La vita a volte è un'equazione
|
Corsero al fiume. Erano talmente presi da quella esperienza, che il loro correre si faceva sempre più frenetico e tra l'altro, come in ogni occasione del genere delimitava le gerarchie di gruppo, quanto meno quelle fisiche, che a quella età, sono le uniche che contano. Rocco era il primo; era sempre il primo, anche perché anagraficamente il più grande. Era in sostanza il leader. Deciso e preparato su ogni cosa, paragonandolo tra l'altro alla sua giovane età non sembrava un ragazzino; repentino e previdente su qualsiasi fare, tutti lo ascoltavano perché avevano fiducia in lui ed anche perché, come in tutti i branchi si necessita la figura di un capo, lui era quello più adatto. Fisicamente non era il più possente, ma sapeva amministrare e gestire la sua forza, con l'astuzia di un vero condottiero e non lasciava mai trapelare cenni di paura o ripensamenti. Era uno di quelli convinto che con l'intelligenza si poteva superare ogni ostacolo sia scavalcandolo che raggirandolo, l'importante era superarlo. Questo però non deve lasciare intendere che fosse strafottente o ipocrita, anzi era la persona più schietta e leale del quartiere e non amava nessun tipo di discriminazioni, ma quando c'era da giungere ad un obiettivo, soprattutto per gli altri avrebbe fatto di tutto, tranne che far male. Dotato, per la sua età, di un ottima dialettica e questo ne faceva sempre il primo interlocutore nei confronti di adulti o altri gruppi del quartiere, sentiva sempre la necessità di difendere i suoi amici, anche perché in quelle zone l'unica forma di comunicazione erano le zuffe. Ma pensate Rocco non aveva mai fatto a botte con nessuno, ma tutti lo temevano e se qualcuno provava a contrastarlo bastava un semplice sguardo per trasformarli in docili cani da guardia. Per lui non era importante comandare, ma domarli. Egli odiava ogni forma di violenza e non tollerava che i partecipanti al suo gruppo emergessero con la forza, ma voleva che tirassero fuori le loro migliori capacità umane. Tra l'altro era abbastanza carino e aveva talmente fascino, che sembrava un ometto in miniatura. Lui era davanti a tutti, oltre che per emergere, e perché sostanzialmente il più veloce, anche per dirigerli e guidarli liberi e consapevoli fino alle sponde del fiume. Avevano dovuto superare il guardiano della strada, messo li dall'amministrazione comunale proprio per evitare ai ragazzi di accedere liberamente al fiume, e lo avevano fatto grazie a Rocco. Per Rocco la testa é al di sopra del cuore Erano tutti e cinque rannicchiati dietro una fiat 850. Quell'automobile era stata lasciata li chissà da chi e chissà per che cosa, ma nessuno le dava peso, anche perché fungeva ora come arredamento periferico urbano, ora come navicella spaziale nei sogni di quei bambini. Rocco era accovacciato ed aveva la testa tra le ginocchia e cacciandola dalla sagoma dell'auto, spiava quell'uomo messo li forse proprio perché non sapeva fare niente. Andrea, appoggiava timidamente le mani sulle sue spalle e senza disturbarlo cercava di capire che cosa succedeva. Questa immagine e situazione, rispecchia in pieno il carattere di questo ragazzo. Dolce, ma impreparato sulla vita, educato, ma impacciato, nel senso di poco deciso, volenteroso, ma purtroppo madre natura non era stata molto clemente con lui. Era così carino che vestito da donna non sfigurava, ma se apriva bocca appunto, lasciava subito intendere che la sua presenza era pleonastica, soprattutto quando voleva eleggersi sostituto di Rocco. Non capiva che purtroppo ne era l'opposto. Rocco, però lo aveva sempre considerato il suo migliore amico, si era sempre posto ne suoi confronti come un fratello maggiore, avendo influito tra l'altro anche il modo di conoscerlo. Erano pochi giorni che Rocco abitava in quel quartiere e all'uscita di scuola si avviava triste e sconsolato verso la nuova casa di periferia. Le strade non erano ancora state asfaltate, anzi erano talmente insabbiate che quella lieve tramontana che veniva giù dalle montagne, creava l'illusione di un grosso incendio. Mentre procedeva a passo deciso giocando a scovare sassi tra quella povera polvere, vide tra le fondamenta di un palazzo in costruzione un bambino che cercava di divincolarsi da altri tre, di cui due picchiavano ed il terzo guardava. Non facendosi catturare da nessun istinto, si avvicinò senza cambiare ritmo nel passo e continuando a contare i sassi. Giunto all'altezza dei tre si fermò, ma continuò a tenere lo sguardo basso. Quello che guardava " lo spettacolo" lo vide e tra indignazione e paura gli disse: <> Rocco continuò a tenere lo sguardo basso e dopo qualche secondo di silenzio bisbigliò una frase
Ma l'odio nasce con l'uomo, o fiorisce successivamente? Ma è un sentimento che fiorisce, o ne è uno che appassisce?
I due, che precedentemente picchiavano Andrea, ed ora si limitavano solo a tenerlo, cominciarono a ridere come quelle persone stupide che non capiscono e ridono al cospetto di trovate intelligenti e guardavano il loro capo, che nel frattempo non si appoggiava più al pilastro di cemento, ma era balzato dritto. Fu in quel momento che Rocco capì che chi gli stava di fronte aveva timore e fu in quel momento che lo colpì in modo repentino con il suo sguardo. In certe situazioni, fa più male uno sguardo improvviso che un pugno deciso. Colpito da quella mossa inaspettata disse: << Ehi mezza cartuccia, non crederai di mettermi paura? Lo sai che di quelli come te me ne occupo io personalmente, ma ritieniti fortunato perché si è già fatta ora di pranzo ed abbiamo ammazzato tutto il nostro tempo a disposizione. Stai attento però che la prossima volta finisci tu ammazzato >> e voltandosi richiamò i suoi compari che nel seguirlo facevano ampi cenni volgari nei confronti di Rocco. Intanto Andrea stentava ad alzarsi, non per le botte che aveva preso, ma per la paura che provava ancora e segnato forse anche lui da quello sguardo profondo. Rocco gli pose la mano e da quel giorno non fu amicizia, ma vera fratellanza con la condivisione di tutto ciò che faceva parte della loro vita. Era appunto cosi Andrea, in totale dipendenza da Rocco e ogni qual volta provava a staccarsi erano momenti di crisi anche se ci metteva tutto il cuore. Per Andrea il cuore viene prima della testa. Il poco spazio che era rimasto dietro la fiat 850, se lo contendevano Enzo e Fabio due persone che vivevano nel medesimo mondo. Con gli altri erano sempre d'accordo su tutto, tra loro litigavano per niente; davano l'impressione di essere un corpo e un'anima che però si sfuggivano sempre o meglio ognuno voleva prevalere su l'altro. Enzo era gracile, minuto e teneramente piccolo, ma aveva una sfacciataggine da scugnizzo napoletano e una testardaggine calabrese. Odiava essere ripreso o comandato e ascoltava solo Rocco perché era l'unico capace di far sentire importante quel mezzo riccio arrogante e perché così voleva sua madre, la donna più bella del quartiere. Spesso era questo il motivo che faceva venire fuori il carattere di Enzo, come quella mattina che lo avevano circondato e tutti i partecipanti allo scherzo, ripetevano pesanti frasi di apprezzamento su sua madre. Lui si dimenava come una lucertola e menava calci ad ogni partecipante e lo avrebbe fatto sino alle strenue delle forze se non fosse intervenuto Rocco, che con un braccio lo sollevò e con l'altro disperse il "cerchio giocherellone" << Allora che sono tutte queste mosse >> lo richiamò. E lui, con la rabbia e le lacrime agli occhi disse: <> Allora Rocco gli rispose:<< Guarda che fanno così perché sono invidiosi. Conosco tua madre oltre a essere bella e anche intelligente e ti assicuro che se dovesse sapere una cosa del genere le verrebbe da ridere. E questo devi fare anche tu, anche perché non mi pare che i nostri amici dicano una bugia >> accompagnando quest'ultima affermazione con una risata. Enzo rise con lui. Fabio era una sorta d'incrocio tra un bambino e un prete missionario. Non voleva darla vinta a nessuno, ma se si rendeva conto che qualcuno aveva bisogno d'aiuto, anche se in contrasto, era disposto a dargli il cuore. Fisicamente era dotato come Rocco ed Andrea, ma aveva delle movenze talmente infantili da far passare il suo corpo come un oggetto ingombrante. Un ragazzo che definire orgoglioso era come dire che il leone non avesse la criniera, ma la cosa bella è che a quel leone non serviva chissà quanta carne o quale addomesticatore, ma bastava un sorriso e qualche parola ragionevole, che diveniva l'opposto. Come quel giorno in cui giunsero nel loro quartiere dei piccoli ragazzi R.O.M. e i soggetti più emarginati, così solevano i ragazzi chiamare quella gente che non aveva altro interesse se non quello di vedere soffrire il prossimo, legarono i loro piccoli piedini nudi con le zampe di alcuni cani randagi passati di li per sbaglio. I ragazzi, senza intervenire, se ne stavano ad una trentina di metri e ridevano di quella situazione, anche perché era piacevole rispetto all'ultima, che aveva proposto cani incendiati con benzina e teste incappucciate di donne usate come bersaglio per sputi. Fabio era quello che se la rideva più di tutti, e logicamente questo infastidiva maggiormente Enzo, ma quando un cane trascinò in quella scarpata artificiale, creata per dare spazio a qualche fondamenta di qualche palazzo, il primo a catapultarsi nell'aiuto di quel bimbo, loro coetaneo, fu proprio Fabio, che nell'impeto stava addirittura calpestando Enzo. E d'accordo che poi tutto il gruppo lo seguì e qualcuno lo anticipò, ma lui aveva dato il là. << Ehi voi due la smettete di litigare,.. >> annui Rocco << ..o volete sbalzarmi fuori dalla sagoma dell'auto e farmi notare dal custode? Perché non fate come Tino?>> Tino si era fermato un metro dietro l'auto, seduto e con i piedi buttati in avanti e ciondolanti. Possente, muscolarmente già formato, tanto da farlo apparire già un uomo, aveva in pratica un fisico statuario ed a volte anche l'espressione. Se ne stava li per diverso tempo a contemplare il vuoto e a sognare chissà su chi e su che cosa ed era evidente che per lui l'uomo era al centro del mondo, padrone del suo destino, millantatore di quello degli altri, ma inesorabilmente solo. Lo chiamavano Tino, perché era pigro, in realtà il suo nome era Tonino, ma già quand'era piccolo e cominciò a parlare e a dire il suo nome, qualcuno vociferava intorno ai tre anni, lo pronunciò in quel modo. Come quando si presentò al gruppo; << Come hai detto che ti chiami ? >> sentenziò con un mezzo sorriso Fabio, quasi a schernire. << Tino >> rispondendo con lo stesso mezzo sorriso. Ed Andrea con quella dolce invadenza infantile: << E che significa, non ho mai sentito questo ....coso, questo.....nome. >> << Ciao Tino, io mi chiamo Enzo, non farci caso, soprattutto a lui >> indicando con il pollice Fabio << E' che non riescono ad andare oltre il palmo del loro naso e tutto ciò che è nuovo, per loro è strano e basta. >> << Ehi mezza cartuccia, che ti viene per la testa? La mamma non ti ha dato il latte stamattina? >> risuonò, risentito Fabio. A quel punto Enzo gli si scaraventò contro e come al solito stavano per darsele, ma intervenne Tino che disse: << Se devo essere il motivo del vostro litigio vado via, non mi piace la violenza, figuriamoci se ne sono la causa. >> A quel punto intervenne Rocco: << Giusto. Sia positivamente,... >> e guardò negli occhi Enzo << ...sia negativamente,.. >> e guardò negli occhi Fabio ed Andrea << ...avete creato un approccio a seconda le vostre caratteristiche, le vostre necessità e nessuno ha pensato ad accettare Tino per quello che è, senza aggiungere polemiche, sciocchezze o spunti per litigare >>. Gli si avvicinò, strinse le sue mani all'altezza delle spalle e dei gomiti, elargendo una chiara espressione di complimenti, lo tirò verso il suo petto, lo abbracciò e disse: << Benvenuto tra di noi. Sarai un fratello, ma devi anche tu accettarci per quello che siamo >> Tino rimase qualche secondo immobile, il tempo di inumidire gli occhi perché mai nessuno lo aveva abbracciato in quel modo e poi rispose: << Sono con voi >>. << E cosa è, la scena di un Vangelo >>esclamò Fabio, con l'accortezza di non farsi sentire da Rocco, ma lo avevano sentito Enzo ed Andrea che contemporaneamente gli diedero un cazzotto in testa. E stavolta non potette reagire. Il guardiano era seduto fuori dalla sua casetta ristoratrice, su una sedia dall'anima di ferro ed il resto in plastica morbida. A dire il vero sembrava che fosse la pancia a stare sdraiata sulla sedia con le altre parti del corpo ad adattarsi a trovare un po' di stasi, ora ciondolando come le mani e la testa, ora allungandosi come le gambe. Una figura abbastanza edipica, ma con la consapevolezza di stare in quel posto per non far passare nessuno. Rocco questo lo aveva capito << Allora ragazzi restate nascosti qui dietro e al mio segnale cominciate a correre, e fermatevi solo quando sarete arrivati al grande dosso alla fine della strada. Ok? >> All unisono risposero:<< Ok >>. Con aria molto indifferente giunse alla sedia del custode e con un paio di colpi di tosse cercò di farsi notare; egli, senza neanche aprire gli occhi e senza muoversi nemmeno di un millimetro, anche perché con quella pancia gli sarebbe costata molta fatica, disse: << Va via ragazzo di qui non si passa, è vietato >> << Sbaglio o siamo in un paese libero dove gli unici divieti rimasti sono quello sul fumo e per l'attraversamento binari >> rispose con delicatezza Rocco. << Può darsi >> disse piano << ma di qui non si passa >>. Lui scosse il braccio destro accompagnandolo con lo scoccare delle dita << Ho capito lei è il proprietario di questa strada! >> e con repentino modo frenetico << Che soddisfazione conoscere il padrone di una strada, uno che può decidere chi va e chi viene e scommetto che questo è un crocevia per diverse persone,.....>>. Il vecchio raddrizzò leggermente la testa , accigliò la sua espressione, e continuò ad ascoltare quel bambino <<......magari lei è una persona importante , come i quattro punti cardinali con un fattore medio esponenziale alto e con un massimo comune divisore soddisfacente, nel senso che riesce a socializzare con tutti >> Si tirò in avanti, molto compiaciuto, unì le mani e disse: << Hai ragione figliolo, tu si che sei un ragazzo che capisce tutto e subito, ma.....>> << Perspicace, signore, come lei. E le assicuro che non la sto lusingando per poter passare, ma sto solo costatando la verità >> ribatté Rocco, non volendogli concedere molto spazio per parlare. Ormai fiducioso, l'uomo disse: << Figliolo, se mi prometti che in una mezzora sei di ritorno ti faccio dare un'occhiata al fiume >> << Un'occhiata al fiume! Dice davvero signore? Oh mio Dio come sono emozionato, mi tremano le gambe, la prego mi faccia sedere un secondo >> la recitazione di Rocco fu da Oscar. Il vecchio ebbe paura << Ehi, ma sei diventato pallido, siediti vado a prenderti un bicchiere d'acqua >> ed entrò nella casetta ristoratrice. Fu in quel momento che l'opera di Rocco era compiuta e fece partire il segnale. Andrea, davanti a tutti, sembrava un airone che volava libero e senza nessun condizionamento da parte di nessun vento; Enzo e Fabio correvano spalla a spalla e nessuno cedeva un centimetro all'altro e si battevano, ma in modo molto corretto come al solito; per ultimo si notava la grossa sagoma di Tino, lento e impacciato come un grosso gallo che tenta di volare, ma ha come risultato un pugno di polvere. E ne alzarono tanta di polvere soprattutto quando furono all'altezza di Rocco, vale a dire quando imboccarono la strada, accentuando il loro passaggio con cenni di approvazione. Andrea fece l'occhiolino; Fabio ed Enzo il segno dell'ok: uno con il pollice verso l'alto e l'altro con la chiusura di un cerchio tra pollice ed indice; Tino impegnato a correre fece un sorriso compiaciuto che durò solo il tempo del passaggio perché si rituffò nell'impegno della corsa. Quando il vecchio uscì, i ragazzi erano tutti al sicuro dietro il dosso e Rocco si fece trovare con le mani che sfregavano gli occhi e con tono irriverente: << Maledetto vento, arriva sempre quando meno te lo aspetti >>. Il custode notò che per la strada c'era un nuvolo di polvere, ed assunse un'espressione ed un tono paterno: << Purtroppo a lui non posso impedire di passare, lui arriva dove vuole e non ha rispetto di niente e di nessuno. Ma ora bevi, asciugati gli occhi e poi fatti un giro sulle rive del fiume, vedrai sarà divertente notare le rane che si tuffano al tuo passaggio. >> Rocco si sentì piacevolmente spossato, chiuse gli occhi verso il sole e si rallegrò di sentire la luce splendergli rossa e calda attraverso le palpebre. Quindi si voltò soddisfatto e compiaciuto verso il dosso ed allungo le sue mani, alternativamente prima la sinistra e poi la destra e fece leva su quei braccioli arrugginiti per alzarsi. Trovava bello starsene lì seduto un po' languidamente nella tranquillità di quell'uomo e l'oziosità di quella situazione e nel guardarlo negli occhi pensò a lui con insolita tenerezza e di come l'aveva raggirato. All'improvviso però risuonarono in lui i versi di una canzone
Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo, di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo
<< Va bene, sarò di ritorno tra meno di un ora e le racconterò di queste rane saltatrici >>. E si avviò verso il fiume. Giunto dai suoi amici le moine che gli fecero erano paragonabili a quelle dei bambini di un orfanotrofio, quando vedono un loro benefattore. Era questo l'essenza della vita per Rocco, inebriarsi dell'affetto e del bene per il prossimo, montare nella sua testa sequenze d'immagine di persone felici, cercando d'essere il regista di storie a lieto fine. Corsero al fiume. Sembrava come se si stessero liberando da qualche oppressione, da qualche male oscuro che oberava mente e cuore, e che solo in quelle occasioni, massime espressioni della libertà perché molto vicine all'eccesso, li lasciava. Giunti sotto il ponte ferroviario, luogo dove si radunavano, ognuno si dedicò al suo svago: Fabio ed Enzo facevano a gara a chi riusciva a camminare sotto l'arcata del ponte, alla base della quale vi era un grosso lastrone di cemento, che battuto sempre dal passaggio dell'acqua, era ricoperto di muschi e licheni. Ed appunto per questo non era impresa facile, anche se ogni due passi spuntavano dei ganci di ferro, come se quel lastrone fosse un solaio a testa in giù, con i quali i ragazzi si aiutavano e concludevano la prova. Tino, seduto su una grossa roccia all'estremità del lastrone, aveva i due amici di fronte ed era molto divertito e quando rideva, accompagnandosi con un battito di mani e lo scuotere della testa, sembrava che in quel posto ci fosse l'adunata di una festa con musiche e canti; Andrea, qualche metro più avanti, cercava di far rimbalzare quanto più era possibile delle pietre nel fiume, anche se il più delle volte erano dei tonfi al primo impatto; Rocco li osservava; ma osservava anche il resto, cosi come in un quadro oltre al contenuto bisogna capire il concetto che vi è incastonato, l'essenzialità che il pittore in quel momento vuole catturare. La natura era un misto di pulizia e freschezza; l'erba era alta e dove era rimasta bassa, piccoli fiori disseminati a ciuffi sparsi davano un ulteriore tocco di ilarità; il cielo era di un celeste uniforme e il sole, in quel caldo pomeriggio di fine primavera, sembrava non voler tramontare, che volesse rimanere anche lui a divertirsi e a giocare. L'odore del grasso delle rotaie che sovrastavano quel ponte, in mattoni rossi, si confondeva con l'odore ferroso dell'acqua del fiume e quell'atmosfera paradisiaca poteva essere spezzata solo dal passaggio improvviso e violento, ma piacevole del treno.
Non vorrei essere un sognatore, perché l'eterno naufragare tra i pensieri potrebbe provocarmi dolore per rimpianti, di ciò che non è stato ieri. Qui è volata la rondine portando con se la primavera, via pioggia, neve e grandine inebriando di torpore l'atmosfera. Non vorrei essere un sognatore finché avrò nella testa la ragione, vorrei imparare a contare le ore e non avere nel mio essere nessuna divagazione.
Cristian Liberti
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|