Via libera pensò. Si alzò dal letto senza fare rumore. Si affrettò giù per le scale, quasi senza respirare, cosa che negli ultimi anni si era fatta più pesante grazie alla bronchite cronica. Certo che se non avessi avuto il vizio di fumare! Ora nemmeno posso uscire fuori dall'uscio senza la mascherina. Prima di decidersi a mettere piede fuori sbirciò in ogni angolo per accertarsi che non ci fosse nessuno: aveva capito che se si fosse comportato bene, se avesse sempre obbedito e mai recato disturbo alcuno, gli infermieri e il personale avrebbero finito col non badare a lui. Prese un bel respiro e si diresse verso l'angolo del palazzo, entrò nel vicolo un po' più buio e solitario: lì avrebbe corso meno rischi. Si fermò scostando disperatamente la mascherina. Non c'era nessuno, ma se l'avessero sorpreso sarebbe stata certo un'aggravante. È stato il fumo, tutta colpa del fumo! si rimproverava continuamente. Vide un cane tenuto al guinzaglio da qualcuno che stava svoltando l'altro angolo del palazzo proprio in quel momento. Restò immobile. Il giovane si tirò la mascherina sul naso per paura di un rimbrotto o di contagiare altri; scese dal marciapiede e gli passò al fianco più lontano che poté. Gianluca, che si era sempre rifiutato di portare fuori il cane nonostante le richieste di sua madre, ora lo faceva se non proprio volentieri quantomeno senza scocciarsi più di tanto. Conosceva quell'uomo anziano, lo aveva notato più volte mentre guardava fuori dalla finestra. [...] - Buonasera - , disse Gianluca a voce troppo alta ritenendo che tutti i vecchi fossero anche sordi. - Buonasera - , rispose Agostino. Era già più di un mese che non pronunciava una parola così lunga ad alta voce, la ragazza buona della casa di smaltimento era da un po' che non si vedeva. Lanciandosi un'altra occhiata di sbieco ognuno proseguì nell'imbarazzo, forse nel senso di colpa di aver trasgredito le regole di quella quarantena tardiva decisa dal governo di allora. [...] Gianluca [...], come molti altri ragazzi, iniziò a esercitarsi con lo shifting, tentando anche viaggi astrali. Cercava una maniera qualsiasi per evadere da una realtà che non gli piaceva. Si trovava ormai in un punto a metà fra il reale e le altre dimensioni, vere o immaginarie che fossero. Usciva con Fuffi, dirigendosi il più in fretta possibile verso un punto del rione interdetto e transennato da sbarre di ferro a ricordare l'ultima alluvione. Ancora una volta i due si incrociarono, il ragazzo salutò, tirandosi su la mascherina, meravigliandosi da sé per il sorriso che gli venne spontaneo e che Agostino non poté vedere. L'anziano fece un gesto con la mano per far capire al giovane di attendere, gli mancava il respiro e non riusciva a parlare. Gianluca ristette a osservarlo, un po' imbarazzato, senza saper decidersi se proseguire per la sua strada o fermarsi nel dubbio che il vecchio si stesse sentendo male. Finalmente Agostino riuscì a ricambiare il saluto per poi riprendere faticosamente a far entrare un po' di ossigeno nei polmoni. - Mi scusi, ma devo riprendere fiato. - Gianluca, pur rammaricandosene nello stesso tempo in cui iniziò a parlare, disse al vecchio che dove stava andando c'era una panchina dove avrebbe potuto sedersi. - Magari! - Non è che mi schiatta qui? si domandava il ragazzo. Mi sa che ho fatto una delle mie! Pensò che parlare fosse la cosa migliore, il silenzio è come il buio, sa di morte. Parlò per circa venti minuti osservando quell'uomo col viso cadaverico che minuto dopo minuto riprendeva colore. Non seppe spiegarsi perché, ma quella notte Gianluca riuscì a prendere sonno prima dell'alba, prima che quel buio e quel silenzio fossero aggrediti dalla vita che ricominciava. Divenne un appuntamento fisso, tacito: Agostino gli parlava della guerra, del lavoro, della vecchiaia, dei magnifici anni Sessanta e della delusione degli anni Ottanta. Gianluca gli raccontava dei giochi virtuali, di come si scaricano, di combattimenti oppure descriveva con tanto di spiegazioni e supposizioni le trame degli anime che guardava. Divennero amici, il vecchio ascoltava con gioia le chiacchiere del giovane, notando al contempo in quegli occhi limpidi un velo tragico che non si sapeva spiegare: era giovane, sano, aveva tutte le possibilità, ma nessuno come i giovani sa sprecare la propria vita. L'aveva fatto anche lui e se ne rammaricava, ora che viveva le sue giornate lunghe e nella solitudine, che dà troppo spazio alla nostalgia, ai rimorsi, alle cose perdute. [...] - Panchina? - - Panchina - rispose Agostino. Agostino non chiese spiegazioni, né gli domandò della sua salute. Ripresero semplicemente i loro discorsi lì dove erano stati interrotti: la guerra e la scuola, la miseria e lo spreco, le palle fatte con la carta e i giochi elettronici, il contrabbando come opera di misericordia, i viaggi astrali e lo shifting. Il vecchio lo fissò con aria interrogativa, ma tacque. Gianluca comprese e dopo un attimo di silenzio si sedette al fianco dell'anziano. - Shiftare significa spostare la coscienza in un'altra realtà. - Agostino si voltò di scatto a scrutare gli occhi del ragazzo, cercando conferma di quel che gli aveva sentito dire. Il ragazzo sorrise, senza voltarsi a guardarlo, e come si fa con i bambini continuò la spiegazione. - Vedi, l'esistenza è di fatto intelligenza che, essendo energia e non corpo materiale, può spostarsi nella linea spazio-tempo, sintonizzando la frequenza della propria energia con la frequenza dell'energia della realtà in cui desideri andare, oppure ricreare. Questo col presupposto dell'esistenza di universi paralleli. - - Vuoi dire che tu puoi creare una realtà nuova dal nulla? - - No, in effetti anche se crei una realtà tua di fatto già esiste. Vedi, il tempo non è quello che ci insegnano a conoscere, con un passato, un presente e un futuro: il tempo va concepito in maniera unitaria. Insomma, non esistono né un prima, né un adesso, né un dopo. - A quel punto Agostino pensò che stesse scherzando e si aspettava da un momento all'altro una grassa risata. Ma Gianluca non scherzava affatto. - Per semplificare si può anche dire che sia collegato alla legge dell'attrazione, capisci? - - Ma tu davvero riesci a farlo? E dove vai? Che realtà cerchi? Non è già fantastica la tua realtà? - Il ragazzo sembrava non sentire le domande del vecchio e con lo sguardo sempre più perso chissà dove, proseguì. - Basta credere di poterlo fare, serve solo un totale rilassamento. Ho scoperto che esistono dei farmaci che aiutano e se non li hai a disposizione si può sempre trovare qualcos'altro, anche se adesso è difficile, troppa polizia in giro. - Agostino capiva che si riferiva agli stupefacenti e ora lo fissava preoccupato, ma certo non voleva fargli la predica. I giorni passavano e presto la quarantena terminò, ma nessuno dei due volle più rinunciare a quell'incontro. Il pensiero dell'uno e dell'altro, il ricordo vivo delle loro voci che raccontavano due vite opposte, riempivano i vuoti delle loro giornate con la speranza. Gianluca non usciva più, sperava in cuor suo che la scuola non ricominciasse mai più in presenza. Lo atterriva il pensiero di salire su un autobus, rischiando di prendere la malattia, avrebbe dovuto rinunciare agli incontri con Agostino per la paura di contagiarlo. Nessuna vita è più importante di quella di un vecchio. E io che farei senza di lui? Trascorrevano le giornate sbirciando dalle finestre, cercandosi, a volte capitava che riuscissero a vedersi e allora potevano conoscere meglio i loro sorrisi, troppo spesso nascosti sotto le mascherine; non c'è niente come il sorriso che possa far comprendere a chi ti vuole bene tutte le emozioni che ti passano per la testa. Passarono così alcuni mesi quando d'un tratto, dopo settimane di calma apparente, le sirene ritornarono a suonare nel rione: tutti corsero alle finestre, compreso Gianluca. L'ambulanza si fermò proprio davanti all'entrata dell'ospizio. Gianluca lanciò un'occhiata disperata alla finestra della stanza di Agostino. Forza, affacciati, maledizione, dove sei?
Stefania de Girolamo
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