Cara Sardegna, raccontami una storia
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Maurizio Zedda. Storia di emigrazione, di difficoltà e di rinascita
È possibile ricominciare a vivere quando tutto sembra crollare? È una domanda che probabilmente in molti si sono posti sperando di non dover mai dare una risposta. Ma in molti casi una risposta è doveroso trovarla...
Maurizio Zedda nasce a Gesturi, in Sardegna, nel 1977, penultimo di dieci figli. Famiglia numerosa, umile e onesta dai sani valori umani. La sua storia, la storia della sua famiglia, è una storia di emigrazione, quella di tanti che una volta raggiunta l'età della adolescenza vanno via dal paese in cerca di lavoro, e in questo caso, anche dalla propria regione: la Sardegna. Il pioniere della famiglia è Franco che veste i panni del “padre di famiglia”; partito giovanissimo, apre una attività di ristorazione a Bergamo e avvia al lavoro tutti i suoi fratelli. A turno partono dal paese, imparano il mestiere e aprono i loro ristoranti-pizzerie nel bergamasco dove oggi hanno famiglia e sono stimati e apprezzati da tutti, sia nel campo lavorativo che in quello strettamente umano. Maurizio lascia la Sardegna all'età di 16 anni e lavora dapprima nel ristorante del fratello, poi sceglie di cambiare lavoro, in un periodo in cui in Lombardia era più semplice sperimentare nuovi percorsi. Si dedica all'edilizia per alcuni anni poi ritorna nella ristorazione e diventa titolare di una pizzeria da asporto. In questi anni conosce Stefania, una ragazza di Brescia con la quale inizia un percorso di vita insieme.
La sua allegria e la passione per le moto lo accompagnano da sempre; una passione che nel 2004, lo costringe a stravolgere la sua vita e tutte le certezze costruite faticosamente sino a quel momento. Quel fatidico giorno Maurizio ha appuntamento col destino; esce di casa, le chiavi della macchina in mano... “Ma no, voglio prendere la moto!...” Rientra a casa e prende le chiavi, accende il motore per recarsi al lavoro, si mette in sella e si avvia. Lungo il tragitto, in fase di sorpasso viene urtato da una macchina; un urto non violento, a bassa velocità, ma quanto basta per farlo cadere dalla moto e portarlo a sbattere la testa contro il guardrail. Il trauma è forte e non lascia dubbi ai medici che lo soccorrono; l'elisoccorso lo trasferisce subito in ospedale dove trascorrerà 6 mesi. Tre interventi, ulcere allo stomaco e piaghe, tante sofferenze e un percorso di riabilitazione di circa due anni. Un percorso che lo vedrà spesso disarmato e scoraggiato difronte alla nuova realtà: la sedia a rotelle. “Speravo fosse una situazione momentanea... pensavo che sarei riuscito ad alzarmi... ma ho dovuto scontrarmi con la dura realtà. Difficile da accettare, perché la disabilità non è facile e non lo sarà mai, ma questo è: o lo accetti o resti lì a piangere per tutta la vita... e questo non serve.”
E “non è facile” è solo un eufemismo, perché la disabilità non solo “non è facile”, ma non è nemmeno democratica. È un dittatore, decide lei come, dove e quando. Ti costringe a vivere una vita che non avresti mai immaginato e a fare i conti miliardi di volte con i fantasmi del passato e con i pensieri del : “Come sarebbe stato se...” E i “SE” sono gli amici del “MA” e, insieme, non portano da nessuna parte. Fanno solo confusione, a meno che non li usiamo insieme per dire a noi stessi: “MA SE invece guardassimo avanti?”. E così, dopo un lungo percorso di consapevolezza, Maurizio inizia a guardare al futuro. Affronta la gente, i sentimenti di pietà e di curiosità di chi incrocia la sua strada, affronta la disabilità dando alle cose il proprio nome e con il giusto stato emotivo. “Piano piano ho sbollito il trauma e ho ridato fiducia alla mia vita.”
Nella sua vita lo sport è stato fondamentale in quanto vettore di inclusione sociale, inoltre, grazie alla pratica sportiva ha riacquistato fiducia nelle sue capacità. “Ci tengo a sottolineare che lo sport mi ha tirato fuori dal problema.” Lo sport, prima di tutto il tennis, ma poi anche biliardo e poi, immancabile, la moto! Maurizio inizia così a colorare la sua vita e a colorare anche la vita di chi gli sta accanto: i suoi fratelli e le sue sorelle, ma soprattutto la sua compagna Stefania che gli è stata sempre vicino e con la quale, 8 anni dopo l'incidente, mette al mondo una splendida bambina di nome Martina. “Oggi non mi do limiti e credo che la vita debba essere goduta fino in fondo e per questo ho provato a fare tutto ciò che generava in me passione, dal continuare a gestire una pizzeria dopo l'incidente, al viaggiare, al mettermi in gioco nel tennis e da circa due anni nel biliardo in carrozzina. È stato il modo in cui mi sono preso cura di me.” Oggi Maurizio vive a Bergamo, gestisce la pizzeria e si dedica allo sport a livello agonistico tanto da aver partecipato alle gare Nazionali e Internazionali di biliardo “specialità pool” e biliardo “palla 9”, a Castel Volturno il 10 luglio 2021.
“Un tipo di competizione del tutto nuova per me dove oltre alla forza, metto in gioco le mie paure. Sono consapevole del fatto che, se fossi stato qui in paese, la mia situazione sarebbe stata molto più difficile, perché qui non ci sono opportunità per chi ha una disabilità.” Chi affronta la disabilità non è che ha un sacco di vuoti che devono essere colmati che aspettano che qualcuno gli dica quanto è “speciale nonostante tutto”, anzi si tratta di persone che nella maggior parte dei casi hanno chiara la loro situazione e avrebbero bisogno che, chi di dovere, facesse qualcosa per offrire strutture adeguate per il pieno recupero fisico, e psicologico di conseguenza.
Maurizio parla con il sorriso: lui che dopo un periodo buio di circa due anni si è rimesso in gioco e oggi è arrivato a un livello molto alto di autonomia; lui che oggi è capace di dare coraggio anche a chi si trova nelle difficoltà. Perché la disabilità è come uno scarabocchio in bianco e nero dipinto su una tela, e su quella tela sta alla persona metterci mano. I risultati sono alterni, come in tutte le cose. C'è chi fa il suo onesto dipinto, chi fa dei capolavori; l'importante è non fermarsi a fissare lo scarabocchio. Nulla di giudicabile, ma quello scarabocchio, se lo fissi e basta, rimane quello che è. E nessuna vita, così come nessuna tela, merita che rimanga impresso uno scarabocchio.
Giovanni Carta Antonio Carta Storie di emigrazione e di amore per la Sardegna
La vicenda che voglio raccontarvi è una storia di emigrazione, simile a tante altre di questa nostra bella Sardegna, ma è al tempo stesso la storia dei sogni di tanti giovani di ieri e di oggi che con una valigia in mano lasciano con dolore la casa che li ha visti nascere e che li vede partire forse senza vederli tornare più. È anche la storia umana, tenerissima e dolce di due cuori che si incontrano, entrambi lontani dalle proprie case, trovando nell'amore la forza di credere nel futuro unendo le loro speranze ed i loro sogni. E', alla fine , la storia della mia famiglia, la mia storia, che racconto per la prima volta, quasi a voler inviare a loro, che non sono più, in un simbolico abbraccio un pensiero di affetto infinito !
Nel 1948 ad Alghero mio babbo Antonio Carta, ritornato da poco dalla prigionia patita dopo la seconda guerra mondiale è alla ricerca infruttuosa di un lavoro stabile. Nato nel dicembre 1923 in una famiglia di ferrovieri, terzo di cinque figli, studia a Sassari dove frequenta le Scuole Medie. A diciassette anni, dopo l'inizio del secondo conflitto mondiale, si arruola volontario nell'Esercito dove viene incorporato nell'Artiglieria Corazzata , specialità Carristi. Inviato nella spedizione Italiana di oltremare prende parte alla campagna militare in Africa Occidentale, riesce a evitare per puro caso la grande tragedia di El Alamein. Nel corso della campagna di Sicilia viene fatto prigioniero dagli Inglesi ed internato in un campo di prigionia. Dopo la liberazione, ritornato in Sardegna, bussa a tante porte alla ricerca di un lavoro che non c'è, solo occupazioni precarie e mal retribuite per un giovane di 24 anni con tante speranze e in tasca un diploma di autista/meccanico motorista. La frustrazione, le fatiche inutili in una terra lo spingono a lasciare la sua Alghero, tra le lacrime della mamma, del babbo e della più piccola delle sorelle, di appena tredici anni. Ma ora, come usano fare i romanzieri affermati, cambiamo scenario: a Biella, una città del Piemonte che nel dopoguerra sta vivendo un periodo di intenso sviluppo economico, sono molti gli emigrati dalla Sardegna, (negli anni 50 e 60 saranno poi anche molte comunità ad emigrare verso il capoluogo laniero dai paesi del Veneto e dell'Italia meridionale). La fama di serietà e di laboriosità delle genti Sarde è una garanzia di assoluta fiducia per le famiglie storiche della città, si pensi ad esempio alla grande famiglia dei Sella, dei Mosca ed altre che proprio nell'Isola hanno impiantato fiorenti aziende agricole e vitivinicole. A Biella appunto lavora come domestica e custode della grande casa padronale un “zia” di nome Maria, seconda cugina del babbo di Antonio, sposata con un altro Antonio, Antonio Basso, giardiniere e fac-totum della casa, emigrato pure lui dalle Langhe, altra terra afflitta in quegli anni da una cronica carenza di lavoro ! Ed è a questa “zia” che, dopo lunghi contatti epistolari (allora non esistevano i cellulari ed il telefono era ancora un oggetto di lusso riservato a pochissimi !) Antonio si rivolge chiedendo aiuto, aiuto che quasi inaspettatamente arriva dopo breve tempo: un'importante famiglia biellese cerca una persona di fiducia, giovane, con patente da autista e buone capacità da meccanico. Si tratta della storica famiglia Trossi, il cui rappresentante più famoso è il conte Carlo Felice Trossi, con alle spalle un passato sportivo di altissimo livello, (Trossi insieme con Varzi e Vimille negli anni ‘30 e ‘40 hanno formato il più famoso trio di piloti della mitica Alfa Romeo, vincendo innumerevoli corse in Italia e all'estero!). Carlo Felice Trossi malauguratamente è però afflitto da una malattia per la quale soccomberà e che lo costringe a non poter fare a meno di un autista per gli spostamenti suoi e della sua nobile madre. Finalmente una vera occasione! Antonio accetta con entusiasmo e parte per la nuova avventura in terra biellese. Nel frattempo a Biella, in casa del fratello Antonio Basso e della cognata Maria, provenendo dalla cittadina di Bra nelle Langhe ha trovato ospitalità la sorella minore Maria, anche lei emigrata nella città laniera in cerca di lavoro. Maria trova impiego presso uno studio dentistico cittadino, con la mansione che oggi si definisce come “assistente alla poltrona”, un incarico umile e poco retribuito ma è in ogni modo qualcosa per iniziare. Un'esistenza tranquilla, divisa tra il lavoro e l'aiuto quotidiano nella famiglia del fratello dove crescono due nipotini, con una speranza in un futuro che sembra così lontano e perciò bellissimo. Ancora non sanno, Maria e Antonio, che il “destino” sta predisponendosi a mettere in scena qualcosa di particolare che cambierà le sorti di due persone e darà modo a chi oggi scrive di lasciare ai suoi eredi il ricordo perenne di un sentimento durato una vita. E infatti quel giorno Antonio si presenta a Biella all'indirizzo della “zia Maria”, che non conosce di persona, bussa alla loro porta e alla giovane donna che si presenta all'uscio chiede : “ Sei tu Maria Basso?” Lei risponde di sì. Lei è la vera Maria Basso; ma la cognata Maria, che Antonio cercava, era la Maria Basso che aveva preso il cognome del marito! Senza accorgersi dell'equivoco Antonio abbraccia e bacia con calore Maria, ma quando alle loro spalle compare la “zia Maria” dei precedenti contatti epistolari spiegando il malinteso, tra la confusione ed il rossore dei due giovani, la reciproca simpatia ha già acceso la scintilla che presto si trasformerà in quell'amore che solo la morte di mamma Maria interromperà. Dopo un breve fidanzamento Antonio e Maria nel 1950 si sposano a Biella e nello stesso anno nasce il figlio Giovanni che oggi con rinnovata commozione ricorda questa storia della sua famiglia. Per lunghi anni Antonio svolge il lavoro di meccanico e di autista di auto e di pullman, mentre Maria lavora a servizio di importanti famiglie biellesi. Antonio però ha sempre nel cuore la sua amata Sardegna che con grande rimpianto ha dovuto lasciare per cercare di realizzare i sogni della vita! In questi anni sono innumerevoli le volte in cui ritornerà ad Alghero con Maria ed il figlio piccolo al quale far conoscere la sua famiglia d'origine e la terra natia. Non è dunque per caso che l'amore e l'attaccamento alla Sardegna alle sue tradizioni ed alla sua gente si siano radicati con tanta forza nell'animo di chi scrive. A metà degli anni 60, dopo tanto girovagare per l'Italia, decide di fermarsi e cambia attività : infatti apre un bar-degustazione nel rione San Paolo a Biella. Sempre affezionato alle tradizioni isolane inizia a far arrivare per la sua clientela, sarda e non, i prodotti tipici dell'isola: vini, formaggi dolci, molti prodotti dell'artigianato sardo e l'immancabile “pane carasau”. Il bar di Antonio Carta diventa così ben presto il luogo dove amano ritrovarsi i Sardi che a Biella vivono e lavorano e dove hanno dato vita ad una colonia laboriosa ed unita nella cultura della tradizione e dei costumi di Sardegna. Nei primi anni settanta, il 28 maggio 1974, un male tremendo si porta via l'amata Maria, e questo duro colpo segnerà in maniera indelebile la vita del figlio tanto desiderato e di Antonio. Qualche anno dopo, verso la fine degli anni settanta, un gruppo di Sardi si riunisce proprio nel bar di sua proprietà per realizzare il desiderio, lungamente e fortemente voluto, di dare vita ad un'organizzazione che consenta loro di perpetuare e di diffondere in terra Biellese la cultura e le tradizioni dell'amata Sardegna. È questa la prima Sede di quello che diventerà poi l'attuale Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe”. Seppure tra le difficoltà dell'età avanzata e le sofferenze degli ultimi tempi Antonio ha sempre conservato in cuore l'amore profondo per la sua terra e le sue tradizioni, tradizioni che ha portato e diffuso anche nel Triverese dove ha dimorato negli anni più recenti. Antonio Carta, Socio Cofondatore del Circolo “Su Nuraghe “ di Biella, si è spento a Biella, dopo breve malattia, il 4 maggio del 2011.
Stefania Cuccu
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