita, invece era molto curiosa e impicciona. La ragazza invece dette una sonora gomitata all'altra e poi sorrise a lui con garbo.
- Scusate mia madre, è sempre stata un po' indiscreta per natura, ma adesso che l'età avanza la sua invadenza è davvero imbarazzante! -
Alberto per nascondere la sua delusione incoraggiò quel tentativo di gentilezza.
- Non vi preoccupate, non è niente di così segreto, anzi è soltanto una questione che riguarda una persona a me vicina. Così sono venuto io per partecipare alla gara come suo mediatore. -
La ragazza gli tese la mano morbida e bianca, così piccola che sembrava quella di una bambina.
- Piacere di conoscervi, mi chiamo Geraldine Glasgow. -
Aveva un'aria pacata e quasi adorabile nel suo tailleur nero molto elegante e al contempo sobrio.
Una donna di una statura bassa, ma piacente e aggraziata dalle sue morbide forme.
Lui ormai parlava molto bene l'inglese, anche se lei sembrava voler far decadere uno strano e antico accento anglosassone, proveniente forse da qualche contea più interna alla campagna.
- Alberto Baccini, piacere mio. -
Gli occhi della signorina si spalancarono pieni di meraviglia.
- Allora siete un italiano! I love Italy. Mi piacerebbe molto visitarla un giorno. -
Lui ridacchiò di gusto. - Avete scelto la persona sbagliata! Sono letteralmente fuggito da lì per venire qua a completare i miei studi e a lavorare. -
L'aria precedentemente emozionata di lei si sciolse in uno sguardo un po' dispiaciuto.
- Mi dispiace avervi causato cattivi pensieri, nominandovi l'Italia... -
- Oh, non vi dispiacete, è proprio per mio padre che vive ancora là, che sono venuto qui oggi a partecipare alla gara. -
Prima che i due potessero terminare quello scambio di chiacchiere, la voce dell'ufficiale d'asta attirò la loro attenzione e tutto ebbe inizio.
Alberto e Geraldine sorrisero sommessamente e si compresero attraverso il silenzio dei loro occhi.
Entrambi si armarono di paletta e attesero il loro momento.
Lui controllò ancora una volta il numero di lotto corrispondente all'oggetto di suo interesse. Ci sarebbe stato ancora tempo, prima che arrivasse il suo turno.
L'articolo che interessava a suo padre era veramente costoso, ma ce ne erano molti altri addirittura più pregiati e preziosi.
Tanto valeva aver accettato quella sfida, altrimenti suo padre non glielo avrebbe mai perdonato. Ora che aveva raggiunto una più che valida situazione economica e lavorava a tempo pieno, poteva facilmente arrivare a quella cifra.
Sicuramente nessuno avrebbe accettato di affannarsi molto per avere uno stupido manoscritto dimenticato nei secoli.
Alberto vide scorrere i suoi occhi su oggetti impensabili. Alla gara venne presentato di tutto: portagioie a forma di Uovo Fabergé, mobili in stile antico e pregiato, chiavi risalenti al periodo Barocco, quadri che non aveva mai neanche sentito nominare e addirittura animali imbalsamati.
- Lotto numero trenta: un pezzo apparentemente meno importante e di valore tra i tanti articoli di questa asta risalenti a vari periodi storici così differenti fra loro. -
Alberto rizzò subito la testa e aprendo bene le orecchie attese che l'ufficiale continuasse.
- Prima edizione del manoscritto di poesie di Pedro Salinas risalente al 1936, Editore Cruz y Raya di Madrid. Raccolta in lingua spagnola, dal titolo “Razòn De Amor”. Base d'asta: millecinquecentosessantatré sterline. -
Subito dopo una ragazza di affascinante presenza entrò come valletta dell'asta per mostrare l'articolo in questione.
Alberto si mise le mani nei capelli, pensando a quanto suo padre lo avrebbe reso ridicolo, non appena avesse mostrato il suo interesse per un simile oggetto.
Lui che adorava il giornalismo, la cronaca odierna e passata, un figlio che aveva studiato con orgoglio e fierezza per diventare giornalista. E ora che era riuscito a raggiungere molto di più nella sua vita, doveva mostrarsi interessato a un insulso libro di poesie sentimentali. Aveva sempre odiato certe cose, ma non poteva stroncare l'ultima speranza per la felicità del padre.
Da quella distanza il volume sembrava davvero antico e messo molto male: in fondo era il fascino della rarità della prima edizione risalente agli anni Trenta.
La copertina era ingiallita e quasi illeggibile, ma forse se fosse riuscito ad acquistarlo alla gara, subito dopo suo padre avrebbe impiegato altri soldi nella sua restaurazione.
Dopo la prima cifra come base d'asta, nessuno si era fatto avanti, quindi Alberto era quasi certo di poterselo portare a casa, ma non appena fece l'atto di alzare la paletta, una donna più o meno della sua età, seduta quasi nelle ultime file fece la sua offerta.
- Milleottocento sterline per la signora là in fondo - disse il battitore guardando in quella direzione. Nello sguardo di Alberto apparve subito una velata angoscia, così alzò subito l'offerta.
- Millenovecentocinquanta sterline per il signore qua davanti. -
Alberto tirò fra sé un sospiro di sollievo, ma la signora che aveva offerto in precedenza per il libro, ritornò all'attacco.
- Duemilacinquecento sterline di nuovo per la signora. Davvero inaspettato e curioso questo risvolto della gara. -
Il battitore sembrava mantenere il fiato sospeso in attesa di scoprire chi l'avrebbe avuta vinta fra i due.
Poi vide l'uomo rialzare fieramente la sua paletta.
- Tremila sterline ancora per il signore! -
Sembrava quasi che quell'uomo, forse per orgoglio maschile, tifasse per lui.
Alberto si sorprese nello scoprirsi così affannato e disposto ad arrivare a simili offerte, pur di accaparrarsi il manoscritto.
Gli occhi della signorina Geraldine strabuzzarono fuori dalle orbite e sembrava scossa da un leggero tremore, forse per l'emozione del momento.
Sua madre invece strizzò l'occhio ad Alberto con fare simpatico.
- L'avevo avvertita, che avrebbe dovuto sudare per avere quel libro! -
Ma non era ancora finita e lui aveva paura più di se stesso che della prossima offerta che sarebbe potuta arrivare dall'altra donna.
- Tremilaottocento per la signora! È una vera lotta. Stiamo quasi arrivando alle stelle per un libro di poesie... -
Deve essere mio, a tutti i costi, pensava tra sé Alberto, sentendosi quasi svenire.
- Signori, attenzione... quattromila per la signora in fondo! -
So che è una pazzia, ma posso arrivare a cinquemila senza problemi, anche se avrò un eterno senso di colpa per tutta la vita.
- Cinquemila per il signore! -
Un clamore sommesso animò tutta la sala.
Doveva terminare tutto, sicuramente la donna non sarebbe riuscita a prevalere con altre offerte.
Non appena si rese conto di cosa stesse dicendo il battitore, il cuore perse un battito.
- Diecimila! Signora, spero che sia ancora in sé e sia sicura della sua ultima offerta... - scherzò l'ufficiale d'asta.
La donna in fondo alla fila confermò la sua offerta con sicura fierezza sotto lo sguardo attonito di tutti.
Alberto era quasi esanime, sicuramente tutti i presenti si aspettavano una ancora più accesa lotta di rilanci, ma non poteva offrire di più e se anche lo avesse fatto, lo scontro sarebbe arrivato all'impossibile, visto quanto era tenace quella odiosa femmina.
Non poteva mandare all'aria le sue finanze per un libro, frutto di un capriccio d'amore di suo padre.
- Diecimila e uno... -
Alberto strinse in un tic nervoso gli occhi.
- Diecimila e due... -
La signorina Geraldine e sua madre si guardarono sospettose, dedicandogli un'ultima penosa occhiata.
- Diecimila e tre. La signora si aggiudica il lotto numero trenta. -
Il colpo del martello risuonò nell'aria celebrando la fine di quella contrastata lotta di offerte. Alberto sbatté con rabbia il catalogo sul bordo della sedia, poi con delusione si alzò accettando la sconfitta.
E ora cosa avrebbe detto a suo padre?

Usigliano, frazione di Lari, fine maggio 1938

Note d'inizio: Fior di cappero

- Sei un lurido idiota, vattene fuori dai piedi, altrimenti non vedrai più la luce del sole. -
Vieri gli affibbiò un pugno dritto sul naso, seguito dai suoi due fedeli scagnozzi Ario e Umberto. Si sentiva come se un treno lo avesse investito più volte senza pietà, ma non versò neanche una lacrima per non dare soddisfazione a nessuno dei tre presenti.
Teneva tutto dentro, come sempre.
Per avere tredici anni era ancora un ragazzino di bassa statura e poco sviluppato fisicamente.
Quando sarebbe riuscito a difendersi e a farsi beffa dei suoi nemici?
Non aveva né la forza né il coraggio per farlo, ma sperava fermamente che un giorno si sarebbe vendicato per sempre di quei bulli.
Vieri era stupido e arrogante. La sua sfumatura caratteriale lo rendeva il teppista del paese e della scuola e amava così tanto la vendetta, anche quando gli altri non avevano osato fargli nulla.
Ciò che Giulio gli invidiava di più era il suo fisico prestante, altissimo e superbo.
Ogni ragazzo che lo vedeva era impaurito dalla sua forza e dalla sua spavalderia.
Ma lui, a differenza degli altri, era costantemente preso di mira da quel gruppo di infami.
Giulio era stremato e accasciato a terra in una pozza di sangue, che proveniva copioso dal suo piccolo e fragile naso pieno di lentiggini.
Ario continuava a guardarlo con aria famelica e crudele, mentre lui restava immobile e silenzioso.
- Sei davvero una checca! Una femminuccia mancata! Ricordati sempre che Vieri è superiore a te e non riuscirai mai ad averla vinta con lui! -
Ario e Umberto erano letteralmente incantati dal capo del loro gruppo e tutto ciò che faceva o diceva era come se fosse puro Vangelo.
Il primo era robusto e tarchiato, ma non godeva di molta altezza come Vieri, mentre Umberto era mingherlino e restava sempre succube del volere degli altri due.
Nonostante fosse magro, aveva una forza misteriosa quasi pari a quella del capogruppo, ma amava starsene in silenzio ridacchiando fra sé.
- Su, andiamocene, per oggi credo che la lezione possa bastargli, la prossima volta se si comporterà ancora male, ne vedrà di peggio! -
Anche Umberto aveva detto la sua stavolta, ma non vedeva l'ora di allontanarsi per non dare altro spettacolo.
A Giulio pareva che a volte provasse una certa repulsione nascosta nel seguire le azioni improponibili di Vieri.
Comunque sia continuava imperterrito a rivestire il ruolo di bullo da strada. Forse soltanto per paura di una ritorsione degli altri o semplicemente perché ormai nessun altro lo avrebbe voluto volentieri come amico.
Appena Giulio ritrovò la fragile forza di alzarsi, Vieri si apprestò subito a tirargli l'ennesimo calcio sulla bocca, mentre Ario gli allungava un sasso con il sorriso sulle labbra.
- Tieni, finiscilo con questo e poi andiamocene... -
Il capo del trio di bulli lo prese in mano e con aria famelica stava già immaginando il dolore della sua vittima quando avrebbe preso il sasso in testa.
Giulio non faceva altro che sputare sangue e ghiaia, mentre le mani con profondi spasmi cercavano di tamponare le labbra senza riuscire nell'intento.
Mi uccideranno, sicuramente, se non sarà oggi, accadrà domani, si disse subito il povero ragazzo.
Poco più in là stava passando la signorina Fratti, insegnante di lettere della scuola.
Non riusciva a vedere cosa fosse successo esattamente al ragazzino che si trovava a terra, ma senza dubbio il gruppo dei tre intorno a lui, doveva entrarci qualcosa.
- Che succede, ragazzi? Ma Giulio cos'hai... -
Nell'avvicinarsi lo sguardo della donna restò di pietra, così da poter vedere finalmente in che stato fosse il suo alunno, Giulio Baccini.
Vieri riuscì in tempo a mettere il sasso nella tasca e fece gentilmente posto alla signora maestra per apparire innocente e privo di cattive intenzioni.
- Non so cosa sia successo, signorina, ma lo abbiamo trovato in questo stato. Volevamo aiutarlo... pensavamo addirittura fosse morto! -
Vieri sapeva il fatto suo, visto che ormai l'ora dell'uscita dalle lezioni era passata da un pezzo e nessuno era più nei paraggi. Quasi tutti a quell'ora si trovavano a pranzare insieme alle loro famiglie e il paese era piccolo, mentre l'unica a essere passata di lì in quel momento era stata proprio la professoressa.
Era uscita più tardi a causa di una riunione scolastica, ma anche se non aveva prove, sapeva benissimo che i colpevoli erano sicuramente quei teppistelli.
- E voi non c'entrate niente come sempre! Non ne sono così sicura! -
Vieri era spalleggiato così bene dai due compagni, risultando quasi credibile.
- È la verità, purtroppo non siamo riusciti a vedere chi è stato a ridurlo così. Non riesce neanche a parlare e sembra non voler dire la verità per paura - disse Ario nascondendo a forza un leggero sorriso divertito.
- Già, subito dopo l'uscita da scuola, siamo andati a giocare a pallone dietro la chiesa, poi ripassando di qui per tornare a casa, lo abbiamo trovato in questo stato. -
Anche Umberto iniziava a essere davvero bravo a tenere alta la misera crudeltà del gruppo.
- Adesso, però lasciate che lo aiuti, andatevene a casa! -
La donna era veramente dispiaciuta e addolorata, ma non sapeva cos'altro fare con quei bulli, se nessuno aveva la prova che fossero stati loro.
Bastava che Giulio si decidesse a parlare una volta per tutte.
Vieri si allontanò seguito dagli altri lanciando uno sputo a terra con derisoria soddisfazione.
La signorina Fratti si inginocchiò davanti a Giulio.
- Non puoi continuare così, tesoro. Devi parlare con qualcuno o almeno dire la verità, se non vuoi restarci secco la prossima volta! -
La donna tirò fuori dalla sua minuscola borsetta un piccolo e candido fazzoletto bianco profumato di lavanda per pulire le ferite su quel giovane corpo.
Di aspetto non era piacente, ma era la classica ragazza di paese acqua e sapone e dai lineamenti poco affascinanti, mentre le sue esili forme erano ammorbidite da un largo vestito di cotone color piombo.
Il bambino restò silenzioso e imperturbabile.
- Fra pochi giorni finirà la scuola e per tutta l'estate non dovrai vederli ogni giorno... sarebbe il momento opportuno per denunciare il fatto al preside. -
- Non servirebbe a niente, farebbero di peggio e se la prenderebbero ancora di più con me. Tenga il suo bel fazzoletto. Non avrebbe dovuto sporcarlo con il mio sangue. Grazie, professoressa. -
La signorina Fratti aveva quasi le lacrime agli occhi per la disperazione. Come poteva quel ragazzino essere così testardo?
- Devi fare qualcosa o lo farò io prima o poi. -
Giulio sembrò per la prima volta reagire con animosa apprensione.
- Non farete un bel niente! Non mettetevi in mezzo, signorina. Sicuramente prima o poi prenderanno di mira qualcun altro e si stancheranno di me. -
La Fratti si ritrovò a fare un cenno d'assenso per non insistere ulteriormente.
- Spero tanto che sia come dici. -
Giulio raccolse la sua piccola borsa di cuoio e vi ripose il quaderno e un piccolo libricino che erano caduti a terra vicino a lui. Per fortuna non erano sporchi di sangue, almeno quelli.
Poi la professoressa guardò il giovane alunno allontanarsi un po' malconcio ma con coraggio verso casa.

***

Giulio oltrepassò le lunghe e tortuose viuzze che portavano tutte al centro di quella piccola frazione di paese.
Era una vera noia ogni mattina doversi alzare presto, prendere la sua malandata bici e qualunque fosse stato il tempo, inoltrarsi fino alla scuola, che si trovava a Casciana.
Non era lontanissimo, però era pur sempre un bel sacrificio, soprattutto in inverno con la neve alta, quando le mani e il naso ti si gelavano fino a non riuscire più a sentirti vivo. Così aveva deciso di usare la sua bicicletta, un po' scassata, ma in fondo anche se non eliminava le intemperie, era pur sempre utile, invece di arrivarci a piedi.
Ci si inoltrava lungo un'impervia salita per giungere fin dietro a una vasta curva, poi bisognava proseguire dritti e vedere un piccolo cancello arrugginito con dietro un edificio di medie dimensioni.
Esso ospitava la scuola e quando Giulio vedeva la sua sagoma lontana era ben felice di sapere che era arrivato a destinazione, soprattutto durante una bufera di neve in pieno inverno.
Casciana non distava molto ed era anch'essa un piccolo borgo cittadino, il quale con le sue tante diramazioni portava attraverso discese, vicoli e scorciatoie lunghe o corte alle tante altre frazioni circostanti.
Si poteva giungere anche a Lari, capoluogo comunale della zona, da dove si raggiungevano numerosi e minuscoli punti abitati come Cevoli, Lavaiano, Perignano, San Ruffino e infine il suo amato paese natio, Usigliano.
Quei lunghi viali alberati contornati da file di cipressi e quella vegetazione mediterranea inasprivano il paesaggio rendendolo selvaggio e meravigliosamente naturale.
Giulio conosceva bene ogni piccola e possibile scorciatoia e arrivare da Casciana a casa per lui era un gioco da ragazzi.
Le ferite gli facevano ancora male, soprattutto pedalando, ma quel giorno non vedeva l'ora di arrivare dai suoi genitori e allontanarsi dall'edificio scolastico.
Non sapeva cosa avrebbe raccontato loro, ma forse la verità era la miglior cosa.
Tutt'intorno si sentiva l'odore della primavera, che ormai stava per preparare l'ingresso all'estate.
Erano gli ultimi di maggio, la stagione preferita di Giulio, quella che si avvicinava più alla libertà dalla scuola e dalle sue abitudini per sfogare la felicità nell'attendere l'arrivo di qualcosa di nuovo.
A lui bastava l'odore della rugiada mattutina, il bianco vestito delle margheritine in fiore e la struggente essenza delle erbe aromatiche in festa.
L'alloro con la sua aria vincente e sempreverde, il rosmarino con il suo fascino pungente, la mentuccia con l'intenso profumo di regina delle erbe, mentre la nepitella più in là dipingeva i suoi verdi rametti con piccole e timide infiorescenze incastonate di un blu violetto.
La maggiorana aveva uno stuzzicante sapore cucinata nei cibi e il suo profumo risvegliava anche l'animo più dormiente, poi vi era il timo con il suo bouquet fiorito color lilla che assomigliava a una sposa seduta fra i piccoli sassi della boscaglia.
E tutto non finiva lì, perché lo sguardo di Giulio venne rapito ancora una volta dal profumo inorgoglito del cappero fiorito lungo la cinta di mura del paese.
Lo sguardo di un bambino andava oltre la dimensione di quel piccolo paese, perché per Giulio le piccole cose erano capaci di rendere grandi la vita.
Alla sua età era rimasto colpito da tutto ciò che riguardava la natura e il creato, ma ciò che lo aveva da sempre affascinato era quel fiore.
Piccoli capperi tondi si nascondevano fra le foglie quasi della stessa forma e tonalità di colore, ma a renderli unici erano quelle grandi infiorescenze bianche punteggiate da lunghi stami filiformi dalle cime violacee.
Esse cadevano giù lungo le mura come braccia rampicanti quasi per rifinire un dipinto, il quale senza di loro sarebbe stato incompleto e anonimo.
Ciò che mancava al suo paesino e ai dintorni vicini era il mare, quella grande distesa, di cui aveva sempre sentito tanto parlare.
Per tutti era così affascinante e misteriosa, ma per lui tutto quello che era vivente, un animale o una pianta, erano veri miracoli della vita.
Ogni essere umano doveva essere grato di ciò che Dio gli aveva donato, anche se Giulio era molto curioso di poter vedere un giorno da vicino quella vasca di azzurro sognante.
Sì, quel mare lontano e quasi impossibile da raggiungere.
Chissà come sarebbe stato nuotarci dentro!
Infine arrivava sempre alla conclusione che non gli mancava nulla, visto che aveva una stupenda campagna e ondeggianti colline tutt'intorno.
Un paesaggio brullo ma rasserenante: il posto dove era nato e che amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Dopo l'ultimo tratto di strada immersa nella campagna entrò in una delle strade laterali che portava al cuore del paese.
Scese dalla sua bici e con passo frettoloso la accompagnò di fianco fino a riuscire a sentire il dolce profumo di pane che il panificio di Fedora andava ancora emanando.
Il ragazzo riuscì a resistere alla tentazione di comprare qualche pastarella, visto che nella sua umile famiglia i soldi non bastavano mai.
Così corse a più non posso fino al sentiero che portava al casale, dove viveva insieme ai suoi genitori, a servizio di Villa Larini.
Già in lontananza si scorgeva la sua maestosa figura, anche se Giulio immaginava che vi fossero ville migliori di quella sparse in tutto il mondo.
Sicuramente molto più belle e lussuose, rispetto a quella piccola tenuta nobiliare situata in un insignificante paesino italiano, quasi sconosciuto per tutti.
Ogni volta che arrivava lì nel suo cuore si accendeva un battito in più, perché la vista del fiero profilo della costruzione gli ricordava di esser stato fortunato.
Tutti avrebbero voluto essere alle dipendenze del gran signore del paese e la sua famiglia era riuscita a sopravvivere con quella fortuita mansione.
Una cinta di mura dall'aria molto antica si innalzava facendo posto all'ingresso della villa.
Un altero cancello era stato ridipinto da poco tempo di un bel grigio lucente, mentre dai muri che fungevano da protezione alla tenuta, mantenendo preservata anche la sua riservatezza, spuntavano le punte verdi bottiglia dei cipressi.
Filari di quest'ultimi fiancheggiavano tutto il contorno della villa, mentre facevano da cornice alla Chiesa, che poco più lontano si poteva raggiungere a breve attraverso una scorciatoia di sentieri acciottolati alla sinistra di Villa Larini.
Giulio giunto a destinazione, aprì con cura il grande cancello, poi voltandosi il suo sguardo incontrò ancora una volta il lungo tratto di ghiaia argentata che conduceva fino al portone della tenuta.
L'edificio a prima vista non era sfarzoso: la sua facciata si ergeva in pietra grezza su due piani continuando con due ali più basse dai lati.
Le porte alla base del palazzo, che fiancheggiavano a pianoterra da entrambe le parti il grande portone di legno, erano a vetri, protette da persiane lucide e gialle come il grano maturo.
Le finestre invece erano incorniciate da corone d'edera rampicante, le quali intrecciavano disegni scomposti fino ad arrivare sulla pensilina, che fungeva da tettoia di ceramica sopra alla porta principale.
La via d'ingresso era preannunciata da file allineate di vasi di coccio allietati da variopinti gerani, timide primule e serpeggianti peonie.
Davanti alla tenuta, divise da una vasta aia, vi erano le scuderie dei cavalli e sulla sinistra la rimessa delle automobili.
A destra infatti vi era il passaggio che dietro conduceva al loro casale, alloggio della famiglia di Giulio, da più di quindici anni.
Esso sembrava una piccola baita marrone scuro che ospitava lo stretto indispensabile per fungere da spartana abitazione ai quattro servizievoli dipendenti dei Larini.
Marta e Ferruccio, i genitori di Giulio, era due persone molto semplici, ma uniti dalla solida forza, che solitamente lega un uomo e una donna dalle origini davvero umili.
Si erano conosciuti per la prima volta durante una sagra a Lari, paese natio dei nonni paterni di Ferruccio.
Quel giorno di tanti anni fa si stava svolgendo la sagra delle ciliegie, erano gli inizi di giugno, quando lo sguardo timido e tenero di suo padre aveva incontrato furtivamente quello di lei.
Per Ferruccio era stato amore a prima vista, ma il suo carattere un po' “orso” e solitario gli aveva imposto di andarci piano e non era riuscito a dimostrare subito l'interesse per quella bella signorina dagli occhi sinceri e profondi.
Lei gli si era avvicinata in modo gentile, con il forte desiderio di fare due chiacchiere e approfondire la conoscenza, ma tutto invano.
Quel ragazzo per quanto fosse piacevole d'aspetto, era davvero molto introverso e silenzioso.
Durante la lunga giornata, però fu lei a prendere l'iniziativa e poggiando con aria scherzosa un piccolo rametto formato da due ciliegie dietro l'orecchio, diede vita a un goliardico orecchino.
Lui sorrise teneramente, ma quando si accorse che le dita della mano di Marta cercavano le sue per una carezza, non riuscì a resistere alla tentazione di allontanarsi e rifiutare quel bacio così innocente ma affascinante.
Fino a quel momento non aveva mai toccato una donna e quegli istanti per lui erano stati la clamorosa conferma che si era innamorato di quella ragazza nell'istante in cui l'aveva vista.
Così era stata Marta a prendere l'iniziativa e dopo aver chiesto il doveroso permesso alle rispettive famiglie, si fidanzarono.
Trascorsi pochi mesi dal fidanzamento, finalmente si sposarono, avendo trovato un fortuito impiego a Villa Larini.
Ferruccio così andò a vivere direttamente a Usigliano, paese d'origine di Marta.
Lui a lungo andare era diventato un abile stalliere e lei un'affabile governante.
Dopo circa un anno nacque Giulio: pesava due chili e pochi grammi e la sua lunghezza arrivava a malapena a quarantanove centimetri, ma il piccolo ciuffetto biondo-rame e due occhi verde smeraldo lo rendevano inconfondibile e unico.
Come sempre Giulio attraversò la piccola scorciatoia che portava direttamente alle scuderie e al casale.
Bigo, il cane che faceva da guardia alla villa, lo riconobbe subito scodinzolando.
Anche Vivetta, Reginalda e Ginetta, le tre gallinelle bianche seguirono il cane senza paura, ormai erano abituate alla sua presenza. Era come se fosse il loro migliore amico e Bigo non abbaiava neanche più a quelle docili pollastre, almeno fino a che non si fossero trovate in pericolo o avessero tentato di fuggire verso l'ingresso della villa.
Ovviamente tutto quel trambusto e la corsa felice di Bigo avevano destato l'attenzione di Marta, mentre Giulio avrebbe preferito non farsi vedere dai genitori in quelle condizioni.
La donna infatti uscì dalla porta del casale strofinandosi le mani con uno straccio.
- Ma che cosa hai fatto Giulietto! -
I suoi occhi caldi come castagne arrosto si sciolsero in un attimo in lacrime lunghe e addolorate.
- Non ti disperare, mamma. Non è successo niente, vedrai in poco tempo le ferite passeranno... -
Marta gli si era già avvinghiata al collo senza remore.
- Non puoi fare finta di nulla! Chi è stato a conciarti così? Devo saperlo! Chi? Se riesco a sapere chi è stato, lo ucciderò con le mie stesse mani! -
Giulio tentennò la testa scostando la madre da quel pietoso abbraccio.
- Non devi sapere proprio nulla. Figurati, ucciderebbero prima te di sicuro! -
Marta lo guardò con apprensione e venne scossa da un brivido nel vedere il volto martoriato e gli occhi stanchi del figlio.
- Lasciami andare, mamma. Vedrai tutto passerà presto. -
La donna corse subito dal marito all'interno della scuderia.
- Uccio, Uccio! Vieni a vedere, subito! -
Giulio non voleva creare tutta quella situazione, desiderava soltanto sottrarsi dall'attenzione generale al più presto.
- Babbo, babbo, venite! Hanno quasi ammazzato di botte Giulio! -
Ed ecco che quella linguaccia di suo fratello subentrava a peggiorare la questione.
Sirio, fratello minore di Giulio, aveva tre anni meno di lui e non si faceva mai gli affari suoi.
- Smettetela tutti! Lasciatemi in pace, dannazione! -
L'aria frastornata del figlio colpì il caro padre in pieno petto.
Entrambi si guardarono con aria silenziosa e comprensiva, in fondo avevano un carattere molto simile, per questo si capivano al volo.
- È iniziata un'altra guerra, fratello? Peccato che sono ancora piccolo, altrimenti sarei venuto volentieri ad aiutarti! -
La situazione era abbastanza imbarazzante e il suo morale era sottoterra, ma a volte l'ingenuità di suo fratello lo spingeva a sorridere anche quando non ne aveva voglia.
- Sarà meglio che la guerra non scoppi e che tu non faccia troppa attenzione a cosa fa tuo fratello Giulio! Non devi imitarlo! Mai! -
La madre lo rimproverò quasi come se suo figlio si fosse cercato quelle botte da solo.
Il fratello maggiore sapeva benissimo di potersi sfogare fra le braccia del padre, anche se i momenti di dimostrativo affetto fra loro erano rari e insoliti.
Giulio abbassò lo sguardo, tentando di nascondere l'arrivo delle lacrime, che stavolta non volevano saperne di restare dentro al suo cuore.
- Su, vieni, figliolo. Aiutami con il lavoro, andiamo nella scuderia. -
Marta e il figlio più piccolo restarono sorpresi della reazione di Ferruccio, ma decisero di restare in silenzio e di lasciare in seguito il tempo per altri rimproveri o supplementari discussioni.
La donna sapeva che alla fine il suo Giulio era sempre andato più d'accordo con suo padre. Forse fra uomini ci si intende meglio, comunque sia, spesso desiderava tanto avere la figlia femmina che non aveva mai avuto.
Lasciò andare i due verso le scuderie e lei mettendo la mano sulla spalla di Sirio, se ne tornò nel casale con aria mesta.
Giulio aveva sempre sentito una maggiore propensione verso il padre, ma soprattutto in quei momenti capiva che non servivano parole per comprendersi a vicenda ed era proprio di questo di cui aveva maggiormente bisogno.
Niente litigi o giudizi inappropriati su come avrebbe dovuto comportarsi, ma soltanto la pace di un sorriso pieno di silenziosa fiducia e premura dalle labbra sottili di suo padre.
- Ci sono diversi cavalli da strigliare bene e poi serve aggiungere altro fieno in ogni box. Sempre se te la senti di farlo... -
Giulio lì per lì non rispose subito, poi quasi come un robot iniziò a prendere la spazzola e a strigliare bene il primo cavallo.
Ma come tutti gli animali, il giovane puledro percepì con il suo sesto senso la nervosa fretta del suo umano amico passare e ripassare sul suo lucido manto.
Così alla fine un irritato nitrito lo avvertì giusto in tempo, prima di ricevere l'ennesimo calcio della giornata.
- Ehi, fermati! Ti avevo detto di farlo, soltanto se te la sentivi. -
Il padre lo guardò con una fragile aria di ammonimento, poi notò gli occhi del figlio stringersi fino a vederli chiudere e aprirsi con un tic nervoso.
- Non ce la faccio più, babbo! Sono stufo di essere la persona fragile che sono... vorrei tanto sapermi difendere una volta per tutte! -
- Il famoso gruppo dei tre bulli ti ha molestato di nuovo, vero? - chiese Ferruccio passando a tranquillizzare il cavallo precedentemente imbizzarrito.
- Lo sai, certo che sono loro! Ce ne sono tanti di ragazzi da prendere di mira... accidenti! Invece con me non la finiscono più. Perché, babbo? Perché? -
Il padre sospirò con forte impeto.
- Caro Giulio, sai già la risposta. Sei uno dei pochi o forse l'unico che si lascia intimidire, non hai la forza fisica per reagire, neanche con le parole. Subisci tutto senza lamentarti troppo e non provi neppure a minacciarli in malo modo! -
- E allora cosa vuoi dire con questo? -
Giulio aveva l'aria sempre più preoccupata.
- È proprio questo che diverte quel tipo di persona, perché vorranno vedere fino a quanto resisterai. Per loro è una sfida di resistenza. -
Il figlio sbuffò gettando una vecchia e consumata spugna in un secchio pieno d'acqua e sapone.
- Bene, allora dovrò mettermi l'anima in pace per sempre. Le prenderò a vita dai quei teppisti. -
- Non credo, tu hai bisogno ancora di tempo per crescere. Non tutti abbiamo gli stessi tempi per diventare uomini. Anche io come te, non ho mai goduto della forza di Ercole! Ma... vedrai che con il passare degli anni mi darai ragione e arriverà il momento della tua vendetta. -
Di solito suo padre Ferruccio trovava sempre cosa dire, nonostante il suo carattere taciturno e, anche stavolta, la sua risposta sembrava saggia e valida.
Provò a essere speranzoso e ad aspettare ulteriormente che il suo corpo un giorno trovasse la forza e il modo di reagire.
A Giulio piaceva guardare suo padre lavorare, ma in quel momento Ferruccio decise che fosse ora di pulire quelle ferite.
- Su, andiamo a lavarci la faccia da tutto questo sangue secco. -
Così entrambi si diressero subito verso un piccolo scantinato in fondo alle stalle per cercare la valigetta del pronto soccorso.

***

Finalmente il famoso giro della giornata in compagnia di Zuccherino era arrivato.
Dopo essersi lavato e medicato a dovere, si notavano soltanto due grossi cerotti beige sul labbro e uno sulla gobba del naso.
Zuccherino era un piccolo pony davvero adorabile, avevano optato per quel nome visto che il suo manto possedeva la stessa tonalità di una zolletta di zucchero.
Il manto finiva con una allegra e penzolante coda grigio scuro, mentre il musetto sembrava sorridere sempre in quei suoi occhi neri e profondi come pozzi.
La signora Larini l'aveva acquistato qualche anno fa per la sua amata nipote, quando era più piccola.
Il fratello della padrona l'aveva considerato uno spreco di denaro, un animale piuttosto inutile, visto che non rappresentava neanche un vero cavallo.
Pur essendo già grandicello, Giulio amava scorrazzare almeno una volta al giorno con quel suo simpatico compagno di gioco.
Era nato un bel rapporto fra di loro, fin dal primo giorno, quando la creatura tutta spaventata aveva messo piede a Villa Larini.
Sì, quel giorno di diversi anni fa, quando aveva dovuto sorbirsi le stupide urla di gioia che la nipotina dei Larini aveva fatto alla vista del suo amabile regalo.
Peccato, che dopo poche settimane era dovuta partire alla volta della Spagna per non fare più neanche una visita ai suoi cari zii.
Giulio aprì il box più piccolo della scuderia e si trovò faccia a faccia con quel musetto adorabile.
- Ciao, Zuccherino - , disse sorridendo all'animale.
Il ragazzo lo considerava quasi una persona e anche se ormai era molto tempo che viveva alla villa, trovava stupido sentir parlare in giro di crudeli gare di corsa per scommettitori davvero superficiali e insensibili.
Il cavallo, come tutti gli altri animali, doveva vivere in pace e non rischiare la vita per uno sciocco gioco ideato dagli umani per racimolare denaro.
Adorava la natura e soprattutto quel cavallo in miniatura, una razza sempre rara da trovare, ma così curiosa e bella da addomesticare da vicino.
Giulio amava la sua compagnia, perché con Zuccherino non doveva metter alcun finimento, ma si divertiva a galoppare a pelo senza alcuna sella o qualsiasi tipo di ulteriore attenzione: il suo essere minuscolo e selvaggio lo rendeva meraviglioso così com'era nato.
Seppur avesse tredici anni, Giulio era ancora molto piccolo di statura e gracile di fisico, cosa che rendeva più facile la cavalcatura dell'animale.
Era l'unico motivo per cui ancora il ragazzo era felice di non essere cresciuto a dovere.
Poi quando arrivava il momento che Zuccherino sentiva un po' di stanchezza, allora il ragazzo scendeva dalla groppa e passeggiava a fianco del pony, solamente legato con una piccola briglia.
L'unica precauzione, nel caso fosse dovuto scappare dalla sua presa.
Giulio in compagnia di Zuccherino prendeva sempre il sentiero che dal retro della villa arrivava nei vasti spazi aperti offerti dal paesaggio circostante.
Poi da quest'ultimi poteva galoppare in libertà in mezzo ad alti ciuffi d'erba verde che lasciavano intravedere in lontananza le spalle del camposanto.
Ma la grande tentazione in cui Giulio cadeva sempre era giungere di soppiatto al grande giardino dei Larini, il quale ritornando per la via della tenuta, si estendeva dietro all'abitazione per diversi metri.
Ed era lì che la padrona di casa passava la maggior parte del suo tempo per creare le sue varietà di essenze profumate.
Già, tutta la fortuna di questa nobile famiglia era dovuta alla creazione dei più particolari aromi ai fini di diffondere la vendita di pregiati saponi e delicate saponette del marchio Larini.
Appena varcata la soglia del gazebo, il ragazzino si nascose dietro una grande siepe di pitosforo insieme al suo Zuccherino.
La signora Clara svolgeva la sua amabile passione in quell'angolo di paradiso, mentre sull'ultimo lato della villa si estendeva una meravigliosa serra, dove lei teneva tutto il materiale occorrente per dare vita alle sue “creature”.
La padrona definiva quell'angolo di fiori il suo “studio personale”.
Fin da quando era bambina aveva seguito il suo amore per la natura e aveva deciso di proseguire con profonda passione e dolce diletto l'attività di suo padre.
Giulio da piccolo si era sempre chiesto dove trovasse tutte quelle varietà di infiorescenze per dare vita a profumi da incastonare come essenze per i saponi finali.
I suoi genitori gli risposero che era impossibile reperire tutte quelle specie di fiori nella loro piccola regione, così la signora Clara li faceva arrivare dall'estero.
La Francia, l'Olanda e la Germania erano le nazioni più ricercate per quei tipi di attività.
Il bambino restava ogni volta senza fiato nell'entrare in quella specie di fiaba profumata: la signora aveva creato un luogo incantato all'interno della sua tenuta.
Dal suo nascondiglio, appoggiate sul muretto di pietra, notò diverse paia di guanti per proteggere le delicate mani della donna durante il suo prezioso lavoro, mentre lei indossava un camice di bianco cotone un po' stropicciato e arrotolato maldestramente sui gomiti.
La figura femminile stava passandosi un braccio sulla fronte sudata con aria stanca. Il caldo dell'arrivo di una torrida estate si faceva già sentire nell'aria pesante.
Stupende orchidee dai mille colori, rose canine, erbe aromatiche, fresie e maggiociondolo erano tutti allineati l'uno distante dall'altro sul lungo tavolo da lavoro. Chissà quale curiosa creazione era nata quel pomeriggio o stava per essere creata?
Giulio avrebbe voluto tanto restare a guardare, ma non voleva rovinare la sua concentrazione, così fece passare il suo esile corpo e quello del pony attraverso un'uscita nascosta fra i tralci d'edera e lasciò il giardino.
Poi alla vista del lungo sentiero che si apriva ancora sul cammino, decise di fare un ulteriore giro in groppa al suo amico.
Prese la via verso sinistra, altrimenti dalla parte opposta si sarebbe ritrovato nuovamente di fronte la villa.
Un piccolo slancio e montò a pelo Zuccherino, che felice e quasi con il sorriso sulle labbra non aspettava altro che correre a perdifiato.
Così chi avrebbe guardato lontano verso l'orizzonte di quel prato avrebbe visto due piccole figure quasi indistinguibili, l'una parte dell'altra.

Francesca Ghiribelli

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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