
«Carino, vero?» disse Patty, facendole l'occhiolino. Stavano lavorando spalla a spalla, senza un attimo di sosta in una serata pienissima di clienti. Il fast food era stato preso d'assalto a causa della partita dei Giants che si disputava a pochi passi dal ristorante. Con quel carino Patty si riferiva ad Alexander Pearson, o meglio Alex, come lo chiamavano tutti, il loro collega arrivato la settimana prima. In effetti, Alex si notava. Era molto alto, muscoloso, dall'aria un po' nerd con i capelli perennemente spettinati scuri e pizzetto intrigante. Aveva un sorriso candido e un'aria sfrontata. Era appena entrato nel loro spazio di manovra e Patty non gli toglieva gli occhi di dosso. «Ma non fissarlo così» la rimproverò Stella ridacchiando con una mano davanti alla bocca. Lui si girò e le guardò, sorridendo a sua volta. Le risate sono contagiose, anche se non sapeva di esserne la causa. Solo dopo la mezzanotte Stella poté finalmente lasciare il locale, sebbene ci fosse ancora molto movimento, era giunta la fine del suo turno e poté tirare un sospiro di sollievo. Rabbrividì e si avvolse ancora di più nel suo golfino. Respirò a pieni polmoni. Aveva bisogno di ossigeno dopo aver trascorso ore tra le piastre roventi a grigliare hamburger e avvertire l'aria fresca e pulita muoversi intorno a lei era una sensazione paradisiaca. Prese la bicicletta e si diresse rapidamente verso casa. Abitava su Brannan Street, una zona incantevole della città caratterizzata da colorati edifici di fine Ottocento intervallati da modernissime costruzioni, a poca distanza da China Basin, il quartiere dove si trovavano sia il fast food sia l'Oracle Stadium. Stella viveva con zia Allie, una cugina della madre, una donna sulla sessantina ancora molto piacente e giovanile che era rimasta vedova pochi anni prima, ed era tornata a San Francisco dal New Jersey. Essendo originaria della California, non aveva mai sentito il Golden State casa sua e in quella fresca baia aveva lasciato il cuore. Era stato per lei naturale tornare a stabilirsi lì definitivamente dopo la morte del marito. Aveva mantenuto in buono stato il suo immobile, una casa in vecchio stile Queen Anne, grazie alla riscossione di affitti astronomici. Da quando San Francisco era diventata la capitale del tech un appartamento in zona poteva assicurare una buona rendita. Stella era orfana dei genitori, persi in un'incidente d'auto all'età di tredici anni. Era finita subito in una casa-famiglia per una difficoltà temporanea di trovare a chi affidarla, e si rivelò un'esperienza non così terribile come si potrebbe pensare, grazie alle cure degli amorevoli operatori della struttura e anche ai suoi compagni, sfortunati come lei ma molto accoglienti. Piuttosto, il problema fu superare lo choc e adattarsi a una vita completamente diversa, nuova e piena d'interrogativi. Cercò di tenere duro; la sua idea era di uscirne alla maggiore età e per fuggire dalla realtà si buttò a capofitto nel suo mondo fatto di libri e di studio, del resto, una delle poche possibilità che aveva era quella di studiare e non si fece scappare l'occasione. La zia venne a cercarla quando ormai erano trascorsi quasi tre anni dalla morte dei genitori. Era dispiaciuta di non averla potuta aiutare in quel momento tragico. Era stata contattata come unico parente, ma il marito non volle saperne di prendere estranei in casa, men che meno un'adolescente; pertanto, con dispiacere, l'aveva lasciata al suo destino perché questa possibilità aveva innescato una vera e propria crisi tra i due coniugi. Ma quando Allie si ritrovò vedova, poté prendere Stella in affidamento. (...) *** Il giorno dopo si alzò presto: era indietro con lo studio, era indietro con tutto. Al fast food nelle ultime due settimane le avevano chiesto alcuni straordinari, e pertanto organizzarsi stava diventando davvero complicato. Nonostante non avesse molto tempo, si mise di buona volontà sull'enorme tomo che doveva memorizzare per l'esame successivo. Alle dodici era di nuovo al lavoro. La giornata era più tranquilla della precedente, e mezzo turno scivolò via. Alla sua pausa, uscì sul retro e Alex si avvicinò per fare due chiacchiere. Si sedettero insieme sul marciapiede sul retro del locale, fu lui a rompere il ghiaccio iniziando una conversazione. «Ieri è stata dura. Hai visto il risultato del match?» «Sì, viva i Giants» disse scherzando. Le piaceva molto il baseball, alla casa-famiglia in cui aveva vissuto seguivano il campionato nelle sale comuni con un entusiasmo da stadio. «Mi sa che oggi pioverà» aggiunse Alex scrutando il cielo nuvoloso da sotto le sue lunghe ciglia bionde che schermavano due occhi chiarissimi e profondi. L'aria era carica di elettricità, come quella che sembrava esserci tra loro in quel momento. A un tratto il ragazzo si alzò rientrando. Stella lo seguì con lo sguardo restando pigramente seduta nella stessa posizione. Distese e accavallò le gambe inspirando profondamente l'aria di quell'inizio d'estate, e appoggiando le mani sul selciato, allungò la schiena come farebbe un gatto. Sebbene il cielo fosse grigio, si stava bene all'esterno e cercò di godere della piacevole sensazione di aria pulita, prima di rientrare e ritrovare l'onnipresente odore di fritto. Alex uscì dopo poco. La guardò sorridendo, aveva in mano due coni gelato e gliene porse uno. «Alla vaniglia, cioccolato e caramello, ho capito che ti piace...» disse un po' imbarazzato. «Sì, hai ragione, mi piace tanto. Lo hai notato anche tu?» Rise e quel sorriso stese Alex al tappeto. Stella sapeva essere seducente con tutta l'innocenza che la caratterizzava. La ragazza aggiunse un timido grazie, non si aspettava quel gesto da parte sua, né che lui potesse ricordare o conoscere i suoi gusti. Il gelato la faceva ammattire e lei spesso vi pranzava, forse Alex aveva notato quel particolare. «Sì ho visto che lo prendi spesso e che ti piace anche la versione con il pistacchio e il cioccolato fuso sopra.» «Mmh, non me ne parlare...» Si leccò le labbra al solo pensiero per poi tornare a gustare il cono che aveva davanti, mentre lui la guardava senza parole. Quel ragazzo la incuriosiva. Aveva dei modi molto gentili ed era sempre ben vestito, stile militare a volte o stile surfer, impeccabile tanto da sembrare uscito da una rivista. Molte volte Stella si sorprendeva a pensarci, non capiva cosa ci facesse in quel fast food, sembrava avere buone capacità. «Cosa ci fai in questo posto d'inferno?» Lui la guardò sorpreso, poi sorrise abbassando lo sguardo. «Beh non è stata propriamente una scelta. Il mese scorso ho perso il mio lavoro e avevo necessità di un impiego.» Stella lo guardò stupita e riuscì a dire solo: «Mi spiace.» «Non fa niente, cioè... è passato, ecco.» Guardò in avanti non fissando nulla in particolare, come se guardasse al futuro. «E che lavoro facevi?» chiese lei sempre più curiosa. «Sono un... informatico.» Stella notò un'esitazione nella sua voce, ma continuò ad ascoltarlo. «Lavoravo a San Jose.» «Wow... nel cuore della Silicon Valley.» Si girò e gli sorrise. «Allora devi essere bravo e... sono certa che tornerai a fare il tuo lavoro molto presto.» Lui annuì. «Lo spero. Ho presentato i miei curriculum altrove, siamo nella capitale del tech, qualcosa dovrà pur uscire fuori!» Stella lo guardava, certo lo ascoltava, ma soprattutto lo esaminava, non poteva ignorare il suo modo di fare: era così dannatamente virile! Lo fissava mentre parlava alternando lo sguardo dal viso al corpo, si accorse di aver iniziato ad agitarsi e il cuore le batteva forte. Non amava i tatuaggi e Alex ne aveva davvero tanti, in particolare su un braccio, che ne era totalmente ricoperto. Eppure, su di lui non le dispiacevano: il mix era ben riuscito. Si sorprese dei suoi stessi pensieri. Lo conosceva appena e non era proprio il suo tipo. Doveva essere diventata scema, pensò. Si alzò di scatto, lasciando il poveretto con una frase a metà. «È... tardi!» farfugliò. Girò le spalle e andò via in fretta raggiungendo in anticipo la sua postazione. Mentre prendeva gli utensili necessari al suo lavoro si ammoniva bofonchiando tra sé e sé. «Sarà meglio fare qualcosa di produttivo!» Mise poi nervosamente dei pezzi di carne sulla piastra rovente. “Chissà quante ragazze gli muoiono dietro” pensò.
Sarah Rivera
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