Ore sette e trenta del mattino. Il sole di Los Angeles era già alto nel cielo e il caldo di inizio giugno cominciava a farsi sentire. Non pioveva da parecchio tempo e non sembrava neanche che avesse intenzione di farlo. Una vecchia battaglia di qualche anno prima rimasta aperta stava per invadere la città trascinando con sé alcune vittime inconsapevoli del proprio destino. John si svegliò dopo una nottata impegnativa. Da quando Abby era incinta combatteva contro l'incapacità di riposarsi. Arrivata all'ottavo mese di gravidanza passava le sue notti rigirandosi nel letto e alzandosi ripetutamente per andare in bagno. Capiva perfettamente che il malessere della moglie non era per niente semplice, ma non vedeva l'ora che il bambino nascesse, un po' perché voleva conoscere il suo primo figlio e un po' perché almeno entrambi avrebbero avuto un briciolo di riposo. O forse no. “Quando Timothy nascerà sarà ancora più difficile” gli dicevano i loro amici. Nessuno dei due aveva esperienze con i neonati, ma da come ne parlavano crescere un bambino era una delle cose più difficili di sempre. Glielo dicevano forse per farli spaventare? Lo avrebbero scoperto molto presto. Quando aprì gli occhi si accorse che l'altro lato del letto era vuoto. Si alzò e si diresse verso la cucina. Il profumo del caffè appena fatto lo attrasse e gli fece dimenticare per qualche secondo della nottataccia appena passata. Abby sfoggiò un sorriso luminoso. - Buongiorno, ti va un po' di caffè? - John sorrise a sua volta. - Buongiorno, lo prendo volentieri, grazie. - Nonostante non fosse un periodo facile per nessuno dei due, la gioia della gravidanza metteva in secondo piano tutto il resto. Sapevano di essere una coppia felice che si amava e nulla sarebbe potuto cambiare. I due si erano conosciuti al college dieci anni prima. Tra loro scattò la scintilla quasi subito e da quel giorno non si lasciarono più. C'erano stati alcuni alti e bassi, ma nulla che non si potesse risolvere. Quando lei gli aveva rivelato della gravidanza, lui si mise a piangere. Niente era mai stato così inaspettatamente bello come ricevere quella notizia. Mentre stavano facendo colazione arrivò un messaggio sul cellulare di John. Guardò il display e con un'espressione irritata si alzò. - Devo andare. - - Promettimi che farai attenzione - fece Abby. John le diede un tenero bacio prima sulle labbra e poi sulla fronte. - Te lo prometto. - Lei aveva sempre paura ogni volta che lui usciva di casa per andare al lavoro, ma con l'arrivo del bambino la sua ansia era aumentata. Non voleva che Timothy crescesse senza un padre. Da parte sua John cercava sempre di fare attenzione, ma con il suo lavoro non aveva nessuna certezza. Era pur sempre un detective della polizia di Los Angeles. Mentre percorreva la statale verso sud, sul telefono comparve un altro messaggio. John lo guardò con un po' di irritazione e continuò a guidare. Esaminò il navigatore per verificare quanto tempo mancasse all'arrivo. Non sapeva quale fosse la sua destinazione, stava solo seguendo le istruzioni ricevute con il primo messaggio. Sapeva però che il quartiere in cui era diretto era famoso per l'alto tasso di criminalità. Pochi minuti dopo arrivò, parcheggiò e scese dall'auto. Guardò la casa davanti a lui: era spoglia, con i muri di un grigio chiaro e il tetto marrone. Un cancello non troppo stabile lo separava dall'ingresso, lo aprì ed entrò nel piccolo cortile. Arrivato davanti alla porta, dello stesso colore del tetto, bussò. Un ragazzo alto e sudato aprì la porta. - Sei arrivato, finalmente. Qui è un casino, mi devi aiutare! - - Cosa succede? - Il detective non fece neanche il tempo a entrare in casa che notò subito che le mani del ragazzo erano sporche di sangue, con evidenti chiazze anche sui vestiti. - Matt, sei sporco di sangue. Cos'hai fatto? - chiese allarmato il poliziotto. - Non ho fatto niente, te lo giuro! - rispose quasi singhiozzante. Il giovane era in un evidente stato confusionale. Cercava di asciugarsi il sudore che gli colava dalla fronte con il dorso della mano camminando avanti e indietro. Quando si voltò, John notò che aveva una pistola. L'altro posò la mano sull'arma di ordinanza. - Matt, sei armato? Devo chiederti di mettere a terra la pistola. - Il ragazzo si paralizzò e per qualche secondo non si mosse. Dopo un secondo avvertimento riprese lucidità e capì che l'uomo che aveva davanti non scherzava, così prese lentamente la pistola e la adagiò sul pavimento. John l'attirò a sé con un piede, l'avvolse in un fazzoletto e se ne impossessò. - Non è mia quella pistola. L'ho trovata qui - disse Matt, ancora molto scosso. John prese un respiro profondo e cercò di apparire calmo. - Ok, adesso siediti e dimmi cos'è successo. - Matt però non riusciva a tranquillizzarsi. Si muoveva nervosamente da un lato all'altro della stanza pronunciando frasi senza senso. - Matt, non ti capisco. Siediti, così parliamo. - Si guardò intorno. - Inizia col dirmi di chi è questa casa. - - È di Rebecca. - - Va bene. Chi è Rebecca? - A quel punto il ragazzo decise di sedersi e iniziò a raccontare. - È la mia ragazza. Di solito dorme da me, qui non ci viene quasi mai - disse velocemente. - Dice che non è un bel quartiere e ha paura. Ma ieri è venuta perché doveva prendere dei vestiti. Io l'aspettavo a casa mia, ma a un certo punto era tardi e mi sono addormentato. - - Continua. - - Mi sono svegliato stamattina all'alba e non l'ho trovata. Ho preso il cellulare pensando che magari mi aveva chiamato, ma niente. Nessuna chiamata. Così ho provato a telefonarle, ma era spento. Ho iniziato a preoccuparmi e mi sono precipitato qui. - John non capiva dove volesse arrivare. L'aveva trovata? Le era successo qualcosa? Doveva fare qualcosa per capire cosa fosse successo. John sbuffò. - Dov'è ora Rebecca? - Matt si alzò e tornò a muoversi agitando le mani. Le lacrime cominciarono a scendergli lungo le guance quando a un certo punto si fermò e si chinò davanti al detective. - È morta John, è morta! - disse con occhi rossi, imploranti. Si fermò qualche secondo, poi continuò - è in camera stesa sul pavimento, con un colpo di pistola nel petto. - Ora Matt piangeva afflitto, chino con la testa fra le mani. John non sapeva cosa dire né cosa fare. Riusciva solo a pensare che nella stanza accanto si trovava il cadavere di una ragazza e che molto probabilmente lui aveva l'arma del delitto. Si fermò qualche minuto a riflettere, poi si alzò e decise di dare un'occhiata alla scena del crimine. Quando entrò nella stanza vide una giovane donna dai capelli castani e dal fisico asciutto. Era distesa sul pavimento, ormai senza vita, circondata da una pozza di sangue. Evidenti impronte di scarpe delimitavano la scena, probabilmente Matt aveva tentato invano di rianimarla. Cos'era successo in quella casa? Lui era coinvolto? Probabilmente no, altrimenti non l'avrebbe mai chiamato. Sarebbe scappato senza neanche voltarsi. Lo conosceva bene. Il detective tornò sui suoi passi per cercare di fare chiarezza sull'accaduto. Quando tornò, Matt era ancora a terra con le ginocchia strette al petto. - Devo chiamare la centrale per denunciare l'accaduto. Nel frattempo mi devi spiegare bene tutto - disse John. Il ragazzo lo fissò con le pupille ridotte a capocchie di spilli. - No, aspetta, non puoi chiamare la polizia. Mi arresteranno e lo sai. Ho troppi precedenti, nessuno mi crederà. - - Devo per forza chiamarla. Non posso nascondere un cadavere. Se sei innocente non hai niente da temere. - Si fermò e deglutì. - Perché sei innocente, vero? - Doveva chiederlo. Non poteva fare altrimenti. - Certo che sono innocente. John, mi conosci. - - No, non ti conosco. Non più. Non ci vediamo da anni, poi una mattina mi chiami dicendo che sei in un casino colossale e ti trovo in una casa col cadavere di una ragazza e una pistola tra le mani. Perché dovrei crederti? - - Perché sono tuo fratello! - - Ti avevo creduto anche quando mi avevi detto che non l'avevi fatta tu la rapina al mini market, anche se le telecamere ti incastravano. O quando mi dicevi che non spacciavi per i trafficanti di Long Beach. Come pensi che possa crederti adesso? - - Ho pagato per quei crimini. Mi ci hai messo tu dietro le sbarre, ricordi? - - L'ho fatto per il tuo bene! - - No, l'hai fatto per il tuo di bene. Perché il detective John Williams non può avere un fratello criminale. - D'un tratto calò il silenzio. Nessuno dei due parlò per qualche minuto. Anni e anni di sentimenti repressi e di cose non dette per paura di ferire. Covare del rancore con il tempo può far esplodere. John guardò il fratello negli occhi. - Ascolta, ti aiuterò, ma devo chiamare la polizia. La giustizia farà il suo corso. Ti devi fidare di me. - - Va bene. Promettimi però che troverai l'assassino di Rebecca. - - Te lo prometto. - Era già la seconda promessa della giornata. Almeno una delle due intendeva mantenerla.
Silvia Corradi
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