Laz si recò all'aeroparto di Capodichino a testa bassa. Guardò il suo aereo ed esclamò - DC10! - e l'aereo rispose - 10! - e, fatte le presentazioni, entrò in pancia a quella supposta alata (supposta poiché si suppone che le cose supposte si possano più facilmente introdurre) come Giona alla balena. Va detto che Laz soffriva di malaria e quindi volare non gli faceva certo bene. Il comandante parlò ai duecento passeggeri dalla sua vicetra-smittente (la trasmittente-capo era in ferie) e il DC10 senza più dire - 10! - ma dicendo - Aeroparto! - – al quale avviso alcune puerpere obbedirono sgravando prontamente – tirò giù il carrello della spesa e frullò sulla pasta per poi decollare di lì a poco come la testa di S. Giovanni nel dipinto del Caravaggio, e in breve lievitò in aria come un pollo al forno. Ben presto attraversò una tormenta piperita con scaglie di torrone, ballando un po' alle note di Guarda come dondolo che, proprio in quell'istante o poche non so, cantava un gabbiano di fuor dall'oblò – ohibò! – di Laz che lo guardò e si voltò. Era Nico, il solito voltagabbiano. Poi si sentì la hostess annunciare: - Ci stiamo preparando per la discesa finale - e i passeggeri fecero gli scongiuri – ma io non ci giurerei. A quel punto il DC10 - 10! - perse aliquota (senza le ali è ovvio che si perda anche quota) e la macchina volante andò giù in picchiata, malgrado nessuno seppe mai perché andasse giù pic-chiata a quel modo dal momento che non aveva fatto nulla di male. Ora, dagli altoparlanti dell'aereo, risuonavano le rassicuranti note per tirarsi su al suono di Mi sento giù cantata da Nico dei Gabbiani. I passeggeri ebbero così il vago sospetto che la situa-zione stesse precipitando. Tuttavia non riuscirono a tirarsi su il morale perché anche lui, il morale, oltre a essere assai pesante, era troppo abbattuto per tirarsi su, e preferì rimanere giù presagendo che da lì a poco si sarebbero comunque trovati giù tutti quanti di luce – ad esempio i fotoni sono i quanti del campo elet-tromagnetico secondo l'elettrodinamica quantistica ma non saprei dire quanto – o, meglio (ma forse peggio), li avrebbero trovati giù i soccorritori, benché di tori da soccorrere non ce ne fossero. Furono trovate solo bestie subumane e senza bombole né bambole né bomboloni né crepes e né Suzette che aveva disdetto il volo all'ultimo momento come Nico il voltagabbiano, perché Suzette sapeva che poteva crepes da un momento all'altro, e Nico preferiva volare al sicuro fuori dall'aereo. Laz, ancora sofferente per una brutta sinusite al ginocchio che gli provoca dei dolorosi starnuti, fu l'unico sopravvissuto allo schianto dopo che l'avevano già dato per morto. Un uomo pieno di risorse questo Lazzaro! Un vero miracolato! Da allora coniò il suo motto: La salma è la virtù dei sorti. Tempo dopo, Lazzaro detto Laz, in seguito a una donazione all'AVIS, capì di avere il volo nel sangue e, sconfitta la malaria e superato il trauma subito sul DC10 (10!) che lo avevano a lungo osteggiato, prese il brevetto in un tempo relativamente breve e con soli dieci grammi di sudore datogli dalla pratica, subito raggranellò il suo etto: il brevetto. Ormai al volo era abilitato, mentre con le tate era abile fin da piccolo. Subito si arruolò in aviazione, svolazzando di qua e di là, ma quando alzava un po' troppo la testa, i suoi superiori gli ordinavano di volare basso. Fu così che il Male, che per Lazzaro era sempre in agguato, non si fece attendere oltre. Per cui un brutto giorno, dall'aeroporto di Brindisi (cioè dalla portaerei ancorata nel porto che si chiama aeroporto perché porta su ogni aereo che parte dal porto per dare il suo apporto), partì per un Raid col suo caccia e cacciò migliaia di zanzare ma, abbacinato dal sole, si calò a bassa quota finché, nel fare la barba al terreno, si rase al suolo. La sua morte restò un caso per tre giorni. Poi il caso fu risorto.
Cos'è il Male se non il retaggio del peccato originale che am-morba il nostro sangue come un virus fin dalla notte dei tempi? Durante la mia naja negli alpini, eravamo io e il mio amico Mili detto Tare, dal giorno in cui indossammo la divisa da alpino di leva – che si chiamava di leva erroneamente poiché per tutta la ferma non fu concesso di levarsela a nessun soldato, e altri dati non ne avevano. Trovai altresì errato che la leva si chiamasse an-che ferma, dacché la passammo in perpetuo movimento. Essendo la nostra una compagnia operativa (ma vissuta più che altro come punitiva), era fatto assoluto divieto di starcene con le mani in mano (e quindi impossibilitati a lavarcele, a fregarcele, a grattarcele o a recitare le nostre preghiere), o con i piedi altrove se non al suolo. Il suolo andava occupato per ogni genere di lavoro a noi destinato, che si trattasse di ripulire tutta la caserma con le mani o i cessi. Tant'è che un brutto giorno, mi rotolò davanti ai piedi un pallone calciato dai soliti imboscati e perditempo del Quartier Generale. Io me ne stavo intento a pulire per bene – come ogni giorno – la mia jeep-campagnola, e diedi subito un calcio a quel pallone per allontanarlo come si vuole allontanare un cattivo pensiero. Mi andò male: il capitano Carognone, sempre affacciato alla finestra del quinto piano a sorvegliare che tutti fossimo intenti a svolgere pedissequamente le nostre mansioni, mi vide compiere quel gesto gravissimo di insubordinazione e... prese la palla al balzo per appiopparmi tre giorni di cella di rigore. Quando ne uscii, mi affibbiò pure altre tre notti di guardia alla polveriera. Andò un po' meglio al mio amico Lele, militare in fanteria che si distinse come un fant prodige. Da allora lo chiamammo Lele Fante. Anche perché, ogni volta che arrivava in licenza da Bari... barriva. Io e Tare convenimmo che tre indizi facessero una prova: Lele Fante, Bari, il bar sulla riva, e capimmo che non poteva sottrarsi al suo beffardo destino. Giunsero i crampi estivi (e senza banane a disposizione), il ca-pitano Carognone, in perfetta antinomia militaresca, ordinò a me e a Tare di accendere un fuoco per riscaldarci un po' dalla prima di una lunga serie di spossanti e dolorose camminate sotto il sole cocente. Il fuoco crepitò. Tare si avvicinò e prese fuoco, e di lì a poco crepò. Stessa sorte toccò di lì a poco alla sorella Tara: era una Tara ereditaria. Fu poi la volta dei crampi invernali, e il capitano Carognone ci obbligò a sfiancanti e interminabili marce a passo spedito senza francobollo in alta montagna (Monti della Luna, Chaberton, Al-bergian) dopo notti passate all'addiaccio a 25 gradi sotto zero in quel di Pragelato. Sveglia alle 5:00 e subito in marcia sotto la luce delle stelle in ode alle dentate e scintillanti vette. A ogni passo sprofondavamo nella neve fino a metà cosce per il suo ordine insulso di tenere le racchette da neve inutilizzate a tracolla. E non aiutava lo zaino di trenta chili quando, specie nella discesa sul percorso di ritorno, nel crepuscolo serale, ci faceva ruzzolare più volte a testa in giù con la faccia sulla neve. Fermarsi a riposare era assolutamente interdetto. Ma non si dica che a questo mondo non c'è riconoscenza! Tanto è vero che, a ferma finita, per dimostrargli la mia asso-luta mancanza di rancore, lo invitai a una gita in motoscafo. Giunti in mare aperto, al largo di Ceriale, nel momento in cui era calmo e disteso a poppa a godersi il sole agostano, inavverti-tamente diedi una brusca accelerata e lui volò in acqua. - Aiuto! Aiuto! Non so nuotare! Aff... affogo! - - Lo so, Carognone! Per questo l'ho fatta cadere in acqua! - - Ma cosa dice? Aiut... mi get... mi getti un salvagente! - - Salvagente? E a che le serve? Ecco, si regga a quest'ancora! -
Sul treno, madre e figlia erano nel bel mezzo di un'accesa discussione. Nel pieno dello sfogo tra le due donne, un sacerdote prese posto di fronte a loro. La madre, come a scusarsi per l'alterco, sentì il bisogno di rendere partecipe il reverendo e, a bassa voce, gli confessò: - Padre, mi scusi neh, ma al giorno d'oggi una madre deve vigilare su tutto, e la mia bambina ha solo quindici anni... Mi stava giusto raccontando di un episodio accaduto nella sua scuola stamattina dopo l'ora di ginnastica che avrebbe potuto rivelarsi oltremodo imbarazzante per lei e per tutte le sue compagne, se non fosse stato per la sua prontezza di riflessi. - E cosa è successo? - chiese il religioso incuriosito. - Vede, è successo che, mentre erano sotto la doccia, la mia Samantha si è accorta di due fori sulla parete: uno piccolo in alto, e uno più grande in basso. Ma la mia Samantha è una bambina sveglia e timorata di Dio, e non si è persa d'animo: senza che le sue compagne potessero accorgersi di essere spiate nelle loro nudità da un depravato, per non dare nell'occhio e non avendo sottomano null'altro, con perfetta nonchalance, la mia Samantha ha tappato con prontezza il piccolo foro in alto appoggiandovi la nuca - . - E quello più grande in basso? - - Be', a quello si è appoggiata col culo - .
Guido Rojetti
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