L'appartamento si trovava al terzo piano di un fabbricato con i balconi in muratura, classico esempio della peggiore edilizia popolare degli anni Settanta. L'involucro esterno si era come scollato in più punti, in altri si era gonfiato in tante bolle, simili a pustole sul punto di erompere; quel che rimaneva era mutato in un grigio topo che opprimeva la vista e generava una sensazione di sporco. La maggior parte dei balconi era sigillata da un telaio, in alluminio bianco e vetro, che conferiva all'intera struttura l'aspetto di un carcere post apocalittico. Una pianta di edera quasi secca cercava di emergere, unico tentativo fallito di invadere con qualcosa di vivo quel monumento al decadentismo. Una decina di bambini, con le ginocchia grattugiate e il viso coperto di polvere, giocava a pallone in un parcheggio. Le urla sovrastavano ogni altro rumore; solo il suono acuto dell'allarme di una delle auto usate come pali della porta riuscì a soffocarle in un istante. Come tanti lemuri a un segnale convenuto, si vaporizzarono scomparendo nei loro nascondigli. Il loro vociare, le risate, erano un modo per dimostrare che c'era ancora qualcosa per cui vivere. Un'auto si accostò al marciapiede. Ne discese una donna di media statura, dai lineamenti delicati. Si guardò intorno, poi prese il cellulare e compose un numero, attese il primo squillo e riattaccò, senza aspettare risposta. Dopo qualche secondo, un individuo paludato in una tuta bianca si palesò sul portone d'ingresso del palazzo, emergendo come dalla nebbia. Quando la vide, le indirizzò un segno con la testa. Doriana Guerrera si sporse all'interno dell'abitacolo. - Andiamo - fece. Richard Dale mise in bocca una liquirizia e sospirò. - Va bene - annuì, - ma facciamo in fretta, questo caldo mi sta torturando. - Seguirono l'uomo della Scientifica lungo tre rampe di scale, in silenzio e avvolti da odore di muffa e urina vecchia. Ogni piano ospitava tre appartamenti. Si fermarono di fronte a quello centrale. Richard ebbe la sensazione che qualcuno li stesse osservando da uno degli spioncini. S'immaginò una donna grassa, con i capelli biondo sporco e un grembiule logoro, in cerca di una storia da raccontare l'indomani alle amiche. L'uomo in tuta bianca passò loro copriscarpe di plastica, una cuffia e dei guanti azzurri. Li indossarono in silenzio e con movimenti esperti. Era una procedura familiare che eseguivano, ormai, con il pilota automatico, come una liturgia, come la vestizione del prete prima della messa. L'uomo porse loro un barattolo verde. Richard v'infilò controvoglia indice e medio, estraendo una sostanza cerosa bianca che si passò sotto il naso. Odiava quel maledetto odore, odiava quella sensazione di dita attaccaticce e il bruciore che lasciava per giorni, ma era un prezzo che pagava quasi volentieri. Il fetore stagnante proveniente dall'interno l'aveva convinto a non fare troppo lo schizzinoso. - Comincia la festa - fece all'indirizzo di Doriana. Lei annuì. Fece segno all'uomo in tuta bianca di precederli. Oltrepassarono una porta in legno con un buco al centro coperto da un foglio di compensato. Una lampadina pendeva dal soffitto e illuminava un corridoio con l'intonaco scrostato a chiazze irregolari. - La stanza è quella in fondo a destra - fece l'uomo con la tuta bianca. La voce attraverso la mascherina suonò falsa, metallica. Su un tavolinetto sulla sinistra, Richard vide due foto: nella prima una donna con in braccio un bambino di circa tre anni, lo sfondo leggermente sfocato, da cui s'intravedeva uno scivolo e un'altalena; l'altra ritraeva la stessa donna, quasi in primo piano, abbracciata a un uomo stempiato a cui mancava un incisivo; sorridevano, sembravano felici. I sorrisi, i figli, il cane. Lo aveva notato in diversi luoghi nei quali era stato per un omicidio: le persone ci tenevano a mostrare gli aspetti migliori della loro vita, come un esorcismo, come una barriera che tenesse lontano il male. Sarebbe stato bello, pensò. Purtroppo non era servito a niente. Oltrepassarono una cucina che si apriva sulla destra. Un tavolo bianco scheggiato in più punti e quattro sedie, una delle quali spaiata. Diverse macchie di umidità calavano dal tetto in corrispondenza dell'angolo più lontano; erano sul punto di ricongiungersi per attaccare la parte bassa del muro. Svoltarono a sinistra. La porta della stanza da letto. Il fetore, nonostante la canfora, si fece più intenso. Vennero investiti da un'aria pregna, che li avvolse come un sudario. Richard ebbe l'impressione che l'umidità fosse sul punto di condensarsi in tante piccole goccioline. L'uomo con la tuta bianca si scostò e, senza dire niente, ritornò indietro. Davanti, un ambiente quadrato tre per tre. Altri uomini in tuta bianca si muovevano in silenzio come in un rito pagano. Addossato alla parete di fronte vi era un letto con la testiera in ottone e sopra, appeso, un quadro che raffigurava la Madonna, i lineamenti del viso erano stati dipinti in maniera così approssimativa da farla sembrare un efebo. Uno degli uomini del team della scientifica si sporse sul letto, la macchina fotografica a pochi centimetri dal dipinto, per cogliere una scritta sulla superficie del vetro: “Rosso”. Degli schizzi di sangue tracciavano un solco immaginario che partiva da un lenzuolo candido, adagiato sul pavimento, di fronte al letto. Sotto, un corpo. Il commissario Marani, di spalle, a pochi metri da loro, parlottava con un uomo alto e ben piantato. Dopo pochi secondi, il capo team della scientifica annuì e si avvicinò al corpo. Marani si voltò e li vide. - Ce ne avete messo di tempo - bofonchiò. - Mi sono fatto la sauna aspettandovi. - Addentò il sigaro. Doriana gli mostrò l'orologio. - È passata mezz'ora da quando mi hai chiamata - rispose scontrosa. - Ancora non ci hanno dato in dotazione il teletrasporto. - - Lasciamo perdere - cercò di scollarsi la camicia di dosso. Sotto le ascelle due enormi chiazze di sudore. - Come mai è stata richiesta la collaborazione dell'Unità? - fece Doriana. - Non mi sembra ci fossero i presupposti - fece indicando il corpo ai piedi del letto. - Questa tua mania di parlare come un libro stampato mi dà ai nervi. Prima dagli un'occhiata, poi mi dirai se c'erano o no i presupposti, dannazione. - - Chi era? - li interruppe Richard. - Si chiamava Ada Landi. Ma è meglio dire “chi erano” - fece lui. Richard corrugò la fronte. - Che significa? - Marani fece segno a un tecnico della scientifica. L'uomo si chinò e sollevò il lenzuolo. Il corpo era in evidente stato di decomposizione, scoperto fino al pube, gli slip abbassati sulle ginocchia e un vestito di cotone a fiori sollevato a coprire il viso; non portava reggiseno. Richard si soffermò sul taglio che attraversava longitudinalmente il bacino: un taglio cesareo, ma più esteso. I tessuti erano divaricati e l'intestino estroflesso. Doriana distolse lo sguardo. Conosceva alcuni che s'impressionavano vedendo il sangue e i cadaveri; lei no, non erano quelli gli aspetti che la costringevano a volgere lo sguardo. Cinque anni nella seconda sezione dell'U.A.C.V., l'Unità Analisi Crimini Violenti, le avevano fatto conoscere la morte in ogni sua forma, ci aveva fatto il callo. La consapevolezza che nel mondo potesse esistere un male così assoluto, questo la disturbava. Marani disse che poteva bastare. Il tecnico della scientifica fece scivolare il telo nella sua posizione originale. - Incinta... da più o meno cinque mesi - fece il commissario. - Non mi dire che... - Doriana non ebbe il coraggio di terminare la frase. Marani annuì. - Abbiamo cercato in tutta la casa. Se l'è portato via, Cristo santo. - Scosse la testa. - Si è portato via il feto. Avete idea di com'è un bambino al quinto mese, cazzo? Quale fottuto schizoide è capace di una cosa del genere? - - Uno schizoide organizzato - rispose Richard. - Suppongo non abbiate trovato nessuno di quegli elementi che piacciono a te e al nostro bravo capo team. - - Cosa te lo fa pensare? - - È un tipo metodico. Né il periodo né la scelta della vittima sono stati casuali. Hai notato che non ci sono macchie di sangue sul letto? - - E allora? - - Aveva bisogno di una superficie dura per eseguire il taglio. Non è stato un omicidio d'impeto, se l'è presa con comodo, sapeva di non rischiare nulla. - - Stai pensando a un edonista? - fece Doriana. - Sì, anche se c'è qualcosa che non concorda con il quadro generale. Avete appurato se prima o dopo la morte è stata violentata? - chiese all'indirizzo di Marani. - Calveri dice di no. Hanno trovato, però, delle tracce spermatiche. Probabilmente, il bastardo si è masturbato sulla donna e poi ha cercato di ripulire. - - Strano - mormorò Richard e ritornò in uno stato quasi ipnotico, lo sguardo perso nel vuoto. Doriana lo osservò e scosse la testa. Dopo diversi anni, aveva ormai fatto l'abitudine ai suoi silenzi, alle pause, alla totale mancanza di tatto. Avrebbe potuto stilare un lungo elenco di atteggiamenti che a una persona normale sarebbero apparsi strani. Sindrome di Asperger: una diagnosi che poteva significare tutto e niente. La prima volta che le aveva detto di cosa soffrisse ricordava di aver avuto paura, pensava fosse qualcosa di grave; poi, poco alla volta, aveva capito che, nel caso di Richard, rappresentava solo un modo di essere. Bisognava accettarlo così com'era, non c'era modo di cambiarlo. Negli ultimi tempi, poi, i comportamenti sembravano essersi acuiti, forse in corrispondenza della nascita di Samuele. - Aveva un marito? - chiese per rompere il silenzio. Marani annuì. - L'abbiamo rintracciato, sta tornando. Si trovava fuori città. Ne aveva per tutta la settimana. È una specie di rappresentante di prodotti per l'infanzia. Una vicina ci ha detto che non se la passano troppo bene. - Richard si massaggiò il mento. - Strano. - - L'hai già detto prima, Richard. Cos'è che ti sembra così strano? - - Quando sono entrato qui ho avuto subito l'impressione che ci trovassimo di fronte a un individuo molto organizzato: la scelta della vittima, il periodo... l'uomo deve aver studiato per diverso tempo le abitudini della donna e ha colpito quando era sicuro di non correre rischi. Gli edonisti sono come giocatori di poker, commissario. Ognuno ha il suo modo di portare avanti la partita, le sue manie e, pur con qualche eccezione, ripercorrerà sempre gli stessi gesti, le stesse azioni, quelle che gli danno sicurezza. Non si può andare contro la propria mente ed è da questi elementi che si parte per cercare di capire cosa ha in mano l'avversario. Questi soggetti ricavano il loro piacere dall'atto omicida in sé stesso, sono attratti dalla sfida, dalla ricerca del brivido più che dall'atto sessuale vero e proprio. Il fatto che abbia lasciato delle tracce così evidenti contrasta con l'idea che mi ero fatto. - - Non è possibile catalogare uno schizofrenico, Richard. - Lo psicologo non rispose. Sembrava riflettere. - Non capisco perché parlate come se fosse un serial killer - intervenne Doriana. - Ci sono stati altri omicidi? - - Non hai notato la scritta? - disse Richard indicando il quadro. - E con ciò? - - Ce ne saranno altri, fidati. L'ha messa lì perché la notassimo. Se non lo fermiamo ucciderà ancora. Ne avete trovate altre in casa? - fece, rivolto a Marani. - Sopra il letto del bambino. - - Cosa c'è scritto? - - Giallo. E non sono le sole cose strane che ha lasciato - rispose Marani. - Venite, voglio farvi vedere una cosa. - Lo seguirono in una stanza attigua. Un lenzuolo azzurro con disegnate delle nuvole, adagiato su un lettino con l'intelaiatura in legno chiaro. Sulla testiera, un piccolo abatjour dalla foggia marinaresca. Di fronte al letto, un armadio bianco. In una delle ante erano state attaccate, con dello scotch, una decina di foto; ritraevano la donna morta da diverse angolazioni. - Abbiamo un artista - fece Doriana avvicinando il viso. - C'è anche un altro bambino? - chiese Richard distogliendo l'attenzione dalle immagini. Marani annuì. - Il padre se l'è portato con sé e Dio solo sa se non ha fatto bene. - - È una prassi usuale o questa è stata la prima volta? - - Tu e le tue domande. Che importanza vuoi che abbia? - borbottò il commissario. Vide l'espressione dello psicologo. - Al diavolo. Non era la prima volta che se lo portava dietro, ma non era la regola. Avrà approfittato della chiusura delle scuole. - - Già - fece Richard. Indirizzò l'attenzione alle foto. Erano state scattate da una persona poco esperta: il tempo di esposizione era stato prolungato oltre il dovuto, creando delle immagini mosse; anche la prospettiva risultava illogica, sembrava scelta di proposito, alla ricerca di particolari senza senso. - Pensi che abbiano un qualche significato? - gli chiese Monica. - Ne dubiti? Le ha lasciate qui per noi. - - Per farci vedere quanto è stato bravo? - - Per quello c'è il corpo della donna; è quella l'opera della quale va fiero. - Scosse la testa. - Ho l'impressione che siano come un messaggio, che ci voglia comunicare qualcosa. - - Sì, che è un fottuto pazzo scatenato - intervenne Marani. - Puoi averne una copia? - gli chiese Richard, mentre ne osservava una scattata parallelamente al corpo della donna. - Vorrei dar loro un'occhiata con più calma. - - Contento tu. - Entrò Da Ros, il capo team della scientifica. Pizzetto rasato e occhiali di tartaruga. Una cicatrice sulla guancia destra. Si accostò al commissario. - Noi abbiamo finito. Le faccio avere al più presto il responso dell'AFIS per le impronte, anche se le anticipo che la stanza da letto sembra essere stata pulita a fondo. - Marani annuì. - Lo immaginavo, grazie comunque. - L'uomo fece un cenno antipatico a Richard e uscì. - Una perla di simpatia - fece Doriana. - Si sentirà messo da parte. Bisogna capirlo - bofonchiò Marani. - Avete trovato nient'altro? - fece Richard. - Mi faccio mandare la lista. Ah, ho detto a Calveri di dare a questo omicidio priorità uno. Domani voglio che veniate all'autopsia, non si sa mai che saltino fuori particolari interessanti. - - Contaci - fece Doriana. Richard scrollò le spalle annoiato. - Se ti fa piacere. - - Sì, mi fa piacere e adesso andatevene che mi hai già fatto girare le palle - grugnì Marani.
Diego Pitea
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