Un silenzio colmo di disagio si sparse nell'aria: Piero guardò verso l'ingresso incuriosito, Lisa, con la fronte corrugata lanciò uno sguardo sconcertato a Conrad, che invece quasi s'immobilizzò sull'uscio di casa. Fu lei la prima a riprendersi e, con la voce alterata dalla sorpresa, mormorò: - Avresti almeno potuto bussare - . L'attimo di gelo che seguì fu interrotto dal pianto di Mark. Forse avvertiva la tensione, come tutti i cuccioli. Lisa lo prese in braccio, cercando di capire se avesse qualche dolorino o volesse essere cambiato. - Scusate il disturbo - esordì Conrad risentito. Di fronte all'impassibilità di Piero, lui mosse alcuni passi verso il bambino, con cui pareva quasi timoroso d'entrare in contatto. - Lui è Piero, un mio amico in vacanza qui per qualche giorno. Piero, ti presento Conrad - aggiunse lei, sperando di smorzare così l'imbarazzo. I due tornarono a guardarsi, poi Conrad gli strinse la mano distratto, continuando a fissare il piccolo. - Posso prenderlo in braccio? - domandò di getto. - Certo - , replicò Lisa - però sta' attento per favore, mi sembra un po' irrequieto. Non so perché pianga - . Con movimenti un po' meccanici il padre lo prese tra le braccia, poi, una volta stabilito il contatto, i muscoli del viso cominciarono a distendersi, mentre il volto assumeva espressioni tra lo stupore, la meraviglia e lo sbigottimento. Mark sembrava essersi calmato, lo guardava fisso negli occhi cercando d'interpretare quello sguardo e capire se fosse il caso di sorridergli. Ne vennero fuori delicate smorfiette che strapparono un sorriso a Conrad. - Sei bellissimo, piccolo - gli sussurrò. - Sei quanto di più bello abbia mai visto - . La tensione parve affievolirsi, l'incanto di un bambino può idratare e addolcire i rami secchi di un cuore indurito, può far germogliare nuove gemme. - Scusate l'intrusione - aggiunse con la voce arrochita dall'emozione. - È che credevo di trovarti sola col bambino, Lisa - . - Ormai è fatta - rispose calma lei. - E poi stavamo per uscire. Vieni con noi? - . - No, preferisco tornare a casa, sono appena rientrato, ho ancora le valigie in macchina. Ero solo passato un attimo per vedere finalmente Mark - . Quel “finalmente” suonò alle orecchie di Lisa come una provocazione, che tuttavia scelse di non cogliere. Preferiva di gran lunga tenere un basso profilo verso di lui, mirando sempre e solo a un sufficiente equilibrio nella gestione del bambino.
[...] si affrettò a collegare il telefono al caricabatterie, trovandovi diversi messaggi e chiamate perse, in buona parte di Conrad. Cominciò a leggerli, contenta che anche lui avesse avuto il desiderio di sentirla. “Sono ore che cerco di contattarti, senza riuscirci. Sei sparita. Ti ho chiamato, ti ho scritto, e tu niente. Vorrei proprio sapere che fine hai fatto. E perché mi stai ignorando”. Era, questo, l'ultimo messaggio in ordine di tempo. I precedenti erano andati dalla calma del primo a un crescente nervosismo dei seguenti, fino a sfociare in quello conclusivo, apertamente polemico. Si diede d'istinto della stupida per aver dimenticato il caricabatterie a casa, altrimenti avrebbe potuto scrivergli o chiamarlo appena giunta in istituto. Lì per lì, presa dal saperlo preoccupato e contrariato per la sua assenza, non si accorse di colpevolizzarsi oltremisura per una banalità come il cellulare scarico. Il suo unico pensiero fu di chiamarlo subito per scusarsi e spiegargli l'accaduto. Stavolta fu lui a non essere raggiungibile; allora, con i sensi di colpa che aumentavano ancor più, prese a scrivergli dei messaggi. Esordiva col chiedergli scusa, era mortificata, non sarebbe più successo, ma si era trattato di una serie di sciocche dimenticanze, poi l'incontro col direttore s'era protratto, infine era andata a riprendere Mark ed era arrivata a casa che era quasi sera. Ma come poteva pensare che lei volesse ignorarlo? Mai e poi mai l'avrebbe fatto, ora che tra loro andava tutto a meraviglia, ora che erano davvero una famiglia. Sperava di sentirlo appena possibile, lo pregava di richiamarla, così da chiedergli scusa anche a voce. Era stata un'irresponsabile, avrebbe dovuto pensare che lui si sarebbe preoccupato, al- meno poteva chiamarlo dal telefono fisso dell'istituto o dal cellulare del direttore per tranquillizzarlo e spiegargli. Attese per ore le risposte di Conrad ai suoi messaggi, tentando di chiamarlo più volte, ma nulla. Il telefono era spento e i messaggi non li aveva neanche letti. Dopo giorni e notti felici, si ritrovò quella sera inquieta e sommersa da sensi di colpa viscosi, avvilita per la stupidità del suo comportamento e per non essere ancora riuscita a parlare con lui. Dormì poco e male, lo stomaco contratto e la salivazione pressoché azzerata. Il messaggio che trovò al mattino trasudava di freddezza e distanza punitiva: “Bene. Finalmente ho saputo che stai bene e non è successo nulla a Mark. Ma ho saputo anche che sei diventata superficiale e irresponsabile, visto che te ne vai in giro senza pensare che qualcuno, il sottoscritto, possa cercarti e preoccuparsi di non riuscire a contattarti. Peraltro, non mi avevi detto di voler tornare a lavorare a breve, né del tuo appuntamento col direttore, che in pratica ti ha tenu- ta con lui tutto il giorno. Sono molto contrariato, Lisa. Oggi ho la sensazione di essere molto in basso nella tua classifica di priorità”. No, non poteva pensarla davvero così. Chi era quello sconosciuto che le aveva scritto? Non era il suo Conrad, l'uomo solare, affettuoso e ironico che amava. Quest'uomo era gelido e mortificante, sapeva ferirla, non aveva fiducia in lei... Doveva parlare subito con lui, quell'orribile equivoco tra loro non poteva proseguire. Stavolta le rispose. - Conrad, amore, mi dispiace per quel che è successo. Perdonami, non volevo - esclamò lei con la testa che le scoppiava. Sperava nella sua clemenza. - Non hai pensato a me per tutto il giorno. Sei stata egoista, mi dispiace, ma devi accettarlo. Te ne sei fregata che io potessi preoccuparmi. E questo non lo sopporto - sentenziò lui in tono cupo. - Ti prego, non dire così. Non è stato volontario, ma solo casuale. Mi sto scusando da ieri, vorrei solo che mi credessi. Non avevo alcuna intenzione di crearti disagio, e non immaginavo che mi avresti cercata durante il viaggio. Sono perdonata? - . - Bah. Ne parliamo al mio rientro. Ora sono impegnato - . E mise giù. Un senso di vertigine le s'impose immediato, era come se si trovasse in un mondo parallelo o in un incubo. Percepiva l'esagerata reazione di lui, soprattutto il perseverare in quell'atteggiamento negativo, ostico, anche dopo avergli spiegato e chiesto scusa, ma non riusciva a scrollarsi di dosso i sensi di colpa e quell'intenso disagio. Si sentiva come quando in un brutto sogno ci si vuol muovere, ma si è paralizzati. Attese il ritorno di lui con un misto di apprensione e desiderio. La prima gliel'aveva inoculata lui, anche se non se ne rendeva conto, presa com'era dall'espiare la sua grave colpa; il secondo era originato dal bisogno di parlargli da vicino, di sentirlo fisicamente per trasmettergli il suo dispiacere e la necessità di essere creduta, insieme al fermo proposito di non comportarsi più così in futuro. Nean- che la sfiorava che lei, invece, pur non essendo riuscita a contattarlo per ore, dopo il suo messaggio polemico, non avesse reagito in quella maniera. Era solo inondata dal rimorso per il suo agire irresponsabile. [...]
[...] Il lungo corridoio bianco l'avvolgeva con il suo silenzio. Una giovane donna piangeva sulla sedia di fronte a lei. Piangeva sommessamente, senza singhiozzi, le lacrime le rigavano copiose il volto, lo sguardo pareva allucinato. Vittoria aveva assistito al ricovero del compagno di lei, ferito in maniera seria a seguito di un incidente stradale. Provò pena per la ragazza, oltre che per se stessa. Nel giro di ventiquattr'ore le condizioni di Jeremy erano precipitate: gli ultimi giorni l'avevano visto cadere in una nuova crisi depressiva, aggravata dalle frequenti amnesie. Infine, in uno stato di semi torpore, la sera precedente l'aveva scorto portarsi una mano sulla spalla e sul braccio. Il timore che potesse trattarsi di un infarto l'aveva spinta a chiamare subito l'ospedale e chiedere soccorso. Timore fondato: per fortuna il suo tempismo aveva evitato il peggio, e ora Jeremy era ricoverato in terapia intensiva cardiologica. La lunga strada verso la fine si stava trasformando in un'estenuante lotta contro il tempo, un riavvolgere faticosamente la fune della vita che tuttavia, a un ritmo sempre più incalzante, tornava a sciogliersi e a dissipare gli sforzi profusi. Una parte di lei aveva gettato i remi in acqua, s'era arresa, aveva esaurito le energie. La combatteva con caparbietà, si aggrappava all'apporto del counselor, s'impegnava al massimo facendo tesoro delle sedute, ma le zavorre che continuava a gettare via, sperando di risalire o perlomeno di mantenersi in stabilità, stavano per terminare. Tra poco non avrebbe avuto più nulla da barattare per preservarsi dalla caduta. Meglio se precipitosa? Meglio se istantanea? Rabbrividì, malgrado il caldo asfissiante del reparto. E deglutì, la gola secca e chiusa. Cercò di bere: l'esofago era contratto, l'acqua quasi non riusciva a passare. Rammentò all'improvviso le volontà di Jeremy, depositate dal notaio e pronte a essere applicate nel momento in cui... Non riusciva neanche a formulare il pensiero, si piegò in due, sentì la nausea montarle. Con uno sforzo si alzò, corse in bagno e lasciò che lo stomaco si svuotasse. Restò a lungo poggiata alla parete, stremata. Poi s'impose di tornare nel corridoio: i medici avrebbero potuto cercarla per aggiornarla, doveva farsi trovare. La ragazza stava discutendo con un'infermiera, voleva entrare, vedere il suo compagno. L'altra le ripeteva che non era possibile, perché l'avrebbero portato in sala operatoria dopo pochi minuti. Infine, la giovane annuì, chinando il capo tra le lacrime e accasciandosi come un sacco vuoto sulla sedia. Vittoria s'avvicinò con passi incerti all'infermiera, domandando notizie su Jeremy. - Signora, l'abbiamo stabilizzato. Ora è sedato e sotto costante osservazione. Non può vederlo, mi spiace. Le consiglio di andare a casa a riposare, la vedo molto provata. Qui non può far nulla per lui. Cerchi di recuperare le forze e torni domani. Se il quadro generale sarà accettabile, potrà entrare per qualche minuto. E, mi creda, è un bene che lui oggi non possa vederla in questo stato - . - Ma... - mormorò Vittoria confusa. Poi tacque per qualche istante: fu come riprendere contatto con la realtà. Rammentò il suo viso stravolto intravisto nello specchio del bagno pochi minuti prima e si rese conto che il consiglio dell'infermiera era fondato. - Ha ragione. Farò come dice - aggiunse infine con un filo di voce. Una volta a casa, sentì l'esigenza di parlare con Lisa. La rubrica già aperta, il nome già selezionato: doveva solo premere il tasto della chiamata, ma il dito si fermò a mezz'aria, incerto, tremante. “No, no” si disse “non puoi angosciare tua figlia a migliaia di chilometri da te. Si sentirebbe impotente e anche in colpa per non esserci. Lasciala stare”. E chiamò Nicholas. [...]
Tina Taliercio
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