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Autore: Luca Inglese
I canti della morte
Storico Fantasy
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I canti della morte
Trinità d'Agultu e Vignola – Isola Rossa (oggi).
Nei paraggi del fortino Aragonese.

Il telefono collocato al solito posto e sopra al tavolino, a lato del microscopico disimpegno, adesso, malgrado l'ora e la penombra circostante... destandosi di soprassalto, iniziò a strillare come la lingua di una suocera dopo aver colto in fragrante la nuora impertinente.
Il proprietario dell'identica dimora che all'anagrafe di Trinità D'Agultu rivestiva la carica di primo cittadino, prese a imprecare ancor prima di levarsi da sopra quel giaciglio, ove, sino a poc'anzi, dopo una nottata spesa a bighellonare si era finalmente accovacciato.
Quando il corpulento omaccione riuscì nell'impresa di issarsi e di issare a sé la cornetta, la sua voce e i suoi occhi parvero sopraggiungere all'appuntamento dopo aver preso (per il rotto della cuffia) un direttissimo proveniente dall'oltre tomba.
“Signor Sindaco, le domando scusa per l'inopportuna telefonata, ma si dà il caso che ci sia qualcosa di cui lei debba essere informato”.
Esordì, così e titubante, l'addetto alle relazioni con il pubblico e all'ufficio del turismo, quella mattina, nei riguardi dell'unico nullafacente di quella sgangherata amministrazione Comunale.
Prima di andare avanti nelle attuali circostanze occorrerebbe illustrare, con dovizia di causa, quanto e da un po' di tempo a quella parte il promontorio sardo incastrato fra Badesi e Tinnari suscitasse interesse, oltre all'impensabile, per un risicato gruppo di archeologi giunti in cerca di fama. Il tal gruppetto proveniente per lo più da ogni parte d'Italia, in fibrillazione come un bambino in procinto di invadere un luna Park, aveva scelto e picchettato l'area prospiciente ciò che al tempo, l'esercito Spagnolo precedente possessore del sito, eresse, mattone dopo mattone, arrivando a edificare un monolite architettonico a pianta circolare, Ciò che poi parve diventare, il qui presente fortino, l'antitesi di un potere che l'essere umano (vanamente) tentava di esercitare sulla natura, sui venti, e su chiunque osasse abbordare quell'isola bramoso di terra e di conquista.
Fin qui tutto bene, a parte la sottile sfumatura che da quelle parti (date le attuali e contestuali circostanze) di eserciti motivati a conquistare l'isola e l'annesso promontorio, non se ne vedevano spuntare all'orizzonte da un bel pezzo e ancor più di quello. A discapito dell'attuale circostanza, al posto di questi cosiddetti Conquistadores, sembravano di essi aver acquisito la tal prassi un branco di ragazzotti equipaggiati di martello, spazzola e scalpello, oltre a tanta e smisurata buona volontà. Gli identici soggetti, infatti, altro non facevano tutto il santo giorno se non grattugiare la terra, centimetro dopo centimetro, ricercando tracce di qualcosa o di qualcuno che soltanto la storia, e di essa una caterva di leggende, avrebbero potuto appagare tanta encomiabile fame di verità.
L'identico morbo o appetito sembravano aver contagiato quel tipo assai curioso che, senza attendere l'alba, già da un bel pezzo s'affannava a ispezionare le rocce in cerca di qualcosa che forse, nemmeno lui sapeva dargli un nome. Era l'istinto a guidarlo, a giudicare i suoi movimenti. E andò avanti, così, sino quando, come un collezionista di francobolli, ogni pietra, ogni sasso e pagliuzza di storia tramutasi in costa non sarebbe stata setacciata, esaminata e catalogata. D'altronde non c'era tanto da stupirsi se la Regione Sardegna, illuminata d'immenso, si era messa in testa d'indagare da quelle parti manco fosse Sherlock Holmes, sganciando fondi e contributi a destra e a manca pur di stuzzicare, chi, esperto nel settore, sarebbe accorso persino a nuoto per riconsegnare ai posteri i resti di una civiltà da ritenersi ancora fantasma. La stessa di cui ancora oggi, malgrado il tempo, non si sapeva praticamente nulla o poco più di quello. Fino a quel punto nulla di strano, data l'ovvia e risaputa presenza che ovunque, di cantieri archeologici e Nuraghe, a frotte abbellivano la desolata distesa di aridità più delle ghirlande attorno ad un albero la vigilia di natale.
Il fattore X capace di attrarre la gente più del miele per le api, parve presentarsi proprio quella mattina, quando, un giovanotto fra tanti si trovò a sprofondare metri e metri nelle viscere della terra. Questo, non appena la roccia sopra la quale poggiavano entrambi i piedi, sbriciolatasi, parve divorarlo seduta stante sotto il peso del suo corpo.
Alla fine dei giochi e come era ovvio che fosse, gli agenti atmosferici e l'inconsapevolezza del ragazzo erano riusciti in un sol colpo a spuntarla. E adesso, svelato l'inganno, una roccia collocata in quel punto con il solo scopo d'interdire al mondo intero ciò nell'oscurità sembrava celarsi, cedendo, era pronta a mostrare ciò che l'umanità non era ancora pronta a vedere.
Inzuppato come un biscotto nelle viscere della terra, egli cadde. E capitolò in un mondo dove solo Satana, nel pieno delle sue facoltà, avvertendo l'odore di casa non si sarebbe sentito fuori luogo.
Il giovane, ancora inconsapevole del guaio nel quale il caso e la sorte lo avevano cacciato, finì dentro al crepaccio senza nemmeno disporre del tempo o dello spazio sufficiente ad opporsi al fatto; ma sebbene lo spavento parve farsi sentire, non fu questo ad accecare la sua vista e neppure le spirali che come fiamme, adornavano ogni parete partorita in mezzo alle presenti rocce.
Una camera sepolcrale in piena regola e dotata di tutti i presupposti, posseduta di flash color azzurro cielo, si presentò al suo cospetto investendolo e facendolo sentire più piccolo di un microscopico insetto.
A farsi strada in quell'apparente cattedrale di storia, egli ebbe ad inquadrare un oggetto che, a guardarlo con scrupolosa attenzione, tutto faceva pensare fuorché che fosse adatto al luogo.
Quando il telefono del Sindaco del Comune di Trinità d'Agultu ebbe a strillare, l'identico aggeggio adoperato per comunicare fra simili non sembrò essere l'unico, quella mattina, propenso ad impazzire di gioia. Un altro pressappoco simile al primo ma collocato in ben altro luogo e riconducibile a tutt'altro personaggio, in procinto di prendere fuoco, continuò nevrotico, sin quando il responsabile delle attività di Intelligence Italiana decise di rispondere.
“Si. Sono io. Chi parla?”.
Chiese l'uomo seduto al centro dell'ufficio più segreto, temuto e inseguito dell'intero paese.
“Cristo santo!”.
Esplose giusto appunto l'identico ufficiale, in quel modo e con un tono eloquentemente iracondo, subito dopo aver appreso la notizia dall'agente infiltrato sul campo che, proprio adesso e come farebbe una suocera, petulante s'affannava a spifferare il suo rapporto.
“... e chi altro ne è al corrente?”
Incalzò l'agente a parlare, mentre e con un evidente affanno scattava in piedi facendo ruzzolare a terra la seggiola sulla quale aveva il suo sonoro deretano poltrito sino a poco prima.
“La notizia è trapelata rapida. Ma a parte il fatto di aver rinvenuto l'ennesima tomba, nessuno al di fuori del ragazzo ed il sottoscritto sono informati su quanto, in essa, vi risulti ora giacere”.
Subito dopo essere stato “ingurgitato” sin dentro l'esofago di quel mostro fatto di roccia e torbida oscurità, l'Indiana Jones della situazione fu tratto in salvo da chi, pochi istanti dopo, s'era prodigato ad arginare ciò che a tutti gli effetti si presentava già inarginabile.
Messo a tacere l'unico testimone informato sui fatti, l'unico argomento che era stato capace di oltrepassare la maglia di omertà picconante il perimetro già delimitato, sembrò essere la presenza di una voragine. L'identica collocatavi al centro del reticolato che ora, a fissarlo, era pattugliato da agenti armati manco si fosse scoperto il Sacro Graal.
“Bene. Mi compiaccio con lei”.
Rispose secco e immediatamente l'uomo, adornandosi di un ampio sorriso non visibile dall'altro. Consapevole del fatto che da quel preciso momento in poi, dal fazzoletto di terra delimitato come un fortino, nessuno, nemmeno il padreterno sarebbe riuscito a entrare o uscire senza prima ricevere il suo visto e il suo permesso.
Nel frattempo, in tutt'altro luogo e in ben altro contesto.
“Per tutti i santi del paradiso!”.
Esclamò il primo cittadino di Trinità D'Agultu, ancora visibilmente intontito e con entrambi i suoi occhi ridotti a due fessure, mentre invano tentava di issarsi in piedi traballando come un mobile tarlato.
“Pronto. Si può sapere che diavolo è successo per triturarmi i cosiddetti già di primo mattino?”.
Disse l'uomo ancora più di là che di qua.
Il giovane impiegato, l'unico con un po' di sale in zucca e con un briciolo di coraggio in petto, relazionò al suo superiore che frotte di curiosi stavano giungendo da quelle parti. E che proprio mentre i due se la stavano contando, un'orda barbarica attirata dalla fantomatica scoperta, accalcava soffocante i dintorni dell'isola rossa, come se un'altra Woodstock fosse lì lì per avere inizio.
Poche ore dopo quell'identico fatto e prima ancora che un qualsiasi orologio potesse battere l'ora di pranzo, il Jet privato decollato come un fulmine da Roma, atterrò, seduta stante e adoperando un sonoro stridere di freni, sopra la piazzola prenotata con carattere d'urgenza presso l'aeroporto di Alghero. L'unico giudicato disponibile e lontano da occhi indiscreti, dato che Olbia (estremamente più vicina) era ormai diventato per il turismo un vero e proprio porto di mare.
Il tal sito, Alghero per l'appunto, distava solo una manciata di ore in più rispetto al luogo di reale destinazione. Spazio e tempo che sarebbero stati adoperati, lungo il tragitto, per pianificare ogni mossa e ogni parola da promulgare alla stampa, al riguardo del “particolarissimo”rinvenimento archeologico in questione.
Una volta raggiunto il suolo e una volta che ebbero a scendere a terra, l'intera delegazione composta da un risicato gruppo di agenti impettiti, scivolò via veloci come il vento.
Vestiti e armati di tutto punto, parvero con solerzia scortare il leader della brigata sino al sopraggiungere di un grappolo di fuoristrada. I potenti mezzi, infatti, parcheggiati a motore acceso a lato della pista, accolsero gli X-MAN della situazione come in effetti si meritavano.
A vederli marciare come centurioni dislocati ai due fianchi del loro comodamente, si aveva quasi l'impressione che un politico di fama mondiale, oppure addirittura un capo di stato fosse giunto lì, in terra di Sardegna, per prendere parte a qualche convention o summit di rilevanza epocale. Invece, a discapito di quell'apparente circostanza, ben altro ribolliva in pentola da quelle parti e nella testa di Augusto Massa, l'imperatore del presente battaglione. L'identico che quel mattino e dopo essere stato informato sui fatti, aveva deciso di toccare con mano e con i propri occhi, quanto, a proposito della faccenda, avesse della ragione e anche del vero.
Seduti ciascuno al rispettivo posto e perciò a bordo dei super accessoriati fuoristrada, ognuno di questi sgusciò via dal sito prima ancora che l'aereo sopra il quale avevano poc'anzi viaggiato terminasse il proprio retaggio e l'annesso parcheggio.
Il governo italiano, data l'accentuarsi della presente situazione, non aveva certo perso tempo in convenevoli. Dopo aver divelto i forzieri, le casse e i contanti, fiumi di denaro sgorgarono dalla capitale sin nelle tasche di Augusto Massa, di ogni suo eventuale capriccio e dell'intero suo entourage.
Senza perdere altro tempo in inutili convenevoli, quindi, dopo aver appreso ogni sfumatura del ritrovamento, l'uomo con al seguito ogni suo addetto, altro non fece se non intrufolarsi nella cripta smanioso di sapere e di toccare.
Per l'occasione e deciso a fare bella figura, l'agente sul posto parve assumere la funzione di cicerone, ma una volta raggiunta la profondità della tomba sepolcrale, ben altro la tal novella parve presentare e presentarsi dinanzi agli occhi esterrefatti e increduli di tutti i presenti.
Abbagliante al pari della luce di colore azzurra che da esso, o sotto di esso irradiava l'intera volta. Un'unica cosa, immediatamente sembrò stamparsi nelle teste dei presenti. Davanti e dirimpetto, vi si poteva percepire una forza e un'aura al di fuori di quanto una parola saccente potesse offrire in spiegazione o illustrazione. Fra quelle rocce e quei dipinti fatti da spirali come serpenti attorcigliati, vi era la storia pronta a parlare e a spifferare.... ma dall'altra parte, nessun occhio in prima fila sembrò abbastanza edotto o sensibile per ascoltare fino in fondo quel discorso.
Il silenzio scese in mezzo e sulle loro teste.
Un'impressione molto simile a una percezione, sospirata e bisbigliata, innestandosi negli occhi di ciascuno regalò un'unica certezza :
“La voce di Dio, possente e celestiale, sembrava risiedere in quel sotterraneo. E da quell'anfratto, dopo un'infinità di tempo e di secoli, sottomessa e segregata aveva scelto di riemergere mostrandosi in tutta quanta la sua magnificenza”.
Fatta eccezione per l'area sepolcrale, o tomba, o come lo si volesse intendere. Il cunicolo interposto fra l'identica e il resto del mondo venne prontamente superato e supportato per i continui andirivieni di agenti, da possenti luci al neon. Installate dagli addetti alla quarantena, in breve e con il sudore della fronte, prodigandosi a rendere visitabile ciò che da un'eternità, ad essere riduttivi, non veniva più calpestato.
Sebbene l'occhio in un primo frangente rimanesse frastornato davanti a tanta mirabolante presenza di affreschi. Ciò che risultò in un istante uscirne vincitore, al confronto con questi, fu quella sorta di cilindro che, fungente da scrigno, ipnotizzò seduta stante chiunque fosse stato agnostico da sfidare quella vista.
Composto da un materiale ritenuto impossibile, se raffrontato al luogo, al tempo e all'ambiente di segregazione concomitante al ritrovamento. Esso era in grado di mostrare ciò che al suo interno, nella sua sorta di pancia, giaceva immobile da chissà quanto.
“E questa cosa che cazzo sarebbe?”
Esclamò con fare ignorante, chi, nel mezzo del gruppo di rinomati personaggi doveva rivestire l'incarico del più eloquente fra tutti.
Uno sguardo come fosse un radar, minuziosamente speso sull'origine del rompicapo non risultò soddisfare i mille e più interrogati che l'uomo, resosi ombroso come un'eclissi, continuava a porsi. Inoltre, a renderlo così maledettamente insofferente, vi era quell'insistente bisogno di fuga. Di scappare da quel tugurio per non soccombere e morire, a causa di una fame d'aria incontrollabile. La stessa che a fissarla per sputarle in faccia, Augusto Massa, imperterrito ma annaspante, cercava in tutti i modi contrastare e non far notare.
“Mi scusi ispettore se la interrompo”
Disse con fare educato, chi, collocato all'ultima fila della platea, pretendeva ora gli si concedesse attenzione.
“Sicuramente lo ha notato anche lei, ma da come si presenta il reperto sembrerebbe fungere da capsula del tempo”
Concluse il giovane, pretendendo spazio laddove in abbondanza altro non vi fosse se non un claustrofobico senso di morte.
A spintoni e chiedendo permesso, il più giovane fra gli agenti in servizio riuscì ad azzerare la distanza fra sé e l'oggetto in questione.
Inginocchiatosi immediatamente come se fosse in presenza di una reliquia, per meglio esaminare quel capolavoro di ingegneria preistorica, il giovane non poté certo nascondere il suo stupore. Ogni centimetro del reperto, seduta stante e a chiare lettere, era capace di mostrare quanta cura e certosina attenzione avevano guidato le mani e il suo inventore, affinché giungesse incolume dopo un viaggio anche solo impossibile da concepire.

Luca Inglese

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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