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Autore: Francesco Grimandi
Una reflex nel mirino
Romanzo
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Una reflex nel mirino
La paura è fatta di tutto e di niente (Proverbio popolare).

7 ottobre 2018

La porta dell'ascensore si aprì con un sibilo all'ultimo piano. L'unico occupante, un uomo con uno zainetto nero in spalla, si guardò intorno nella luce pallida che pioveva dai neon poi imboccò la stretta rampa che portava sul tetto. Aveva trovato quello come punto migliore per l'appostamento. Nessuno lo avrebbe notato.
In cima alle scale spinse la porta, immergendosi nel buio compatto della notte e dallo zaino estrasse la Nikon comprata di seconda mano che usava per lavoro.
Si avvicinò al parapetto, sei piani sulla strada nel centro di Roma, da cui saliva odore di cucina cinese, accucciandosi a terra; mise la reflex sul muretto e inquadrò nel teleobiettivo l'appartamento all'altro lato di via dei Due Macelli.
Probabile che l'affitto mensile di quel posto equivalesse a quanto sborsava lui in un anno. Si strinse addosso la giacca per proteggersi dal freddo, sentendosi a disagio.
Forse era uno sbaglio, non aveva mai fatto nulla di simile anche se di incarichi assurdi ne aveva svolti parecchi.
Avrebbe infranto ogni precetto della sua etica lavorativa, rischiando di mettersi nei casini. Più ci pensava e più il piano gli sembrò sballato; si augurò solo che il suo socio avesse le idee chiare a riguardo.
Spinse lo sguardo oltre la strada fissando l'appartamento a una quindicina di metri, un piano più sotto rispetto a dove si trovava. Spiare la scena gli causò apprensione.
La facciata dell'edificio formava un tutt'uno con gli altri stabili; sulla destra, i ponteggi di un'impresa coprivano quasi metà della costruzione.
Più giù, il passaggio delle auto era sporadico, paragonato ad altre zone. Gli automobilisti risalivano cauti il senso unico da via del Tritone.
Valutò le prossime mosse.
Sarebbe stata l'azione più eclatante, sorprendente e pure illegale della sua invariata carriera; con il ricavato si sarebbe ritirato, imprimendo una svolta alla sua esistenza.
Non poteva negarlo. Tra scadenze e conti da pagare quel denaro gli serviva. In più, se avesse sciupato quell'occasione quando gli sarebbe ricapitato di guadagnare tanti soldi in una volta?
Con una punta di biasimo riesaminò il suo passato.
Aveva sempre agito nei limiti della legalità. Era un tipo corretto, forse per quello non aveva sfondato nel suo lavoro, ma quella sera avrebbe fatto uno strappo alla regola.
Lanciò un'occhiata all'orologio; pochi minuti prima uno squillo del cellulare l'aveva avvertito che lei stava arrivando.
Tutto da programma, si trattava solo di aspettare.
Mentre l'umidità della sera si addensava in fragili spettri, scrutò le finestre dell'appartamento sperando che succedesse presto qualcosa.
Una luce si accese. Qualcuno tirò le tende; una camera da letto in stile etnico, quadri di animali alle pareti.
Fissando la scena fece partire i primi scatti.
Una coppia in vestiti eleganti era al centro dell'ambiente. A vederli sembravano divi della tv. Lui, atletico, abbronzato; lei non meno elegante, in un tubino blu senza maniche.
Magra, altezza nella media, capelli neri con frangia corta, la donna aveva le movenze leggere di un gatto. Il pezzo forte, però, era il corpo. I seni tondi, che si intuivano, ammiccavano sotto la stoffa aderente mentre l'abito fasciava i fianchi snelli, da far venire i sudori freddi al più tiepido degli osservatori.
Sebbene la vedesse per la prima volta il suo viso aveva un che di familiare. Com'era possibile? Di sicuro, la donna viveva in un mondo lontano milioni di chilometri dal suo.
L'uomo nella stanza la strinse a sé, facendole scivolare le mani lungo la schiena poi le portò su carezzandole la nuca.
Lei lo ricambiò baciandolo sul collo. Quando si staccò sul volto le si delineò un'espressione dolce, quasi un sorriso.
Era il genere di foto che desiderava.
Vicino a loro, su un tavolino di vetro, erano allineate due sottili strisce bianche; le inquadrò, ingrandendole, cogliendo il momento in cui la signora si chinava a sniffarle.
L'uomo si tolse cravatta, camicia e pantaloni. Mentre lei si strofinava sul suo petto si offrì di aiutarla con la lampo. Lei scostò la mano e calò la cerniera con un gesto languido. Il vestito scivolò a terra; sotto, non indossava nulla.
Il fisico sinuoso della donna emanava una sensualità esplosiva.
L'uomo le sfiorò una guancia col dorso della mano; lei la prese e se la posò su un seno, senza preamboli. Lui la baciò sulla gola, mordendola, e le infilò la mano tra le cosce snelle, aprendosi la strada verso l'alto.
La donna gettò la testa indietro e lo lasciò fare.
L'amante s'impadronì di lei. Con movimenti languidi si tolse gli slip tesi per l'erezione e si sfregò contro il sesso di lei, avanzando il bacino in cerca di un contatto più profondo.
Lei l'accolse afferrandolo ai fianchi; alzò una gamba per invitarlo come in una posizione yoga ma lui la baciò sul collo e tra i capelli; poi l'alzò e ridendo la gettò sul letto.
Così vi voglio, pensò il fotografo.
Scattò delle stupende sequenze in cui la donna, sopra le lenzuola, era avvinghiata al suo focoso amante conducendo le danze. La foga dei suoi ondeggiamenti era assai eccitante.
Mentre catturava dei primi piani di lei girata di spalle in cerca dell'orgasmo, il fotografo stimò che ci sarebbero andati a nozze con quella roba; da quello che vedeva, i quaranta e passa anni della donna erano portati bene. Un programma di diete e forse di fitness le permetteva di esibire un corpo da fare invidia a parecchie ragazzine. Ormai, le aveva scattato decine di foto.
Lo stallone a compenso che aveva conosciuto durante un servizio per un piccolo giornale gli aveva spiattellato davanti a un caffè i capricci di certe sue clienti; tra queste una signora dei Parioli che aveva già incontrato e voleva rivederlo presto.
Il gigolò gli aveva proposto di attuare il ricatto, in cambio di una parte dei guadagni, e lui aveva accettato.
Avrebbe dovuto scattare di nascosto delle fotografie alla donna a letto con lui per estorcerle del denaro. Se la signora si fosse rifiutata avrebbero pubblicato gli scatti in rete su siti porno.
Un'azione immorale però quei soldi gli servivano.
Acquattato nell'ombra il fotografo rifletté sul loro piano; niente di cui preoccuparsi se ognuno avesse portato a termine la sua parte.
Se l'affare fosse andato a segno avrebbe chiuso coi magri compensi da freelance e tutti gli espedienti per arrivare a fine mese, spiccando il volo per lidi migliori.
Già si vedeva al check-in con valigie e biglietti diretto in un paese dove il sole splendeva tutto l'anno.
Dopo un'esistenza trascorsa a occuparsi degli altri, nella fattispecie l'ex moglie, era il minimo che gli spettasse.
Il denaro non gli avrebbe restituito gli anni migliori né i capelli caduti, o spianato le rughe che ogni mattina scorgeva allo specchio; tuttavia sentiva di meritare una piccola fetta di felicità dopo le schifezze che la vita gli aveva fatto ingoiare.
Mentre continuava a fotografare i due amanti impegnati a divertirsi sul letto assurdo, a forma di cuore, si domandò se la cifra da incassare sarebbe stata a quattro o cinque zeri.
Pensare a quella montagna di soldi dava il capogiro.
Secondo il suo socio, la donna doveva essere molto ricca e poteva permettersi di staccare assegni pesanti. Non avevano notizie precise ma il gigolò insisteva che doveva fidarsi.
Mentre scattava continuò a pensare; la cosa gli pompava adrenalina nelle vene. Tutte le sue sinapsi erano accese come luci su un albero di Natale, acuendo i sensi.
Per qualche secondo smise di fissare il display e rilassò il collo facendo scivolare lo sguardo sui palazzi tardo Novecento che gli si paravano di fronte. Nelle reflex moderne, la maggior parte delle regolazioni era a carico dei sensori, ma di tanto in tanto bisognava far riposare gli occhi.
Quando tornò a inquadrare la scena, scorse qualcosa che non gli piacque: la donna si era separata dal suo partner. Entrambi erano in piedi sul tappeto accanto al letto e litigavano di brutto, forse per l'effetto della droga che avevano assunto.
Avrebbe voluto avere un microfono per udire i discorsi, ma dovette accontentarsi di ciò che vedeva.
Il volto della donna era una maschera di collera.
Per lei, il momento dell'intimità e degli strusciamenti era finito nel peggiore dei modi e ora si agitava come una pazza.
D'un tratto, cercò di colpire in faccia l'amante.
L'uomo l'afferrò per le braccia, facendogliele abbassare, poi la strinse con tenerezza e le bisbigliò all'orecchio.
La donna scosse la testa, come se non volesse saperne, e si agitò per liberarsi. Vedendo l'impossibilità di calmarla, il gigolò la spinse via.
Il fotografo si augurò che la finissero con le schermaglie, iniziava ad aver fretta di concludere, ma i due non gli diedero soddisfazione. La donna iniziò a sbraitare mentre il gigolò la fronteggiava.
Braccia conserte, pelle scura e corpo da bronzo di Riace, l'uomo creava una bizzarra coppia con la donna che appariva disinvolta anche senza uno straccio di vestito addosso.
Il fotografo si attardò più del dovuto ad ammirarle il seno che si alzava e abbassava nella frenesia della discussione.
La scena appariva surreale, quanto la versione licenziosa e indecente di una soap opera sudamericana. Avendo vissuto già certe esperienze temeva di sapere come sarebbe finita.
Il gigolò rise in faccia alla donna e la fece infuriare, tanto che lei strinse i pugni, l'aggredì e provò a colpirlo ma fallì il bersaglio.
L'uomo fu più preciso; le rifilò uno schiaffo violento che la fece cadere a terra, sul tappeto.
Il fotografo balzò in piedi, sentendosi mancare il respiro; in quell'istante, il loro piano non gli parve più tanto perfetto.
Il corpo nudo della donna giaceva immobile.
Dannazione, fino a quel momento era andato tutto bene!

2

Il fotografo contemplò la scena, con una stretta allo stomaco. Quali conseguenze ci sarebbero state?
La donna ebbe un sussulto e parve riprendersi; quando a fatica si rialzò, nei suoi occhi colse una luce assassina.
Con una smorfia accettò la mano che l'uomo le offrì per rialzarsi; appena fu in piedi, però, sferrò un calcio all'inguine del gigolò. Magari se l'aspettava, o forse no, a ogni modo fu lesto a scansarsi; nell'indietreggiare andò a sbattere contro il comodino, facendo oscillare la lampada cromata che reggeva, inciampò e cadde. Sulle sue labbra il fotografo lesse il ruvido insulto che proferì.
Con una fiamma negli occhi, la donna afferrò la lampada e la brandì come un maglio, calandogliela sulla testa.
Il gigolò provò a difendersi ma non servì. La rabbia della sua partner si scaricò, furiosa come un uragano.
Al fotografo parve quasi di udire il rumore delle ossa del cranio che si spaccavano sotto lo spigolo metallico.
Gli mancò il fiato; un rivolo di sangue scese dalla tempia del gigolò. Anche volendo intervenire era tardi.
Fissò la scena, la fronte madida di sudore e un senso di vertigine che lo frastornava.
Il suo socio era a terra, il volto coperto di sangue.
Quando riportò lo sguardo sulla donna gli sembrò fredda e insensibile come una statua, in piedi accanto al corpo inerte. La vide lasciar cadere la lampada, quindi si voltò, chiamando qualcuno oltre la porta. Quasi un ordine.
In un guizzo, il dito del fotografo corse al pulsante dello scatto. Un attimo dopo, un secondo uomo in giacca e cravatta fece irruzione nella camera da letto.
La porta si spalancò e un energumeno si precipitò dentro, pistola alla mano; forse l'autista, di cui il gigolò una volta gli aveva accennato. Il nuovo arrivato parve esaminare la stanza.
Molti suoi primi piani finirono a far compagnia agli altri scatti digitali nella memoria della macchina fotografica.

La sua boss lo scrutò gelida, mentre tornava a indossare l'abito da sera. La figlia del boss Raffaele Printo, morto sette anni prima in prigione scontando una pena per associazione mafiosa, aveva ereditato dal genitore non solo la brutalità ma anche il controllo del clan. Era lei che curava i traffici di coca e hashish dalla Colombia, il riciclaggio tramite i video-poker e le spettanze con i clan rivali estensioni di Cosa Nostra nella capitale.
Lui invece era solo un semplice luogotenente, e le faceva da guardaspalle ovunque andasse.
Luca Russo rinfoderò l'arma. – Sonia, cos'è successo?
La donna gli scoccò un'occhiataccia, mentre chiudeva la zip sulla schiena e infilava le scarpe: – È morto.
Luca si chinò sul gigolò posandogli due dita sul collo.
– Sì, stecchito – sentenziò con una smorfia.
Con un gesto che le aveva visto fare tante volte, Sonia si sistemò i capelli: – Cazzo, non ci voleva.
– Sbrighiamoci – le disse. – È meglio andarcene. – Poi, si guardò intorno. Avrebbe dovuto eliminare gli indizi della loro presenza in quel luogo. – Con cosa l'hai colpito?
– Con quella – rispose Sonia indicando la lampada.
Luca la prese e col fazzoletto che aveva nei pantaloni la pulì da cima a fondo accertandosi di non lasciar impronte; la piazzò sul comodino e controllò che non ci fosse altro fuori posto, a parte il cadavere.
– Tu come stai?
Sonia tirò su col naso: – Secondo te?
Luca chinò il capo; ancora non aveva fatto il callo a certe cose. Ne aveva viste di tutti i colori dando e prendendo pugni e coltellate ma se si trattava d'ammazzare qualcuno preferiva pensarci due volte.
Diede uno sguardo al malcapitato steso a terra poi strinse Sonia sotto il braccio accompagnandola alla porta.
– Su, forza – le disse cercando di apparire gentile. Anche se era una tipa tosta e faceva di tutto per apparire a posto, lui avvertiva che non fosse abbastanza in sé per decidere da sola. Appena si fosse ripresa le avrebbe chiesto come erano andate le cose.
– Da quando sei così cavaliere? – domandò Sonia mentre procedevano a braccetto.
Lui la guardò come non l'aveva mai guardata prima.
Le concesse giusto un sorriso pensando che sarebbe stata una compagna magnifica.
Peccato che lui non fosse nessuno, mentre lei era un boss. Il viso pulito e spendibile della banda nel mondo civile grazie alle attività economiche che gestiva. Ma lui che ne conosceva la natura di donna costretta a continue scappatoie per sfuggire alla solitudine sapeva quanto fosse fragile e indifesa.
Quanto era successo sarebbe diventato il loro segreto?
Un dubbio più urgente l'assalì. – Aspettami qui – le disse lasciandola sulla soglia della stanza.
Tornò indietro, e si mise a rovistare tra le cose del morto finché non trovò il cellulare. – Tutto a posto – disse infilando lo smartphone nella tasca della giacca.

Francesco Grimandi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
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