10 mesi prima.
Ci sono tante motivazioni che ti spingono a scappare, la mia è la libertà. Molte volte mi sono chiesta se si trattasse di un capriccio momentaneo o se fosse il caso di aspettare, di vedere se le cose cambiano, ma anche aspettando non sarebbe successo nulla. Continueranno a “gestire” la mia vita. È l'alba, mi alzo da questo grande e caldo letto, consapevole di ciò che sto per fare. Mi vesto velocemente e prendo da sotto il letto una piccola borsa con le cose più importanti. Esco dalla finestra e corro senza voltarmi verso l'uscita principale. Ci ho già provato due volte, rinunciandoci, non posso permettermi che accada una terza volta. Fisso per un attimo il cancello e poi senza pensarci scavalco e finalmente sono fuori, mi volto per pochi secondi, sospiro e lancio un bacio volante. - Mi mancherà tutto questo! - Decido di riprendere la corsa dall'altra parte della strada guardandomi sempre intorno. Cerco di stare attenta ma ho come la sensazione che qualcuno mi stia seguendo. Lascio scorrere questo turbamento e proseguo, cambiando spesso percorso. Quando mi sento abbastanza sicura e lontana da casa inizio a rallentare il passo. Afferro il mio iPad dalla tasca e scelgo un brano Ready Stedy – Arya Delgado, ft. Mei. Alzo il volume del lettore e noto un furgone scuro ma non gli do tanta importanza. Incrocio le braccia stringendomi nel pellicciotto sintetico. - L'aria è gelida! - Guardo l'orologio, devo sbrigarmi, tra poco si accorgeranno della mia assenza e cominceranno a cercarmi. È stata una fortuna conoscere Alvarez, un ragazzo in gamba, ha trovato un modo per farmi viaggiare senza soldi e senza documenti. All'improvviso mi balza davanti un uomo con il passamontagna, mi afferra e mi blocca con un braccio intorno a me. Caccio un urlo ma riesce a tapparmi la bocca con la mano. - Zitta o ti uccido! - Annuisco quando vedo scendere un uomo dal furgone, anche lui con un passamontagna, apre la portiera e velocemente mi spingono all'interno dell'abitacolo e chiudono il portellone. Uno strano odore arriva alle mie narici. - Adesso andiamo a fare un bel giro! - Mi dimeno e non appena mi toglie la mano dalla bocca urlo più forte. - Lasciatemi, vi prego! - - Questa non sta ferma un attimo, legala e mettile un nastro adesivo per zittirla! - Capisco che sono in tre. Mi agito ancora di più, scalciando anche, ora sono in preda alla paura ma uno di loro mi afferra per i capelli. - Ti conviene fare la brava! - Prende del nastro adesivo e me lo mette sulla bocca, afferra i miei polsi e li lega con una corda sottile e infine mi infilano un cappuccio. - Parti, muoviti! - Il furgone parte a tutta velocità e io inizio a piangere disperata. - Sta cominciando a dare fastidio, provvedi! - Le mie urla soffocanti non si placano, mi muovo freneticamente con la speranza di potermi liberare quando inaspettatamente sento un ago nel braccio poi...il vuoto! Quello che non ho considerato è che scappare significa andare verso l'ignoto.
...
“Un giorno qualunque, quando meno te lo aspetti, la vita ti regala una favola” (Anonimo) Il traffico caotico di sempre, lo scorrazzare dei taxi, i grattacieli infiniti di Times Square: questa è New York o come direbbero in tanti “la grande mela!” Amo questa città e un morso a questo frutto succoso lo voglio dare anch'io. Mi fermo all'ennesimo semaforo e ne approfitto per stiracchiarmi un po'. Guardo l'ora, ancora dieci minuti e sono arrivata. Nella mia mente scorrono le immagini angoscianti del mio arrivo a New York. Ripercorro tutto il mio viaggio infernale dal Messico a qui, non potrò mai dimenticare il posto in cui ci avevano rinchiuse, soprannominato “L'edifico degli orrori”. Scatta il verde e mi chiedo per quanto tempo ancora dovrò condividere con questi ricordi? Riuscirò un giorno a dimenticare tutto? Il borbottio basso e potente della mia quattro cilindri mi distrae e mi induce ad accelerare e scivolare tra una corsia e l'altra, questo è il grande vantaggio della moto. Scorgo Central Park, sorrido perché sono quasi a casa. Alzo per un istante gli occhi al cielo e penso alla mia vecchia vita, riconosco che un po' mi manca. Ammetto di essermene andata troppo in fretta e senza una spiegazione. Sospiro e mi rendo conto di essere giunta ad Harlem. È incredibile come io abbia scelto di vivere proprio qui, in uno dei quartieri più caotici di Manhattan e non mi importa se i turisti la dipingono come pericolosa. Harlem, per me, resta sempre affascinante e rassicurante. A nessuno verrebbe in mente di cercarmi proprio qui. Inizio a rallentare mentre imbocco la via di casa mia, Malcom X. I miei occhi si soffermano sul solito gruppetto di adolescenti, che si esibiscono per strada, ricordandomi che Harlem è la patria della musica Black. Ogni giorno è facile imbattersi in ragazzi che ballano nei quartieri. Mi è capitato di accompagnare i loro spettacoli cantando, ogni volta è un'esperienza diversa, che sia Hip Hop, Break Dance o Funky lo scopo è sempre quello, affascinare e divertire il pubblico. Per me sono dei veri artisti, per altri invece messaggeri di emozioni e di speranza. Ecco che intravedo le tante palazzine allineate lungo la strada. Finalmente sono arrivata. Parcheggio la moto sul viale alberato che costeggia la mia abitazione. Tolgo il casco e lo allaccio al braccio. Alzo gli occhi al cielo e guardo danzare libere le foglie larghe e piatte dei platani. Il loro colore dorato trattiene il mio sguardo finché non toccano il marciapiede unendosi alle altre già a terra e mi piace sentirle scricchiolare sotto ai miei piedi mentre scendo dalla moto. L'autunno è una stagione meravigliosa, è impossibile non lasciarsi catturare dalle fantastiche colorazioni che la natura manifesta, anche il sole, che tramonta alle mie spalle splende di una luce intensa. È un piacere per i miei occhi vedere tutte le sfumature di colori caldi e profondi. Salgo le scale principali di questo condominio di mattoncini rossi che io tanto adoro. Prendo lo zaino in cerca delle chiavi mentre mi aiuto con la gamba per sostenerlo e inizio a rovistarci dentro. Accidenti, è tutto in disordine! Tasto i vari oggetti, credo sia arrivato il momento di scegliere a cosa rinunciare. Continuo a cercare ma niente, non le trovo. Ferma davanti alla porta di entrata decido di svuotare tutto il contenuto del mio zaino sull'ultimo gradino ma delle chiavi di casa nemmeno l'ombra. - Cercavi queste? - Sento chiedere da una voce ironica alle mie spalle. Mi giro di scatto e vedo Kevin con in mano l'oggetto dei miei desideri, osservo le sue dita che fanno dondolare le chiavi come se fossero un trofeo. - Stavo impazzendo, non mi dire che le ho lasciate di nuovo attaccate alla moto! - - Vorrei darti un'altra risposta, ma...l'hai fatto ancora. Smemorata! - Esclama con un'espressione divertita, poi mi lancia le chiavi che afferro senza problemi. - Almeno i riflessi ti funzionano! - Alzo le sopracciglia e sorrido alla sua frase. - Scommetto che sei stato sveglio tutta la notte per pensare a questa battuta! - Sorride anche lui mentre mi porge i miei adorati fiori freschi. - Tieni! - Aggiunge poi timidamente. - Ho preso il mazzo di fiori come mi hai chiesto! - Non faccio in tempo a ringraziarlo come si deve, che sparisce tra i vicoli del quartiere. - Grazie Kevin! - Gli urlo dietro. Poi guardo disperata il contenuto della mia borsa ancora a terra. È vero, ho il necessario per ogni evenienza, ma questo è troppo! Rapidamente raccolgo tutte le mie cose e penso a Kevin, un ragazzo di colore, esile con i capelli corti e rasati e un ciuffo che non sta mai giù. Mi chiedo quanto tempo impieghi per farli in quel modo. Le ragazze del quartiere impazziscono per lui. Ha l'aria da brigante e lo sguardo da duro ma sotto l'enorme felpa colorata, i jeans a vita bassa e le scarpe sportive è un tenerone e nonostante i suoi diciannove anni, lui è la persona più limpida e leale che abbia mai incontrato. Chiudo la pesante porta di legno alle mie spalle e attraverso l'androne. Guardo lo scempio che c'è sul mobile antico davanti a me. Detesto i fiori finti. Li cestino direttamente e li sostituisco con quelli veri, dai colori caldi e il profumo intenso. Per fortuna conservo sempre una bottiglietta d'acqua nel mobile. Ecco, adesso è perfetto! Mi sento soddisfatta, grazie anche alla gentilezza di Kevin. Salgo velocemente le scale e arrivo al mio appartamento. Appena varco la porta non resisto più, faccio scivolare a terra lo zaino e inizio a spogliarmi. Non appena mi libero dagli stivali e della tuta da motociclista mi sento già meglio. Guardo l'ora sul display del cellulare, le diciannove quasi, e il mio pensiero va a lui: si sarà rassegnato? Spero di sì! Mi distraggo dagli indumenti sparsi per la casa, li raccolgo dopo. A piedi nudi avanzo in cucina, sento il solito cigolio del pavimento, solo il parquet mi dà questa sensazione di calore e accoglienza. Sentire passo dopo passo il legno a contatto con la pelle mi rilassa. Lascio sul tavolo di marmo le chiavi di casa e della moto. Dovrò dividerle prima o poi, o rischierò di perderle entrambe. Apro il frigorifero e prendo la bottiglietta d'acqua. Accidenti! Mi sono dimenticata di fare la spesa, ma dove ho la testa in questi giorni? Do un'occhiata veloce alle cose che mi mancano e butto giù una lunga lista della spesa. Quando ero piccola il frigorifero era sempre pieno. Ricordo che mi piaceva stare in cucina, specie nei pressi del calore delle pentole fumanti, soprattutto in inverno. Avevo intorno a me delle brave cuoche e, anche se non mi facevano cucinare, guardavo con occhi curiosi tutti i loro movimenti. Spesso andavo con mia nonna a raccogliere le more e i lamponi, per poi vederla preparare delle crostate ai frutti di bosco. Solo a pensarci mi è venuta fame e come se non bastasse ci si mette anche lo stomaco con i suoi brontolii, ma quello che trovo è uno yogurt. Bé, meglio di niente! Mia nonna diceva sempre: “Chi ha poco si accontenta, chi ha molto si lamenta!” Per cui senza lamentarmi finisco il mio abbondante pasto. Mia nonna è una donna molto forte. Mi ha cresciuta dandomi le basi importanti e trasmettendomi i giusti valori della vita. Ci siamo scontrate spesso per via dei nostri caratteri e delle concezioni diverse, tuttavia le voglio molto bene. Sospiro e decido di fare una doccia, non posso prendermela ancora comoda. Raccolgo i vestiti da terra e corro in bagno e ne esco rinata, il profumo dell'iris mi regala sempre un piacevole effetto di benessere. Mi circondo nell'asciugamano e raggiungo la camera da letto. Mi viene spontaneo guardare le mie vecchie foto esposte alla parete, mi ricordano chi sono. Guardo l'ora, è il caso di sbrigarmi. Poso il cellulare sulla fila infinita di libri che ho sul comodino, prendo dei leggings neri dall'armadio e una t-shirt bianca; improvviso uno chignon e procedo con un trucco leggero. Indosso le sneakers, raggiungo la scrivania e controllo gli spartiti selezionati per stasera. Afferro velocemente la giacca di pelle e lo zaino. Prendo dal mio cofanetto di legno il bracciale in oro antico di mia madre. Inevitabilmente, mi trovo a pensarla e un incolmabile vuoto mi assale, ma non appena lo indosso tutto svanisce. Afferro le chiavi, raggiungo di corsa la moto e poi dritta al lavoro! Ogni volta che sono a Hell's Kitchen percepisco vibrazioni positive, è come se la città esplodesse in energia pura. In questo quartiere giovani, anziani, etero, omosessuali vivono felicemente insieme senza discriminazioni, dovrebbe essere così ovunque. Liberi di vivere come si vuole. Sarebbe bello se fosse così anche per me. Arrivo al grande parcheggio già colmo di automobili. Lascio la moto al solito posto, quello riservato ai dipendenti del locale. Prima di scendere sfilo il casco e mi guardo allo specchietto retrovisore. Devo sistemare un po' i capelli, pensavo peggio! Con lo zaino in spalla, casco in mano e chiavi in tasca raggiungo il grattacielo al centro della piazza, circondato da panchine e fontane. Dentro l'edificio ci sono gli uscieri in uniforme che sorvegliano chi entra e chi esce, solo a pensarci mi viene il mal di testa a guardare questo “traffico umano”. Pareti di marmo bianco ravvivate da opere d'arte che esplodono di colori, una più bella dell'altra. Gruppi di ascensori e scale mobili conducono a piani diversi, per accedervi occorre un lasciapassare, che io ho appena ritirato dopo i dovuti controlli e il passaggio dello zaino al metal detector. Mi avvicino alla pulsantiera elettronica e digito il numero venticinque. I primi dieci piani sono dedicati agli uffici e alle banche, ma dopo l'atmosfera cambia, ci sono negozi, centri estetici, parrucchieri e locali. Io suono e canto in uno di questi, il rinomato Twenty-Five Lounge. Le porte dell'ascensore si aprono e poso gli occhi sull'insegna luminosa, intravedo anche i clienti dietro le grandi vetrate del locale. Si respira aria di festa e divertimento, prima di entrare però devo cambiarmi. Sullo stesso piano c'è il magazzino scorte, dove mi sono ricavata un posticino tutto per me. Mi sollevo in punta di piedi e prendo la chiave posta sullo stipite. Raggiungo il mio camerino arredato con oggetti recuperati qua e là. Il parrucchiere mi ha regalato uno specchio grande. Il negozio di abbigliamento mi ha donato un appendiabiti sul quale trovo l'abito per questa sera con un biglietto sul quale c'è scritto: Come disse Yves Saint Laurent: “L'abito perfetto per una donna sono le braccia dell'uomo che ama”. Io non ho questa possibilità. Stasera sarai una perla. Il mittente è il solito François, uno stilista francese di cinquantacinque anni molto premuroso, gentile e con un bel modo di fare. Alto e affascinante e con un recente divorzio alle spalle, il terzo forse. Proprietario del negozio di alta moda. Vuole che indossi la sua collezione per una pubblicità, ma sappiamo entrambi che non ne ha bisogno. L'abito è comunque stupendo; color perla, lungo, aderente e con un'ampia scollatura; lo indosso velocemente perché sono in ritardo; sistemo il trucco, i capelli ed esco da qui. Mi avvicino all'ingresso del Twenty-Five e non appena le porte si aprono c'è ad accogliermi come sempre il signor Rodríguez. Il proprietario del locale. Un uomo cubano di cinquant'anni, con uno sguardo cupo e misterioso e dalla voce pacata. Mi saluta con un baciamano, nel suo completo bianco, cravatta e scarpe lucide, in contrasto con la sua camicia azzurra e con il colletto sbottonato. La sua personalità trasuda forza e sicurezza. - Buonasera e ben arrivata signorina Clarke, sempre affascinante e bella! - - Signor Rodríguez, buonasera, sempre galante! - Mi prende sottobraccio e attraversiamo tutto il locale, mi passa accanto Antonio, il quale tiene in equilibrio con una mano un vassoio pieno di flûte, con un gesto veloce gli passo la chiave del magazzino. Mi saluta strizzando l'occhio per poi sparire tra gli invitati. Antonio Mantovani è un italo americano di trentasei anni; fa il cameriere in questo locale, è lui l'artefice di tutto, dal mio arrivo a New York al mio lavoro qui, fino a oggi. Alto, atletico, rasato e con una leggera e curata barba; due occhi neri e un cuore d'oro. Non so molto su di lui, ma a me basta averlo accanto così com'è. Raggiungo il mio strumento preferito al lato della sala. Un classico pianoforte a coda, nero, lucido, elegante, fragile e allo stesso tempo imponente. Mi accomodo su questa morbida panca mentre vedo allontanarsi il signor Rodríguez. Sollevo il coperchio e resto ogni volta esterrefatta dallo strumento stesso. È così da quando avevo quattro anni! Le mie dita sanno esattamente quali tasti toccare. Riesco a tirare fuori ogni singola sfumatura di nota, sfruttando gli ottantotto tasti a mia disposizione. Sistemo gli spartiti e sono pronta per rendere questa serata ancora più magica. Il primo brano “Undo – Sanna Nielsen”, mentre canto vedo il locale riempirsi. Questi tipi di locali sono strategici, posti su altissimi edifici per le splendide viste e tutti hanno delle regole rigide tra cui l'abbigliamento sportivo e l'alcol ai minorenni e su questo il Twenty-Five è molto attento. Nel frattempo passo al secondo brano “Calm after the storm - The Common Linnets”. L'evento di stasera è molto importante, si tratta di una cena di beneficenza, organizzata proprio dal signor Rodríguez. Sempre pronto a sposare una giusta causa. Una raccolta fondi per un ospedale pediatrico in Kenya. Ci sarà anche l'intervento di un una persona autorevole sull'argomento. Mi sono sentita in dovere di fare anch'io una piccola donazione. Proseguo cantando “Rise up – Andra Day” e subito due occhi neri si posano su di me, sono quelli di Antonio, questa canzone gli piace tanto. Mi sorride, e quando lo fa è ancora più affascinante nella sua divisa nera. Meglio spostare lo sguardo altrove, come ad esempio fuori dalla grande vetrata. Ammiro le luci dei grattacieli che pian piano si illuminano su questa ampia e lussuosa terrazza con tanto di palme. Sospiro e mi abbandono a questo clima frizzante della grande mela sulle note del prossimo brano “Euphoria - Loreen”. Ho bisogno di bere qualcosa. Per fortuna Antonio mi legge nella mente. “L'uomo giusto al posto giusto!” Lo vedo avanzare verso di me con in mano un vassoio pieno di flûte e una bottiglietta d'acqua nell'altra. Ovviamente mi lascia l'acqua. Rivolgo uno sguardo di disapprovazione, ma non ci ricavo nulla. Comunque l'afferro ugualmente e ne bevo un lungo sorso e dopo averla quasi finita mi ricompongo per suonare il prossimo brano “Azucar Morena – Carla Morrison.” Seguo con lo sguardo Antonio, mentre si fa spazio tra gli invitati, poi mi accorgo di un paio di occhi verdi che mi fissano. Sono penetranti, magnetici, intensi. Sostengo lo sguardo e mi accorgo di averlo già visto. Abbasso per un momento lo sguardo, ma quando lo sollevo lui non c'è più. Forse l'ho solo immaginato. “Dermière Danse - Indila” è il brano successivo. Dò un'occhiata generale al locale e inizio a sentire il profumo di cibo, se ci penso ho ancora fame e mi viene in mente Gennaro, il pizzaiolo napoletano doc, trasferito da cinque anni negli Stati Uniti. Le sue pizze sono la fine del mondo. Una volta ha creato la pizza Sophie. Pollo, curry e papaya. Molto particolare e dal gusto esotico. Meglio coprire il brontolio del mio stomaco cantando “Empires – Ruelle”. Suonare, come cantare, mi viene spontaneo. Ricordo che da piccola, quando mi portavano ai concerti, restavo incantata. Questa passione è cresciuta dentro di me giorno dopo giorno. Fino a quando non ho preso lezioni private di pianoforte. Poi nel corso degli anni ho sentito l'esigenza di prendere anche lezioni di canto, con la speranza di potermi esibire un giorno, un desiderio rimasto nel cassetto fino al mio arrivo qui. Comincio a credere che a New York, tutto è possibile! “Faster – Within Temptation”, adoro questa canzone in stile Gothic metal, le parole si fanno strada nella mia testa e il suo ritmo è travolgente. In questo preciso istante avrei davvero bisogno di un buon cocktail, mi passa di nuovo accanto Antonio, il mio sguardo implorante non lo smuove di un millimetro. Non capisco perché non posso bere anch'io, insomma, lavoro in un locale dove potrei avere i migliori cocktail gratis e invece vado avanti ad acqua. Sospiro e passo al brano successivo e noto alcuni invitati spostarsi al piano di sotto. Il signor Rodríguez viene verso di me con un sorriso malizioso. - Signorina Clarke, impeccabile come sempre, bravissima! - - Grazie, ma non ho finito! - - Venga, l'accompagno dagli ospiti e questa volta non accetto un no come risposta. - Effettivamente ho declinato ogni suo invito e poi vorrei placare il mio stomaco, sono così affamata che mangerei qualsiasi cosa. Sistemo gli spartiti, ma il signor Rodríguez non vuole attendere, mi prende sottobraccio e raggiungiamo la sala e, tutto sommato ho davvero una gran fame. Dalla scalinata intravedo diversi tavoli, candele accese e composizioni floreali ovunque. Intanto che ci avviciniamo il profumo intenso dei fiori si mescola con l'aroma molto invitante di piatti unici. Resto sorpresa dalla cura dei dettagli: le tovaglie candide e ben stirate, bicchieri di cristallo e posate luccicanti, tovaglioli rigorosamente di stoffa, caraffe d'acqua e bottiglie dei migliori vini e delle bellissime decorazioni sui centritavola, dei vasi trasparenti decorati con orchidee. Tutti i posti sono assegnati, incuriosita cerco il mio nome, chissà con chi sono al tavolo. Con un gesto galante, il signor Rodríguez mi accompagna al mio posto e scopro con stupore che sono allo stesso tavolo con lui e altre persone. Mi bacia la mano e mi presenta agli invitati di questo tavolo tondo da sei posti. - Signori, è con vero piacere che vi presento Sophie Clarke, voce e anima del Twenty-Five Louge, una bella scoperta! - Applaudono mentre il mio sguardo scorre su tutti loro per poi incrociare quegli occhi, gli stessi di prima. Sono proprio qui, difronte a me, allora non era una mia fantasia. - Allora signorina Clarke, le presento Tom Wilson, Jennifer Patel, Kelly Rayan e Sean Walker! - Tom Wilson, un uomo disgustoso e ripugnante. Non ho altri aggettivi per descriverlo meglio. La sua mano, fredda e umida. Ho avuto la sensazione di stringere un pesce morto. Alto e magro, capelli corti e brizzolati e un sottile pizzetto. Non mi ispira per niente fiducia. Poi è la volta di Jennifer Patel, una bionda artificiale, da premettere, non ho nulla contro le bionde ma a lei, questo colore, sta malissimo. Il suo vestito poi, molto corto, aderente e trasparente. Accidenti, credo che non porti nemmeno le mutandine. Povera me, ma la ciliegina sulla torta e il continuo masticare la gomma anche quando si è presentata. Mi pento di aver detto sì al signor Rodriguez! Le stringo la mano e mi accorgo delle sue unghie lunghe e zebrate. Oh cielo! Credo di aver visto abbastanza! - Sono Kelly Rayan e lui è proprietà privata! - Si presenta così la rossa prosperosa indicando il ragazzo al suo fianco mentre mi porge solo la punta delle dite, evitando il contatto con me. Con un gesto altezzoso e deciso si tocca la sua fluente chioma. I suoi occhi verdi e stretti mi scrutano dall'alto verso il basso e stringe a sé il braccio del suo fidanzato per non farci presentare, tuttavia lui riesce ad allontanarla e a stringere la sua mano nella mia. La sua stretta è forte e decisa. - Sean Walker! - - Sophie Clarke! - Sollevo lo sguardo lentamente per poi perdermi nei suoi occhi, da vicino sono bellissimi. Il suo sguardo è così intenso che sembra vada oltre il mio corpo e una bella sensazione mi invade. Arrivano i camerieri e senza distogliere lo sguardo prendiamo ognuno il proprio posto che, guarda caso, è di fronte al mio. Servono i primi piatti e quando arriva al mio cospetto, non posso fare a meno di osservarlo nei minimi dettagli. Dei ravioli neri? Prendo il menù sul tavolo e leggo: “ravioli al nero di seppia con ripieno ai tre pesci”. Un profumo intenso e deciso. Il signor Rodríguez, mentre mi versa del vino, mi dice che lo chef è il famosissimo Mesahiro Kawa e mi rendo conto di non aver mai mangiato giapponese. Infilo in bocca un paio di ravioli e li assaporo. Accidenti, sono buonissimi! Lo chef giapponese è eccezionale. Perdonami Gennaro! - Sophie di dove sei? - Poi arriva Tom che rompe il ghiaccio e rovina l'estasi. - Sono Canadese; vivo a New York da circa un anno! - - Allora Sophie... - Interviene il signor Rodriguez con la sua calma da fare invidia. - ...Come le sembra New York? - - Caotica e favolosa. Mi sto trovando davvero bene qui! - - Cosa ti porta qui, l'amore? - A quanto pare Tom non ha rotto solo il ghiaccio. Però se gli dico di sì, è probabile che mi lasci in pace. - Beh, in un certo senso sì! Poi anche per la musica. Ho saputo che cercavano una pianista che sapesse anche cantare ed eccomi qui! - - Sono stato davvero fortunato. Bella e brava! - Sui complimenti del signor Rodríguez arriva la seconda portata, questa volta è Antonio a servirci. Ci guardiamo velocemente. Come vorrei che mi portasse via da tutto questo, però il mio stomaco ha la meglio, devo resistere, ho ancora fame! Guardo sul menù. “Sushi e Sashimi”, i primi sono rotoli di riso accompagnati con pesce crudo e alga con salsa wasabi mentre il secondo è servito a fettine. Non vedo l'ora di assaggiarli. Mhmm..., buonissimi! Un'esperienza per gli occhi e per il palato. Sto gustando questa meraviglia quando si avvicina di nuovo Tom e senza farsi sentire bisbiglia qualcosa al mio orecchio. - Quindi sei fidanzata? - Gli occhi di Tom mi appaiono subito maliziosi, seguiti da un sorriso furbo. Cosa ha in mente? Per fortuna il signor Rodríguez mi viene in aiuto. - Signorina Clarke, non le ho mai chiesto se avesse bisogno di qualcosa. Posso ancora rimediare? - - La ringrazio, ma non mi occorre nulla! - - Però così hai evitato la mia domanda! - Alzo gli occhi al cielo mentre Tom prosegue il suo monologo raccontandomi la sua vita: che ha trent'anni, che è un'agente di borsa e che il suo hobby preferito sono le donne; io aggiungerei anche appiccicoso! Penso a un modo gentile per dirgli che non sono interessata a qualsiasi cosa lui abbia in mente, ma poi la voce isterica di Kelly mi distrae. - Clarke! Clarke! Clarke! No, non conosco nessuno con questo “strano” cognome, vero Jenny? - Cosa? È il mio cognome a essere strano? - Posso gnam, gnam sapere dove gnam, gnam abiti? - Chiede masticando rumorosamente Jennifer. - Abito ad Harlem! - Rispondo orgogliosamente. - Oh mio Dio che squallore! - Ok, vogliono farmi arrabbiare. La situazione non deve degenerare. - Così gnam, gnam pericoloso! Come può gnam, gnam una ragazza scegliere di abitare lì? - Faccio finta di non aver sentito altrimenti commetto un omicidio. Interviene Tom, che non perde occasione di sfiorarmi la mano. Che seccatura! - Diciamo che Harlem non è un posto sicuro, soprattutto per una donna. Anzi se vuoi, dispongo di un appartamentino davvero carino in un posto tranquillo, puoi restare lì tutto il tempo che vuoi e soprattutto non mi devi niente! - Certo! Chissà cosa pretenderà in cambio, solo una sincera e profonda amicizia, non ci penso proprio! - In realtà sto bene così, grazie! - Peccato che tutto questo avviene quando il signor Rodríguez è lontano da noi. - Che presuntuosa! Cosa pretendete da una che vive nei bassifondi? - Kelly insiste! È dal primo momento che ci siamo presentate che mi provoca e la cosa non mi piace. Si dà troppe arie. - Solo al pensiero di vivere con ladri, assassini e prostitute rabbrividisco, a meno che non sei... - Mi alzo di scatto interrompendo la sua frase. - Non sono? - Esplodo in modo eccessivo, me ne rendo conto. - Adesso basta Kelly, stai esagerando! - Prorompe Sean e la sua espressione autoritaria mi lascia dubbiosa. - Oh scusami tesoro se ti ho fatto arrabbiare, cerca di capire, non dovrebbe nemmeno stare al tavolo con noi. Hai visto la sua reazione? - Per un attimo nessuno parla, poi Jennifer ride fragorosamente e subito dopo Kelly la riprende. Guardo tutti i presenti al tavolo, i miei occhi incrociano quelli di Sean. Insieme sorridiamo e il suo viso si rilassa mettendo in mostra due fossette ai lati delle labbra. Un'altra portata mi distoglie da Sean, ed è servita ancora da Antonio. C'è uno scambio di sguardi anche con lui. Come vorrei averlo qui accanto a me! Sono sicura che avrebbe messo a tacere miss simpatia. Sospiro mentre osservo nel piatto queste sfiziose palline di riso a forma triangolare e sferiche, decorate con striscioline di alga nori. Leggo sul menù “Ongiri” e il suo sapore è dolce e particolare. Mi gusto questa prelibatezza, subito dopo afferro il bicchiere di vino e noto che sono tutti intenti a parlare tra di loro, ne approfitto per una boccata d'aria. Raggiungo la terrazza e chiudo per un momento gli occhi respirando profondamente. Ho bisogno di tutte le mie forze per superare questa serata. - Anche lei è fuggita per una pausa? - La voce di questo sconosciuto mi fa riaprire gli occhi. Molto lentamente, giro la testa per guardare nella sua direzione. Improvvisamente mi rendo conto che siamo soli. - Lei dev'essere la signorina Sophie Clarke. - Lo sento esordire mentre una figura elegante e ben composta è davanti ai miei occhi. È un bell'uomo e in un attimo mi ricordo della cena. - Devo andare! - Decido di rientrare e vedo il signor Rodríguez raggiungere il centro della sala con in mano un microfono. Tom e l'altra ragazza si dirigono verso i bagni. Bleah! Con che coraggio! Sean invece discute animatamente con la sua ragazza. Vederli uno difronte all'altro mi fa rendere conto che sono una bella coppia. In fin dei conti non mi stupirebbe. Lei è acida, antipatica però è molto attraente. Finisco il mio vino e decido di andare via. Le luci sfumano, mentre qualcuna punta il signor Rodriguez e nella sala si sente solo la sua voce: - Buonasera a tutti e grazie per essere qui. Ormai è un appuntamento fisso al Twenty-Five, non mi aspettavo questa accoglienza, è stata una bella sorpresa. Questa è la nostra seconda cena di beneficenza, lo scopo è una raccolta fondi per un ospedale in Kenya. Tutti voi avete risposto al mio invito, per aiutare e sostenerci come sempre. Abbiamo raccolto cinquantamila dollari, il nostro successo è la vostra presenza, ma vorrei lasciare la parola al dottor Price. - Questo è il momento giusto per andare via. Spero di trovare la chiave del magazzino al solito posto. Esco indisturbata e le trovo. Grande amico mio! Apro la porta del magazzino e mi reco nel mio camerino per cambiarmi rapidamente. Rimetto la chiave sullo stipite e mentre prendo lo zaino mando un messaggio ad Antonio. “Ehi, sono andata via. L'aria era diventata insopportabile. Grazie per la chiave. L'ho messa al solito posto. Ho lasciato gli spartiti sul piano. Prendili tu. Ah! Inventati qualcosa con il signor Rodriguez! Grazie a domani. Kiss.” Finalmente sono fuori. Raggiungo il parcheggio e accendo la moto quando inaspettatamente vedo Sean, ma che ci fa qui? Sta guardando in tutte le macchine! Davvero le vuole controllare tutte? Sorrido mentre immagino abbia perso la fidanzata; indosso il casco e abbasso la visiera, appena in tempo perché viene verso di me, mette le mani in tasca e inclina la testa per guardarmi più attentamente, questa è davvero una situazione difficile, riflette un po' e poi prosegue la sua ricerca sorpassandomi. Tiro fuori l'aria che ho trattenuto; ingrano la marcia e scappo via. Sono lontano da lui, ora posso rilassarmi. Chissà se ho fatto bene a non farmi riconoscere. Guardo la strada e penso a quanto mi piace New York di notte. Cambia pelle e diventa una grande metropoli. Ricca di luci, di colori, di adrenalina pura. La città che non dorme mai. Ne approfitto per alzare la visiera. Non c'è spettacolo, bar, discoteca che valga l'emozione di respirare questa metropoli a quest'ora. Scorrazzo tra le vie, assaporando e gustando il panorama. Passo per Wall Street, centro economico della città. Broadway, una strada lunga costellata di teatri. Il ponte di Brooklyn, il sapore della libertà. Per poi giungere nel regno di ogni donna, la via dello shopping, la mitica Fifth Avenue. Mi fermo al semaforo e ne approfitto per guardare le vetrine di questi negozi di lusso. Un'ondata gialla di taxi mi sfreccia davanti mentre sento un rombo di un motore fermarsi proprio accanto a me, mi giro in direzione del rumore e vedo un Aston Martin nera, e vengo rapita dalla musica a palla, “Street of Philadelphia - Bruce Springsteen”, ma quando scopro che alla guida è Sean, il mio cuore si ferma. Istintivamente abbasso la visiera del casco. Lo guardo con la coda dell'occhio, bellissimo, perso nei suoi pensieri a fissare la strada. Le sue dita ticchettano sul volante a ritmo della canzone. A cosa pensa? Scatta il verde e lui sgomma, io invece non mi precipito, sono curiosa di vedere dove è diretto. Il rumore di un clacson mi riporta alla realtà e senza farmi accorgere mi metto dietro alla macchina di Sean. Resto concentrata per non perderlo di vista, infatti, dopo qualche minuto mette la freccia per svoltare a sinistra, ma...ma sta andando ad Harlem. Oh cielo! Sta parcheggiando proprio davanti casa mia, come sa dove abito? Devo mantenere la calma e proseguire senza attirare la sua attenzione, lo supero per poi fermarmi più avanti. Dallo specchietto vedo Kevin avvicinarsi alla macchina. Deve avergli detto qualcosa perché Sean riparte subito. Per Kevin una bella macchina vuol dire che sei ricco e se ti trovi in questo quartiere sei un uomo bianco. Faccio un bel respiro prima di effettuare un'inversione. Raggiungo Kevin che inevitabilmente parte con delle domande che io ignoro. - Mi hai sentito? Quell'uomo cercava te! - Sfilo il casco e scendo dalla moto evitando anche il suo sguardo. - Sei smemorata non sorda! - - Dicevi? - - Niente, fila a casa, te la sistemo io la moto! - - Grazie, Kevin. Buonanotte! - Gli dò un bacio sulla guancia, mi diverte vederlo arrossire. Si allontana velocemente portando con sé la moto. Salgo le scale sbadigliando; finalmente questa giornata si è conclusa! Entro dentro casa con l'intenzione di lavarmi solo i denti, sono troppo stanca per fare altro. Afferro il mio iPod e cerco il brano “River Flows in You – Yiruma”, una sonata di pianoforte. Sprofondo sul divano e penso a Sean, cosa voleva? Perché era qui? Chiudo gli occhi e mi abbandono al dolce suono.
...
“Inseguo i miei sogni, e mentre lo faccio Fuggo dalle ossessioni: Perché i sogni liberano la mente, Le ossessioni la imprigionano.” Sono tra veglia e sonno, quando sento il rumore di chiavi vicino alla serratura, poi una voce soave e pacata interrompe la mia tranquillità. - SVEGLIA! DAI DORMIGLIONA, SONO LE DIECI! - Perché gli ho dato le chiavi? Perché urla? Perché c'è tanta luce? Cerco di aprire entrambi gli occhi, e mi accorgo di non aver chiuso la tenda. Guardo l'orologio, effettivamente sono le dieci. Mi alzo con calma e mi metto seduta con le gambe incrociate. - Toc, toc! - - Non c'è nessuno! - - Ehi bellezza, sto entrando. Dimmi che sei sola e vestita. - Oggi è particolarmente euforico. - Sono nuda con cinque uomini! - - Dai, non scherzare che ti ho portato le ciambelle, e ti preparo anche il cappuccino come piace a te! - Effettivamente lo fa buonissimo, proprio come piace a me. Poco caffè, con tanta schiuma e una generosa quantità di cacao. - Posso? Ho gli occhi chiusi! - - Dai scemo, puoi aprirli! - - Buongiorno principessa! Come mai hai dormito sul MIO divano e per di più vestita? - Riduco gli occhi a due fessure, vorrei fulminarlo all'istante. Odio quando mi chiama così. Afferro velocemente dei cuscini accanto a me e li lancio verso di lui. Schiva prontamente. Sorride, mentre io scivolo da capo sul divano sospirando. - Non chiamarmi principessa. Mi ricordi il perché ti ho dato la copia delle chiavi di casa? - - Per le emergenze! - - Appunto! - - Dai che fuori c'è una bella giornata e poi...ho una sorpresa per te! - Eccolo il traditore, mi sollevo e ritorno seduta. È consapevole che mi piacciano le sorprese infatti questa strategia nei miei confronti funziona sempre. Ora ha tutta la mia attenzione. Apre la finestra per far passare un po' d'aria. Io invece farei passare lui dalla finestra, lo perdono solo perché deve farmi il cappuccino. Mi stampa un bacio sulla fronte e mi passa la scatola con le ciambelle. Lo guardo e sospiro. Troppo bello e impossibile, anche in jeans, soprattutto questi che li fasciano il sedere. Lo seguo con gli occhi fino a quando non sparisce in cucina. - Sono tutta orecchie! - Nel frattempo apro la scatola. Oddio, sono tutte colorate, sono quelle di Bob. Le adoro! Ne afferro per il momento una, al cioccolato, e inizio a mordere la croccante glassa zuccherina. Poi guardo Antonio, che si è affacciato dalla cucina. - No tesoro, fai prima colazione, poi una bella doccia che sembri un panda per come sei struccata e dopo parliamo della serata di ieri e delle novità. A proposito, gli spartiti sono sul tavolo! - Lascio vagare la mia mente, senza focalizzarmi sulle parole di Antonio e mi faccio trasportare a ogni morso e dall'odore del cappuccino appena fatto. - Mi stai ascoltando? - Con la bocca piena annuisco, lui mi osserva con la coda dell'occhio, mentre ha in mano due tazze fumanti e me ne porge una. - Sembra delizioso, grazie! - L'osservo mentre si fa spazio tra i cuscini e l'iPod, si mette comodo accanto a me e prende una ciambella al gusto cannella. - Ok. Inizio io. Ti ricordi di Luke? - - Come potrei dimenticarmi, ne parli in continuazione! - Ecco perché bello e impossibile, almeno per me. - La sua amica gallerista si è decisa a organizzare una mostra d'arte con tutti i lavori di Luke, finalmente potrà esporre le sue opere! - - Ma è fantastico, e lo dici così? Dobbiamo festeggiare! A proposito, quando pensi di presentarmelo? - - Presto, ecco perché ho per te un biglietto per l'evento. In questi ultimi giorni mi hai sopportato tanto e nel pacchetto ti offro anche la mia compagnia, oggi sarò a tua completa disposizione! - - Adoro la mostra d'arte, ma vuoi davvero torturarti? Oggi non è il tuo giorno libero? - - Già, che masochista vero? Scherzi a parte, Luke non mi vuole tra i piedi, è intento a organizzare l'evento, mi tocca sopportarti! - - Allora accetto il pacchetto completo, quando si terrà? - - Sabato alle diciotto! - - Ci sarò! Adesso vado a farmi una doccia, perché non sai in che guai ti sei cacciato amico mio. Mai dire a una donna sono a tua completa disposizione! Iniziamo dallo shopping! - Lo vedo mettersi una mano in testa e scoppiamo a ridere, ha una bellissima luce negli occhi, si vede che è innamorato. Lo guardo mentre gli squilla il telefono, lo prende e si allontana per rispondere. Approfitto per prepararmi, quando si tratta di uscire per acquisti divento super veloce: una doccia, una sistemata ai capelli, una spruzzata di profumo iris e sono pronta. - Allora, da dove iniziamo? - Dal suo tono capisco che è intimorito, mentre avanziamo verso le vie di New York, con la sua Mustang blu. Un po' lo capisco, gli uomini fanno acquisti in modo veloce, noi donne invece con estrema calma. La nostra è una vera e propria attività sociale e va fatta con le persone fidate, che in questo caso è il mio caro amico Antonio. - Che ne dici se iniziassimo dalla Fifth Avenue? - Annuisce, non può sottrarsi. Siamo fermi al semaforo, non posso fare a meno di osservarlo attentamente, mentre prende una sigaretta dal suo inseparabile pacchetto, lo avvicina alla bocca mantenendola tra l'indice e il medio. Sembra assorto quando le sue labbra stringono il filtro. Con decisione afferra l'accendino, con il pollice muove la rotellina e in un attimo appare la fiamma. Lo Avvicina alla punta della sigaretta e aspira molto lentamente, per poi buttare l'aria fuori dal finestrino. Non ho mai fumato, ma dev'essere qualcosa che incuriosisce e affascina. Perché fumare? È un rito? Un bisogno? Un'abitudine? - Sai che ti preferisco quando non fumi! - - Lo so, diciamo che mi rilassa, sai che posso smettere quando voglio! - - Allora perché non lo fai? Forse sono io che ti stresso? Ti occupi di me dal primo giorno che ci siamo visti! - - Non lo devi mai pensare e poi mi sono offerto io. È solo un po' di stress accumulato per via della mostra. Concedimela, almeno questa! - Mi guarda per rassicurarmi. Stringo il suo braccio muscoloso e ci resto fino a quando non usciamo da questo traffico; ne approfitto per accendere la radio. - ...Tagliate i rami secchi e fate spazio ai germogli del nuovo cambiamento! - È l'oroscopo. Sono curiosa di sentire cosa dice del leone. - Vergine, decisamente positivi [...] - Ti pareva, ho sentito la parte finale del mio segno. - Vi abbiamo trasmesso i primi segni zodiacali, restate con noi per scoprire cosa c'è in serbo per gli altri sei! - Tagliare i rami secchi. Uhm. Guardo un po' scettica la radio, poi lo speaker radiofonico ricomincia a parlare. - Vi lascio con la canzone “Like Teen Spirit – Malia Jì!” - Mi estraneo completamente e guardo fuori dal finestrino, perdendomi tra gli edifici, le persone, i mezzi, le case, e mi rendo conto che sono sempre lì a dover scegliere fra quello che devo fare e quello che mi sto perdendo. Continuo a ripetermi che c'è una vita là fuori, c'è un mondo che è tutto ancora da scoprire. - Forse sei pronta per un nuovo cambiamento! - La frase di Antonio mi riporta alla realtà. Forse ha ragione lui, ma non voglio affrontare ora l'argomento. - Ehi, ho visto un posto libero! - Dico con enfasi. Evitando che lui possa riprendere il discorso. Parcheggiamo la macchina non molto distante, e ci mescoliamo ai tanti newyorkesi che affollano la Fifth Avenue. La via è piena di boutique, un susseguirsi di negozi alla moda che non aspettano altro che essere svuotati...o quasi. Un paio di ore dopo e tre negozi, non trovo ancora nulla che possa piacermi. Sto per arrendermi e passare a quello successivo, quando la voce di Antonio riempie il negozio. - Prova questo! - Sobbalzo per lo spavento. Antonio mi mostra l'abito giusto, come dice lui. Indietreggio per guardarlo meglio e resto di stucco. - Non ti piace? - Chiede osservando l'abito. - Dai provalo! - Alla fine mi lascio convincere, lo afferro e sparisco nel camerino. Infilo il vestito, stando attenta a non rovinarlo. È completamente in pizzo, di colore blu. Attillato e lungo fino a terra con uno spacco laterale. Una scollatura che mette in risalto il mio seno. Le spalle sono scoperte e la schiena completamente nuda. Mi piace molto, vediamo cosa ne pensa l'artefice di questa scoperta. Sposto la tenda ed esco dal camerino. - Come mi sta? - Antonio è di spalle, sta parlando al telefono, riesce comunque a sentirmi, perché lo vedo girarsi in direzione della mia voce. Non appena mi ha davanti, rimane a bocca aperta. Gli occhi puntati su tutta la mia figura e per un momento allontana il cellulare dall'orecchio. - Sei...sei bellissima. Sembra fatto apposta per te! - - Devo riconoscere che hai buon gusto per i vestiti. Lo prendo! - Sorride per poi sparire nel negozio della Apple e io ne approfitto per continuare lo shopping. Passo davanti al negozio di Tiffany. Ogni donna conosce la scatola verde che contiene il leggendario anello di fidanzamento; luccicano gli occhi solo a guardare le vetrine, meglio se non mi soffermo. Proseguo la passeggiata solitaria e mi trovo davanti alle vetrine dei negozi di scarpe. Succede sempre così quando in un negozio di scarpe, non mi rendo conto del tempo che passa, dimenticando tutto, anche di Antonio. Decido così di raggiungerlo nel suo regno, sono sicura di trovarlo ancora lì. Varco l'ingresso e mi trovo in una enorme sala vetrata, dove in tanti provano i più svariati prodotti della mela morsicata, infatti è seduto su una delle tante postazioni che riempiono il negozio. Lo vedo arrancare con tutte quelle buste, come al solito esagero sempre, è divertente vederlo così, ne approfitto per passargli anche quest'ultime. - Sophie, ma dove diavolo eri finita? - È piuttosto arrabbiato. - Scusami, è che ogni volta che entro in un negozio di scarpe, magicamente vengo inghiottita! - Mi guarda con aria diffidente e nonostante le buste ingombranti, riesce a stamparmi un bacio sulla tempia. - Non farlo mai più! - Annuisco. Vederlo preoccupato per me, mi riempie il cuore di gioia. - Che ne dici se andassimo al Papaya King per degli hot dog? - Sono i suoi panini preferiti. In qualche modo voglio farmi perdonare. - Ottima idea, potremmo prenderli e mangiarli passeggiando al Central Park! - - Sì, è perfetto, offro io! - - A me doppio, ho bisogno di forze. La mia giornata con te non è ancora finita! - - Vada per il triplo visto che dovrai ancora sopportarmi! - Ridiamo come matti, Antonio è davvero una bella persona, un buon amico, un ottimo consigliere. Mi metto in fila per i panini, mentre lo guardo allontanarsi e raggiungere la sua auto per sistemare i nostri acquisti. Penso a quella volta, non ce l'avrei mai fatta senza di lui; l'aria frizzante di oggi mi fa pensare a quella giornata, avevo lasciato il mio paese una mattina di novembre, il cielo sopra la mia città era azzurro. Mi dispiace essere arrivata a questo, ma non avevo altra scelta. Ero partita senza documenti e senza soldi, mi era sembrato tutto troppo facile e bello [...] - Signorina, se ha voglia di sognare, vada altrove, mi sta bloccando la fila! - - Oh, mi scusi, ha ragione! - Ha ragione sì, mi volto e vedo una bella coda. Mi raggiunge in tempo Antonio e scegliamo i panini, lui doppio come promesso. Ci incamminiamo verso Central Park. Un morso dopo l'altro ci avviciniamo alla prima panchina stranamente libera. Ci sediamo e sistemo in mezzo a noi la busta stracolma di patatine. - Ma perché il tizio del chiosco ti ha detto di andare altrove? - - Avevo la testa tra le nuvole e senza rendermene conto avevo formato una bella coda! - - Perché la tua testa era lì? - Mi riempio la bocca di patatine così evito di rispondere. - Sophie, io ho fatto coming out all'età di sedici anni. Mio padre non ha mai voluto affrontare l'argomento. Poi, insieme a mia madre hanno preferito cacciarmi da casa in modo brusco. Con offese e insulti di ogni genere. - Povero Antonio, dev'essere stato traumatico a quell'età. - Ho dormito sotto i ponti con i barboni perché non sapevo dove andare. Da quel giorno non ho più sentito i miei. Ti sembrerà strano, tuttavia li comprendo e li giustifico per la loro mentalità. L'ho vissuta come una liberazione, affrontando tutto con molta tranquillità e devo molto a una persona. - Capisco il suo pensiero e ciò che ha passato, e vissuto. Un genitore dovrebbe capire il proprio figlio, ascoltarlo e non imporre le proprie scelte. Stringo forti i pugni e la mia mente mi riporta a quel dannato giorno. Mi ero ritrovata con un gruppo di ragazze sud americane. Messe tutte insieme in una struttura provvisoria, in attesa di qualcuno che ci venisse a prendere. Non ho idea di come ci sono capitata, ricordo solo che stavo andando all'appuntamento, poi il vuoto assoluto. - Sophie, quello che cerco di dirti sintetizzando, perché sono due ore che parlo da solo, è di andare avanti! - Sospiro. Mi rendo conto che ha ragione. Ha sempre ragione. - Invece veniamo alla serata d'ieri, nulla da dichiarare? - - La cena? Sì è andata bene! - - Ti rendi conto che eri al tavolo con il boss e con Sean Walker? - - Davvero? Non ricordo! - - Come fai a non ricordati!? È Sean Walker, SEAN WALKER! Hai capito di chi sto parlando? Dello scapolo d'oro, il magnate della società mineraria, il plurimiliardario, il playboy di New York. Bellissimo, alto, palestrato e soprattutto etero, purtroppo. Insomma non so più come definirlo! - Evito per l'ennesima volta di rispondere, in realtà non sono entusiasta di sapere di lui. Sbaglio o ha già una ragazza? Forse ne ha una per ogni occasione, altrimenti perché definirlo playboy? - Sophie, mi stai ascoltando? Oggi sei strana, che hai? - - Scusami Antonio, è che stavo pensando a Gennaro, ieri si è superato! - - Ma che dici? Ieri c'era lo chef giapponese. Comunque l'ho beccato più di una volta che ti guardava! - - Chi, lo chef? - - Andiamo, sai di chi sto parlando! - - Perché eravamo seduti uno di fronte all'altra e quando si dialoga, ci si guarda negli occhi! - - Tesoro credimi, quello ti spogliava con gli occhi, poi chi ha detto che ti guardava solo quando parlavate? Ti ricordo che faccio il cameriere, io osservo, rifletto e deduco. - - Deduci male, a me piacciono seri e single! - - Beh, non posso negarlo, si è divertito molto. Ora sono diversi mesi che non frequenta nessuna, però potrei provare a farmi avanti io, chissà... - Guardo Antonio e scoppiamo a ridere, la sua risata è gioiosa e coinvolgente. - Comunque ti do una notizia, ieri era con la sua fidanzata! - - Chi, quella? L'hai vista bene? Non puoi paragonarti a lei! - - Appunto! - - Non intendevo quello e tu lo sai. Tu non hai idea di quello che susciti in un uomo, te lo dico io che sono gay. Credimi, non sei indifferente al mio corpo e questo mi spaventa! - All'improvviso diventa serio, il suo sguardo balza dai miei occhi alle mie labbra, continuo a non capire il suo atteggiamento. Mi guardo attorno, non so cosa fare. Chiude gli occhi per un momento, poi li riapre, scuote la testa e ritorna accanto a me.
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