– Signor Fittipaldi, mi sente? Ero disorientato e confuso. La testa mi stava scoppiando: una terribile emicrania era sul punto di condurmi alla follia. A stento mantenni gli occhi aperti: la luce mi dava fastidio. Non sapevo dove mi trovassi né chi mi stesse parlando. Non me ne fregava nulla: ero troppo sofferente per dare importanza a ciò che si trovava intorno a me. – Signor Fittipaldi, mi sente? Ancora quella voce! Che supplizio! Non avevo alcuna voglia di parlare né tantomeno di ascoltare: ogni parola era come un chiodo infilato nel cranio con un colpo di martello. Mi sentivo stanco e apatico. Desideravo soltanto essere lasciato in pace. Avevo dolore alla schiena: il letto su cui ero disteso era davvero scomodo. Percepivo uno strano fastidio alla testa; era come se la pelle fosse tirata da qualcosa... Sfilai la mano da sotto le coperte, la portai pian piano al petto, ma mi arrestai: avevo avvertito qualcosa attaccato al braccio. Aprii gli occhi. Vinsi il fastidio della luce artificiale e scorsi una flebo: ero in ospedale. – Signor Fittipaldi, non si muova. Le abbiamo messo una flebo. – Perché sono qui? Cos'è successo? Mi fa male la testa... Alla fine, i miei occhi riuscirono a mettere a fuoco il volto dell'uomo che si trovava dinanzi a me: era un medico grassoccio e pelato. Occhiali dalle spesse lenti e montatura nera. Aveva una folta barba corvina con qualche pelo bianco sul mento. – È stato portato qui durante la notte. I suoi vicini l'hanno sentita gridare. Hanno provato a contattarla, ma non hanno ricevuto risposta... Così, hanno chiamato i carabinieri. Sono intervenuti anche i vigili del fuoco: sono entrati nel suo appartamento e l'hanno trovata distesa a terra. Forse, ha battuto la testa contro la parete. L'hanno portata qui privo di sensi. Abbiamo suturato la ferita... Dalla TC risulta una lieve commozione cerebrale: stia tranquillo, nulla di grave! Saprebbe dirmi cosa è successo? – Non ricordo nulla, sono confuso... Ho male alla testa. Mi sento debole. Faccio fatica anche a sollevare le braccia... Cosa mi succede? – Dalle prime analisi abbiamo riscontrato una riduzione dell'emoglobina: ha un'anemia di moderata entità. Non è così grave da necessitare una trasfusione, ma dobbiamo capire quali siano le cause di questa condizione. Negli ultimi giorni ha avvertito debolezza, dolori o altri sintomi? – Dottore, che ore sono? – Sono quasi le cinque del mattino. Chiusi le palpebre e non mi curai delle ulteriori domande del medico. La mente non riusciva a prestare la dovuta attenzione a quell'uomo dalla voce così odiosa. Avevo bisogno di estraniarmi dalla realtà circostante e trovare rifugio in me stesso. Avvertivo un'irrazionale e ancestrale paura. Ero in balia del terrore, tormentato dall'ignoto. La memoria non era in grado di aiutarmi a definire la natura di quello stato emotivo. Eppure, continuavo ad interrogarmi... L'amarezza dell'amnesia travolse l'animo suscitando disagio. Cercai il ricordo più recente, avevo bisogno di un punto di partenza per ricostruire le ultime ore della mia vita. Il dolore alla testa era insopportabile, ma il desiderio di risposte ebbe la meglio sulla sofferenza. Alla fine, scorsi un piccolo bagliore tra l'inquietante oscurità della mente. Un nome emerse dall'oblio: Simone Caputo. Fui scosso da un brivido, un ricordo stava affiorando dal caos... Una figura femminile dagli occhi dorati si palesò ai piedi del letto. Immediatamente, aprii le palpebre colto da un'inspiegabile paura: ero solo... Ero così confuso da mescolare la dimensione onirica con il mondo reale, di sicuro, mi trovavo in uno stato di dormiveglia... Mi domandai chi fosse quella donna, ero convinto di averla già vista. Purtroppo, data la situazione, dubitai delle mie certezze e ipotizzai che fosse una figura appartenente ai miei sogni; è probabile che fossi sul punto di addormentarmi. Però, quella vivida e ignota sensazione di terrore aveva richiamato la mente alla lucidità della veglia. Mi guardai attorno con la testa pesante e un crescente senso di nausea: ero ancora al pronto soccorso. Il medico si era allontanato. Alla mia destra c'era una tenda verde scuro che separava il mio letto da quello accanto. A sinistra avevo la parete, priva di finestre. Mi interrogai invano: le domande non trovarono risposte... Come sono finito in ospedale? Cos'è successo? Ero scosso: un simile vuoto nei ricordi non poteva che essere sinonimo di una grave condizione clinica. Eppure, quella donna l'avevo già vista. Ma dove? Cercai di ordinare le immagini confuse che si susseguivano in maniera caotica nella mente: dovevo prenotare una visita dal dott. Caputo. Erano settimane che avevo problemi con il sonno. Il medico di famiglia mi aveva consigliato di rivolgermi ad un luminare di sua conoscenza: un medico di Pescara, specializzato in psichiatria e neurologia esperto di disturbi del sonno. Lo avevo contattato alcuni giorni prima per prendere un appuntamento, ma non ero riuscito a reperirlo telefonicamente. Gli avevo lasciato una mail con la speranza di essere ricontattato a breve: ho sempre detestato chi non risponde alle e-mail. Piano piano l'amnesia lasciò spazio ai ricordi. Non fu facile, né tantomeno veloce: le informazioni riemersero in maniera confusa. Ero convinto che tutto avesse a che fare con quella donna: dubitavo che fosse un'immagine generata della fantasia. Doveva essere reale; però, non capivo perché facessi tanta fatica a ricollegarla alla mia quotidianità. Alcune settimane prima mi ero rivolto al medico di base per un problema dovuto a continui e ripetuti risvegli notturni, accompagnati da vere e proprie paralisi. In certi casi si erano verificati anche dei fenomeni allucinatori, mi svegliavo totalmente incapace di muovere il corpo. Soltanto gli occhi rispondevano al mio controllo. Nella stanza non ero mai solo, c'era sempre qualcuno. Nelle Marche, dove sono nato, e in Abruzzo questi episodi sono conosciuti con il termine di pantafa, o pandafeche: da piccolo, nonna me ne parlava spesso... Credo di averle provate tutte, dalle tisane alle erbe alla melatonina, dal Lexotan allo Xanax, purtroppo, senza alcun beneficio. Col passare delle settimane la qualità del sonno peggiorò e gli episodi si verificarono con frequenza maggiore. Pian piano emersero nuovi sintomi: astenia, emicrania, ansia e insonnia. La notte non riuscivo più ad addormentarmi. Ero agognato da un'inspiegabile ansia. Vivevo nel terrore... Temevo anche di abbassare le palpebre. Un'ancestrale, o meglio, un'infantile angoscia si era impossessata di me gettandomi tra le braccia dell'irrazionalità. Restavo ore e ore a fissare la mia stanza, in compagnia del paranoico sospetto che qualcosa si nascondesse sotto il letto. Ero consumato dall'assurdo timore che prima o poi avrei ricevuto l'inaspettata visita di qualcuno o qualcosa... Col tempo presi l'abitudine di coricarmi lasciando la luce dell'abat-jour accesa. Un'irrazionale paura verso l'oscurità aveva preso pieno possesso della mia mente. Ne parlai col medico, non senza difficoltà e vergogna. Mai, neanche da bambino avevo avuto così tanta paura del buio. Chissà, forse, non temevo proprio l'oscurità, ma qualcosa che vi si potesse nascondere. Ogni volta che mi mettevo a letto, ero pietrificato da un inspiegabile attacco di panico. Il cuore batteva a ritmo crescente. Ogni battito echeggiava nel silenzio della stanza mischiandosi al ticchettio della sveglia. Percepivo il tempo rallentare. I secondi diventavano sempre più lunghi, mentre i miei occhi si muovevano sempre più rapidi nel tentativo di tenere sotto controllo lo spazio circostante. Provai più volte a pregare, ma le parole si interrompevano e l'attenzione diveniva preda di una folle paura. L'irrazionalità piegava l'intelletto senza alcuna difficoltà. Ore insonni trascorse con la paura di dormire. Eppure, dovevo riposare. Sottomesso dal dilemma di un dualismo antitetico, brancolavo nel limbo del dormiveglia finché il mio corpo non soccombeva al sonno. Il terrore mi aiutava a restare sveglio e a vincere la stanchezza. Purtroppo, non potevo andare avanti così.
Giovanni Ascolani
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