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Autore: Daniele Rota
Il destino di una razza
Epic Fantasy
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Il destino di una razza
Asterthon, una terra lontana. Protetta da impenetrabili montagne a Nord, da un deserto a Ovest e affacciata sul mare a Sud ed a Est.
Nessuno è mai riuscito a uscire da Asterthon, e chiunque ci abbia provato non ha mai fatto ritorno.
Questa terra, un tempo condivisa da uomini, nani, elfi ed orchi, nei secoli è stato teatro delle grandi guerre di razza, che hanno lasciato il posto ad una sola di queste, che ora popola e domina l'intera terra: gli uomini.
Gli elfi, l'unica razza ad essere scampata allo sterminio, sono diventati criminali, facendo agguati alle carovane, depredando e uccidendo chiunque: uomini, donne e bambini. Tutti li temono perché forti, veloci e... immortali.
Diverse sono state le spedizioni dell'esercito degli uomini per trovare e porre fine alle scorribande degli elfi, ma queste non hanno mai avuto successo. Nessuno sa dove si nascondono e, a causa loro, la popolazione vive nel terrore.

Questa è Asterthon e questa è la storia di Simon che, con la sua compagnia eterogenea, si narra, abbia avuto un ruolo fondamentale nel destino di una razza.

Nessuna pista
Era un tardo pomeriggio di metà Giugno. A breve la luce calda e arancione avrebbe lasciato il posto ad una leggera brezza e alle ombre della sera, ma a Jane non importava. Cosa poteva mai accaderle?
Tutti i giorni, da qualche anno, faceva quella strada: l'unica che portava alla casa dell'anziana zia, ormai troppo vecchia per cavarsela da sola ma ancora troppo testarda per andare a vivere con lei e sua madre. Così, quando arrivò e consegnò la cena, il sole aveva già lasciato il posto ad una timida luna che non permetteva di vedere a un palmo dal naso.
La zia le aveva fatto promettere di correre fino a casa senza mai fermarsi né guardarsi attorno. Jane, sbuffando, aveva promesso. Che altro poteva fare?
Erano tutti preoccupati da quello che stava succedendo. Lei però non credeva alle voci che giravano, né aveva paura di quei boschi che conosceva così bene sin da quando era bambina. Quella sera, tuttavia, il buio era davvero pesto e così decise di mantenere fede alla promessa fatta. Si alzò il mantello fin sopra le orecchie, nascondendo gli orecchini verdi che sua madre le aveva regalato l'anno prima, inspirò profondamente e iniziò a correre.
Corse a perdifiato lungo la strada che attraversava i campi di granoturco. Scavallò una dopo l'altra le collinette e solo quando intravide le luci di Dunton, il suo villaggio, rallentò per riprendere fiato. Fu in quel preciso istante che sentì un fruscio dietro di lei e lentamente si voltò. In quel momento le parole della zia le vennero in mente: “Non fermarti e non guardarti attorno per nessun motivo!”.
La sensazione di aver commesso un errore si impadronì di lei e, senza pensarci, si voltò di nuovo in avanti per riprendere a correre. Un brivido freddo le percorse la schiena, bloccandola. Un attimo dopo un'ombra si mise fra lei e le luci di Dunton e tutto divenne nero.

*

- Ma insomma Alan, vogliamo fare qualcosa? - , disse Simon sbattendo con forza entrambe le mani sul tavolo.
- Simon, stai calmo. Te l'ho già detto, non abbiamo prove. Nessuna pista. Niente! - , gli rispose Alan.
- Ah, non posso crederci. Tutte quelle ragazze sparite e noi ce ne stiamo qui a rigirarci in mano uno stupido foglio con i loro nomi, senza fare nulla - , disse più a sé stesso che al suo mentore. Poi si rivolse ad Alan quasi supplicandolo - Avanti Alan, le ragazze non ritorneranno da sole, dobbiamo fare qualcosa - .
- E che cosa vorresti fare? Sentiamo - , disse l'uomo mettendosi comodo sulla sedia e guardandolo curioso, mentre si accarezzava la barba ispida.
- Tanto per cominciare potremmo uscire, vedere i posti in cui sono state e cercare degli indizi. Chiunque sia stato dovrà aver lasciato qualcosa, che so, delle impronte magari - .
- Simon, sai benissimo che la fuori è pieno di impronte. Le persone lavorano nei campi tutto il giorno, non troveremo mai nulla - .
- Come puoi esserne certo? Finché ce ne restiamo chiusi in casa certo che non troveremo nulla! Io dico che dovremmo andare e provarci. Possiamo partire da Jane. Lei è l'ultima ad essere scomparsa, no? Sua madre ha detto che quella sera era andata dalla zia a portarle la cena, la vecchia Miriam che vive vicino al bosco oltre i campi di granoturco. Sono passate solo poche settimane, e non ha mai piovuto. Sono certo che qualcosa troveremo - .
- In quei campi ci siamo già stati e non abbiamo trovato niente. Sembra che le orme si siano dissolte nel nulla. No Simon, ci servono degli indizi più concreti, qualcosa da cui partire. Al momento non abbiamo niente - , disse Alan mentre tornava a guardare il foglio con i nomi davanti a sé.
- Va bene. Ma non è restando qui seduti che li troveremo. Secondo me la pista di Jan... - .
- Anche se uscissimo - , lo interruppe Alan. - Ormai, è passato troppo tempo, e fino ad ora non è saltato fuori niente. L'unica cosa che sappiamo è che tutte le ragazze hanno tra gli undici e i tredici anni, e non so proprio come questa possa esserci d'aiuto - .
Simon lo guardò esasperato - Ah, non posso crederci. Sto impazzendo. Mi sento così impotente! - , disse sedendosi sulla sedia dall'altra parte del tavolo e prendendosi la testa fra le mani, mentre i folti riccioli biondi gli ricadevano fra le dita.
- Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo! - , mormorò a sé stesso.
- Già - , sospirò Alan. - Temo che questa volta noi due non basteremo - .
La testa di Simon si alzò di scatto dalle sue mani. - Come hai detto? Ma certo. Perché non ci abbiamo pensato prima?! - .
- Cosa vuoi dire, ragazzo? - , chiese Alan accigliato.
Simon aveva gli occhi sbarrati, come fossero spiritati.
- Alan, perché non andiamo a denunciare questi fatti alla guarnigione di Arsit? Potrebbero mandare delle guardie ad aiutarci! - . Ma l'entusiasmo e la sicurezza svanirono non appena Alan si mise a ridere.
- Be'? Perché ridi? - .
- Cosa credi, ragazzo? Che ad Arsit interessi quello che accade qui fra i monti? No, credimi. Io sono stato nell'esercito, a loro non importa un cavolo marcio di noi - .
- Ma è il loro dovere. Perché non dovrebbero aiutarci? - .
- Perché a loro interessa solo la guerra, combattere e avere i vantaggi che i soldati hanno nelle taverne e nei bordelli - . Fece una pausa e poi aggiunse
- L'esercito non è un posto così bello e pieno di onore come si pensa, non interesserà a nessuno ritrovare qualche ragazzina sparita da Dunton - .
Simon vide lo sguardo del suo mentore che era perso in un punto indefinito del tavolo. Allora fece un profondo respiro, si calmò e con voce pacata disse - Alan, quali alternative abbiamo? Se non possiamo cercare ancora, come faremo a riportare a casa tutte quelle ragazze? Ci serve un aiuto - .
Ci fu silenzio per alcuni minuti, e Simon stette attento ad ogni espressione del suo mentore. Da quando lavorava con lui aveva imparato a decifrare i suoi pensieri dalle espressioni del suo volto e, a volte, era riuscito ad anticiparli con grande soddisfazione.
Infine un suono profondo arrivò dalla gola di Alan e gli occhi di Simon si fecero piccoli per captare ogni possibile sfumatura.
- Sono convinto che non riceveremo il minimo aiuto, ma se questo è l'unico modo per farti capire che siamo soli, be', allora andremo ad Arsit - .
Per la prima volta, dopo mesi, Simon si sentì con il cuore più leggero. Finalmente avrebbero fatto qualcosa, avrebbero trovato aiuto e, in un modo o nell'altro, avrebbero ritrovato le ragazze.

Il capo della guarnigione
Arsit era la città più vicina a Dunton, posta esattamente tra la fine della loro valle e il grande lago. Grazie alla sua posizione era un importante punto di passaggio delle rotte commerciali tra la capitale e le cinque valli.
Per venire incontro a queste esigenze la città aveva una grande piazza centrale dove, ogni giorno, i mercanti montavano la loro bancarella per esporre la merce. In quella piazza il vociare era tale che lo si poteva sentire fin fuori città. Tutt'attorno alla piazza, invece, unite da reticoli di vie poco frequentate e maleodoranti, si ergevano le case degli abitanti.
Una volta arrivati in città, Simon e il suo mentore non perdettero tempo e si districarono fra le varie stradine per raggiungere il palazzo dove risiedeva l'amministratore e il capo delle guardie.
Il palazzo, che era vicino alla piazza del mercato, era di poco più grande e alto delle altre costruzioni ed era interamente del colore tipico dei palazzi di tutta Asterthon: bianco. Il portone di accesso era sorvegliato da due guardie che sbadigliavano in continuazione e non prestavano attenzione a chi entrava o usciva. Cosi, Simon e Alan, varcarono la soglia senza alcun problema.
Una volta dentro si ritrovarono in un lungo corridoio, il cui marmo scuro e l'evidente sporcizia erano in netto contrasto con il candore e la maestosità della facciata del palazzo.
- Questo posto sembra più un porcile che un palazzo amministrativo - . Non appena finì quella frase, Simon sentì una forte stretta al bracciò che lo fece sussultare. Si girò e vide la mano di Alan. Sibilando, il suo mentore disse - Bada a come parli, ragazzo. Il capo delle guardie ha diritto di decidere della tua vita. Fossi in te terrei a freno la lingua - .
Simon si morse il labbro per trattenersi da altri stupidi commenti e cercò di concentrarsi su ciò che aveva davanti.
Su ogni lato del corridoio c'erano porte chiuse, nessuna finestra e la poca luce proveniva da alcune torce appese alle pareti.
- Qui non c'è nessuno, Alan. Cosa facciamo? - disse, voltandosi verso il suo mentore. Non dovette attendere la risposta che una voce tonante arrivò da una porta poco più avanti.
- Non è possibile! Vi siete fatti scappare di nuovo quei maledetti. É la terza volta questo mese. Secondo voi cosa dovrei raccontare a Zeronia, eh? Se ve li fate scappare di nuovo giuro che appenderò voi al posto loro! - .
Subito dopo due giovani guardie uscirono di corsa, talmente impaurite che, passandogli davanti, non si accorsero neppure della loro presenza. Alan lo guardò con un sorriso sarcastico
- Ecco dove dobbiamo andare - , disse con aria soddisfatta e avviandosi verso quella porta.
Non indugiarono e bussarono. Senza aspettare risposta, Alan si affacciò.
- Sono il guardiano di Dunton, sto cercando il capo della guarnigione - .
Un uomo sulla cinquantina con indosso una divisa che a stento tratteneva l'addome prorompente era dietro a una scrivania e si girò verso di loro - Be', l'hai trovato. Cosa vuole il guardiano di Dunton da me? - .
Simon scambiò uno sguardo con Alan, poi entrarono. In breve si presentarono e spiegarono all'ufficiale cosa stava accadendo da qualche mese al loro villaggio.
- Niente di nuovo. Non siete i primi che vengono a chiedermi aiuto in questi mesi. Ma io non posso farci niente. Tutte le mie guardie sono impegnate a dare la caccia a quei maledetti elfi e il re non ci manda nessuno in aiuto - , disse il capo della guarnigione sbattendo con rabbia le grasse mani sul tavolo.
A quelle parole, Simon rimase spiazzato. Si voltò verso Alan e vide che il suo mentore aveva uno sguardo rassegnato rivolto a terra, così la sua impetuosità vinse di nuovo.
- Altri sono venuti a chiedervi aiuto e voi non avete fatto niente? - , disse all'improvviso alzando la voce. - Non potete negarcelo. La pace e la sicurezza delle persone sono di vostra responsabilità. Se non avete abbastanza guardie, mandate alcune di quelle che cercano di catturare gli elfi senza successo! - .
L'ufficiale lo guardò accigliato e Simon si sentì esattamente come quando fece infuriare Alan alcune settimane prima, e capì...
- Ragazzo! Perdono la tua insolenza solo questa volta perché è evidente che non mi conosci - , disse l'uomo con finta compassione e alzandosi dalla sedia. - Ma che non accada mai più! Come ho già detto non ho abbastanza guardie e negli ultimi mesi sono aumentate le razzie di quei maledetti. Dobbiamo prima risolvere questo problema e poi, forse, verremo ad aiutarvi. Nel frattempo dovrete cavarvela da soli - .
Simon sentì la paura sciogliersi in un attimo e un calore improvviso salirgli dallo stomaco alle guance. La mascella gli si serrò e le mani si chiusero a pugno. Tutto ad un tratti scoppiò e sbatté violentemente un pugno sul tavolo.
- Simon! Basta! Porta rispetto, non è questo il modo di farci ascoltare - , gli disse Alan trattenendolo.
- No, non me ne starò qui zitto. Accadono cose strane. Persone spariscono nel nulla, chi protegge la pace deve aiutarci, deve proteggerci, è un loro dovere e un nostro diritto! - , poi lanciò contro l'ufficiale una serie di aggettivi non propriamente adatti ad un ufficiale.
La risposta non si fece attendere e, in un attimo, Simon sentì la punta gelata della spada toccargli appena la gola.
- Non obbligarmi ad usarla - , sibilò l'uomo. - Tornatevene al vostro villaggio e fate come credete. Qui abbiamo cose più importanti della scomparsa di qualche ragazzina - . Detto questo chiamò a gran voce un paio di guardie per farli accompagnare fuori da palazzo. Ma Simon non si diede per vinto e continuò a parlare, a fare richieste e a insultare l'ufficiale, così che anche Alan fu costretto ad aiutare le guardie a trascinarlo fuori.

Una volta fuori, la rabbia e la delusione non erano svanite e Simon sentiva di doversi sfogare in qualche modo. Continuò il suo monologo di insulti, ora rivolti al capo guarnigione, ora alle guardie, finché all'improvviso sentì un forte dolore alla guancia.
- Smettila Simon, dannazione! Cosa pensi di aver ottenuto, eh? In questo modo ti farai solo impiccare! - , gli disse Alan prendendolo con forza alle spalle. - Adesso muoviamoci e torniamocene a Dunton. Dobbiamo cavarcela da soli - .
Simon strinse i denti ma non protestò, mentre si massaggiava la guancia colpita, poi Alan lo spinse in avanti facendolo allontanare dal palazzo.

Il compito dell'aiutante
Quando tornarono a casa, Simon vide il suo mentore correre alla scrivania e prendere carta e penna.
- Be'? E adesso cosa fai? Scrivi? Non mi dire che hai trovato una soluzione - , disse sarcastico.
- No, Simon, non ho trovato una soluzione, ma comunque ho un'idea. Non è molto ma è l'unica cosa sensata che possiamo fare - .
Il tono del suo mentore era deciso e Simon intuì che aveva capito qualcosa. “Finalmente”, pensò entusiasta. Questo era proprio quello che sperava sentir dire ad Alan da mesi.
- Ti ascolto - , gli disse allungandosi sulla sedia.
- Il capo della guarnigione ci ha detto che non siamo i primi a riportargli di ragazzine scomparse, ebbene, chiederemo aiuto agli altri villaggi delle cinque valli. Forse qualcuno sa qualcosa in più di noi - .
Simon sgranò lentamente gli occhi.
- Chiedere agli altri villaggi? Davvero? É tutto qui? Manderemo una lettera e aspetteremo che ci rispondano? Non posso crederci Alan, c'è un emergenza in corso e noi aspett... - .
- Tu aspetterai. Io andrò di persona dai guardiani e parlerò con ognuno di loro. Cercherò di avere più informazioni possibili e voglio provare a creare una rete di comunicazione, in modo da avere informazioni costanti e periodiche da ognuno di loro - .
Simon si lasciò andare sulla sedia. Quello che per un attimo lo aveva fatto esultare ora era svanito, lasciando il posto alla solita sensazione di impotenza che ormai lo accompagnava da mesi.
- E io cosa dovrei fare nel frattempo? Chiudermi in casa? - , disse con voce piatta non aspettandosi nulla di più.
- Oh, no. Non se ne parla nemmeno - , gli disse Alan con tono cospiratorio. Simon si fece serio.
- Ci sono ancora tre ragazze qui al villaggio, tutte della stessa età della altre. Non le devi perdere mai di vista, soprattutto Sam. Mi raccomando. So che non è mia figlia, ma l'ho adottata quand'era piccola e ho sempre badato a lei. La sola idea di dovermi allontanare sapendo che pericolo incombe su Dunton mi uccide - , Alan abbassò il capo e disse ancora - Non so cosa farei se le dovesse succedere qualcosa - .
Per Simon fu troppo. Si alzò di scatto dalla sedia facendola cadere in terra - Oh Alan, al diavolo! Non me ne starò qui a far da balia a tre ragazzine mentre tu te ne vai in giro a fare da postino! Non è questo quello che credevo di fare quando ti chiesi di lavorare con te! - . Appena finì la frase vide gli occhi di Alan e si pentì di aver aperto bocca. Da quando lavorava con lui, poco più di un anno prima, lo aveva punzecchiato tante volte, e i suoi scatti d'ira e le sue parole non gli avevano procurato mai alcun problema, ma questa volta capì di aver oltrepassato il segno.
- Non permetterti mai più, mai più, di usare quel tono con me, ragazzo. Io sono il guardiano di Dunton e quindi sono io che decido cosa fare, come e quando. Sono stato chiaro? Se dico che devi seguire le tre ragazze, tu lo devi fare e senza fiatare! Altrimenti te ne puoi tornare nella tua catapecchia anche subito e ricominciare a racimolare cibo qua e la come facevi prima. Sono stato chiaro? - .
Alan non aveva urlato, ma il tono che aveva usato lo fece rabbrividire.
- Allora Simon, sono stato chiaro? Farai quello che ti ho detto? - .
Simon aveva le spalle al muro. Quella richiesta gli sembrava un'assurda perdita di tempo ma non voleva perdere il lavoro. Finalmente aveva trovato qualcosa per cui valesse la pena vivere e battersi, qualcosa di cui essere orgoglioso. Così, lentamente, disse - D'accordo Alan. Seguirò le ragazze. Soprattutto Sam - .
Ci fu un attimo immobile di silenzio, poi Simon vide gli occhi del mentore addolcirsi e un piccolo sorriso apparire sulla sua bocca.
- Sapevo che avresti capito l'importanza di questo compito. Hai un caratteraccio ragazzo, ma sei intelligente. Devo solo riuscire ad addomesticarti un po' - , disse Alan sedendosi e ridendo. Simon si sentì uno stupido. - Ah, al diavolo, Alan - , disse ridendo anche lui.

Così, Simon si ritrovò, come lui stesso diceva, a far da balia a tre ragazzine. Alan era partito ormai da alcuni giorni e ora lui stava svolgendo il compito affidatogli, seduto in casa a guardare Sam che preparava la cena. Aveva uno sguardo vacuo e le ultime parole che Alan gli aveva detto prima di partire gli rimbombavano incessantemente in testa: Non devi perderle mai di vista. Tuttavia non si capacitava ancora di quel compito: seguirle ovunque andassero, sempre e comunque. Fare gli stessi tragitti, aiutarle se avessero avuto bisogno e, soprattutto, sopportare le loro chiacchiere da ragazzine. Era una cosa che lui non avrebbe mai pensato di dover fare quando, l'anno prima, aveva assillato Alan per fare da aiuto guardiano. Allora gli ci vollero tre settimane di continue insistenze per riuscire ad avere quel lavoro. Tre settimane in cui lui si umiliò davanti all'intero villaggio, andando da quell'uomo scorbutico e impenetrabile chiedendogli una cosa impossibile e venendo rifiutato giorno dopo giorno. All'epoca sapeva benissimo cosa l'intero villaggio pensava di lui: che era un un attacca brighe e un ladruncolo, in poche parole un buono a nulla. Ma nessuno sapeva la verità. Da quando i suoi genitori erano morti in quell'agguato degli elfi, lui si era rinchiuso in sé stesso e non aveva più legato con nessuno. Ma quello che gli era accaduto era stata anche la sua forza e la sua ispirazione. Gli ci vollero alcuni anni, anni duri in cui sopravvisse grazie alla fortuna e a qualche furtarello di cibo, ma questo gli permise di avere ben chiaro quale doveva essere il suo destino. Fu così che capì che doveva andare da Alan e ottenere quel lavoro ad ogni costo. Non gli importava dell'umiliazione che il guardiano gli avrebbe inflitto davanti a tutti e delle risate che la gente si sarebbe fatta alle sue spalle. Lui doveva difenderli, doveva difendere il suo villaggio. Soprattutto non poteva permettere che accadesse ad altri quello che era accaduto ai suoi genitori. Quel lavoro era tutto per lui. Ma adesso invece era lì, intento a guardare Sam che preparava la cena.
- Una pianta terrebbe più compagnia di te - , disse la ragazza mentre gli lanciava il piatto con la zuppa sotto al naso. Il vapore riscosse Simon dai suoi pensieri.
- Eh? Ah scusa, Sam. Stavo solo pensando a cosa mi ha detto Alan prima di partire - .
- E sarebbe? - .
- Non devi perderle mai di vista - , disse Simon imitando la voce scorbutica del mentore. Sam fece una smorfia.
- É solo che stavo anche ripensando al perché ho voluto fare a tutti i costi questo lavoro. Ti ricordi quanto ho insistito? - .
- E chi se lo scorda - , disse Sam sorridendo.
- Appunto! E dopo tutto quello, cosa ho ottenuto? - .
Il sorriso della ragazza scomparve.
- Sono qui seduto a guardarti mentre fai qualsiasi cosa. Ti sembra giusto? Mi merito questo? Mai avrei pensato di dover buttare via il tempo in questo modo assurdo, quando là fuori c'è qualcosa di pericoloso! Qualcosa che va fermato ad ogni costo! Ma noi cosa facciamo? Gli diamo la caccia? No, per niente! Noi aspettiamo! Ti sembra sensato?! - , disse spostando malamente il piatto con la zuppa.
- Be', se vuoi saperlo, nemmeno a me piace averti fra i piedi ovunque vada. Ma Alan è stato categorico, e se non vogliamo passare dei guai, sarà meglio fare come ci ha detto. E adesso mangia, altrimenti si fredda - , disse Sam con tono stizzito.

Quel giorno, Simon doveva accompagnare Sam al mulino appena fuori Dunton, attraverso i campi di granoturco dove era scomparsa Jane. Da quando Alan era partito lui non aveva parlato quasi per niente, limitandosi a svolgere il suo compito con poca convinzione e ancor meno voglia, e quel giorno non era diverso dai precedenti.
Camminando davanti a Sam con passo spedito, era perso nei suoi pensieri, quando si accorse che la ragazza lo stava chiamando da lontano. Si girò e la vide parecchio indietro rispetto a lui - Sam, perché sei rimasta così indietro, devi starmi vicina. Sai cosa ha detto Alan... - .
- Sì lo so, Simon. Ma non ce la faccio a starti dietro, sei troppo veloce - .
- Ti devi sbrigare. Lo sai che devo badare anche alle altre, non posso stare tutto il giorno con... - .
- Lo so, Simon! So cosa ti ha detto Alan. So qual è il tuo compito e so cosa ne pensi in merito - , sbottò la ragazza. - Ma... - continuò, con le labbra che iniziarono a tremarle e Simon rimase spiazzato.
- Sam... - , provò a dire.
- Simon, la verità è che... ho paura. Hanno portato via tutte, prima o poi verranno anche per me - .
Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, il compito affidatogli da Alan aveva assunto un senso.
- Stammi a sentire, Sam. Non permetterò mai, a nessuno, di farti del male. Tanto meno di portarti via. Io sarò la tua ombra e ti proteggerò. Ti prometto che non ti accadrà nulla di male finché sarò con te - .
Subito dopo vide gli occhi della ragazza inumidirsi e le labbra smettere di tremare.
- Adesso andiamo. Abbiamo un sacco di cose da fare oggi, non possiamo metterci così tanto tempo solo per prendere un po' di farina - , disse Simon con un sorriso e con nuovo entusiasmo. Si scansò appena per far passare Sam avanti a sé e, guardandola, gli sembrò che avesse un passo più deciso.
Proseguirono per diversi minuti, fino a quando Sam, tutto un tratto, si fermò.
- Perché ti sei fermata? Qualcosa non va? - , chiese Simon mentre l'affiancava, ma Sam non rispose.
- Allora, che succede? Me lo vuoi dire? - .
Lentamente le apparì in volto un gran sorriso, la vide accovacciarsi a terra e raccogliere, mezzo sepolto dai sassi, un piccolo oggetto.
- Guarda cosa ho trovato! - , disse la ragazza girandosi verso di lui e mostrandogli quello che aveva in mano.
- Non è strano trovare un orecchino qui nei campi? Ci sarà anche l'altro? - , disse Sam con entusiasmo. Ma alla vista di quell'orecchino Simon non riuscì a condividere lo stesso entusiasmo e così si limitò a sbuffare. Come poteva mai essere importante?
Tuttavia qualcosa in quell'orecchino gli era familiare, così lo prese in mano e lo guardò meglio: un filo color argento ingabbiava sul fondo un pezzo di vetro verde.
- Questo orecchino non mi è nuovo. Ma dove l'ho già visto? - . Chiese pensieroso più a sé stesso che alla ragazza. Più guardava quel piccolo gioiello e più si accorgeva di conoscerlo. Per qualche minuto si sforzò di pensare a tutti gli orecchini che aveva notato delle donne di Dunton, fino a quando ebbe un'illuminazione - Ma sì, certo! Questo è uno degli orecchini di Jane - .
- Un orecchino di Jane? Ma cosa stai dicendo? Come è possibile che sia qui? - , gli rispose Sam scettica.
- Ascolta, quando sua madre glieli regalò qualche tempo fa, per settimane continuò a sfoggiarli con chiunque, non ricordi? Venne anche da te! - , disse tutto a un tratto eccitato dalla scoperta. Sam corrucciò la fronte e si batté le ditta sulla bocca.
- Adesso che me l'hai fatto ricordare, hai ragione, è proprio uno dei suoi. Ma cosa ci fa qua? - .
Simon la guardò con occhi sbarrati - Forse è proprio qui che Jane è scomparsa - , disse continuando a fissarla. - Proprio in questo punto deve esserle successo qualcosa! Dobbiamo trovare altri indizi. Forza dammi una mano! - .
Così convinse Sam ad aiutarlo e i due iniziarono a guardarsi attorno come segugi. In breve setacciarono il pezzetto di terra che avevano davanti e arrivarono al confine del bosco. Lì, Simon si guardò attorno.
- Ma queste sono impronte! Lo sapevo che c'era qualcosa, lo sapevo! - , disse eccitato.
- Di chi saranno? Sembrano così... strane - , gli disse Sam mentre le osservava. Simon si soffermò a guardarle meglio - Mmm, hai ragione, non sembrano proprio impronte normali - .
Le impronte che aveva davanti erano piccole come quelle di bambini ma al tempo stesso molto profonde, come se fossero appartenute a un uomo di grossa stazza. La zona ne era piena. Ce n'erano alcune lì attorno tutte sovrapposte e poi altre che si spostavano.
Simon guardò Sam che ricambiava il suo stesso sguardo.
- Che facciamo adesso? - , gli chiese la ragazza con la voce un po' incrinata. Simon fece finta di non averlo notato e disse - Che domande, le seguiamo! - .
Iniziarono a seguirle e in breve si ritrovarono nel fitto del bosco.

Felci, arbusti, muschio e altre piante che Simon non conosceva ricoprivano tutto. Non era facile orientarsi lì dentro.
Un attimo dopo la ragazza si aggrappò al suo braccio. - Simon ho paura, andiamocene. Ti prego - .
- Non preoccuparti Sam. Ci sono io qui con te - , le disse Simon senza guardarla e proseguendo. Per sua fortuna le impronte seguivano un sentiero e così non gli fu difficile stargli dietro.
Poi si bloccò all'improvviso.
- Cosa è stato? - , chiese in un sussurro.
- C-cosa? - , gli rispose Sam.
- Non hai sentito quel rumore? - .
- Quale rumore? Simon ti prego, andiamocene - .
Poi il suono si ripeté.
- Eccolo di nuovo. Viene da quella parte - , disse eccitato prima di iniziare a correre verso la sorgente del suono.
- Simon, non lasciarmi sola. Ho paura - , gli disse Sam invano.
Per un po' si inoltrò nel bosco, fino a quando, ad un tratto, le impronte lo portarono davanti a un enorme cespuglio molto più alto di lui e decisamente largo. Lo studiò per un attimo, prese coraggio e lo attraversò.
Sbucato dall'altra parte si guardò attorno, pronto ad usare la spada da un momento all'altro. Rimase in assoluto silenzio per alcuni istanti, tanto che gli sembrò che il suo cuore potesse essere udito.
Poi di nuovo quel rumore.
Ma questa volta proveniva dalle sue spalle. Molti metri indietro. E capì...
- Dannazione! - , imprecò prima di attraversare di nuovo il cespuglio.
- Sam, sto arrivando! - .
Corse più che poté e quando finalmente arrivò a dove aveva lasciato l'amica, lei non c'era più.
- Sam! Sam! - , gridò più e più volte. Il cuore gli batteva all'impazzata e il respiro era affannoso. Gli occhi erano sgranati mentre cercava di captare un qualsiasi movimento che potesse fargli individuare la ragazza. Incominciò a correre in ogni direzione: per un sentiero lì a fianco; lungo la strada che portava fuori dalla foresta; ritornò sui suoi passi fino al grande cespuglio. Ma della ragazza non c'era traccia.
“D'accordo Simon, adesso calmati. Non è passato molto da quando ho sentito quel suono. Sam deve essere ancora qui vicino”, pensò cercando di ritrovare la padronanza di sé. Si fermò e iniziò a guardarsi attorno, ascoltando il più piccolo rumore e captando ogni movimento. Ad un certo punto gli sembrò di vedere qualcosa muoversi dietro a delle felci e si precipitò in quella direzione, ma era solo il vento.
Quando, ormai, il sole aveva iniziato a calare e le ombre della foresta si allungavano, tirandogli brutti scherzi, Simon era ancora al punto di partenza, intento a correre dietro ad ogni cosa che si muoveva, inutilmente.
In collera con sé stesso, andò verso un albero e lo prese a pugni. Si sfogò fino a quando ebbe le nocche sbucciate e le lacrime presero il posto della rabbia.
- Sam. Che cosa ho fatto? Come ho potuto? - , chiese mentre si accasciava a terra. Con il polso della camicia si asciugò le lacrime e fu così che, coperto da foglie secche e calpestato, vide uno strano cappello verde a punta, con una piuma, che non aveva mai visto prima, infilata di lato. “E se fosse...”, non terminò il pensiero. Si guardò attorno ancora un attimo con una speranza che sapeva essere vana e poi, col cuore pesante, prese il cappello con sé e si diresse a gran velocità verso casa.

Quella sera si concentrò sulla sua scoperta. Se lo rigirò fra le mani più e più volte. Provò anche a calzarlo in testa. “É troppo piccolo. Come fa una testa a entrarci?” si domandò accigliato. Il cappello non era rovinato, sembrava nuovo e non aveva imperfezioni di alcun tipo. Non aveva proprio nulla di insolito. Lo appoggiò sul tavolo e mentre lo guardava digrignò i denti.
- So che sei suo. Ma lui chi è? - , chiese al cappello come se potesse rispondergli.
Lo studiò per ore, senza trovare niente.
- Sam... Come farò a dirlo ad Alan? - .
- É tutta colpa mia... - .
Infine, sopraffatto dalla stanchezza, si addormentò sul tavolo col cappello davanti a sé.
Capitolo 4
La biblioteca di Arsit
La mattina seguente si svegliò con la faccia appoggiata sul tavolo. Lentamente si alzò, si stropicciò gli occhi e solo dopo si ricordò dell'accaduto. Ma la notte aveva spazzato via la disperazione e una nuova determinazione si era impossessata di lui. “Sam, ovunque tu sia, io ti troverò e ti porterò a casa. Questa è una promessa”, disse stringendo i pugni mentre guardava il sole alzarsi fuori dalla finestra.
Tornato al tavolo riprese quello che stava facendo la sera prima. “Come posso scoprire qualcosa su di te”, pensò mentre osservava il cappello, e come un fulmine a ciel sereno ebbe un'illuminazione. Così prese un biglietto e velocemente scrisse:
Ho scoperto qualcosa. Attendi il mio ritorno.
Lo guardò per un attimo e fece una smorfia. “Capirà?”, si chiese. Poi fece spallucce “Per adesso può bastare”. Dopotutto non aveva nulla di certo fra le mani.
Partì subito in sella al suo cavallo e il giorno dopo arrivò ad Arsit. La città aveva una governatrice di ampie vedute, e voci dicevano che era anche estremamente intelligente. Simon conosceva quelle voci e proprio per questo sapeva di poter visitare la biblioteca senza problemi, quando invece, nelle altre città, l'accesso era riservato solo ai benestanti.
Entrato in città andò dritto al palazzo dove, giorni prima, aveva incontrato l'ufficiale, ma stavolta si diresse sul lato opposto, all'ingresso della biblioteca.
La biblioteca era un ampio salone, con le finestre coperte da tende spesse, di velluto rosso e la luce che entrava era appena sufficiente per camminare senza problemi. Scaffali molto alti in legno massiccio, con ripiani colmi di libri, andavano a delineare i tre corridoi. L'odore che si respirava era un misto di polvere, carta e inchiostro, e l'unico rumore che si sentiva era lo sfogliare delle pagine.
Simon rimase affascinato da quella vista. Non era mai stato in una biblioteca e dopo un primo momento di soggezione e smarrimento iniziò a camminare fra gli scaffali, rapito e intimidito da quell'ambiente che non conosceva.
Camminò lentamente, assaporando ogni istante e facendo respiri profondi, voleva ricordarsi ogni singola sensazione che provava.
A circa metà stanza trovò uno spazio circolare con due scrivanie al centro. Su ognuna di esse un monaco, vestito con il consueto saio marrone e i capelli rasati che lasciavano in vista il cranio lucido, era chino, concentrato nel loro lavoro. “Potrei chiedere a loro. Sicuramente conoscono questo posto alla perfezione”, pensò mentre si avvicinava cercando di fare meno rumore possibile.
Si schiarì la voce per catturare la loro attenzione e, subito dopo con tono pacato, chiese - Scusatemi, padre, non vorrei disturbarvi dal vostro lavoro, ma è la prima volta che vengo in questa biblioteca e non so proprio dove poter trovare quello che cerco - .
Il monaco che pareva più anziano alzò lentamente la testa. Aveva profonde occhiaie scure e gli occhi, piccoli e quasi completamente chiusi, gli si piantarono addosso, facendolo sentire scrutato fin dentro le viscere.
- É la prima volta che vieni in questa biblioteca o è la tua prima volta in una biblioteca? - , gli chiese il monaco con un tono che non lasciava spazio a interpretazioni.
- Ah, lascia perdere, piuttosto dimmi cosa ti serve. Sono parecchio impegnato e non posso perdere tempo con le tue sciocchezze - .
- Perdonatemi, sto solo cercando un libro che parla di usi e costumi e
non... - .
- Non ci sono libri che parlano di usi e costumi. Non in questa biblioteca almeno - disse il monaco interrompendolo, poi ritornò al suo lavoro, continuando come se lui non esistesse. Simon rimase per un attimo interdetto ma non si diede per vinto.
- Ho bisogno di trovare delle informazioni su di un indumento che non ho mai visto prima d'ora e non so dove altro cercare - .
Il monaco alzò il braccio, ma non la testa, e indicò una direzione.
- Prova nella sezione dedicate alle razze e culture di Asterthon. La trovi in fondo a quel corridoio. E adesso lasciami lavorare ragazzo, ho cose importanti da fare, io - .
Simon ringraziò con un leggero cenno del capo e si diresse in fondo al corridoio. Sull'ultimo scaffale della fila trovò una targhetta con scritto: Popoli di Asterthon.
Si affacciò nel corridoio dello scaffale e fece un gran sorriso. C'era solo una manciata di libri dedicati a quell'argomento.
Li guardò sommariamente. Erano tutti in fila, uno appoggiato all'altro su di un solo scaffale alla sua altezza. Erano tutti di diverse dimensioni e colori, alcuni semplici, altri decorati. “Da quale inizio?” si chiese aggrottando la fronte. Li guardò di nuovo e poi ne prese uno, il più grande di tutti, un grosso libro con copertina in pelle color rosso e borchie ai lati. Al centro, in caratteri gotici, c'era scritto: Uomini. Lo aprì e iniziò a scorrere le pagine. Trovò varie informazioni sin dai tempi remoti: re e regine, condottieri, storie di paese e leggende. Trovò anche un capitolo dedicato alla grande guerra, quella che tutti conoscevano: la guerra contro gli elfi. Ma lì era molto più dettagliata che nei racconti sentiti alla locanda. Nonostante lo affascinasse, non aveva il tempo per leggere tutto quello che voleva e così, anche se a malincuore, saltò i capitoli e continuò la ricerca.
Alla fine di quel libro non trovò nulla che riguardava indumenti e cose simili, neppure dei disegni, così lo mise da parte e prese il seguente.
In quella sezione la maggior parte dei libri era dedicata agli uomini, tutti con vari racconti di guerre e battaglie, ma nessuno che avesse delle informazioni utili alla sua ricerca. Appoggiato l'ultimo libro degli uomini prese il successivo lì accanto. Questo faceva parte di una raccolta di dieci piccoli libri, rilegati con una copertina in pelle marrone e borchiati finemente. Il titolo sopra ognuno di essi era: Nani – libro primo. E così via.
“Nani”, pensò “Non ce ne sono più ad Asterthon da secoli, chissà com'erano?”, si chiese tutto a un tratto incuriosito. Avido di sapere, si immerse in una lettura lunga e affascinante.
Non conosceva quasi nulla dei nani, sapeva solo che una volta avevano vissuto in quella terra, ma poi, tutto un tratto, erano spariti. I libri parlavano della loro organizzazione politica, della divisione tra clan, di grandi feste all'interno della montagna e della loro immensa passione per la roccia. Simon lesse che nei secoli, i nani, avessero raccolto una ricchezza inimmaginabile grazie alla loro avidità. Per sua fortuna molte pagine di quei libri erano disegni che raffiguravano personaggi come re, condottieri e persino semplici oste. Si sorprese nel vedere come non c'era una grande differenza tra nani giovani e anziani, maschi e femmine. Tutti erano piuttosto bassi e tarchiati, avevano quasi tutti i capelli rossi o più raramente neri che difficilmente diventavano grigi con l'avanzare dell'età. L'unica cosa che distingueva i maschi dalla femmine era l'abbigliamento e la barba. Nessun tipo di gioiello o prezioso in genere. “Qui c'è scritto: i nani sono talmente gelosi delle loro ricchezze tanto da non mostrarle mai a nessuno che non appartenga alla loro razza e, anche in quei casi, solo ai familiari più stretti” lesse, sorpreso e sempre più incuriosito da quella razza.
C'erano molti disegni in quei libri e alcuni raffiguravano persino dei copricapo, tipicamente elmi da guerra o cuffie per capelli, ma nessun cappello a punta.
Finito il libro, passò al successivo e a quello dopo ancora.
Lesse tutto il tempo, non si fermò neanche per un'istante. In quella giornata lesse talmente tanto di nani e uomini che gli sembrò di conoscere quelle due razze da sempre.
Quando appoggiò l'ultimo libro e alzò gli occhi arrossati e doloranti, guardò fuori dalla finestra. “Maledizione! Mi sa che stanotte dovrò fermarmi qui”, pensò chiudendo il libro che aveva in mano e riponendolo al suo posto. “Questo era l'ultimo e non ho trovato niente, niente di niente!”, continuò “Ma com'è possibile? Ci sono un sacco di cose sugli uomini e sui nani, e tutte le altre razze? Elfi e orchi? Sembra quasi che non ci sia nulla su di loro”. Stava riflettendo su tutto quello mentre si grattava il mento. Non si capacitava di come fosse possibile che ci fossero così poche informazioni. “É impossibile che non ci sia altro. Almeno qualcosa sugli elfi deve esserci. Sono vissuti tra di noi fino a pochi secoli fa” pensò incredulo. Guardò ancora su quel ripiano e sugli altri, cambiò corsia e guardò altri scaffali, ma il risultato fu sempre lo stesso. Infine sospirò “Forse dovrei riposare un po' e tornare domani, magari vedrò cose che oggi mi sono sfuggite” si disse. Così, deluso, si girò per andarsene. In quel momento il guardiano della biblioteca, un uomo molto anziano e con una gobba evidente, si avvicinò alla finestra di quel corridoio e tirò la tenda per chiuderla. Quel frangente fu sufficiente all'ultimo raggio di luce per entrare e illuminare un angolo nella sezione in alto dello scaffale. Lì, Simon scorse qualcosa ed ebbe un tuffo al cuore. Velocemente prese la scala e salì. In fondo al ripiano, nell'angolo più buio e nascosto, trovò una vecchia pergamena arrotolata. La prese e l'aprì, aveva i bordi frastagliati e delle macchie di muffa qua e la, ma per fortuna era ancora leggibile.
- Ragazzo stiamo chiudendo, metti giù il libro ed esci. Puoi tornare domani - .
- Va bene, grazie - rispose Simon ancora in cima alla scala. Aprì un po' di più la pergamena e i suoi occhi si sgranarono. Il titolo recitava: Elfi – tutto quello che sappiamo.
- Forza ragazzo, muoviti, o ti chiuderò dentro - , gli disse il guardiano mettendogli fretta.
- D'accordo, sto arrivando. Adesso scendo - , rispose Simon col cuore che martellava. Non ci pensò due volte e si infilò la pergamena nella sacca di pelle, poi con passo svelto e testa bassa uscì dalla biblioteca.

Quella notte si fermò in una delle locande della città. Alla debole luce di una candela incominciò a leggere la pergamena. Non era messa molto bene, i bordi erano parecchio frastagliati e in alcuni punti i tagli avevano portato via delle frasi. Inoltre c'era la muffa che stava divagando piano piano. Ma per sua fortuna, la maggior parte del testo era ancora leggibile senza difficoltà.
La pergamena parlava in generale dell'organizzazione politica e sociale degli elfi: re, regina, consigliere, maghi, generali, soldati semplici e altre varie figure professionali simili a quelle umane. Trovò informazioni anche della grande guerra, avvenuta circa trecento anni prima. Nonostante la loro forza superiore e la capacità di usare la magia, avevano perso e furono cacciati da Asterthon.
Simon lesse tutto senza sosta, era talmente rapito che non si accorse dell'ora tarda.
Conclusa la parte della guerra iniziava una vasta descrizione delle abitudini degli elfi, delle loro usanze e dei loro costumi e, per sua fortuna, c'erano anche dei disegni. Si iniziava con il re e la regina, due figure alte e imponenti, vestiti molto eleganti con lunghi mantelli verdi che cadevano fin quasi ai piedi. Entrambi avevano occhi e orecchie tipiche degli elfi e capelli lunghi e biondi sciolti oltre le spalle. Guardandoli bene, Simon si ritrovò a rabbrividire, persino nel disegno i loro sguardi mettevano soggezione. Poi si concentrò sui vestiti, il re indossava stivali neri alti fino alle ginocchia, pantaloni aderenti, una cintura con al fianco una lunga spada nella sua fodera rossa ed una camicia bianca ben decorata. La regina, che in mano teneva un lungo scettro dorato, indossava una tunica bianca che le copriva i piedi, tutta ricamata da filamenti oro che formavano dei disegni raffiguranti foglie di ogni tipo. Entrambi indossavano sulla testa un piccola e minimale corona a forma di foglie che Simon non riconobbe.
Più avanti trovò raffigurato il generale delle esercito. Un elfo alto con capelli biondi, quasi bianchi, raccolti in una lunga coda. Indossava un armatura di cuoio leggera, stivali alti e neri, una spada che pendeva al fianco ed una faretra sulle spalle. In una mano teneva un elegante arco lungo, mentre nell'altra un elmo con una lunga criniera bionda “Non che ne abbiamo bisogno con i capelli che si ritrova!” pensò Simon con un sorriso.
La pagina successiva invece rappresentava i guerrieri semplici. Alti, con lunghi capelli neri, armatura in cuoio e stivali fino alle ginocchia. Avevano una spada corta al fianco e un arco con faretra sulle spalle. Mentre sul capo calzavano un cappello verde e a punta. A quel punto, a Simon, mancò il respiro. - Eccolo! - esclamò a voce alta tirandosi su di colpo dal letto. I guerrieri raffigurati portavano sul capo il cappello che aveva trovato nel bosco vicino a Dunton.
“Quindi sono stati gli elfi a rapire le ragazze”, pensò, saltando subito alla conclusione, mentre guardava un punto lontano sulla parete della camera.

Quella notte, Simon non dormì. Non si capacitava come potessero esserci elfi così vicino. Dunton era un piccolo villaggio di montagna, chiuso in una valle senza nulla di particolare. La sua gente era semplice e si dedicava solo al lavoro, non c'erano mai stati eroi o guerrieri. Continuava a domandarsi cosa volessero gli elfi dalle ragazze di Dunton e, soprattutto, perché il re e l'esercito non sapevano nulla di tutto quello. Continuando con quei pensieri e rigirandosi la pergamena fra le mani, si fece mattino.
Alle prime luci dell'alba uscì dalla sua stanza, pagò l'oste con una moneta d'argento e andò a prendere il suo cavallo nella stalla. Percorse la strada da Arsit a Dunton a rotta di collo. “Spero che Alan sia già tornato”, pensò mentre cavalcava verso casa.

Quando, nel tardo pomeriggio, fece il suo ingresso nel villaggio, vide Alan andargli incontro e l'aria che aveva non prometteva nulla di buono.
- Dove sei stato? Da quant'è che sei via? - gli chiese Alan guardandolo accigliato. Simon aveva un aspetto orribile, sporco, trasandato e sembrava che fosse in viaggio da settimane. Ma non badò al suo aspetto e andò dritto al punto - Per fortuna sei qui. Arrivo da Arsit e ho scoperto qualcosa - , gli disse, parlando molto veloce e col fiatone.
- Da Arsit? Hai fatto tutta la strada in giornata? - .
- Sì, sono partito all'alba. Ma non c'è tempo per queste cose. Hanno rapito Sam e forse ho capito chi è stato - .
Alan spalancò gli occhi - HANNO RAPITO SAM?! - . Urlò per la rabbia.
- Ti avevo dato un compito, uno soltanto! Com'è possibile che non ascolti mai i miei ordini. Dovevi seguirla, e anche le altre! Invece l'hai lasciata rapire e poi te ne sei andato ad Arsit! Sei forse impazzito, ragazzo? - .
- Alan, lo so che sei in collera, credimi, anch'io lo sono con me stesso, ma quello che ho scoperto può aiutarci. So chi è stato! -
Alan lo scrutò a fondo, emettendo dei suoni gutturali poco raccomandabili.
- Avanti allora, sputa. Chi è stato? - .
- Tanto per cominciare, hai letto la mia lettera? - .
- Certo, e quindi? - .
- Ecco qui - , disse Simon tirando fuori il cappello.
- E allora, è solo un cappello - .
- Hai mai visto un cappello simile prima d'ora? E questa piuma? - .
Alan prese il cappello dalle sue mani e lo studiò per alcuni istanti.
- Mai visto prima. Può essere di chiunque - .
- Forse. Ma quello che non sai è che oltre a questo ho trovato anche un orecchino di Jane - .
Il viso del suo mentore si fece serio. - Va avanti, figliolo - .
Simon lo guardò per un attimo e poi continuò - L'orecchino l'ha trovato Sam vicino al sentiero che attraversa il campo di granoturco, e lì vicino c'erano delle orme molto strane. Le abbiamo seguite, per un po' hanno girato nei campi ma poi sono entrare nella foresta. E lì... - .
- E lì hanno rapito Sam - , concluse Alan.
- Già, proprio così - .
- Ma come hanno fatto? Erano in molti? Li hai visti? - .
- Purtroppo no. Mi ero allontanato per... - .
- TI ERI COSA? Ma non ti ho insegnato proprio niente! - .
- Lo so Alan, hai ragione. Sono stato uno stupido. Però adesso abbiamo questo, e credo di sapere a chi appartenga! - , disse Simon cercando di essere un po' ottimista.
- Quindi mi stai dicendo che il cappello appartiene a chi ha rapito le ragazze? - , gli chiese Alan con gli occhi stretti.
- Sì, esatto. Non sapevo cosa farmene con questo cappello, ma poi, l'altra mattina, mi sono svegliato e ho avuto un'illuminazione, e sono andato ad Arsit in cerca di informazioni. In biblioteca ho cercato la storia di Asterthon e di tutte le razze che vi hanno vissuto. Ho letto sugli uomini, che ci sono da sempre, ma nessun disegno lo rappresentava. Poi ho cercato fra i nani, ma anche fra di loro niente. Inoltre non si vedono nani da secoli in questa terra. Poi, per fortuna, ho visto in un angolo una vecchia pergamena - , fece una pausa.
- Parlava di elfi - .
- Elfi - , disse Alan in un sussurro.
- Già, elfi. Il cappello è proprio come quello in questo disegno! - .
Dalla sacca prese la pergamena che aveva rubato e gliela porse proprio dove c'era il disegno del guerriero. Vide il viso del suo mentore contrarsi in una smorfia e colorarsi di una tonalità molto vicino al porpora.
- Dobbiamo catturare quei bastardi! Gliela faremo pagare! - disse Alan a denti stretti.
Il petto di Simon si gonfiò e il suo sguardo si fece attento mentre studiava tutte le espressioni dell'uomo. “Finalmente” pensò. - Come pensi di fare, Alan? Non sarà facile - .
Il suo mentore lo guardò fisso negli occhi - Non ho mai detto che sarà facile. Ma non possiamo lasciare che rapiscano quelle povere ragazze per lasciarle a chissà quale destino - .
- Non sappiamo nemmeno perché le rapiscono. E anche se ne catturassimo uno poi che ne facciamo? - .
Gli occhi di Alan si spalancarono mentre, lentamente, diceva
- Lo usiamo come riscatto - .
Simon non aveva mai visto il suo mentore così deciso e determinato. Quelle nuove informazioni che lui gli aveva dato lo avevano cambiato, sembrava quasi gli avessero dato uno scopo nella vita.
“Finalmente abbiamo un obiettivo e una preda”, pensò e, guardando Alan negli occhi, capì che anche lui stava pensando la stessa cosa.

Quella notte non dormirono, si confrontarono su quale fosse la strategia migliore per catturare gli elfi, o l'elfo, che portava via le ragazze. Purtroppo nessuno dei due aveva esperienza in fatto di elfi e così arrivarono ad un'unica soluzione: nascondersi di notte vicino a dove Sam era stata rapita, e aspettare che qualche elfo si facesse vivo. Non era un gran piano, ma era comunque un inizio. Se fossero stati fortunati ne avrebbero catturato qualcuno.
Il giorno dopo riposarono e la sera, appena prima del tramonto, si avviarono verso il bosco. Seguirono lo stesso tragitto che fece Simon e quando arrivarono nello stesso punto del rapimento, si nascosero e attesero pazientemente, convinti che prima di mattina qualche altro maledetto elfo si sarebbe fatto vedere.
Quella notte Simon continuò a pensare al loro piano “Facile”, si diceva, “Siamo in due, Alan è un soldato esperto e io sono forte, possiamo sopraffare facilmente un elfo”. Ma non ebbe mai l'opportunità di verificare se quella sua convinzione fosse vera o meno.
Nonostante il completo silenzio e tutti i sensi vigili, alle prime luci dell'alba stavano ancora aspettando.
Nessuno si fece vedere, né quella notte né quelle successive.

Daniele Rota

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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