Maurizio Cattelan: l'arte della provocazione
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In uno scenario fantastico e contraddittorio, minimale quanto barocco, governato da leggi ridicole, l'inconsueta aula di un presunto tribunale diventa la sede di uno sconclusionato processo. Lo squinternato imputato è proprio Cattelan che, strappato via al suo privato e immaginato mondo sintetico, si trasforma nel curioso e indolente protagonista di un'udienza dal sapore fiabesco. Tra scambi di battute all'ultimo sangue e bislacchi personaggi che si aggirano, erranti nell'aula e che prendono illogicamente parte al processo, mutandosi in importanti testimoni, le sorti dell'insano accusato vengono continuamente minacciate. L'antefatto, quindi, ha luogo proprio in quel maniero dove ognuno dei vari convitati, lì capitati per magia o per errore, racconta qualcosa dell'altro. Per comunicare tra loro, questi usano le Carte disponendole su un tavolo, sia ognuno le proprie, sia utilizzando quelle degli altri: in questo modo le storie s'incrociano e si combinano in un gioco che coinvolge tutti. Successivamente, i personaggi si spostano in una zona perduta della fortezza, mai vista prima di allora, sconosciuta: il tribunale. Ed è qui che si consumano buffi dibattiti e surreali capricci verbali che porteranno all'assoluzione o alla condanna del pericoloso criminale. Dalla provocazione apparentemente fine a se stessa fino al concetto di fallimento, elemento fondante del lavoro di Cattelan, passandoattraverso l'idea di identità di uomo e artista per giungere al principio di energia ghiacciata: ogni capitolo affronta uno dei tanti temi relativi alla sua poetica. Il lavoro può essere dunque suddiviso in tanti argomenti quanti sono i capitoli. Nel primo capitolo, una piccola storia della provocazione nell'arte a partire dal Seicento (periodo in cui la questione comincia a essere più interessante) offre le coordinate concettuali per affrontare il discorso e funge da cappello introduttivo alla vicenda fantastica. Nel secondo, poi, sono elencati i motivi per cui Cattelan è definito irritante, indisponente e impunito. È importante notare come già da questo momento, nelle parole dell'avvocato difensore, è fornita, una seconda chiave di lettura delle sue opere che, comunque, non esaurisce le possibilità di interpretazione. Nel terzo capitolo, si prendono in esame due importanti concetti, l'impossibilità di scelta e il senso di inadeguatezza, entrambi alla base del fallimento, perno intorno al quale si articola buona parte dei suoi lavori. Nel quarto, considerando quelli che appaiono i pezzi più propriamente autobiografici, si tenta di approfondire l'ambiguo quanto seducente rapporto che intercorre tra l'uomo e l'artista, nello specifico tra Maurizio e Cattelan: in corsa verso una possibile coincidenza o in fuga contro perdute distanze. Nel quinto capitolo, l'inaspettata entrata in scena dei testimoni descrive il momento in cui l'arte giudica l'arte, riflettendo su un altro importante snodo del pensiero di Cattelan: l'energia ghiacciata, ovvero l'impossibilità. Infine, nell'ultimo capitolo, si tenta di tirare le somme del caso per stabilire se l'imputato è colpevole o innocente. Non c'è alcun interesse nei confronti della cronologia per cui è possibile trovare nella stessa pagina un pezzo del 1991 ed uno del 2004. La cronologia, infatti, non è stata la linea guida della mia ricerca, avendo come presupposto il fatto che non sia possibile leggere in Cattelan tanto un'evoluzione legata al tempo, quanto una espansione legata allo spazio. Questo mi è anche servito per concedermi la libertà di volare di discorso in discorso, senza dover ogni volta fornire spiegazioni di sorta. Concede tutto ed è più divertente."
Il Castello Dei Destini Incrociati Nel castello, “... c'era un tipo leggero come un fantino o un folletto, che ogni tanto saltava su in guizzi e in trilli, come se il mutismo suo” e degli altri “...fosse per lui un'occasione di divertimento senza pariii”. La sala era quasi completamente vuota. C'era soltanto ciò che serviva per quell'incontro: un tavolo tondo, carte e sonagli. Il tipo leggero, divertito dalle facce spaesate degli ospiti, buttò un occhio incuriosito sul suo scrittoio e girò la prima carta: Caravaggio. Poi disse: - I suoi malevoli biografi e gli storici del tempo, debbono accorgersi che il ragazzo ha il diavolo in corpo. Il soggetto? Tutto è un soggetto. La “historia”? Non ne ha bisogno. Le leggi accademiche della composizione? Inutili. Si può strutturare una composizione complessa anche solo con un movimento di braccia, un'inclinazione della testa, un volteggio di pieghe, accennando ad una moltitudine di uomini ... che la natura l'aveva a sufficienza provveduto di maestri. Il primo testimone parlò... ... Caravaggio : il sovversivo Nella trattazione di temi sacri, l'artista rinuncia alla consumata concezione secondo la quale la nobiltà sociale corrisponda alla nobiltà interiore. In questo modo, si apre una piccola porta sulla redenzione personale, dichiarando, in un'amara confessione, affidata ad un'impalpabile provocazione, di essere consapevole della propria condizione umana e individuale, per riservarsi un posto in Paradiso. Le ambientazioni fosche e suggestive e le descrizioni brutalmente realistiche non sono altro che gli stati profondi dell'anima, cui si giunge passando per la scala del subconscio collettivo. È possibile scorgerla lì, la profonda e sofferta umanità, accucciata al buio, quasi timorosa di farsi trovare. Sporca e dimessa, con gli occhi sgranati, stringe le ginocchia al petto, mimetizzandosi nella polvere, rischiarata improvvisamente dalla luce giallastra che squarcia la penombra e ne mette impietosamente in risalto povertà e squallore. La provocazione, quindi, sorge da un realismo spesso ritenuto blasfemo, evidente nella definizione dei caratteri dei personaggi e nei loro particolari, tipici della vita del Seicento, ritratti in maniera verosimilmente miracolosa. Rompere drasticamente con le composizioni tradizionali finora adottate nelle rappresentazioni sacre fa assomigliare il dipinto più a una scena di genere che ad un evento religioso e profondo. Da vero precursore di quell'atteggiamento indisponente così diffusamente esibito nell'arte moderna, Caravaggio vuole porre sotto ai nostri occhi il fatto che l'incontro con la divinità possa avvenire anche nei luoghi apparentemente più inaspettati e indegni. Di conseguenza, la vera grazia può essere proprio nei cuori di coloro che, superficialmente, ne sembrerebbero meritevoli.
Cosa non poco sconcertante e di difficile accettazione ancora oggi. La provocazione, dunque, procede sul binario della forma, abolendo qualsiasi regola classica di composizione, di colore, di impostazione insomma, e anche del contenuto, trasformando in protagonisti di opere a carattere religioso personaggi presi in prestito dalle bettole e dalla strada, che indossano, come in un set cinematografico, i panni di personalità storiche o legate al sacro. È questo il caso delle Madonne dipinte dall'artista. Come al solito, il pittore assegna alle scene quel carattere domestico che era solito conferire alle sue opere. La Madonna è una donna del popolo, spesso alle prese con un figlioletto troppo vivace (e sapendo che si tratta di Gesù, ne rimaniamo spiazzati, poiché siamo soliti figurarcelo nei panni di un bambibo “snaturato” calmo, solenne, privo di quella vitalità appartenente a un comune bimbetto). Nell'atto di afferrare il suo piccino, la donna mette in mostra molta parte della sua procace femminilità, accostandosi per l'irriverenza e la disinvoltura con cui si offre allo spettatore, più a una prostituta che alla madre del dio in terra. Non si tratta di blasfemia o ignoranza: il fatto è che quella posa languida, quella naturalezza delle carni ben si addicono a una donna che si sarebbe potuta incontrare per la strada, vera e onesta nella sua miseria. Capiamo quanta difficoltà doveva esserci nell'accettare di raccogliersi in preghiera di fronte a una figura così poco vincolata al concetto di spiritualità. E, nonostante tutto, fu fatto e tutt'oggi si fa. Le committenze, insoddisfatte dagli accenti troppo laici dei dipinti, costrinsero il pittore, più volte, a sistemare quei simboli, comunque sempre poco accennati, che contraddistinguono le divinità.
Nina Camelia
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