Assassinio dall'oltratomba
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Capitolo 1: Ritorno alle origini 2017,San Felice sul Panaro – Era già il sesto funerale a cui partecipavo in due settimane e l'attenzione di tutti era rivolta su di me. Un umile scrittore che ancora non aveva avuto successo,timido e con un fisico mingherlino. Tutto però era incominciato tre settimane prima,quando ancora mi trovavo a Vancouver in Canada. Anche se di origini italiane,mi ero trasferito con la mia famiglia per questioni d'affari e da allora ero in cerca della storia che mi avrebbe fatto scrivere un bestseller. Di ritorno da una lunga passeggiata mattutina,vidi un signore vestito di tutto punto parlare con i miei genitori,che abitavano proprio davanti a casa mia e per curiosità andai a vedere cos'era successo. Quell'uomo era un avvocato venuto lì per annunciare la morte di un parente. Per essere più precisi si trattava della morte del mio nonno materno,un tipo molto bizzarro e schifosamente ricco,questo perché aveva fatto fortuna nel campo della moda con borsette dalla forma sferica. Comunque l'avvocato era lì per avvertirli della lettura del testamento,che si sarebbe dovuta svolgere nel suo luogo preferito,ovvero nella prima casa che il nonno era riuscito a comprare con i suoi soldi guadagnati con il sudore della fronte. Nel testamento erano citati tutti i parenti prossimi e i loro coniugi,ma i miei genitori e i miei fratelli si erano rifiutati di recarsi in Italia per assistere alla lettura del testamento e di conseguenza avevano rifiutato qualsiasi cosa gli fosse stato lasciato in eredita. Non solo,loro avevano anche deciso di non andare ai funerali e questo perché lo ritenevano solo uno spreco di tempo. Io al contrario di loro,che dicevano di avere dei brutti ricordi riguardo il nonno,lo ritenevo un tipo simpatico e ricco di vita. Così confermai all'avvocato che io ci sarei stato e nonostante tutti gli avvertimenti per invogliarmi a non andare,chiesi loro di scrivere due righe per dirgli addio e che una volta là,avrei letto quei pensieri a nome loro. La lettura del testamento si sarebbe svolta il giorno dopo il funerale e la mia fidanzata Sofia mi voleva accompagnare in questo viaggio che sapeva essere molto importante per me. Ma la data del funerale coincideva proprio con l'inizio delle riprese del film alla quale doveva prendere parte. Apprezzai molto il gesto di volermi accompagnare anche al costo di perdere il posto di lavoro,però io sentivo di dover restare un po' da solo e così la convinsi di non preoccuparsi e anche che sarei tornato dopo alcuni giorni,in modo da avere il tempo di poter sistemare tutto. Alla mia partenza Sofia mi salutò con un appassionato bacio,quasi come se mi stesse salutando per l'ultima volta,poi mi disse di stare attento agli uccelli vestiti di nero. Per qualcun altro le sue parole non avrebbero avuto alcun senso,ma io sapevo che avrei dovuto capire chi o cosa erano gli uccelli vestiti di nero. Questo perché,anche se non lo sapeva nessuno a parte poche persone,Sofia aveva dimostrato in diverse occasioni delle doti medianiche e questa era proprio una di quelle volte. In quel momento non sapevo proprio in cosa mi stavo infilando,ma dopo un volo di circa tredici ore e altre tre in automobile per raggiungere l'hotel in cui avevo prenotato,non pensai più alle parole di Sofia. Il giorno dopo mi recai direttamente in chiesa per il funerale e mi aspettavo che ci sarebbe stata così tanta gente lì davanti,da riempire uno stadio. Infondo conosceva persone di tutti i generi ed era comprensibile pensarla così,ma invece lì fuori era più vuoto di un centro commerciale chiuso. Una volta dentro,pensai che almeno lì avrei rivisto qualche parente e invece niente. Lì in chiesa c'erano solo il prete e un uomo piuttosto anziano. Quest'ultimo,quando mi vide entrare,si diresse verso di me,mi strinse la mano e poi se ne andò senza dire nulla. La bara era lì di fronte a me,il prete però aveva fretta di andarsene,neanche avesse avuto una moglie che lo aspettava a casa. Nel vederlo lì nella bara,vestito con il suo abito migliore,mi ero pentito amaramente di non essere andato al suo ultimo compleanno e poi scoppiai in lacrime. Il prete invece,stufo di aspettare,mi disse che aveva già fatto tutte le benedizioni di rito e che quando avevo finito di piangere per lui,potevo avvisare gli uomini che sarebbero arrivati a minuti e loro lo avrebbero portato al cimitero. Avrei tanto voluto strozzare quel prete,ma non mi sembrava il momento e nemmeno il luogo. Così dopo aver salutato il mio caro nonno come si deve,stetti accanto a lui fino alla sua sepoltura. I necrologi parlavano della sua morte come di un evento misterioso,ma dato che non c'erano prove che fosse stato ucciso,la morte si doveva ritenere per cause naturali. Qualcosa però non mi convinceva ed ero intenzionato a fare delle ricerche in merito non appena la questione del testamento fosse stata risolta. Ritornato all'hotel,provai a chiamare ogni parente di cui avevo il numero,però nessuno di quei vigliacchi rispose alle mie chiamate. Non potendo farci nulla,chiamai Sofia per dirle che stavo bene e che non si doveva preoccupare. Dopo la chiamata mi sentivo stanco e pieno di rabbia per come avevano trattato una persona che non gli aveva mai fatto mancare nulla. E persino il cielo sembrava darmi ragione,infatti si stava per scatenare una tempesta. La pioggia incessante,accompagnata da tuoni e fulmini,mi riportò alla mente un dolce ricordo alla quale non pensavo più da molto tempo e con esso chiusi gli occhi per un breve riposo. Il mattino seguente presi l'automobile che avevo noleggiato per un paio di giorni e poi mi recai al luogo dell'incontro. La casa,malgrado i diversi anni che non la vedevo,all'esterno era rimasta praticamente uguale. Al contrario le auto parcheggiate lì e che dovevano appartenere ai miei parenti,erano tutte ultimi modelli di colore nero e grigio. Appena sceso dalla macchina,il mio primo pensiero fu di non entrare e tornarmene indietro,peccato che non lo feci. L'unica ragione che avevo di entrare era quella di guardarli in faccia mentre gli dicevo cosa pensavo di loro e così suonai il campanello. Ad aprirmi la porta però non fu uno dei tanti che erano lì per avidità,ma l'anziano signore incontrato in chiesa,che mi fece accomodare. A prima vista non mancava proprio nessuno dei miei zii e cugini con i loro partner,tutti in abito scuro come a voler mostrare il lutto. Sulla sinistra,proprio vicino all'entrata,c'era mio zio Ferdinando,fratello maggiore di mia madre. Un uomo dallo sguardo serio che si credeva di essere un pezzo grosso,quando invece era un nessuno fino al matrimonio. Ma anche dopo il matrimonio,costui era rimasto un semplice burattino nelle mani della moglie. Della sorella minore di mia madre,cioè zia Costella,non ho mai saputo di lei dagli altri parenti,a parte che dal nonno,il quale mi aveva detto che era una donna della notte che cercava e che era riuscita ad incastrarlo facendogli credere di essere rimasta incinta di Jessica. Di lei sapevo solo che era rimasta incinta a diciassette anni e che come la madre,si era presa il primo pollo che era caduto nella sua trappola. D'altronde si capiva subito che lui non era il padre biologico. Loro erano bianchi e il piccolo era mulatto. Sulla destra invece,vicino ad un'armatura medievale c'era l'altra mia cugina,di un anno più giovane della prima,ma questa a mio parere era quella con la testa sulle spalle. Questo perché aveva finito l'università con un anno d'anticipo,si era fidanzata e infine sposata con un certo Trait Hunglevan. Nel centro c'era la moglie di mio zio Ferdinando,che pensavo si chiamasse Patriscia,ma non ne ero per niente sicuro. Una ex istruttrice di fitness che aveva fatto i soldi ereditandoli dal suo defunto primo marito,che aveva sposato quando aveva trentacinque anni e che lui invece ne aveva compiuti 85 solo il mese prima. In braccio a lei c'era il piccolo Bruce di sei anni,adottato con tutta probabilità per commuovere il nonno e fargli sganciare qualcosa in più per loro o almeno era l'unica ipotesi che credevo plausibile data la loro età. E al fianco di Patriscia c'era Osvaldo,marito di zia Costella ed ex campione di pesi leggeri,che parlava con lei di come si allevavano i figli. Infine,proprio vicino alle scale,c'era un cobra reale proveniente dal Cairo e che a quanto pare faceva parte degli eredi. Gli occhi penetranti di quest'ultimo m'incutevano terrore,ma nonostante fosse sigillato nella sua teca di vetro il suo sguardo sembrava volermi avvertire di un pericolo imminente e che forse me ne sarei dovuto andare. Ognuno dei presenti sperava in una mia rinuncia dell'ultimo e questo perché sarebbe significato un parente in meno con cui spartirsi l'eredità. Tra di loro si bisbigliavano qualcosa,pensando che io non sentissi i loro commenti,ma di loro o di ciò che pensavano non me ne importava proprio nulla e capì anche che rivolgere la mia rabbia contro di loro non avrebbe mai cambiato il loro comportamento. In quel momento non lo sapevo ancora,ma l'uomo che mi aveva aperto la porta era anche l'esecutore testamentario che mi aveva contattato tramite uno studio legale di Vancouver. Costui si presentò con il nome di Armando Cuscini ed era stato l'avvocato del nonno da più di trent'anni e faceva parte di uno studio legale di Milano piuttosto prestigioso,tanto che lo conoscevo persino io. Subito dopo ci spostammo tutti nel salone principale. La stanza era arredata con oggetti antichi e di gran lusso. Come alcuni dei quadri appesi alle pareti e anche se non me ne intendevo molto,si poteva intuire l'enorme valore che avevano. Il tavolo,che poteva contenere almeno dodici persone,si riempì in un batter d'occhio. Stranamente le sedie erano solo undici e così fui l'unico a rimanere in piedi. Il mio primo pensiero fu che il nonno non si aspettava la mia presenza e ciò mi aveva fatto sorgere il dubbio che in realtà non mi avesse mai voluto lì. Gli undici posti erano per loro e il dodicesimo era di certo per il serpente,il quale non aveva bisogno di sedie. L'avvocato Cuscini,vedendo la mancanza di una sedia per me,si offrì di darmi la sua,ma io rifiutai e così poté iniziare la lettura del testamento.
Roberto Alvisi
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