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Autore: Monica Pasero
La smentita
Romanzo
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La smentita
- Ma andate tutti al diavolo! - , urlò un tizio che barcollando uscì dal bar, sbattendo la porta tra il brusio generale.
“Al diavolo? Ah sì, vacci pure tu! E salutamelo...”
Quel pensiero giunse improvviso, senza alcun senso, nella mente confusa di un uomo che, seduto al bancone, sorrise ingollando l'ennesimo bicchiere di whisky.
- Dammene un altro! - , ordinò autoritario al giovane barista, colpendo con un pugno il bancone tanto da far oscillare la lunga fila di bicchieri vuoti, presenti sul ripiano.
- Signore, forse sarebbe meglio che andasse a casa. Siamo in chiusura - , rispose stanco il giovane.
L'uomo lo guardò emanando una strana luce negli occhi, tantoché il ragazzo preferì non insistere e gli versò da bere.
“Casa... A pensarci bene anche io ne dovrei avere una da qualche parte...”
Aveva vagato tutto il giorno in cerca di indizi, risposte che lo aiutassero a capire chi fosse, ma nulla! Il vuoto assoluto. Dai suoi abiti di alta sartoria era presumibile che fosse un pezzo grosso!
Un guizzo di luce gli attraversò le pupille donandogli un color rosso sangue, una forza sconosciuta lo pervase, quasi rinato da quella sensazione di potenza che lo portò a fantasticare su chi fosse. Convinto d'essere uomo di grande prestigio e potere.
- Ehi ragazzo, mi hai già visto? - , chiese speranzoso al giovane barista.
- No, signore, non mi pare - , rispose il ragazzo asciugando gli ultimi bicchieri della serata.
L'uomo si guardò intorno, la tv era accesa e le ultime notizie non erano certo incoraggianti: si rincorrevano
voci di guerra, e negli occhi dei presenti s'intravedeva preoccupazione e rabbia.
“Non ricordo nulla!” pensò rabbioso, e una fitta lancinante alla testa lo sconfortò.
Lo sguardo si posò sul grande specchio, dinnanzi al bancone, e vide un essere che lo terrorizzò: il suo volto era stanco, gli occhi arrossati. Era ubriaco fradicio!
Si fece schifo a tal punto che corse nel bagno del locale e vomitò.
Con fatica si rimise in sesto, si sciacquò il viso, si sistemò il cappotto e come un gran signore uscì dal bar, lasciando una lauta mancia al barista che, alquanto sorpreso, fischiettò continuando il suo lavoro.

Era quasi mezzanotte, il cielo era coperto da nubi nerastre “Le mie preferite, almeno credo,” pensò osservando le nubi oscurare del tutto la Luna.
L'aria era fredda, un brivido lo pervase lungo la schiena, si strinse nel suo cappotto.
“Che ci faccio qui? Dovrei rientrare, questo lo ricordo, ma non so dove! È tutto così confuso! Maledizione!”.
Troppo stanco per pensare, si lasciò cadere su di una vecchia panchina di un parco pubblico, dove s'addormentò.

Lucia
Era mattina presto, il sole non aveva ancora fatto capolino; Lucia era già in Redazione.
Dalle grandi vetrate s'intravedeva una Torino ancora assonnata, coperta da quella sua solita foschia che si diradava col passare dei minuti. Le lancette dell'orologio a muro scandivano il tempo con quel loro cadenzato ticchettio.
Lucia continuava imperterrita nella sua lettura come se tempo non ce ne fosse mai a sufficienza.
- Che poi a “qual è” l'apostrofo non ce lo doveva mettere! E per non parlare della e apostrofata...Ci va l'accento: è! Non e'! - , brontolava sgranando gli occhi come un editor professionista, le sue smorfie la rendevano: - Una creatura davvero buffa - , almeno era quello che sostenevano, alcuni, dai “Piani alti” che, spesso incuriositi dal suo strampalato modo di essere, si soffermavano ad osservarla nelle sue numerose elucubrazioni mentali.
- Lucia, piantala e vieni a lavorare! Se ti beccano, sono guai! - , urlò Maria.
- Vengo, vengo, ma senti questa: “Le nuove misure di sicurezza contro la diffusione del virus, a quanto lasci intendere il ministero della sanità, prevedrebbero multe salatissime per i non vaccinati... Se ciò accadesse che reazione avrà i novax?”. Avranno, cavolo avranno! - , brontolò Lucia trattenendo i fogli tra le mani come se stesse facendo un vero e proprio dibattito politico.
- Embè avrà no? - , disse Maria che, con il suo scopettone in mano, si fermò confusa da quella sfuriata.
- Che avrà e avrà! Doveva scrivere avranno: plurale! -
- Ma che te frega! Vieni che dobbiamo ancora pulire i bagni! - , disse la donna riprendendo il suo lavoro.
Lucia sistemò per bene il plico di fogli sulla scrivania di Marika, una delle giornaliste che lavoravano per quel Giornale; accarezzò per un attimo la poltroncina, e s'immaginò lì seduta a scrivere un articolo.
- Ti vuoi muovere! - , gridò nuovamente Maria,
destando la ragazza che a malincuore tornò alla sua realtà.
- Dai, non te la prendere! ‒ la consolò la donna passandole la bottiglia di candeggina ‒ È la vita! Ma può sempre cambiare, coraggio! - , terminò canticchiando.
“Cambiare? Cambiare, ma quando? Non cambierà mai!” Lucia si era rassegnata a quella vita così diversa da quella immaginata: avrebbe tanto voluto fare la giornalista.
A scrivere se la cavava! Aveva partecipato a qualche concorso, ma non era mai arrivata in finale; le avevano proposto di far parte di diverse associazioni culturali: avrebbero pubblicato i suoi brani nelle loro raccolte: quelle classiche “raccolte autori” dove tanti aspiranti scrittori partecipano, speranzosi di essere notati, in cambio, ovviamente, di un bel po' di denaro... cosa che lei non aveva.
Per cui scrivere bene non era sufficiente per partecipare ad una raccolta, tantomeno per entrare a lavorare in un Giornale, soprattutto se sul curriculum alla voce istruzione spiccava: Terza Media inferiore. “E no! Non era abbastanza per entrare a far parte di una redazione, al massimo poteva pulirci i cessi!”, pensò e iniziò così la sua giornata lavorativa: una bella passata ai bagni, ai vetri dei vari uffici e una bella lucidata ai pavimenti.
Lucia si asciugò la fronte; mancava un quarto alle otto e tra meno di quindici minuti avrebbero aperto gli uffici. Osservò le scrivanie ordinate, le sedie allineate e le grandi vetrate brillare, i computer spolverati... A breve tutto avrebbe preso vita: i telefoni si sarebbero messi squillare all'impazzata, i tanti giornalisti alla tastiera dei loro pc avrebbero creato notizie credibili o meno, polemiche, gossip, e tutto si sarebbe amalgamato tra carta e inchiostro per dar vita al giornale dell'indomani.
Fece un lungo respiro, posò secchio e scopa nel ripostiglio e si avviò all'uscita.
L'aria era fredda quel mattino, camminò lentamente assaporando il suo tempo, oggi non aveva grandi impegni. Il lavoro in quel periodo scarseggiava e decise che avrebbe fatto una lunga passeggiata sotto i portici, curiosando qua e là le vetrine; amava passeggiare per le vie del Centro, soffermarsi innanzi ai negozi di abbigliamento, immaginarsi indosso i tanti abiti esposti, ma ora quella dannata mascherina le impediva una perfetta visuale, per chi come lei portava gli occhiali era un vero incubo! Aveva imparato a conviverci da ben due anni e, per come stavano andando le cose, l'avrebbe portata ancora per un bel po'. Lucia ricordò le tante controversie giunte poche settimane dopo l'inizio della Pandemia: non c'era stato il tempo di piangere i propri morti che le polemiche erano affondate come coltelli acuminati sul Paese, e ancor oggi non si faceva altro che litigare, insultarsi e voler avere ragione ad ogni costo.
“Ma poi, ragione di cosa?”, si domandava passeggiando, osservando tutte quelle persone il cui volto era celato dalla mascherina, alcune erano schive, quasi timorose che un solo sguardo potesse contagiarle, altre invece impavide, senza protezione, che credevano fosse tutto falso.
Lei credeva nei segni di Dio, seppur non praticante, aveva sempre visto Dio come un punto di riferimento, un qualcuno su cui contare sempre.
La Pandemia era arrivata come un fulmine a ciel sereno, colpendo il mondo e ricordandoci ancora una volta la nostra vulnerabilità. Le aveva fatto capire che nulla era sicuro: nemmeno l'aria che respiriamo o la quotidianità di cui tutti spesso ci lamentiamo, ma che in fondo adesso mancava; quella corsa al tram nel caos della città, un abbraccio improvviso, un caffè al volo al bancone nella calca del primo mattino oppure la coda per avere un tavolo al ristorante, appiccicati come sardine. Quell'essere sempre in mezzo alla gente, senza mai lontanamente pensare ad un contagio... e ora tutti guardavano con sospetto il prossimo; uno starnuto, un colpo di tosse e attorno terra bruciata. Era tutto così diverso! La Pandemia in quei due anni aveva completamente frullato il cervello di un buon ottanta percento di individui; si era passato da uno stato di puro terrore, agli slogan: “Andrà tutto bene”, “Ne usciremo migliori”, agli spot tormentoni che passavano ogni cinque minuti sui canali Radio e TV, “Ricordatevi di lavarvi le mani, mantenete la distanza di sicurezza.”
Pensò a quei giorni, quando uscire di casa era diventato un lusso e l'unica sua consolazione erano state le serie televisive e i suoi numerosi libri in lettura. Lei e Charlie, il suo gatto, avevano così trascorso il lockdown tra tv e croccantini. Ora le cose avevano assunto una strana normalità, alla tv non si parlava di altro: “Novax e Provax. Non mi vaccino! Mi vaccino!”
Lei era in procinto di fare la terza dose, ormai si era abituata, ma ricordava bene quel giorno quando, con la sua tazza di caffellatte tra le mani, e Charlie che le sedeva sulla sedia accanto, alla tv seguì un dibattito: - Morirete tutti se farete quel siero genico, cambierete il DNA! - .
Quella frase le era rimasta impressa, non sapeva se ridere o piangere e sconsolata aveva guardato Charlie intento alla sua igiene personale.
- Hai sentito questi? Moriremo tutti se ci vacciniamo, anzi per dirla tutta: tu camperai, ma io mi vaccino oggi e se morirò che ne sarà di te? - , gli aveva detto agitata.
Charlie, dopo uno strano miagolio del tipo: “Ma fatti furba”, era tornato alla sua attività della mattina: stravaccarsi sul divano con la sua copertina e dormire. - Va bene, io vado... Se per caso muoio... è stato bello. -

Giunta al Centro Vaccinale si era seduta in quell'enorme sala d'aspetto, con il suo numerino in mano, un po'tremante.
Le persone accanto a lei erano tutte in contemplazione, chi più, chi meno, qualsiasi fosse stato il loro Dio, visto le tante etnie presenti, stavano avendo una conversazione con Lui, e anche lei due paroline con schiettezza gliele disse: “Per favore non mi fare crepare, perché al gatto poi chi ci pensa?” La buttò così, ma dopo la vaccinazione, nei quindici minuti successivi, lunghi come un'intera vita, attese la fine che non giunse, ma in compenso arrivò l'incaricata a dirle che erano passati ben quarantacinque minuti e poteva andare. Imbarazzata uscì, felice di essere ancora viva.
Quella sera lei e Charlie festeggiarono con un bel film strappalacrime, e romantico da fare schifo, tra i suoi preferiti: una commedia che raccontava quanto il destino influisse nella nostra vita e le cose se devono accadere, accadono! Piangeva sempre quando lui ritrovava quel guanto sulla pista di pattinaggio e poi la neve, e lei... l'amore. “Amore questo misterioso sconosciuto...” si disse pensando alle sue relazioni, sempre fallite! Ma in fondo lei un uomo non lo voleva.
I ricordi erano troppo dolorosi da debellare, ed era semplice scacciare ogni mano che l'accarezzasse; qualsiasi sentore di desiderio nei suoi confronti veniva soppresso sul nascere. Gli anni passavano, ma il suo passato l'aveva ferita a tal punto da costruirsi intorno una fortezza inespugnabile: nessun uomo l'avrebbe avuta! Nessun essere maschile sarebbe riuscito a renderla docile al suo volere.
Tutto ciò che voleva era cercar di diventare una giornalista, seppur la vita le avesse tolto la possibilità di studiare: appena diciottenne giunse a Torino dalla Calabria; i mezzi erano pochi e i suoi non riuscirono ad aiutarla come avrebbero tanto voluto, ma lei non si perse d'animo e si mise a lavorare, cercando di apprendere da sola le nozioni che le servivano per ciò che da sempre voleva fare: la giornalista; ma col passare degli anni capì che non sarebbe bastata, per questa società, la sua buona volontà nell'imparare, nel sacrificarsi, e così l'entusiasmo a poco a poco se ne andò.

Monica Pasero

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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