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Autore: Sarah Rivera
Fuori Controllo
Romance Medical
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Fuori Controllo
- Carino, vero? - le disse Patty facendole l'occhiolino ammiccante, mentre lavoravano spalla a spalla, senza fiato. Era una serata pienissima, merito del game dei Giants che si disputava a pochi passi dal fast food in cui lavoravano a China Basin. Patty si riferiva ad Alexander, cognome Pearson o meglio Alex, come diceva che tutti lo chiamavano, il nuovo ragazzo arrivato la settimana prima.
In effetti Alex era un ragazzo che si notava. Molto alto, muscoloso, dall'aria un po' nerd, capelli spettinati scuri e pizzetto intrigante. Aveva un sorriso candido e un'aria sfrontata. Era appena entrato nel loro spazio di manovra e Patty non gli toglieva gli occhi di dosso. - Non guardarlo così - le disse Stella. Risero. Lui si girò e le guardò sorridendo a sua volta. Le risate sono contagiose, anche se non sapeva certamente di esserne causa.
Il lavoro si fece via via più intenso e non ebbero più tempo di scambiare neanche una parola. Era ormai passata la mezzanotte che finalmente Stella poté lasciare il locale, sebbene ci fosse ancora molto movimento, era giunto il termine del suo turno e pertanto poté tirare un sospiro di sollievo.
Respirò l'aria esterna e rabbrividì, avvolgendosi ancora di più nel suo golfino: San Francisco nelle mezze stagioni aveva un clima piuttosto fresco, soprattutto durante la notte. Inoltre dopo essere stata per ore a contatto con le piastre roventi per la cottura degli hamburger, sentire l'aria pulita muoversi intorno a lei le sembrava un miracolo.
Prese la bicicletta e si diresse rapidamente verso casa. Aveva la fortuna di abitare su Brannan street, a poca distanza dall'Oracle Stadium, in una zona bellissima della città. Ovviamente non avrebbe mai potuto abitare a ridosso della baia, se non fosse stata da sua zia.
Allie, cugina della madre, una bella donna di 60 anni ancora molto giovanile, era rimasta vedova cinque anni prima ed era tornata a San Francisco dal New Jersey dove si era trasferita anni addietro. Non aveva mai sentito il Golden State casa sua. Era lì, in quella fresca baia, che aveva lasciato il cuore, e pertanto, lì tornò a stabilirsi definitivamente. Fortunatamente aveva mantenuto in buono stato il suo immobile, anche grazie alla riscossione di affitti astronomici. Possedeva una casa in vecchio stile Queen Anne che aveva suddiviso in due piani separati, di cui una parte di quello al piano terra attualmente lo aveva ceduto in affitto a due ragazzi lavoratori.
Da quando San Francisco era diventata la capitale del tech, un appartamento in zona valeva oro. Stella invece era orfana dei genitori, persi in un'incidente d'auto all'età di 13 anni.
Inizialmente finì in una casa famiglia, un'esperienza non così terribile come si potrebbe pensare, grazie agli operatori amorevoli che li curavano e anche a suoi compagni, sì sfortunati, ma che si dimostrarono accoglienti, nonostante tutto. Piuttosto il problema fu superare lo choc e adattarsi ad una vita completamente diversa, nuova, piena di interrogativi.
Cercò di tenere duro, la sua idea era uscirne alla maggiore età, certo non sarebbe stato facile. Per fortuna la sua fuga dalla realtà erano i libri. Si buttò a capofitto nello studio, una possibilità che le davano era studiare, e non si fece scappare l'occasione.
Zia Allie la venne a cercare quando ormai erano trascorsi quasi tre anni dalla morte dei genitori. Era dispiaciuta di non averla potuta aiutare, ma d'altronde cosa avrebbe potuto fare da migliaia di chilometri di distanza? Il marito, disse, non voleva saperne di prendere estranei in casa, men che meno un'adolescente, pertanto, con dispiacere, l'aveva lasciata al suo destino.
Neanche si conoscevano più di tanto, si erano viste poche volte, ma la zia chiese l'affido e la portò a casa con sé. A Stella non sembrò vero. Aveva di nuovo una casa e una stanza sua, ma soprattutto aveva una famiglia.
Il giorno dopo si alzò al mattino presto, era indietro con lo studio, era indietro con tutto. Al fast food nelle ultime due settimane le avevano chiesto alcuni straordinari, e pertanto organizzarsi stava diventando davvero complicato. Nonostante non avesse molto tempo si mise di buona volontà sul tomo alto cinque centimetri che doveva memorizzare per il successivo esame.
Alle 12 era di nuovo al fast food. La giornata era più tranquilla della precedente e mezzo turno scivolò via. Alla sua pausa uscì fuori sul retro. Anche Alex era di turno quel giorno e con il suo stesso orario, si avvicinò per fare due chiacchiere con lei.
Si sedettero sul marciapiede chiacchierando del più e del meno, del tempo, dei Giants. Lui allontanò un attimo e le portò un gelato alla vaniglia, ne aveva voglia e lo prese anche per lei. La fece sorridere, accettò volentieri, faceva caldo e in fondo era il suo preferito.
Quel ragazzo la incuriosiva. Aveva dei modi molto gentili, era sempre ben vestito, stile militare a volte o stile surfer, ma sempre perfetto. Sembrava uscito da una rivista. Tante volte si sorprendeva a pensarci, non capiva come si trovasse in quel fast food, sembrava avere buoni attributi.
Cogliendo l'occasione glielo chiese. Lui la guardò sorpreso, poi le disse che aveva perso il lavoro in ambito informatico il mese precedente. Aveva ovviamente presentato i suoi curriculum altrove, in quella zona sperava non fosse un problema ricollocarsi, ma nel mentre doveva pur vivere, pertanto aveva accettato la prima cosa capitata a tiro.
Lei lo guardava, certo lo ascoltava, ma non poteva ignorare quel suo modo di fare, era così dannatamente virile! Stava fissando la sua giugulare che si muoveva ritmicamente mentre parlava, si accorse di aver iniziato ad ansimare. Stella non amava i tatuaggi e Alex ne aveva davvero tanti, in particolare su un braccio che ne era totalmente ricoperto. Eppure su di lui non le dispiacevano. Il mix era ben riuscito. Lei si sorprese dei suoi pensieri, doveva essere diventata scema, pensò.
Si alzò di scatto lasciando il poveretto con una frase a metà. Gli girò le spalle e andò via, un minuto prima era alla sua postazione. Era meglio produrre qualcosa, piuttosto che stare a farsi venire le carie ai denti con un playboy che sinceramente, non solo non se la sarebbe proprio filata, ma probabilmente le avrebbe fatto più male che bene.
Il resto del turno fu un po' più faticoso. Sebbene San Francisco avesse turisti tutto l'anno, in primavera sembravano moltiplicarsi. Non erano lontani dalla baia. Quella era la sua baia dai colori caldi, la nebbia fitta e densa che avvolge i piloni del Golden Gate e cela soltanto la punta della Transamerica Pyramid. Doveva assolutamente tornare a riguardare la sua città con gli occhi di un turista.
...Si era di nuovo persa nei suoi pensieri.
-Svegliati Stella!- si disse tra sé. Forse era il caso di concentrarsi, visto che aveva già scambiato un hamburger per un toast. Nel frattempo le cose si complicarono perché gli misero Alex vicino e lui la distraeva. Sebbene fossero entrambi molto concentrati, e c'era veramente poco spazio per altro, ogni tanto i loro sguardi s'incrociavano, tra un pomodoro e un cetriolo e il suo viaggio ripartiva...ah se ripartiva!!
- Dio quanto sei scema! Ma si può? - Iniziò a parlare da sola e non si era resa conto di aver lasciato il microfono della cuffia acceso, pertanto Catherine che si trovava alla postazione Drive thru iniziò a mandarle dei cicalini, questo la distrasse e, pensando che lei volesse qualcosa, si allontanò dalla postazione e inceppò il meccanismo. Andò in tilt. In un attimo bruciò gli hamburger, fece cadere la salsa e, inciampando, cadde addosso ad Alex.
Trascorse un tempo che le sembrò un'eternità, lui la tenne stretta per non farla cadere e lei si abbandonò nelle sue braccia. Inspirò il suo profumo, sapeva di buono, le sue braccia erano forti, come le immaginava, la sua pelle era morbida e vide un particolare di un tatuaggio che aveva all'interno dell'avambraccio. Sarebbe rimasta lì per ore.
Si rese invece conto della situazione ridicola in cui si trovava, i colleghi li guardavano ridacchiando e soprattutto capì di quello che aveva combinato. Alex la guardava negli occhi, anche lui si era distratto nel frattempo, e rischiavano davvero di dover buttare tutto.
Ripresero il lavoro. A fine turno prese una lavata di testa dal Manager Donovan, da quando era lì non le era mai successo e la prese malissimo. Uscita alle esterno trovò Patty che l'aspettava. Erano d'accordo di andare in un vicino centro commerciale, cenare al volo insieme e visitare un paio di negozi che avevano in mente, ma l'amica le teneva il muso.
Aveva preso non si sa come una sbandata per Alex e l'accusò di filare con lui e di non averglielo detto. - Senti, frena perché non è così - le disse. - Alex non è tipo né per me, né per te. E' meglio tenerlo a distanza - . Certo lo ripeteva anche a sé stessa, perché si doveva convincere che era così.
Rientrando a casa ripensò all'intenso pomeriggio, era stanchissima, in preda a sentimenti contrastanti e tesa come una corda.
Si mise in pigiama e, nonostante la stanchezza, ingurgitò un tazzone di caffè con l'intenzione di tirare tardi sui libri. L'esame si avvicinava e non era uno scherzo. Non poteva permettersi ritardi. La zia Allie era stata fin troppo generosa con lei, le aveva pagato la metà del suo percorso universitario, ma l'altra metà spettava a lei e il conto saliva sempre più. Ovviamente ciò che guadagnava al fast food bastava a malapena per una parte, per il resto chiese un prestito d'onore, per coprire la differenza che mancava, e sperava di terminare quanto prima e iniziare a guadagnare veramente per ripagare il debito, prima che l'ammontare degli interessi diventasse insostenibile.
Si addormentò sul libro in una posizione scomoda. La mattina dopo si svegliò col torcicollo e di cattivo umore. Decise pertanto che, vista la situazione, probabilmente le avrebbe fatto bene svagarsi un poco. In effetti non aveva mai un momento libero, s'imponeva una disciplina tra il militaresco e l'ascetico, in pratica era sepolta viva in casa quando non lavorava. E adesso, fortunatamente, non aveva i tirocini che l'avrebbero costretta ad un vero gioco di incastri di orari. Decise di vestirsi e uscire. Avrebbe impiegato una delle sue due giornate libere nel suo proposito di - fare la turista nella sua città - e non vedeva l'ora!
Comprò un biglietto giornaliero per i mezzi pubblici e salì sul primo autobus alla volta di Fisherman's Warf.
Voleva salire su una Cable car e fare un giro panoramico, salire i pendii della città e ammirare dall'alto la meraviglia della natura in cui si trovava immersa. San Francisco non aveva uguali al mondo! Decise di scendere a Russian Hills e ammirare lo zig zag delle strade che si tuffavano nell'oceano, fermandosi per una pausa pranzo con un gelato. Riprese poi alla volta di Chinatown, ma fece solo un breve giro. Cercò per la zia un particolare unguento per la pelle delle mani che riteneva miracoloso, ma che si vendeva solo in una particolare bottega in quel quartiere. L'avrebbe fatta di certo felice.
Risalì ancora e arrivò a Union square. Fu accecata dal sole, la giornata era meravigliosa e decise di bighellonare per i negozi, molti certo inarrivabili, ma comunque ne valeva la pena.
Ad un tratto si fermò, non vedeva bene a causa del sole, ma le sembrò davvero di scorgere Alex che usciva da una boutique di Hermes con varie buste, segno di un abbondante e dispendioso shopping, per poi entrare su una macchina sportiva parcheggiata con una persona alla guida e in attesa proprio nei pressi del negozio. Si sentì davvero stupida, di certo non poteva essere Alex. Un ragazzo disoccupato in un fast food non poteva certo permettersi abiti di Hermes! –Inizio a vederlo dappertutto- e in effetti quel ragazzo molto bello e sofisticato gli somigliava parecchio. Il punto, però, era che neanche la sua passeggiata e il suo desiderio di evasione erano serviti allo scopo di cancellarlo dalla sua mente per qualche ora.
Dopo aver visitato i suoi negozi preferiti, si riavviò verso casa. Per fortuna grazie ad una leggera sciarpina che aveva indossato per tutto il giorno e alle tensioni sciolte per via della passeggiata, il collo non le faceva più male e decise, al rientro di rimettersi sui libri ed ebbe più fortuna.
La zia era uscita e si mise comoda in cucina, dove mangiò qualcosa di veloce e si immerse. Come spesso accadeva, studiando, perdeva la cognizione del tempo. Arrivò oltre la mezzanotte. Sua zia la trovò che ripeteva e faceva schemi. - Sei ancora qui? - le disse - non ti sei stancata oggi in giro tutto il giorno? - . Si fecero una tisana e chiacchierarono un pochino. Le raccontò la sua serata tra uno sbadiglio e l'altro. Risero di gusto per alcune battute e andarono a letto.
L'indomani era di nuovo libera e ne approfittò per studiare tutto il giorno. Si mise sul terrazzo retrostante, c'era un tiepido sole e si stava davvero bene. Dietro la loro casa insisteva l'uscio dei loro affittuari con una piccola porzione di giardino. Si trattava di due programmatori presso aziende collegate con i grandi nomi situati nella vicina Silicon Valley.
Spesso si fermavano a chiacchierare insieme e, ogni tanto, salivano a prendere il caffè quando la zia Allie sfornava dolci da svenimento che attiravano tutto il quartiere. Talvolta invece erano loro due a scendere, soprattutto se c'era l'opportunità di fare un barbecue.
Finì presto e decise di fare un po' di moto. Ultimamente dedicava poco tempo all'attività fisica. Indossò quindi un completo sportivo e, infilate le sue scarpe sportive più comode, iniziò una veloce passeggiata nel quartiere. Decise poi di andare a letto presto, il giorno dopo era in turno di apertura e dunque voleva arrivare riposata. Fino all'esame sarebbe stata lunga! Prevedeva nottate sui libri e si andava incontro al weekend in cui il da fare aumentava in modo significativo.
L'indomani mattina arrivò a lavoro un po' in anticipo, trovò già tre suoi colleghi tra cui Alex. Vederlo la fece trasalire –eppure era normale potesse esserci, perché tanta sorpresa? - si disse tra sé. Bevevano un caffè e le chiesero di unirsi a loro. Robert e Tom subito si avviarono dove erano stati collocati, l'uno alla cassa e l'altro a programmare le friggitrici, lei restò con Alex.
Si sentiva una liceale alla prima cotta e questo non riusciva a perdonarselo. Aveva la lingua incollata, riuscì solo a dire che il caffè era buono e a pensare che si fosse bevuta il cervello insieme a quel caffè. Alex le sorrideva e la guardava, le chiese gentilmente cosa avesse fatto nei giorni precedenti, sottolineando che a lavoro era stato un inferno. Il capo aveva fatto una ramanzina pure a lui e, dunque, era stato sotto osservazione. Sapere questo le dispiacque moltissimo. In fondo era colpa sua e della sua stupidità se ciò era accaduto, invece il lavoro era una cosa seria! - Mi dispiace tanto, Alex. Mi sento responsabile, in fondo ho combinato io il casino, tu mi hai solo aiutato. Scusami - Lui la guardò teneramente e le accennò una carezza sul viso, le disse di non preoccuparsi, che non era successo niente. Sentire il suo tocco fu come una scossa. Si doveva in effetti svegliare perché non andava affatto bene così. Alex si spostò e avviò verso la sua postazione, dietro di lui vide Patty in arrivo che, ovviamente, aveva di nuovo frainteso tutto.
La salutò a mezza bocca e si mise subito alla sua postazione, consultando il tabulato di riferimento. Era ora di aprire ormai, e Stella e tutti gli altri fecero lo stesso. Non riuscì a parlare con Patty fino alla pausa pranzo e anche in quel frangente lei non volle sentirla. Prese un panino e se ne andò fuori. Ci restò male, non aveva fatto niente per meritare questo comportamento da parte della sua amica. Doveva assolutamente chiarire questo con lei.
Alla fine del turno, il pomeriggio, rincorse Patty nel parcheggio. - Perché ti stai comportando in questo modo? - le chiese in modo diretto, piantandosi davanti a lei. - Se è per Alex ti sbagli di grosso - . Lei la spostò diretta verso la sua macchina, non aveva intenzione di perdere tempo. Poi si girò e le disse - non è per Alex, ma tu non sei sincera e questo mi dispiace - . Non capiva. - In cosa non sarei sincera? - Le rispose - tu continui a negare l'evidenza, ma lui ti piace un sacco e secondo me lui contraccambia - .
Non capiva il problema. - Non ho mai detto che non mi piace, è un bellissimo ragazzo, piacerebbe a 90 donne su 100 e probabilmente sono nelle 90, ma io non lo sto incoraggiando, né lo sto cercando, semplicemente mi voglio tenere alla larga. - Non aveva mai lontanamente preso in considerazione che lui potesse interessarsi a lei. Certo era carina tutto sommato, ma si conciava come un metalmeccanico a lavoro e non poteva dirsi di certo attraente!
- Mi dispiace che tu ce l'abbia con me, mi dispiace l'idea che tu possa mettere da parte la nostra amicizia per una cosa del genere! - Lei le rispose - bene, se a te non interessa, lui interessa a me e quindi sei pregata di stargli alla larga! -
Stella era semplicemente senza parole. Si girò e andò via, un comportamento del genere non meritava nemmeno una risposta.
Prese la bicicletta e corse via. Non capiva. Lei non si sarebbe mai comportata così. Sentì ad un certo punto un clacson, capì in ritardo che quella macchina ce l'aveva proprio con lei. Si fermò, anche se non sapeva se doveva farlo. Era un pick up malandato e da lì scese Alex. - Ho cercato di chiamarti, ma sei andata via come una furia - . Aveva in mano il suo cellulare, lei non si era accorta di non averlo. - Oddio, grazie, mi dispiace tu sia dovuto arrivare fino a qui - . - Sei veloce in bicicletta - le disse sorridendo. Si avvicinò, ma lei si allontanò bruscamente e, balbettando un - devo andare - corse via.
Rincasò a razzo. Era grondante di sudore per la corsa fatta, in particolare nell'ultimo tratto, in cui aveva cercato di mettere una distanza la più grande possibile tra lei e Alex. Quel ragazzo le faceva un effetto che nessun altro uomo aveva avuto su di lei. Diventava impacciata e questo non le piaceva, in generale non le piaceva alcuna situazione di cui non aveva il controllo e questa purtroppo era in cima alla lista.
Doveva risolvere questo problema, in cuor suo sperò che trovasse lavoro e se ne andasse altrove e di non avere più sue notizie. Non era a caccia di avventure, men che meno nel lavoro, non ne aveva il tempo.
Visto che aveva tutto il pomeriggio e la serata davanti a sé, si preparò un toast e un succo d'arancia e si buttò a capofitto sul tomo finemente illustrato in cui c'era così tanto da memorizzare che credeva ciò le avrebbe impegnato l'intera vita. Invece aveva tempo solo fino al successivo venerdì, cioè una settimana e, soprattutto, senza possibilità di fallimento!
Tornare indietro sarebbe stato un grosso problema, sia economico che logistico, in quanto questo sarebbe stato l'ultimo esame importante del suo terzo anno di studi.
Aprì la posta elettronica e trovò la comunicazione che attendeva con terrore, cioè la ripresa delle attività di tirocinio. Questo l'avrebbe costretta a ricominciare a correre avanti e indietro, mezza giornata da una parte e mezza da un'altra.
Sabato aveva un turno spezzato e, dunque, optò per portarsi dietro i libri e andarsene a studiare in un caffè nei pressi del locale, anche per cambiare aria. La mattina successe di tutto. Le persone arrivavano a frotte. Per quanto avessero saputo di una manifestazione su un personaggio dei fumetti che si sarebbe tenuta nello spazio dell'Oracle Stadium, in verità non ne avevano capito la reale dimensione. C'era una processione di persone all'esterno e molte entravano, chi per un gelato, chi per mangiare, chi per un semplice caffè o una bibita. Si trovarono sottodimensionati e ci furono momenti difficili. Inoltre Alex si tagliò ad una mano con un coltello. Sbiancò in un attimo a causa del sangue che usciva copiosamente, lei era di spalle. Non aveva visto nulla ed era concentrata tra il video degli ordini e l'auricolare. La chiamarono immediatamente.
Era il Manager Trevor - Stella, Alex ha una brutta ferita alla mano. Se puoi guardarlo un attimo tu per valutare la gravità, altrimenti devo chiamare l'ambulanza, non ho alternative in questo momento - . Lei annuì e seguì la sua collega Carmen nel retro dove Alex era seduto con la mano fasciata in una benda inzuppata di sangue e una smorfia di dolore sul viso. - Tu saresti il medico? - la guardò sconvolto!
- Non sono ancora un medico, magari! - Il taglio era brutto e profondo, ma non abbastanza da aver reciso vasi sanguigni importanti, pertanto poteva procedere anche da sola. - Sei fortunato perché abbiamo un piccolo kit per il pronto soccorso e l'anestetico. Ho eseguito questa manovra tante volte, puoi stare tranquillo. Se per te va bene posso suturare io. Ti fidi? - . Lo guardò con aria innocente e professionale, come quando si trovava in ospedale. Lui era sbigottito, a parte che probabilmente aveva parecchio dolore, ma non riusciva a ricollocarla in quel nuovo ruolo. - Va bene, grazie - le disse soltanto.
Lo disinfettò accuratamente, ma prima gli inoculò dell'anestetico in modo che non avesse dolore localmente e cercò di suturare con il materiale che aveva con sé. Alex aveva delle bellissime mani curate, morbidissime, ma callose sui palmi. Era una strana combinazione, probabilmente frequentava la palestra senza guanti protettivi. I suoi muscoli da qualche parte dovevano pur arrivare. Gli fasciò la mano e gli consigliò di tornare a casa.
Non ne volle sapere e fece a cambio con Robert alla cassa. In effetti era un brutto momento per allontanarsi, la loro assenza aveva creato il panico nelle retrovie. Stella prese il posto di Alex che era al taglio verdure, mentre la sua postazione della preparazione ordini al banco, che restò scoperta, fu occupata da Robert. In quella situazione non se la sentiva neanche di andare in pausa pranzo, ma venne obbligata, pertanto si avviò verso l'uscita più in fretta che poté, con in testa il proposito di andare a studiare al caffè di fronte.
Aveva due ore e doveva farle fruttare. Ordinò una insalata con crostini, come piaceva a lei, pollo grigliato e succo d'arancia. Tra un boccone e l'altro s'immerse nello studio. Non si accorse che Alex l'aveva seguita nel locale ed era piantato davanti a lei. Tossì per attirare la sua attenzione. Stella lo guardò come se fosse un ufo atterrato davanti al piazzale. Cosa ci faceva lui lì adesso? Rischiava di scombinare tutti i suoi programmi, lei aveva i minuti contati.
- Posso sedermi? - le chiese. –Alexander Pearson adesso che cosa vuoi?- pensò tra sé. - Certo - gli rispose con un sorriso. - Ti sono veramente molto grato, credimi - . Sembrava imbarazzato, poi invece si rilassò. - Sai, talvolta ho come l'impressione che tu cerchi di evitarmi, anche se non ne capisco la ragione - . –E te la spiego io la ragione, Alexander Pearson. Vorrei scappare su un'isola deserta con te e non tornare più alla civiltà, ma poiché ciò non è possibile, causa probabile delusione dietro l'angolo, mi faccio i fatti miei- ecco avrebbe dovuto proprio dirglielo. Invece si limitò a sorridere e dire - no, ma che dici, cosa te lo fa pensare? - Lui la studiò per un attimo, poi abbassò lo sguardo e le chiese con un sorriso sornione - posso mangiare anche io qui con te? -
Questa era una tragedia! Intanto punto primo non avrebbe potuto studiare; punto secondo la presenza ravvicinata di Alex indeboliva il suo proposito di tenerlo a distanza. Era come guardare un pasticcino ed essere nel contempo a dieta ferrea per un diabete. Cosa poteva dirgli? –No, vai lì c'è un posto libero? - La risposta era scontata. Pertanto lui ordinò il suo pranzo e lei non riuscì a studiare.
Dopo poco la sua resistenza si sciolse e trascorsero quel tempo che gli era dato in compagnia raccontandosi un po' di loro. Quindici minuti prima di rientrare al fast food si avviarono. Rientrando trovarono ancora più persone in coda, sembrava di tuffarsi in una mischia.
2.
Al termine del suo turno captò il Manager Trevor e gli parlò della sua necessità di ridurre gli orari. Lo aveva chiesto altre volte nei due anni precedenti, ma questa volta la risposta fu diversa. - Non è possibile Stella, sono cambiate le leggi e questo non si può più fare. Non è possibile dare turni più lunghi a recupero - .
Le crollò il mondo addosso. Venne assalita dal panico. - E adesso cosa faccio? - Lui capì la situazione, sapeva perché lo chiedeva. - L'unica cosa che posso consigliarti è di passare ad un tempo parziale - , ma ciò era un problema. Lo stipendio si sarebbe ulteriormente ridotto. Era circa a metà del suo percorso e non poteva mollare assolutamente, né poteva pesare più di così sulla zia. Lo ringraziò per la proposta, dicendo che ci avrebbe pensato su. Uscì all'aria fresca, di corsa. Bruciava per la rabbia. Si trovò di fronte Alex che stava andando via, ma aveva appena realizzato che, probabilmente, guidare con la mano fasciata e dolente non sarebbe stata una passeggiata, dunque era fermo appoggiato alla portiera. Lei gli sorrise, capiva la circostanza, ma non avrebbe avuto problemi con il cambio automatico, solo qualche fastidio.
Si congedarono, era ormai ora di cena. Iniziò a piovere proprio in quel momento. Lei si coprì con la giacca, e raggiunse la sua bicicletta. Alex si avvicinò con la macchina e le fece cenno di salire, che l'avrebbe accompagnata. Sinceramente per come stava intensificando la pioggia, non se la sentì di rifiutare, caricò la bicicletta, che per fortuna era leggera, sul retro del pick up e salì anche lei.
L'abitacolo della macchina la costringeva a stare molto vicino a lui. A Stella sembrava di soffocare, avrebbe voluto correre via a gambe levate. Poteva sentirlo respirare, poteva vedere i dettagli dei suoi tatuaggi sul braccio che teneva il volante, guardava rapita le sue mani, tra cui quella infortunata, che lo stringevano, immaginando che lui potesse accarezzarla ovunque con quelle stesse mani, così morbide. Era imbambolata e atterrita dai suoi stessi pensieri. Sentiva che il suo corpo, ma a ruota il suo cervello, la stavano tradendo inesorabilmente. Alex le stava parlando, ma lei non capiva.
Si fermò al lato della strada, era visibilmente preoccupato. La scosse piano e le chiese come stava. Lei tornò in sé e lo guardò. - Ti stavo domandando dove devo andare perché non lo so. Stavo seguendo la strada dell'altra volta, ma da qui non so procedere. - Si era fermato nel punto dove le aveva riconsegnato il cellulare. Stella ricollegò quattro neuroni e gli disse che doveva assolutamente fermarsi al supermercato, quindi che avrebbe potuto lasciarla lì, dando indicazioni. - Sei sicura? Io posso aspettarti se vuoi, piove tanto - . Lei disse di no, avrebbe preso un ombrello, poteva procedere a piedi fino a casa, perciò gli chiese di tenere la bici, se non fosse un problema. Lo ringraziò e uscì dall'automobile quasi allibita. Fare la spesa le fu impossibile, non era concentrata, si limitò a prendere poche cose e di avviò verso casa.
Si spogliò e fece una doccia, era fradicia e soprattutto voleva togliersi di dosso gli abiti del lavoro. Non vedeva l'ora di terminare i suoi studi e di cambiare vita, per quanto questo lavoro le stesse dando un minimo di indipendenza, non sopportava più di portarsi a casa quegli odori forti del fast food. La doccia le ridonava un profumo femminile.
La zia era uscita, come ormai faceva sempre più spesso al sabato, perciò era sola. Fece tutto con calma, si infilò una canotta e un paio di slip e così rimase. Fuori pioveva, ma in casa era caldo e umido. Il condizionatore era rotto e non aveva speranza di una frescura della deumidificazione. Sentì il bisogno di stare in libertà, visto che poteva. Si allungò sul letto con l'intenzione di ripassare, aveva già preparato tutto il materiale sul comodino, ma accese la televisione per vedere se stavano trasmettendo le repliche di una serie tv che le piaceva molto e che voleva registrare, ma in qualche modo il suo pensiero deviò su Alex. Spense la tv e iniziò a fantasticare su di lui, a tal punto che cominciò ad accarezzarsi, procurandosi un intenso piacere e poi restò così, senza forze e senza parole.
L'indomani tornò a lavoro sempre con la prospettiva di uno spezzato. Era angosciata all'idea di vedere Alex e che soprattutto lui potesse in qualche modo intuire ciò che le passava per la testa. – Devo stargli lontano. Lo avevo capito subito quanto fosse pericoloso! – si disse tra sé. In verità scoprì subito che Alex non c'era. Chiese a Robert, gli disse che si erano sentiti, la mano gli faceva molto male e non sapeva come fare per il lavoro. Almeno per questi primi giorni sarebbe stato a casa. L'unica disdetta è che era totalmente a piedi adesso, perché la bicicletta ce l'aveva lui.
Lavorò con poco entusiasmo, meccanicamente. Il cervello le andava spesso sull'esame imminente, era preoccupata, ma doveva tenere duro fino alla fine del turno mattutino, poi avrebbe potuto studiare un po' al caffè di fronte.
Arrivò sfinita al termine del turno serale. Il suo rientro si allungava anche perché doveva aspettare un autobus. Patty la rincorse fuori. Si scusò per essersi comportata in quel modo così ostile di fronte alla sua richiesta di chiarimento. Anche lei ci aveva riflettuto - nessun uomo vale quanto una buona amica - le disse sorridendo, oltretutto, in questo caso, si trattava più di fantasia che di realtà. Alex non aveva mostrato alcun interesse nei suoi confronti, quindi non valeva poi la pena di scaldarsi tanto. E comunque questo non doveva allontanarle. - Ma perché stai andando a prendere l'autobus? - . Lei tagliò corto le disse solo che aveva avuto un problema.
Patty si offrì di accompagnarla. Accettò per la fretta che aveva di rientrare, non poteva concedersi nulla fino a venerdì! Ormai la frenesia si era impossessata di lei. Rincasò in tutta fretta e si mise sui libri, doveva assolutamente rispettare il programma che si era prefissata. I giorni passarono veloci tra casa e lavoro. Alex non era più tornato, ma con sua incredibile sorpresa, lunedì le riportarono la bicicletta al ristorante con un suo biglietto. Aveva incaricato una persona per la consegna, per non crearle ulteriore disagio. Non le sembrò vero! Almeno avrebbe potuto muoversi in modo più indipendente. Si chiedeva quando sarebbe tornato –ma sei una deficiente! Prima te ne vuoi sbarazzare e adesso lo aspetti? - Ogni giorno sperava tornasse; ogni giorno entrando nel ristorante, guardando il prospetto postazioni, notava la sua assenza e si rese conto che voleva rivederlo, altroché.
Questa era l'Apocalisse! Era arrivata e inesorabilmente si abbatteva sul suo equilibrio. Lei stava bene così, single, gli uomini rappresentavano una complicazione e non voleva saperne. Non aveva tempo per questo! Eppure...
Giovedì era il giorno prima dell'esame. Era ormai preda dell'ansia, la testa le pulsava per il dolore, sebbene avesse preso un forte analgesico. Iniziava a risentire del sonno irregolare, dello stress e della fatica degli ultimi giorni. Ormai erano entrati in giugno e il lavoro diventava sempre più pesante. Aspettavano l'arrivo dei rinforzi, che in genere venivano arruolati e inseriti entro il 15 giugno. L'estate era un delirio e, almeno fino a settembre, l'organico veniva incrementato. In questo clima, aggiungere la variabile studio faceva una grande differenza.
Quel giorno aveva apertura, vide il nome Alexander nel prospetto dei turni. Provò una gioia che non avrebbe immaginato. Il cuore le cominciò a battere forte per l'agitazione. Vide che lui sarebbe arrivato a mezzogiorno e, senza rendersene conto, fino ad allora guardò in continuazione l'orologio. Per fortuna il mal di testa si era alleggerito e riuscì a lavorare, per fortuna avrebbe dovuto soo incartare i panini quel giorno. Quando arrivò Alex tutti lo salutarono rapidamente, lei rimase senza parole e questa purtroppo non era una novità. Più che altro notò che era...cambiato. Aveva fatto delle schiariture ai capelli, indossava degli occhiali da vista con una montatura nera che non gli aveva mai visto prima e che, a suo parere, accentuavano quella sua aria da nerd e aveva rasato il pizzetto. Con indosso dei jeans che scolpivano le sue forme e una t-shirt scolorita con un paio di sneakers alla moda, sembrava diverso dal solito Alex che aveva imparato a conoscere.
Lui la guardò e si avvicinò un attimo per salutarla dandole un bacio sulla guancia, le mostrò la mano senza fasciatura, lei notò che si era rimarginata per bene, per fortuna. Lui le sorrise, poi scappò via perché altrimenti avrebbe iniziato in ritardo e creato troppo scompiglio, il manager Donovan aveva già fatto cenno a tutti di riprendere le proprie postazioni.
Lei era rimasta indietro a quel bacio. Era stato così innocente e veloce, ma fu per lei sufficiente per far partire una reazione ormonale a catena. Il suo profumo, i suoi capelli, in un attimo aveva avuto la percezione di tutto questo. Lo avrebbe preso e stretto a sé con la necessità impellente di sentire il suo corpo premuto contro il suo, i capelli glieli avrebbe tirati delicatamente rigirandoli tra le sue dita, direzionando delicatamente la sua testa verso di lei per poterlo baciare appassionatamente, ecco quello che avrebbe fatto.
Iniziò ad ansimare, si fermò e restò con lo sguardo perso per un po'. Patty le si avvicinò, aveva visto la scena, aveva visto la reazione dell'amica e vedeva i panini che si accumulavano alla sua destra. Decise di darle una mano. Stella dopo una attimo la ringraziò con lo sguardo, era tornata in sé e non si sarebbe più distratta, Patty aveva lasciato la sua postazione per aiutarla e questo poteva costarle caro, era stato un bel gesto.
Per il resto della giornata si tenne a distanza di sicurezza da Alex. La sua tempesta ormonale la preoccupava e, per fortuna, sembrava placarsi alla giusta distanza. Doveva rifuggire le occasioni di averlo vicino. Alle 4 in punto lasciò il suo posto al sostituto arrivato puntualissimo e andò a cambiarsi. Alex la raggiunse nello spogliatoio del personale, aveva fatto meno pausa, lei questo non lo sapeva, per poter avere quei minuti per parlarle. Era in mezzo alla porta e lei non aveva via di fuga. In tono sgarbato gli disse subito - Perdonami, ma ho veramente fretta - e si avviò verso di lui che bloccava l'uscita con la sua statura. Alex ci restò visibilmente male - ok! - le disse e si spostò per farla passare, ma proprio quando lei stava attraversando la porta allungò il braccio per fermarla. Così si ritrovò dove avrebbe contemporaneamente voluto e non voluto essere, cioè vicino a lui guardandolo con un'aria interrogativa.
- Volevo solo parlarti un attimo - le disse - Ti ho pensata in questi giorni, ma non avevo modo di comunicare con te. Questo mi è dispiaciuto molto. Mi piacerebbe poterlo fare, in futuro - , la guardò negli occhi e poi guardò l'orologio. Il suo tempo era scaduto. Si mosse e riuscì solo a dirle - il mio numero di telefono - , mentre le metteva un biglietto in tasca.
Stella uscì dal locale di corsa. Aveva bisogno di aria. Si appoggiò al muro e guardò il biglietto. Sì era un numero di telefono, lo appallottolò e lo ficcò con rabbia nella borsa.
Per la prima volta aveva paura, sì paura, delle sue reazioni traditrici, di perdere il suo fragile equilibrio. Finora non aveva dovuto fare niente, era stata trasportata dalla corrente, dai fatti, dagli eventi. Adesso le veniva chiesto di fare qualcosa, cioè di usare quel numero e non sapeva cosa fare. Tutto questo arrivava alla vigilia di un esame e questo non glielo perdonò. –Non poteva scegliere un altro giorno?-
Arrivò anche l'esame. Quando sentì il suo cognome Reed si presentò. Era nervosa, ma dopo le prime domande si rilassò e uscì fuori tutto quello che sapeva. Prese il massimo e questo fu una ulteriore iniezione di fiducia, una ulteriore conferma che la strada che aveva intrapreso era quella giusta. Non vedeva l'ora di ricominciare il tirocinio.
Rientrò con i mezzi dalla clinica universitaria e non seppe resistere ad una tappa in zona Union Square. Fece una passeggiata tra la folla, mangiò uno spicchio di pizza e si tuffò nei negozi. Voleva concedersi un po' di frivolezza. S'impegnò nella ricerca di un paio di vestitini, in estate erano una salvezza e al contempo molto femminili. Ne trovò quattro, ma era necessario scegliere, tutti non avrebbe potuto comprarli. Si diresse in camerino e ne scelse due, uno blu e uno a fantasia. Entrambi le stavano a pennello. Decise che ne aveva abbastanza. Il suo budget di spesa era azzerato e soprattutto si era fatta sera. Rientrò che erano quasi le 8.
Fu accolta dal profumo di una torta alle mele, tra le sue preferite e soprattutto specialità della zia. - L'ho fatta per festeggiare il tuo esame - le disse abbracciandola - E' andato tutto bene, zia, ho preso il massimo e sono proprio soddisfatta - . La tavola era già apparecchiata, la zia si era impegnata in cucina preparando una cena buonissima. Spadellò un piatto semplice, spezzatino di pollo con le spezie e patate, anche questo uno dei suoi piatti preferiti.
Mentre rimettevano a posto la cucina Stella decise di affrontare il problema che non riusciva a risolvere. - Zia non riescono ad aggiustarmi i turni per il tirocinio. Dicono che la legge è cambiata e non si può più fare. L'unica alternativa che mi hanno dato è passare al part time - . Trattenne il fiato in attesa della risposta della zia, era fondamentale capire come la pensava a riguardo. Necessitava del suo supporto economico oppure avrebbe avuto una battuta d'arresto e avrebbe impiegato il doppio del tempo a fare l'internato, con conseguente slittamento dell'esame di abilitazione finale e ulteriori spese.
La zia la guardò in modo amorevole e le disse - Stella cara, non mi fa una grande differenza se porti a casa 400 o 500 dollari in meno. Sai bene che prima finisci e meglio è, per te! E' ammirevole ciò che fai e come ti impegni nelle tue cose, ma ciò che mancherà potrà comportare eventualmente una rinuncia a un qualcosa in più. Qui non mancherà niente di fondamentale, stai tranquilla - .
Stella si sentiva sollevata di un peso enorme - grazie zia! - L'abbracciò fortissimo e corse su in camera sua. Era proprio ora di sciogliere le tensioni, cambiarsi e mettersi a dormire.
Sabato arrivò al fast food proprio sul filo dell'orario d'inizio. Si era svegliata tardi. Tutti erano già in postazione, lei doveva ancora cambiarsi. Sperò di non avere una strigliata di prima mattina. Il manager Trevor era totalmente intransigente, soprattutto sull'orario. Lei si cambiò velocemente e iniziò in orario. Si guardò intorno Alex non c'era. Patty capì immediatamente i pensieri dell'amica. - Non c'è! Oggi non è in turno - . Elaborò e mise via l'informazione. Si concentrò nel lavoro. Quel giorno aveva un turno più lungo perché lo aveva invertito con Patty. Le aveva detto che aveva un appuntamento, ma non sapeva i dettagli. Era stata così presa dall'esame nei giorni precedenti che non l'aveva sentita molto. Il pomeriggio fu pesante a causa degli eventi del fine settimana all'Oracle Stadium; c'era un concerto di un famoso rapper e c'era stato il via vai degli spettatori dalla mattina, lo stadio probabilmente era stracolmo perché il numero delle persone aumentava a vista d'occhio.
Tornò a casa a pezzi. Decise di farsi un bagno, si spogliò e si guardò allo specchio. Non riusciva mai a concedersi molto tempo per sé. Si rilassò moltissimo, al punto che, dopo essersi asciugata crollò esausta sul letto. Si svegliò dopo un paio d'ore. Arrivarono delle voci dalla strada. Era sabato sera in fin dei conti, c'era movimento, erano le 11. Non aveva cenato e scese giù a mettere qualcosa sotto i denti. Si fece delle uova strapazzate con del pomodoro, ma dormiva in piedi. Probabilmente tutta la tensione legata all'esame si stava sciogliendo e l'effetto fu un vero e proprio crollo fisico. Risalì e di nuovo si mise a dormire. L'indomani iniziava a mezzogiorno, pertanto si alzò relativamente con comodo, riuscì a fare colazione con la zia che le raccontò la sua serata. Stava frequentando un gruppo di signore sue coetanee con cui usciva regolarmente due volte la settimana per andare al cinema o al circolo bridge. Talvolta facevano delle passeggiate nella zona del Golden Gate National Park. Guardò l'orologio, tra le chiacchiere si erano fatte le 10:30. Doveva muoversi. Il lavoro anche quel giorno fu così estenuante che un po' tutti si lamentarono col manager che la situazione stava diventando insostenibile. Comunque si trattava ormai di aspettare pochi giorni, i nuovi ragazzi erano stati arruolati e stavano ricevendo la formazione. In capo ad una settimana sarebbero entrati a dare rinforzi.
Prima di andare via parlò un attimo col Manager Donovan dicendogli che era pronta ad accettare una riduzione di orario. Lui le disse subito che prima dell'ingresso dei nuovi ragazzi non avrebbe potuto concederle sconti. Lei annuì. Sapeva che ciò l'avrebbe penalizzata nei turni in ospedale, ma per fortuna solo per una settimana.
Uscì dal locale insieme a Patty e decisero di fermarsi al caffè di fronte per poter fare due chiacchiere. Le chiese del suo fantomatico appuntamento, la cosa l'aveva incuriosita alquanto. - Dai racconta, chi è? - . Le raccontò che la settimana prima aveva partecipato ad una festa ed era stata tutta la sera a parlare, o forse era meglio dire flirtare, con un ragazzo molto carino conosciuto lì di nome Joshua. A fine serata si erano scambiati il numero e lui l'aveva cercata. Poi ci fu un rimpallo e Patty buttò giù la domanda che lei temeva - E Alex che fine ha fatto? Tu lo sai? - . Lei si rabbuiò. - So quello che sai tu. Sai quello che penso di lui, quel ragazzo è un pericolo pubblico - e risero insieme - ma è così!!! Se sta lontano è meglio. Scherzi a parte mi sono accorta che se non c'è mi manca ed è questa la vera tragedia - . L'amica le prese la mano, di nuovo le chiese scusa. Alex era veramente un ragazzo molto affascinante, aveva veramente preso una sbandata per lui confondendo la sua gentilezza per avances, pertanto non poteva sopportare che lui facesse il cascamorto anche con lei. - Ma veramente Alex non ha mai fatto il cascamorto con me - . - Probabilmente perché tu non vedi come lui ti guarda, mia cara - e le fece l'occhiolino. - Ma cosa vuoi che guardi che solo per la puzza potrei essere scambiata per un falafel! - e si misero di nuovo a ridere. Alzò lo sguardo all'orologio del locale. Erano le 10 ed era veramente ora di rincasare.
Mentre rincasava decise che gli avrebbe scritto un messaggio utilizzando il numero che lui le aveva dato. Scrivere quelle due parole non fu mica semplice. Cancellò il messaggio varie volte, alla fine si limitò a scrivere un saluto e a ringraziarlo per avergli fatto riavere la bicicletta a tempo di record.
3.
Era arrivato il giorno dell'inizio del nuovo giro di internato coincidente con il termine delle lezioni e la pausa estiva. Adesso le pesava. Il terzo anno l'aveva consumata letteralmente! Però almeno l'anno seguente sarebbe stato più leggero. Doveva essere alle 8 in punto alla clinica universitaria, perciò si alzò prestissimo. Avrebbe dovuto prendere servizio insieme a Teresa in pronto soccorso, ribattezzato Emergency, poi avrebbe continuato in traumatologia.
Trovò Teresa in accettazione: consegnarono i documenti e furono invitate ad entrare. Lei venne affiancata al responsabile dell'unità, il Dott. David Corteon, che lei ribattezzò Dave. Un bell'uomo giovane, non sapeva dargli un'età precisa, poteva avere massimo quarant'anni, molto pacato, gentile. Le spiegò varie cose tra un paziente e l'altro, volle vedere cosa sapeva fare, la mise subito a suturare, ma quello per lei non era un problema. Teresa fu spedita al cospetto di una tale Dott. Nelson Gavior, supervisore del reparto, gerarchicamente subito al di sotto di Dave. Un uomo corpulento e gioviale. Doveva prestare servizio nelle sale dove stavano in osservazione quelle persone che arrivavano con sintomi giudicati inizialmente lievi, ma che in caso di crisi dovevano essere immediatamente dirottate nei reparti.
Arrivò in un attimo mezzogiorno, lei doveva scappare al fast food.
Mentre si spostava sul bus trovò un messaggio con scritto Alex. Non ci aveva pensato per niente, in effetti attendeva una sua risposta. Guardò con trepidazione e curiosità. - Grazie a te per aver aperto inaspettatamente questo canale di comunicazione tra noi. Ormai non ci speravo più! Tornerò domani a lavoro, ho avuto altre cose da fare. Bacio. Alex -
Il bacio alla fine la fece pensare alle sue labbra così carnose e perfette, al suo sorriso candido. –Dio mio che imbecille, devo essermi trasformata in queste due settimane! Non eri quella che doveva tenerlo lontano? Non eri quella che non aveva tempo da perdere con un playboy da strapazzo ?- Ben le stava e lo sapeva bene che - aprire il canale di comunicazione - , come diceva lui, sarebbe stato un problema in più da gestire.
Arrivò in anticipo, mangiò al volo un gelato alla vaniglia, si cambiò insieme a Tracy. La giornata volò. I ragazzi erano allegri, fecero battute nelle retrovie e ci furono momenti di sonore risate.
Il giorno dopo andò di nuovo in ospedale. Dave aveva in serbo una bella sorpresa per lei. La mise alla lettura delle radiografie. Ciò non era affatto semplice. - Ho visto che hai sostenuto il modulo di Radiologia - le disse con un sorriso di sfida. –Grazie Dave, avrebbe voluto dirgli!- In pratica era come giocare a mosca cieca. Non sapeva leggere bene una radiografia, sapeva solo come era fatta una radiografia, come era intuibile una frattura o una lussazione o una distorsione, ma non aveva alle spalle esperienza. Questo però Dave lo sapeva bene, perciò l'aveva guardata in quel modo. In un certo senso le aveva detto - adesso arrangiati con quello che sai, io sto qui e guardo - . –ok Dave, farò come vuoi!-
Arrivò un uomo proveniente da un incidente in moto. Era ridotto male. Oltre a necessitare di vari punti sul braccio e sulla spalla, aveva urgentemente bisogno di una radiografia, si lamentava per un dolore forte alla gamba che appariva non nella corretta posizione. Non potevano purtroppo somministrare antidolorifici prima di individuare il problema. Si mise allora accanto al tecnico e gli chiese di aprire le radiografie davanti a lei. Era un ragazzo molto carino e simpatico che rispondeva al nome di Thomas Hadley, si trovarono subito in sintonia. Lei cercò di fargli capire ciò di cui aveva bisogno. Thomas le ricercò le inquadrature che lei richiedeva, non aveva manualità con la macchina come invece l'aveva lui, e finalmente riuscì a capire come individuare la frattura. Dave la osservava sempre a distanza, durante tutto il tempo. Si consultavano di continuo e, fondamentalmente, lui le dava l'idea di apprezzare il suo operato.
Anche quella mattinata volò e dovette di nuovo scappare al fast food. Per fortuna poi avrebbe avuto il mercoledì libero e avrebbe potuto prendere fiato.
Trovò Alex che era intento alle piastre degli hamburger, Stella diede il cambio a Rob al taglio verdure. Lei ed Alex erano lontani, si volgevano le spalle. All'arrivo salutò tutti, anche Alex la salutò, ma il suo sguardo si fissò su di lei. Era come se volesse dirle qualcosa, ma non poteva a causa delle circostanze. Il solo guardarlo le fece venire un vuoto allo stomaco. –Ma perché quel ragazzo le faceva questo effetto? Ma cosa aveva di così particolare da mandarla perfino in confusione? –Come puoi pretendere di fare il medico se sei così suggestionabile al fascino maschile? - Immaginò di dover fare una vista ad Alex e che lui si dovesse spogliare completamente davanti a lei. Arrossì e ridacchiò da sola. I ragazzi al suo fianco Tom e Walter la guardarono con aria interrogativa, lei arrossì e fece loro un sorriso di circostanza, poi continuò a torturare le carote.
Alex andò via alle 4. Non fu possibile scambiare con lui neanche una parola. Finì il suo turno con poco entusiasmo. Era ovviamente stanca. In ospedale era molto tesa e lì dentro la cucina del fast food doveva essere perfettamente sincronizzata coi colleghi e le macchine per non fare errori. Il risultato era che si sentiva svuotata di tutte le energie. Al rientro salutò la zia che stava guardando un film e filò subito in camera sua. Diede una ultima occhiata al cellulare prima di crollare. Trovò un messaggio di Alex. Si risvegliò di botto. - Ciao. So che hai finito tardi. Non sono riuscito neanche a salutarti. Volevo farti una proposta. Ho visto che domani sei libera e, se ti fa piacere, vorrei vederti. La sera sono libero anch'io. Ore 8 Fisherman's Warf? - Non era certa di aver letto bene. Rilesse due o tre volte e piano piano il significato della frase si fece strada nel suo cervello. Alex le stava chiedendo un appuntamento? Era senza parole. Non riuscì a scrivere una risposta, era annebbiata dalla stanchezza, decise di chiudere il telefono, gli avrebbe risposto l'indomani. Non sentì la zia che era arrivata con una tazza di latte e dei biscotti. Aveva saltato la cena, ma ormai dormiva.
La mattina dopo, decise di rispondere ad Alex nel momento del tragitto in autobus. Al risveglio era sempre di corsa. Preferiva, se possibile, arrivare un po' prima in reparto.
Quel giorno lavorava insieme a Teresa. Erano state assegnate entrambe al terminale, una per scrivere referti di radiografie e l'altra per scrivere fogli di dimissione. Ovviamente nulla sarebbe uscito da lì senza la supervisione di Dave e Nelson. Se avessero scritto un sacco di stupidaggini gli avrebbero certamente stroncato la carriera.
Per fortuna lei non sbagliò nulla, Teresa invece non vide un piccolo frammento di frattura in una mano e prese una lavata di testa. Nelson ci andava pesante. Non sapeva cosa avrebbe potuto fare Dave in tale circostanza, ma aveva già capito che quel reparto era un plotone militare.
Tornò a casa che era un fascio di nervi. Finalmente poteva pranzare con calma non dovendo correre al fast food. Si ricordò di botto che non aveva ancora risposto ad Alex. –Oddio chissà cosa avrà pensato!- Andò a cercare il telefono che aveva lasciato in borsa e gli rispose di getto - ok! - . Rispose la prima cosa che desiderava.
La mattina dopo dormì fino a tardi, passò le ore più calde a crogiolarsi al sole del terrazzo sdraiata su una poltrona come i gatti. Il pomeriggio iniziò a venirgli una certa agitazione a causa dell'appuntamento che aveva con Alex. Arrivò molto nervosa. Lui l'aspettava davanti ad un rinomato bistrò. Quando lo vide aveva il cuore che le batteva forte –datti un contegno, per piacere Stella!-
Era intento a digitare sul cellulare, lei si fermò ad osservarlo a pochi metri. Quando Alex alzò la testa le sorrise dolcemente e si avvicinò e le diede un bacio su una guancia. - Ciao! Da quanto sei qui? - . Lei le rispose - abbastanza - ridendo, voleva prenderlo in giro. Lui le prese la mano e delicatamente fece strada. Le chiese se le andava di mangiare qualcosa, lei annuì. Si avviarono verso i chioschi dei pescatori. - Ti va la zuppa di vongole? - . Lei adorava quel piatto e glielo disse. Lui le confessò che era una delle cose che preferiva e che, da quando era a San Francisco, andava spesso a mangiarla. Effettivamente era un piatto molto sfizioso, ma soprattutto il modo di consumarlo, così alla mano era perfetto, sia per un pasto veloce che per trascorrere qualche momento in compagnia con una buona birra. Ed era così che fecero. Si sporcarono tutte le mani, risero come bambini, ma in fondo era quello lo spirito di quel posto. Alex era bellissimo, lei si sorprendeva di quanto le piacesse ogni cosa di lui. I suoi lineamenti delicati, la chioma perennemente indomabile con quelle nuove striature chiare, i suoi tatuaggi, il suo sorriso, il modo di vestire, il modo di essere. Non avrebbe cambiato niente di lui. Era questa la cosa davvero strana!
- Hai detto che vieni qui da quando sei arrivato a San Francisco, perché prima dov'eri? - Lui si irrigidì un attimo, poi le disse che abitava a Los Angeles e che era originario di Houston dove si trovava la sua famiglia, gli disse che era arrivato a San Francisco per lavorare, come appunto le aveva già spiegato. Durante la conversazione si erano incamminati a piedi verso il molo 39 che era insolitamente poco affollato. In genere pullulava di persone a passeggio, invece quella sera era abbastanza tranquillo. Si affacciarono sulla baia e guardarono i leoni marini, fu Stella ad irrigidirsi questa volta e lui se ne accorse. - Che succede? - le chiese avvicinandosi.
- Sai, questo è un posto che mi ricorda molto la mia infanzia, i miei genitori, venivo sempre qui con loro da bambina, di domenica - . Lo disse tutto di un fiato. Lui la guardò poi chiese - ma i tuoi genitori non ci sono più? - . Lei gli raccontò dell'incidente, della casa famiglia, della zia. Tutto uscì da dentro come un fiume, lo sentì vicino, non parlava facilmente di sé, soprattutto di questa parte del suo passato. Alex l'abbracciò delicatamente - mi dispiace - riuscì solo a dire, la tenne stretta però un po' accarezzandole il viso e i capelli - sei così bella con i capelli sciolti, dovresti portarli sempre così - , lei rimase senza parole, perché era il primo complimento che lui le rivolgeva. Si spostarono e andarono oltre, verso la giostra. Era il posto più bello del molo, la parte che però lei evitava di solito di raggiungere, gli girava alla larga. La musica della giostra, che era rimasta fedele a sé stessa negli anni, la faceva stare male. Le ricordava il suo papà che la guardava sorridente, mentre lei girava. Strinse forte la mano di Alex, continuarono la loro passeggiata fino al belvedere di fronte Alcatraz. Si fermarono a guardare il panorama, la sua adorata baia, i grattacieli da lontano.
Alex la strinse a sé e non poté fare altro che assecondarlo. La baciò dolcemente, lei si aggrappò alle sue spalle, era in punta di piedi, lui la teneva per la vita, riuscì finalmente a tuffargli le mani nei capelli e girò le sue ciocche fra le sue dita. Restarono per un po' così, guancia a guancia, si guardarono negli occhi e si baciarono ancora. Il suo cuore sembrava impazzito, ma riusciva a sentire anche quello di Alex. Lui respirava in modo irregolare, a lei stava per venire un infarto. Si staccarono bruscamente per un forte rumore proveniente dal molo, ma erano solo un gruppo di ragazzi che si facevano degli scherzi. Lui l'accarezzò di nuovo - vogliamo riavviarci? Se non ho capito male domani mattina devi essere in ospedale, giusto? - le sorrise. Proseguirono la strada abbracciati. Lei vide il tiro a segno aperto e sorrise. Lui intuì i suoi pensieri e le lanciò una sfida. Finirono col fare alcune partite e vinsero davvero un pupazzo, lei non poteva crederci. Tornarono indietro ridendo e lui, che aveva perso era obbligato adesso a pagare pegno. Lei lo prese tanto in giro e giocarono sulla cosa, sarebbe stata una scusa per fare qualcos'altro insieme.
Alex la riaccompagnò a casa. Lungo il tragitto, tra le altre cose, le chiese come poteva pagare l'università senza il supporto dei suoi genitori. - Ti ho già parlato della zia e di quanto lei sia la mia famiglia adesso. E' benestante e si è offerta di pagare la metà dei miei studi per un ammontare di 200 mila dollari, l'altra metà però devo pagarla io - . Adesso tutto gli tornava. - Quindi hai chiesto un prestito? - - Esattamente. Prestito d'onore che sto già ripagando in parte col lavoro e in parte lo pagherò quando inizierò a lavorare, a studi conclusi - . Nel frattempo erano arrivati nel quartiere e lei le indicò la strada per casa. Alex l'accompagnò fino alla porta, la strinse di nuovo. Lei si arrese a quel bacio, quell'abbraccio. Aveva ormai abbassato ogni sorta di difesa. Entrò in casa sconvolta e si trovò davanti la zia. - Ben arrivata - le disse sorridendo. Guardò il pupazzo che aveva in mano e la nipote visibilmente in imbarazzo. - Ehm zia, ciao. Si, grazie - . - Da dove viene quel pupazzo? - rise. Lei le raccontò della zuppa, del tiro a segno, del molo. - Ma ci sei andata da sola sul molo? - la guardò con l'aria della vecchia volpe. - No, ovviamente zia. Sono uscita con un ragazzo - lei si fermò. - Beh, deve essere proprio speciale questo ragazzo - . Stella arrossì e le disse che si trattava solo di un amico, che aveva sonno e voleva andare a dormire, ma soprattutto voleva sfuggire allo sguardo indagatore della zia.
I giorni seguenti furono piuttosto impegnativi sia in ospedale che al fast food. Con Alex a lavoro era veramente difficile anche solo scambiare una parola. Si inviarono qualche messaggio, ma nulla di più. Un giorno Alex le inviò un messaggio di mattina presto. Allegò una foto con il prospetto turni dove aveva cerchiato che giovedì entrambi sarebbero stati liberi. - Ti va di trascorrere la giornata insieme? - Lei partì con la mente, ma la realtà era ben diversa. Aveva il turno in ospedale, ma decise su due piedi che doveva provarci e ne parlò con Dave.
Lui la guardò con la sua solita calma e le disse che le avrebbe fatto questo favore, ma che avrebbe dovuto recuperare appena possibile. Le diede solo due chance, il sabato notte o il mercoledì notte. Dave non vedeva l'ora di farle fare il turno di notte, perché la notte era particolarmente faticosa al pronto soccorso.
L'obiettivo però era centrato. Giovedì avrebbe potuto trascorrere l'intera giornata con Alex e ciò la fece partire per il mondo dei sogni. Non le importava assolutamente cosa avrebbero fatto, l'importante era stare con lui. - E' vero caro Joe che qui si cambia idea come ci si cambia i vestiti - disse al pupazzo di pezza, mentre la sera si preparava per andare a dormire.
Mercoledì fu una giornata lunga a passare. Il pomeriggio al fast food cercò di carpire da Alex qualche informazione su cosa volesse fare, ma lui la guardava e se la rideva. - E' una sorpresa, mi dispiace non te lo dirò - . Lui andò via due ore prima di lei. Le fece l'occhiolino e sparì. All'uscita però trovò un suo messaggio sul cellulare. - Una cosa devo dirtela per forza: indossa il costume - .
Andò in panico perché non era pronta per mettere il costume, per fortuna aveva già preso un po' di colore nelle mezze giornate libere che passava sul terrazzo. Non aveva proprio idea di cosa lui volesse fare. Si vestì per la spiaggia, ma prese anche delle scarpe chiuse e una maglia, la spiaggia era spesso molto ventilata e poteva scendere nebbia in questa stagione.
Il giorno dopo si svegliò presto, si preparò dopo aver fatto colazione con la zia che rimase stupita quando la vide vestita da spiaggia e le disse che sarebbe uscita per tutta la giornata. Quando uscì la zia la guardava dalla finestra e si domandava chi fosse questo fantomatico ragazzo che aveva sconvolto la nipote, perché di ciò si trattava, di un terremoto e lei lo aveva capito.
Alex la passò a prendere. La baciò dolcemente, le accarezzò il viso e partì; le tenne la mano mentre guidava, sembrava felice e rilassato. Lei ormai si era rassegnata a lasciarsi guidare dagli eventi. Si sentiva in corsa su un treno senza freno e non sapeva né dove stesse andando, né perché, ma non le importava. Ora era con lui e solo questo contava. - Ma si può sapere dove mi porti? - gli chiese sorridendo con aria curiosa. Lui sorrise, ma era intuibile adesso dove stessero andando. Superò Presidio e si diresse verso il Golden Gate Park. Di lì a seguire c'erano una serie di bellissime spiagge, c'era solo l'imbarazzo della scelta. Si fermò nei pressi degli stalli per il fuoco di Ocean Beach. Parcheggiò il pick up e scese. - Cosa vuoi fare? Restare in macchina? - le disse. Le aprì la portiera e, appena scesa, l'abbracciò. - Lasciamo tutto adesso, vorrei fare un giro. E' un po' che non vengo qui, voglio vedere se è tutto ok - . Lei adorava Ocean Beach. I falò estivi erano la festa perfetta tra amici o la serata più romantica che si potesse immaginare. Ovviamente prenderne uno era una impresa, soprattutto nel weekend e, comunque, a ridosso del pomeriggio. Essendo arrivati al mattino in una giornata infrasettimanale ne trovarono diversi liberi. Alex aveva proprio quella intenzione. - La trovo una cosa fantastica, dovrebbero metterli in tutte le spiagge - . Si va bene, lei aveva portato una maglia, ma da lì a pensare che avrebbero passato la serata in spiaggia era un salto di fantasia. Passarono la giornata sulla spiaggia. Come lei aveva immaginato c'era una brezza insistente, ma il sole era caldo, perciò si stava bene.
Stare vicino ad Alex quando restò in boxer fu la vera tortura. Se gli piaceva tutto ciò che non era coperto dai vestiti, le piaceva ancora di più ciò che stava di solito sotto i vestiti. Che avesse un corpo scolpito era intuibile, ma Alex aveva un fisico naturalmente bello ed armonioso e madre natura si era divertita a coprirlo di regali. Era alto, agile ed atletico –Tu sei veramente diabolico Alexander Pearson!- rise da sola. Cercò di sforzarsi di non fissarlo, ma era difficile.
Parlarono molto, del più e del meno, risero, scoprì la sua passione per il surf, ma d'altronde un abitante della contea di Los Angeles non poteva non amare il surf, così come solo un uomo con un tale fisico poteva stare in piedi su una tavola su onde alte oltre 5 metri. Le disse che aveva la tavola sul pick up, ma non la prese. Lei lo incoraggiò, ma lui non volle - Mi dispiace lasciarti da sola - le disse. Lei aveva portato il suo libro; stare un po' da sola le avrebbe dato la possibilità di leggere, ma anche di fare una pausa dalla tortura di guardare i suoi addominali inguinali e i suoi pettorali senza poterli toccare –ma quanto sei scema, ma è possibile? - sorrise tra sé.
Le chiese del suo internato, di come procedesse, le fece molte domande. Pranzarono in spiaggia, ordinarono carne e verdura in un bar & grill situato di fronte spiaggia. Fu divertente e tutto buonissimo. Dopo si rilassarono pigramente al sole. Alex aveva portato di tutto: asciugamani, coperte, legna, da bere. Era stato davvero molto carino ad organizzare tutto quello per stare con lei e fu molto apprezzato. Lui si allungò vicino a lei e chiuse gli occhi. Lei non riusciva a non guardarlo. Osservava il ritmo del suo respiro, i suoi tatuaggi. Le venne spontaneo spostargli una ciocca di capelli che con il vento sembravano dargli fastidio agli occhi. Lui le bloccò la mano e gliela baciò. L'avvicinò a sé. E se prima era una tortura guardarlo, adesso poteva dire di essere finita dalla padella nella brace.
4.
Il pomeriggio lo passarono così, un po' abbracciati, un po' seduti davanti all'oceano che sembrava impazzito, un po' a darsi baci sempre più intimi, tanto che iniziò a preoccuparsi di commettere atti osceni in luogo pubblico, una cosa che non le avrebbe mai sfiorato il cervello prima di conoscere Alex. Lui le fece scoprire una parte di lei che non conosceva ancora e che, temeva, di non riuscire a dominare, mentre invece era abituata ad avere un forte controllo delle situazioni che viveva.
La brezza aveva alzato onde molto alte e, infatti, c'erano diversi surfisti in estasi. Ad Alex non sembrava importare, a lei invece dispiaceva privarlo di questo divertimento. Doveva essere una esplosione di adrenalina riuscire a dominare onde di quella portata, si ripromise di provarci, prima o poi. Anche se temeva di finire al pronto soccorso, ma come paziente.
Arrivò il tramonto con i suoi colori avvolgenti che qui erano da cartolina. Al calare del sole il freddo iniziò a farsi sentire. Lei si avvolse in una coperta morbidissima e calda, mentre Alex accendeva il fuoco. Per cena optarono per degli spiedini di pesce che ordinando in un altro grill sempre davanti alle spiagge. Mangiarono, stando vicino al fuoco avvolti nelle coperte.
Poi si strinsero sotto le coperte a lungo, poterlo toccare fu un'emozione forte, fu esattamente quello che immaginava, si accarezzarono, baciandosi, ma non si spinsero tanto in là. Entrambi si irrigidirono, forse per le stesse sensazioni o non avrebbe saputo dire. Alex si allontanò da lei. Si ricompose e le chiese se non fosse il caso di andare - conosco le tue giornate e si è fatto tardi - le disse.
Guardò l'orologio, erano le 10 di sera. Non se n'era assolutamente resa conto. Piano piano riportarono tutto al pick up e spensero il fuoco. A lei dispiacque andare via.
Lui l'accompagnò fin davanti la porta di casa. Si abbracciarono a lungo, poi la lasciò andare via, ma a malincuore.
La mattina dopo non riusciva a credere a quello che era accaduto.
Scese per la colazione e non poté sfuggire allo sguardo radiografico e alle domande della zia che aveva visto tutta la scena del saluto serale dalla finestra, ma ovviamente non glielo disse. Aveva intravisto un ragazzo alto, molto prestante, stile surfer con i capelli colorati e iper tatuato. Si iniziò a preoccupare che la nipote avesse davvero perso il senno per qualche balordo.
Stella insisteva sulla linea - è solo un amico - e - siamo stati in compagnia di amici comuni - , ma non se la bevve affatto poiché la nipote era quasi al balbettamento e aveva visto con i suoi occhi il trasporto con cui i due ragazzi si erano baciati davanti la porta. La cosa la preoccupò, Stella era una ragazza molto assennata che aveva sempre studiato molto e non aveva perso tempo in futili divertimenti o strani vizi. Vederla avvinghiata a quel ragazzo fu per lei un colpo al cuore. Non sapeva come affrontare l'argomento e, comunque, in cuor suo sperava che ciò non la facesse distrarre dai suoi propositi. Era ormai alla conclusione del penultimo anno di medicina e frequentare un ragazzo che non condividesse come lei l'amore per lo studio, lo spirito di abnegazione e i grandi sacrifici che ciò comporta in giovane età, avrebbe potuto solo nuocerle.
Stella intanto fissava la tazza di latte imbambolata.
Nonostante tutte le paure della zia andò come sempre in ospedale, dove recuperò anche la giornata persa condividendo una terrificante notturna in ospedale con Dave.
Non si tirò indietro anche nel lavorare al fast food. Riprese il ritmo, sebbene accompagnata da un'aria trasognata nei pochi momenti morti, e continuava a fare grandi chiacchierate con Joe che era diventato il suo passivo confidente.
Con Alex si sentirono varie volte al telefono, mentre a lavoro quasi non si parlavano. Passò una settimana, iniziò a piovere per giorni, come accade in estate a San Francisco: ringraziò dio che non avesse piovuto la settimana prima e che avessero potuto fare quel falò.
Il sabato pomeriggio successivo lei e Alex finivano insieme il turno. Lui le aveva chiesto di uscire per una cena veloce, poiché al mattino dopo avrebbe dovuto alzarsi presto per andare a Los Angeles in giornata. Lei chiaramente accettò, non vedeva l'ora di stare un po' con lui.
Pioveva tantissimo quando uscirono e lui si offrì di accompagnarla, visto che era a piedi, inoltre le disse che era di strada perché sarebbe dovuto passare da un amico che abitava proprio vicino Brannan street e che gli aveva chiesto una mano.
Lui si accorse di aver lasciato del materiale a casa, aveva promesso all'amico che lo avrebbe aiutato a riprogrammare il suo pc.
- Mi dispiace, non posso fare a meno di deviare, scusami. -
- Alex, per me non è un problema. Non ho impegni particolari, se non con te - e gli sorrise.
E così andarono verso casa sua.
Lei era curiosa. Non aveva proprio idea di dove abitasse.
Si fermarono su Lombard Street davanti ad alcune villette con vista sulla baia. Fu sorpresa, quelle abitazioni non erano certo a buon mercato.
- Puoi salire o restare qui, come preferisci. Ovviamente mi fa piacere se sali, ma ho i minuti contati - . Le accarezzò il viso.
- La prossima volta ti invito a casa e facciamo tutto con calma - .
Lei decise di restare in macchina, tanto da come aveva capito avrebbe impiegato pochi minuti. La pioggia però stava intensificando tantissimo, adesso era scrosciante.
Alex non riusciva nemmeno a scendere dalla macchina e restò un po' in attesa con lei. La guardò con quei suoi occhi magnetici e si baciarono con una rinnovata intimità. Tornare vicino a lui fu così naturale, anche se non si toccavano da quasi 10 giorni. Squillò il suo maledetto telefono e ruppe quell'incantesimo. Ma era il suo amico che aveva avuto un danno elettrico all'appartamento e, pertanto, non ci doveva più andare.
Lui la guardò e le disse - Beh, allora sali dai, ti offro un caffè - .
Salirono le scale mano nella mano facendo attenzione a non scivolare.
L'appartamento di Alex era grande e si affacciava sulla baia con una vista sicuramente mozzafiato, ma che con la pioggia si vedeva poco.
- Che meraviglia Alex! - Lui l'abbracciò da dietro, poi si allontanò e le fece un caffè americano, sapeva che a lei piaceva, spesso lo beveva in pausa e, a volte, glielo aveva preparato lui. Lei si guardava intorno, era una casa così ordinata per un uomo solo, sembrava pronta per un servizio fotografico. Tutto era, casualmente, al posto giusto.
D'improvviso realizzò la situazione d'intimità in cui si trovava con lui ed iniziò ad agitarsi. Non era in programma e questo l'aveva presa alla sprovvista. Alex le piaceva così tanto, ancora non riusciva a spiegarsi il perché. Era un ragazzo molto tranquillo, ma al contempo frizzante, era molto dolce, ma al contempo molto sensuale. Cercava di stare tranquilla, ma più lo guardava mentre metteva a posto le cose del caffè, e più si innervosiva.
Uscì fuori sul terrazzo e respirò a pieni polmoni. Rientrò nel salone. Lui l'aspettava. Fuori pioveva ancora tantissimo. Le disse se voleva che ordinassero qualcosa da mangiare a casa, erano ormai le 6.
- Va bene - gli rispose, ma reggere quella situazione sarebbe stato davvero difficile.
Era come mettere vicino fuoco e dinamite, cosa ci si poteva aspettare?
Ordinarono pizza che avrebbero portato direttamente lì. Alex la strinse a sé, lo vedeva molto strano, sembrava cercare di starle lontano, ma poi in alcuni momenti come questo si avvicinava e sembrava perdere il controllo.
-Caro Alexander, siamo alla resa dei conti e tu mi sa che stai come me.-
Lei si avvicinò sempre a quella bellissima vetrata, immaginava come fosse con il bel tempo, cercando di distrarsi, mentre lui le parlava. Nel frattempo, però, lui si avvicinò e la strinse a sé, questa volta con più trasporto. Lei non aveva alcuna intenzione di opporre resistenza.
La cosa degenerò in pochi attimi, lui le prese la mano e la guidò in camera da letto, mentre la baciava. Si spogliarono in preda all'eccitazione, voleva toccarlo ovunque, voleva stringerlo a sé. Alex sembrava rapito, le aprì la zip del vestito che indossava che scivolò a terra, per fortuna aveva una vera fissazione per la biancheria intima che non lasciava mai al caso. Si allungarono sul letto mentre cercava di sfilargli la t-shirt e aprirgli i pantaloni. Le mani non le rispondevano agli impulsi dettati dal cervello, era in totale confusione. Lui l'aiutò.
E così si avvinghiarono, come fossero calamite, rotolando sul letto. Lui premette il suo corpo al suo e lei poté sentire tutta la sua virilità. Pensava di impazzire, non aveva mai provato un simile trasporto e, neanche lontanamente, immaginava potesse il suo corpo desiderare la comunione con un altro essere come sentiva di volere. Alex le tolse tutto, lei non riusciva a muoversi, poi trovò quell'impulso per accennare a spogliarlo, ma ovviamente fece tutto lui.
La penetrò dolcemente, lei si sentì come sciogliere. Dimenticò completamente il senso del tempo e si perse nel suo profumo, nella sua pelle, gli tirò i capelli e lo graffiò. Mentre lui si muoveva su di lei, sentì un piacere così forte correrle come un brivido sulla schiena che inarcò lasciando che lui entrasse in lei più profondamente e avesse anche lui il suo orgasmo.
Restarono ansimanti e avvinghiati senza guardarsi per un tempo indefinito, poi lui spostò il viso che aveva rannicchiato sul suo collo e si guardarono negli occhi, baciandosi dolcemente. Si addormentarono finalmente rilassati.
Si risvegliarono di botto per il suono del citofono.
Alex guardò l'ora - oddio, le pizze! -
Si alzò di scatto, ma non sapeva da dove cominciare per andare ad aprire e si misero a ridere. Disse dal citofono al garzone della pizzeria che sarebbe sceso subito, Prese un pantalone di una tuta e una maglia e andò alla porta con aria sconvolta. Stella rideva.
Mangiarono la pizza calda nudi e avvolti nelle lenzuola arrotolate, poi lui si fece una rapida doccia. Lei iniziò a guardarsi intorno. Anche la stanza da letto di Alex era come il soggiorno, cioè immacolata. Nessuna traccia di disordine. L'armadio era leggermente aperto, s'intravedevano all'interno alcuni completi eleganti, si alzò a guardarli da vicino. Non riusciva ad immaginarlo vestito così. Erano vestiti bellissimi, sembravano di sartoria, ma ciò le sembrò strano, vestiti del genere potevano costare alcune migliaia di dollari. Tutti erano siglati M.C. sia le camicie, che i completi. Pensò fosse una marca a lei ignota. Il resto era più affine a lui, giacche e camicie sportive, varie scarpe sportive per tutti i gusti. Si rese conto di quanto poco lo avesse frequentato fuori dal ristorante.
Alex era uscito dalla doccia e la osservava.
- C'è qualcosa d'interessante nel mio armadio che non so? - lei si girò e si sentì in imbarazzo, sembrava stesse frugando fra le sue cose.
- Scusa, ho visto questi completi e mi sono avvicinata. Sono molto belli. Non riesco ad immaginarteli addosso - . Lui le rispose con fare ammiccante - Perché? -
- Ma non so, forse fanno a cazzotti coi tuoi tatuaggi - e risero. Toccava a lei fare la doccia adesso.
Quando uscì lui era pronto. Si era messo una tuta per accompagnarla. L'indomani, come sapeva, aveva un volo molto presto per LAX e pertanto si vestì subito e si mossero velocemente. Aveva per fortuna smesso di piovere.
Arrivati davanti a casa lui spense la macchina e scese dalla macchina.
- Pensavo avessi fretta - gli disse lei scendendo. - Ma non per salutarti - le rispose lui e la strinse forte a sé. La baciò in modo appassionato e la strinse ancora.
- Ci vediamo lunedì - gli disse lei. Lui la strinse ancora e a lungo, sembrava non volesse lasciarla, ma lei non ne capiva la ragione. Si staccò da lui e gli diede la buonanotte.
Domenica per fortuna aveva il turno pomeridiano e iniziava alle 2, perciò poté svegliarsi con relativa calma. Scese giù dove c'era la zia intenta a cucire alcune imperfezioni nei vestiti, era bravissima in questo. - Buongiorno, hai fatto tardi ieri sera, ricordavo avessi il turno fino a metà pomeriggio - . La zia sapeva ovviamente tutto. L'aveva vista rientrare accompagnata da Alex. Lo aveva riconosciuto dall'auto e dalla figura. Aveva visto con quale trasporto si erano baciati e sperava sempre che tutto ciò non si tramutasse in un problema per gli studi della nipote.
- Si, zia. Ci siamo fermati con dei colleghi a mangiare una pizza - .
- Ho visto che ti hanno riaccompagnata - Stella inarcò un sopracciglio.
–Cosa aveva veramente visto sua zia? - si chiese.
- Si, mi ha riaccompagnato, infatti, un collega - .
Intanto si era preparata un caffè americano e sgranocchiò semplicemente una fetta di pane tostato. Salì in camera sua e fece un po' di ginnastica, riordinò, non riusciva mai a farlo e si distese in terrazzo a prendere il sole. Ripensò alla sera precedente. Le sembrava tutto surreale, eppure era vero.
Il pomeriggio andò a lavoro. C'era Patty che l'aveva vista il giorno prima andare via con Alex e le aveva scritto dei messaggi a cui lei non aveva risposto. Le disse sommariamente che aveva trascorso la serata con Alex, senza andare nei dettagli. Si ripromisero, comunque, di vedersi appena fosse stato possibile. Sperò di trovare notizie di Alex al termine del turno, ma lui né la chiamò, né inviò messaggi.
Il lunedì provò a inviargli un messaggio la mattina, ma comunque lo avrebbe chiamato la sera. S'immerse nel lavoro dell'ospedale. Il suo tirocinio con Dave sarebbe durato quattro settimane, dunque questa era la penultima.
Il Professor David Corteon la mise di nuovo alla prova e, questa volta, le chiese di fare una ecografia, ma questo lei non si sentì di farlo. Un'ecografia non era una radiografia, ma un insieme uniforme di strisce tutte uguali da cui lei non riusciva a carpire granché. Dave sapeva fare tutto, e questo lei non capiva come fosse possibile, ma ogni medico aveva la sua specialità e una ecografia la faceva il radiologo. Per la prima volta si rifiutò giudicandosi, in pratica, incapace di imparare.
Dave la portò nel suo ufficio dove lei era entrata solo il primo giorno per presentarsi. Non si permise di alzare la voce né davanti agli altri, né dentro la stanza. Le disse soltanto che lui non formava incompetenti, chi usciva al suo tutoraggio doveva essere in grado di eseguire una prognosi perfetta, anche in autonomia e non doveva dipendere dal supporto di un collega.
- Tutto si può imparare, i limiti sono solo nella nostra testa. Oggi mi hai dimostrato di non avere la stoffa del vero medico che si arrangia nel deserto pur di prestare soccorso ad un essere umano che soffre e, se ha gli strumenti a disposizione, come un ecografo, deve saperli usare. Il ritardo potrebbe essere fatale al paziente - . Uscì dalla stanza. Lei sapeva che lo aveva deluso.
Continuò il proprio turno, ma capì che le cose erano cambiate. Lui la mise a fare attività di poco conto nell'attesa che passassero le ore. Voleva parlarci, ma si rese indisponibile e, arrivata l'ora di andare via, non poté più insistere.
Arrivò al fast food e scoprì che Alex non era in turno, non solo quel giorno, ma anche i seguenti. Chiese informazioni a Robert che di solito aveva sue notizie, ma lui non sapeva nulla. A fine turno chiese notizie al Manager Trevor,.
- Alex si è licenziato, ha presentato lettera formale di dimissione la settimana scorsa - .
Stella si sentì male. Fu come se le avessero tirato un pugno allo stomaco. Ripercorse mentalmente i giorni. Alex le aveva chiesto di uscire il giovedì per il sabato. Lui sapeva che sabato sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro al fast food e non aveva salutato nessuno. Inoltre perché a lei non lo aveva detto? Come aveva potuto fare l'amore con lei tacendogli una cosa del genere? Uscì in preda ad una specie di trance. Prese la bicicletta cercando di stare attenta, perché era sovrappensiero, e ciò era molto pericoloso in strada.
Ripensò al momento in cui si erano salutati. Lui era consapevole che ci sarebbe stato un distacco, ma lei no e questo era crudele.
Ma che bisogno c'era di non dirlo?
Provò a chiamarlo, ma l'unica risposta che ottenne dall'altra parte dalla AT&T era - l'utenza è disabilitata - .
- Questo deve essere uno scherzo - disse a Joe, poi sentì solo l'impulso di abbracciare quel dolce pupazzo di pezza.
Si svegliò il mattino dopo con la consapevolezza di avere due problemi da risolvere: Dave e Alex.

Sarah Rivera

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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