Aprì la cassetta delle lettere, prese tutto il malloppo di carta che non ritirava da una settimana e si fece i tre piani a piedi per arrivare al suo appartamento. Odiava l'ascensore, il dover attendere che fosse libero e magari rimanere a tu per tu con qualche condomino che gli stava gentilmente sulle scatole. No, meglio infilare subito le scale e sparire dalla visuale. Cercò nello zaino il portachiavi e aprì la porta di casa. Finalmente! Dopo un'intera settimana di lavoro finalmente il meritato riposo. Posò il cellulare e la posta sul tavolo, lasciò lo zaino su una sedia e tolse il giubbotto. Quindi si diresse in bagno, liberandosi in fretta degli abiti. Sciolse i capelli e si mise sotto la doccia, lasciando che l'intera settimana lavorativa gli scivolasse via insieme all'acqua. Quello era il momento che più amava: l'attimo in cui si buttava alle spalle le preoccupazioni e i litigi lavorativi. Non che si trovasse male, ma c'erano volte in cui i colleghi di lavoro gli davano veramente sui nervi e il venerdì, quando staccava la spina, era il momento in cui riusciva a rilassarsi. Uscì dalla doccia e si avvolse nell'accappatoio, avviluppando i capelli in un asciugamano. Si mise dinanzi allo specchio e si osservò con occhio critico. Ultimamente la stanchezza iniziava a lasciare segni sul volto e la cosa lo irritava un po'. Portò le dita intorno agli occhi e rifletté che il tempo passava anche per lui. Tra pochi mesi avrebbe compiuto trent'anni e realizzò che la differenza con i suoi alunni iniziava a essere manifesta. Fino a pochi anni prima lo scambiavano ancora per uno studente, ora non più. Il trillo del cellulare lo distrasse dalle poco allegre considerazioni sul suo aspetto fisico e uscì dal bagno per andare a prendere il telefono lasciato sul tavolo. Lesse il nome di Gianni e si morse le labbra, incerto se rispondere, quando lo sguardo gli cadde su una busta in mezzo alla posta. Allungò la mano e prese il cellulare, accettando la chiamata. - Ehi. - salutò. - Ciao. Stavo per riattaccare. - iniziò Gianni. Emanuele prese la lettera, la rigirò tra le dita e rispose con tono vago: - Sì, scusa, ero in terrazzo. - mentì. - Io... Volevo scusarmi per l'altro giorno. Mi dispiace, non era mia intenzione litigare, ma la situazione mi è sfuggita di mano. - - Va bene, non c'è problema. - rispose fissando il proprio nome stampigliato sulla busta. Posò lo sguardo sul mittente e aggrottò le sopracciglia. Avvicinò la missiva per guardare meglio, ma Kurt von Trips non gli diceva proprio nulla. Magari era solo pubblicità. - Allora... Che ne dici di una birra? Ci vediamo al solito pub? - Emanuele annuì, poi rifletté che stava al telefono e rispose: - Sì, va bene. - Dall'altro capo udì Gianni tirare un sospiro di sollievo e capì di aver sbagliato. Non avrebbe dovuto accettare. - Facciamo alle undici? - propose Gianni. - Sì, va bene. Ma solo una birra. - aggiunse per chiarire che usciva unicamente per trascorrere la serata. - Perfetto. Ci vediamo dopo. - Emanuele chiuse la comunicazione e si diede dello stupido. Dopo quasi un anno di alti e bassi era riuscito a troncare quella relazione che era diventata soffocante, per non dire violenta e ora, per una stupida lettera che lo aveva distratto, stava per vanificare il successo ottenuto tre giorni prima. Osservò di nuovo il mittente e il francobollo tedesco e si rese conto che non poteva essere pubblicità. Lui, però, non conosceva nessuno a Monaco di Baviera, questo era certo. Ruppe gli indugi e aprì. All'interno c'erano due lettere, una scritta in inglese, recente, un'altra scritta in italiano, vecchia e ingiallita. Le osservò con curiosità, impiegandoci un po' a capire che, tra le due, quella in italiano sembrava scritta in arabo. Era una scrittura fluida ma che faticava a decifrare poiché era vergata con caratteri usati in un'altra epoca. Rigirò il foglio più volte, fino a quando si concentrò sulla firma: Antonio Castellotti. Sbatté le palpebre e scrutò meglio. Sì, era proprio Antonio Castellotti. Alzò la testa e fissò un punto indefinito della cucina, riflettendo: quel nome gli diceva qualcosa ma non ricordava cosa. Passò a osservare la lettera scritta in inglese, battuta al pc e iniziò a leggere. A mano a mano che andava avanti si incupiva sempre più e alla fine strabuzzò gli occhi, attonito. Era uno scherzo? Gettò il tutto sul tavolo e tornò in bagno per asciugarsi i capelli. Tolse l'accappatoio e rimase nudo davanti allo specchio, puntando l'attenzione sui lividi lasciati da Gianni. No, decisamente non ne poteva più di quella relazione e dell'ossessione del suo ex. Ex, sì, perché aveva preso la palla al balzo dopo l'ultimo maltrattamento scatenato dalla gelosia e lo aveva messo alla porta, troncando la storia. Sospirò, pensando di cercare una scusa per non andare all'appuntamento di quella sera e maledisse la lettera che lo aveva distratto. Iniziò ad asciugare i capelli, domandandosi se non avesse fatto meglio a tagliarli. A scuola gli altri docenti avevano cominciato a storcere la bocca per il suo aspetto, soprattutto gli uomini, ma a lui i capelli lunghi erano sempre piaciuti e quando era al lavoro li teneva legati a coda. Quando terminò si vestì e andò in cucina per togliere i compiti degli studenti dallo zaino. La correzione per lui era sempre un piacere, poiché i ragazzi dimostravano di apprendere quello che spiegava. Lo sguardo gli cadde di nuovo sulla lettera e con uno sbuffo la riprese in mano, studiando la firma autografa di Kurt von Trips. Quello che scriveva era assurdo eppure se osservava la missiva italiana si rendeva conto che non era così, anzi, era la riprova di quanto raccontava. E lui, insegnando storia e geografia, era stuzzicato da quella novità. Va bene, si disse, proviamo a leggere questa missiva centenaria. Si sedette e già la data del 1914 gli fece affiorare alla memoria tutti gli orrori di quell'anno. Lesse con calma, ammirando l'ossequio di chi scriveva, dicendosi che simili “cavallerie” oggi non c'erano più e da una parte gli dispiaceva. Soprattutto se ripensava ai suoi ex. Iniziò a turbarsi quando capì che questo Antonio stava scrivendo una lettera che celava un sentimento per il destinatario, un certo Heimo von Trips. Girò lo sguardo sulla lettera di Kurt von Trips e la riprese in mano, rileggendola con calma. Il bavarese si presentava scusandosi se il suo inglese non era perfetto, tuttavia Emanuele faticò a trovare errori nella scrittura. Proseguiva spiegando che era venuto in possesso di un plico di lettere tramite eredità e che quelle missive risalivano al primo conflitto mondiale. La corrispondenza era tra il suo bisnonno Heimo von Trips e Antonio Castellotti, un ufficiale medico italiano che gli aveva salvato la vita dopo essere rimasto ferito durante la quinta offensiva sull'Isonzo. Emanuele andò alla ricerca nella propria memoria e collocò la battaglia nel marzo del 1916. Kurt proseguiva scrivendo che appena gli erano state consegnate le lettere era riuscito a leggere solo quelle del bisnonno, mentre gli era stato impossibile capire quelle scritte in italiano. Tuttavia, dal tono di quelle di Heimo era riuscito ad abbozzare un'idea di quello che era accaduto. Così, si era messo in moto per cercare i discendenti di Antonio Castellotti, facendo ricerche su internet, viaggiando in Italia ed era arrivato a lui, Emanuele Mineo. Si scusava per il disturbo, ma si domandava se fosse così gentile da tradurgli le lettere del suo bisavo, in modo da avere una visuale completa di quegli eventi. Gli allegava la prima lettera di Antonio Castellotti per dimostrargli che non era uno scherzo e scriveva il proprio indirizzo email se avesse voluto contattarlo per avere più chiarimenti in merito. Se poi, aggiungeva, si fosse rivolto alla persona sbagliata, si scusava e lo pregava di rimandargli la lettera dell'ufficiale medico. Lo ringraziava, eccetera, eccetera. Emanuele si accorse che stava scuotendo la testa incredulo e afferrò al volo il cellulare, cercando il nome di sua madre. Attese che la donna rispondesse, continuando a fissare le missive e quando udì la sua voce, la salutò e andò dritto al sodo: - Mamma, sai per caso come si chiamava il nonno? - - Immagino tu voglia sapere il nome di mio nonno, perché il nome del tuo lo sai bene. - - Ehm... sì. - - Lino. - - Lino? - ripeté per essere sicuro. Ecco: Kurt aveva sbagliato persona. Lino poteva essere il diminutivo di Natale o qualche altro nome, ma non di Antonio. - Sì, perché lui voleva che lo chiamassero Natale. In realtà si chiamava Antonio. Perché lo vuoi sapere? - Emanuele rimase a bocca aperta e una ridda di pensieri e domande gli si accavallarono in testa, lasciandolo alquanto confuso. - E il cognome? - si affrettò a domandare trattenendo il fiato. - Castellotti. Antonio Castellotti. Ma che succede? - domandò iniziando a incuriosirsi. Emanuele rimase impietrito e fissò la lettera davanti a sé come se fosse stata un fantasma che tornava dall'Ade per scuotere la sua vita monotona e incolore. - Tesoro, tutto bene? - - Ah... Sì, sì. Scusa, mamma, poi ti spiego, ora devo andare. - La salutò con una certa fretta e prese in mano la lettera di Kurt.
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Accese il pc e si loggò su Facebook, ignorando le notifiche e andando dritto a digitare un nome: Kurt von Trips. La ricerca mostrò tre nomi e cercò quello che abitava a Monaco. L'avatar mostrava solo un bellissimo falco in volo, pertanto non poté dare un volto al suo misterioso scrittore e questo lo deluse un po'. Allora andò dritto alla mail, compose l'indirizzo del tedesco e cercò di esprimersi al meglio in inglese. Gli confermò di essere il pronipote di Antonio Castellotti e che avrebbe voluto sapere qualcosa di più sul plico di lettere da lui ricevute in eredità. Innanzitutto gli chiedeva da chi lo avesse ereditato, poi si informava su cosa volesse farne una volta ottenuta la traduzione dall'italiano. Chiedeva, inoltre, come mai ognuno degli scriventi lo avesse fatto nella propria lingua: gli sembrava alquanto strano. Infine, gli avrebbe fatto piacere sapere in che modo lo avesse rintracciato. Ricontrollò il tutto e spedì la mail, rimanendo davanti allo schermo come in attesa di una immediata risposta. Solo dopo un paio di minuti si mise a ridere e scosse la testa. Prese in mano le verifiche fatte dai suoi studenti e iniziò a correggere i compiti, bandendo dalla mente quella sorprendente novità.
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Entrò nel pub e salutò un gruppo di amici seduti a un tavolo, quindi si avvicinò al bancone e si accomodò su uno sgabello, girandosi per osservare l'intero locale. Non era un locale per gay, eppure a lui piaceva e lo preferiva al Chikos da quando aveva iniziato a lavorare. Oh, il ricordo del Chikos era sempre nel suo cuore, non avrebbe mai potuto dimenticare le serate trascorse a divertirsi, a fare sesso e a fare a pugni; ma ora che si avvicinava alla trentina aveva dato un taglio alla vita spericolata di prima, preferendo ritrovi più tranquilli. Più da vecchi, gli suggerì una vocina paragonabile al Grillo Parlante di Pinocchio. - Ciao Emà, - salutò il commesso con un sorriso, - cosa ti porto? - Emanuele rispose al sorriso e ordinò uno scotch. Il ragazzo si guardò intorno, quindi si sporse sul bancone per mormorare con tono burbero: - Senti, posso dirtelo? Sì, certo che posso dirtelo: lascia stare quel deficiente di Gianni. - Emanuele lo guardò sorpreso e l'altro fece un cenno vago con la mano, prima di girarsi e cercare lo scotch. Quindi, dopo avergli versato il liquore nel bicchiere, appoggiò i gomiti sul bancone e riprese con una certa serietà nella voce: - Ci conosciamo da una vita, te lo dico da amico: lascialo, non fa per te. - Emanuele prese il bicchiere e osservò il liquido ambrato, prima di rispondere: - È quello che ho fatto. - Francesco lo guardò in tralice e ribatté: - È quello che hai fatto o che hai creduto di fare? Perché Gianni è venuto qui dicendomi che avevate fatto pace. Lo sai che non mi è mai piaciuto. - L'interpellato bevve un sorso e annuì vagamente. Francesco era stato suo compagno di classe alle superiori e tra loro era scoccata subito l'empatia che li aveva fatti divenire amici. Ma mentre Francesco aveva messo su famiglia con Anna -una loro compagna di classe-, lui aveva continuato a cercare l'uomo della sua vita, fallendo in continuazione. Più di una volta era corso a consolarsi da loro quando un rapporto finiva e ogni volta Francesco lo aveva redarguito, dicendogli che usava il lanternino per cercare gli uomini violenti. Poi, nel momento in cui aveva iniziato a insegnare, l'amico lo aveva messo in guardia: sarebbe stato pericoloso mostrare lividi che denunciavano maltrattamenti. Ne andava del suo lavoro e, implicitamente, del suo futuro. E a quel punto Emanuele aveva dovuto arrendersi all'evidenza che avrebbe dovuto mettere la testa a posto. Allora, con buona pace dei sensi, aveva iniziato a non frequentare più il Chikos e a cercare uomini che sembrassero più comprensivi e dolci. Non era colpa sua se il suo aspetto scatenava le gelosie viscerali dei suoi amanti: sembrava un eterno ragazzino, con quel volto delicato e quei lunghi capelli biondi che gli sfioravano le scapole. Non era colpa sua se la natura lo aveva dotato di un corpo sottile, di media altezza, insomma più femmineo che mascolino. - Stai tranquillo. - lo rassicurò. - Non ci siamo rimessi insieme. Stasera lo vedo per chiudere definitivamente. Credimi, non ho alcuna voglia di continuare così. - Francesco sembrò rincuorato ed Emanuele lasciò scivolare lo sguardo intorno al locale dalle luci soffuse, per poi confidare: - Devo raccontarti una cosa. - - Cosa? - - Non ora, ma se domani o domenica hai tempo possiamo vederci e ti racconto. - Francesco vide un paio di avventori che si erano avvicinati al bancone e fece cenno di attendere, prima di dire: - Anche domani, se vuoi. Spero nulla di preoccupante. - - No, no. Una cosa simpatica. - L'altro annuì con un sorriso e lo lasciò per servire i due ragazzi. Emanuele tirò indietro i ricci biondi e osservò l'ora: le undici. Se Gianni era puntuale come sempre, sarebbe apparso da un minuto all'altro. Sospirò, deciso a mettere un punto definitivo a quella storia e quando si girò verso l'entrata vide l'uomo paffutello andare verso di lui con un sorriso beffardo.
Capitolo 2
Lesse la mail con avidità e il sorriso gli illuminò il volto. Era lui, non aveva sbagliato! Le sue ricerche erano risultate giuste. Una massa pelosa balzò accanto al pc e Kurt allungò la mano per accarezzare il gatto. Il micio fece le fusa strofinandosi sul suo braccio e alla fine il ragazzo lo prese e lo portò sulle gambe, continuando ad accarezzarlo. Con la mano libera si loggò su Facebook e richiamò il nome di Emanuele Mineo, cercando quello che viveva a Piacenza. Gli apparve un avatar con l'immagine di due ragazze bionde abbracciate e rimase un po' deluso. Avrebbe preferito guardare in faccia questo italiano che da quando aveva ereditato le lettere da suo nonno era entrato a far parte della sua vita in maniera piuttosto prepotente. Provò a cliccare sulle foto e ne visualizzò tre, una delle quali mostrava il profilo di una delle ragazze bionde con la testa appena reclinata in avanti, in modo tale che i ricci le nascondessero parte del volto. Forse la sua ragazza? ipotizzò. L'altra foto, invece, mostrava sempre la stessa giovane sorridente, questa volta in primo piano e rimase impietrito di fronte alla scoperta: era un uomo! Allora riguardò le altre immagini e capì che la giovane bionda era Emanuele. Santo cielo! pensò divertito. Lo avevo scambiato per una donna! - Kuuuu! - L'urlo di sua sorella lo fece trasalire e dopo aver preso un bel respiro, rispose: - Sì? - - Vieni subito! Corri! - Il ragazzo costrinse il micio a saltare giù dalle sue gambe e raggiunse Ilse in camera sua. - Sbrigati! - Dal tono stridulo, velato di panico, capì subito di cosa si trattasse e gli fu sufficiente vederla in piedi sul letto, gli occhi sbarrati e l'indice che puntava in basso per averne conferma. Ilse era sempre stata aracnofobica e ogni volta che le capitava di scovare un ragno si metteva sempre a urlare. Anche ora che aveva ventidue anni continuava a soccombere al perverso fascino della dea Aracne. Con pazienza Kurt si mise alla ricerca dell'animale e lo trovò accanto al muro del letto. Trattenne il riso, poiché si trattava di un ragno minuscolo ed esclamò: - Per la miseria, che mostro! - - Uccidilo! - Le urla di Ilse gli frantumarono i timpani e provvide a schiacciare l'animale pur di allontanarsi. - Fatto. - annunciò. - È morto? - - Sì. - - Sei certo? Non è che ti è scappato e poi me lo ritrovo sul letto? - - Vuoi vedere il cadavere? - domandò sarcastico. - Sì. - Quella risposta lo lasciò di stucco e fissò la sorella preoccupato. Ma quando scorse la determinazione sul suo volto sospirò, si accucciò e cercò quello che rimaneva del ragno. Quando le mostrò la carcassa, lei si appiattì contro il muro e alzò la mano per tenerlo lontano urlando: - Ti prego! Non toccarlo, non toccarlo, mi fa schifo! - - Oh, santo cielo! - sbuffò esasperato, gettando il ragno a terra e tornando nella propria camera. - Kuuuu! - - Arrangiati! - rispose di rimando, alzando la voce. - È morto, stecchito, andato, trapassato, più morto di così non può essere, fidati! - Sentì la sorella continuare a chiamarlo ma l'ignorò e si rimise al pc, interessato a conoscere quello strano italiano che sembrava più un nordico che un mediterraneo. Sempre ammesso che si fosse trattato di lui. Ma quanti Emanuele Mineo potevano vivere a Piacenza? Mentre lo guardava sorridere alla macchina fotografica si domandò quanti anni avesse, che mestiere facesse e se anche lui avesse una sorella che lo esasperava con le sue fobie. Forse era la ragazza ritratta con lui nell'avatar. O forse era la sua fidanzata. Va bene, poco importava. Quello che contava era che lo avesse trovato. Non vedeva l'ora di raccontargli quanto aveva scoperto sui loro bisnonni, su quello che avevano vissuto durante la guerra, sulla loro storia e sullo strano patto che avevano stretto. Certo, riuscire a capire cosa ci fosse scritto nelle lettere italiane sarebbe stato un passo avanti, anche perché il suo bisnonno quando scriveva si esprimeva con velate allusioni, con termini desueti, tanto che molte cose gli erano sfuggite. Tra l'altro, questo Emanuele aveva posto una domanda pertinente: per quale motivo Heimo e Antonio scrivevano ognuno nella propria lingua? Lui lo aveva compreso leggendo le lettere del suo avo e aveva trovato la cosa alquanto intelligente. Questo presupponeva che ambedue conoscessero sia l'italiano sia il tedesco, altrimenti non si sarebbero capiti. E far tradurre da altri la missiva sarebbe stato stupido, visti i contenuti. Se solo suo nonno gli avesse dato il plico prima di morire gli avrebbe chiesto se Heimo conoscesse l'italiano. Si appoggiò allo schienale della sedia e per un attimo il volto gli si rabbuiò, pensando che ora lui e Ilse erano proprio soli. Erano rimasti orfani diciotto anni prima per colpa di un incidente stradale, quando lui ne aveva dieci e sua sorella quattro e suo nonno, l'unico della famiglia, li aveva accolti in casa sua. Sapeva di avere cugini sparsi per la Germania, ma lì a Monaco non c'era più nessuno della sua famiglia. E ora anche il nonno se ne era andato, lasciando in eredità la casa e il plico di lettere. Nella scatola aveva trovato anche un biglietto scritto nel 1939, subito dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, dove Heimo aveva vergato una specie di testamento qualora non fosse tornato dalla guerra. Chiedeva al figlio di custodire le lettere e lo pregava di non leggerle, ma di lasciarle a quel nipote che supponeva sarebbe nato intorno al XXI secolo. E a quanto pareva suo nonno aveva mantenuto le ultime volontà del padre, conservando le lettere senza mai aprirle. Ma per quale motivo attendere così tanti anni? Lo aveva scoperto quando aveva iniziato a leggerle. Tornò a osservare Emanuele, pensando che lo aveva cercato per un anno, da quando aveva aperto le lettere. All'inizio aveva pensato di lasciar stare, dicendosi che sarebbe passato per matto, ma poi quell'ultima missiva lo aveva costretto a darsi da fare. Non mancava molto all'anniversario e desiderava coronare il desiderio di Heimo e Antonio. - Eccoti qui. Chissà se accetterai di aiutarmi? - mormorò alla foto. Fu tentato di richiedergli l'amicizia, ma ci ripensò. Magari non era lui. Guardò l'ora e passò una mano tra i capelli. Si alzò e mentre preparava lo zaino per andare al lavoro si ripromise che al ritorno, se non fosse stato troppo stanco, avrebbe pensato a rispondere alla mail e avrebbe atteso la mossa dell'altro. Quel ragionamento lo fece sorridere: gli parve di stare giocando una partita a scacchi.
~
Francesco e Anna lo ascoltarono con una certa perplessità e, nonostante Emanuele avesse portato le due lettere per avallare il racconto, stentavano a credere a una notizia simile. - Fammi capire bene: questo tizio... - - Kurt. - corresse Emanuele. Francesco si agitò, bofonchiò qualcosa e continuò: - Questo Kurt ti ha spedito le lettere, raccontandoti una storia fantastica e tu ci credi? - L'altro alzò le spalle e scambiò un'occhiata con Anna, la quale sembrava meno scettica del marito. - Perché non dovrei? - rimandò tornando a concentrarsi sull'amico. Francesco sospirò, prese il pacchetto di sigarette e ne accese una, adagiandosi contro lo schienale del divano. C'erano volte in cui avrebbe volentieri messo le mani intorno al collo di Emanuele per scuoterlo e farlo rinsavire. Ma sapeva che sarebbe stato inutile: quando si metteva in testa una cosa andava avanti come un treno e non c'era modo di farlo ragionare. La riprova erano i continui amanti che sceglieva: sempre uguali, sempre con qualche chilo di troppo e sempre maneschi e gelosi. - Chi ti dice che non sia tutta una burla e che hai abboccato come un pesce all'amo? - borbottò. - Una burla? - ripeté. - Questa la reputi una burla? - e mostrò la lettera di Antonio, datata 26 dicembre 1914. Francesco fece un gesto con la mano e ammise: - Va bene, quella magari è vera, ma chi ti dice che il possessore ne ha veramente altre? Chi ti dice che non sia un pervertito che sta provando ad adescarti? - - Ma se non mi conosce! - - E come ha fatto a rintracciarti? - Emanuele scrollò le spalle esasperato e si lasciò andare contro lo schienale del divano. - Magari è tutto vero, - intervenne Anna facendo da paciere, - ma non sai nulla di questo Kurt. - - Ehi, ehi, un momento! - esclamò tornando seduto di scatto. - State dando per scontato che possa incontrarlo? È questo che temete? - Francesco mugugnò qualcosa di incomprensibile e Anna sorrise. - Emà, ti conosciamo bene. - rispose con condiscendenza. Il ragazzo alzò le mani arrendendosi e si lasciò andare di nuovo contro lo schienale del divano. - Questa volta non è come pensate. - provò a dire. - Non lo conosco, è vero, e proprio per questo dovreste stare tranquilli. Del resto neppure lui mi conosce. Che male c'è a scambiarsi qualche mail ogni tanto? Mi ha solo chiesto di tradurgli le lettere. Tutto qui. - - Tutto qui. - bofonchiò Francesco aspirando il fumo dalla sigaretta. - Ehi! - esclamò infastidito. - Non ci conosciamo! Io non so se lui è gay e lui non sa che io lo sono! Mi spieghi come potrei adescarlo? Magari è sposato, vecchio e con una carretta di figli al seguito! - I due amici rimasero un attimo in silenzio, riflettendo su quel ragionamento e alla fine Anna si alzò dalla sedia e si diresse in cucina per preparare il tè. Emanuele e Francesco rimasero a studiarsi in silenzio, entrambi consapevoli che a farli preoccupare era l'affetto che li legava. - Ti sei chiesto per quale oscura ragione le lettere non fossero in italiano o in tedesco? E per quale motivo le ha tutte questo Kurt quando quelle in tedesco dovresti averle tu? - argomentò con sagacia. Emanuele fece una smorfia alla pertinenza della domanda e rispose semplicemente: - Gliel'ho chiesto tramite mail, ma ancora non mi ha risposto. - Francesco aggrottò le sopracciglia e accavallò una gamba sopra l'altra. - Ho visto che alla fine hai scaricato Gianni. - buttò lì, scrollando la sigaretta nel portacenere. - Già. - rispose, consapevole che aveva di proposito cambiato argomento. - Bene. E a quando il prossimo cavernicolo? - Emanuele si irrigidì, poi vide il sorrisetto sulle labbra dell'altro e capì che lo stava prendendo in giro. - Stronzo! - rise divertito suo malgrado. - Hai ragione, sai? Sono proprio uno stronzo a preoccuparmi per te. Dimentico sempre che ormai hai trent'anni suonati e che te la sai cavare da solo. Sì... insomma. - aggiunse sogghignando. Emanuele gli sferrò un pugno contro la spalla e Francesco sorrise. C'era stato un momento, in quei diciassette anni di conoscenza, in cui, dopo il diploma, avevano temuto di perdersi di vista. Francesco si era accontentato del titolo di studio e aveva trovato subito lavoro, mentre Emanuele si era trasferito a Bologna per studiare Lettere. All'inizio si erano visti di rado e nei momenti in cui Emanuele faceva ritorno a Piacenza per il fine settimana, Francesco il più delle volte era impegnato con Anna. Il secondo anno non si erano visti proprio, indaffarati ognuno nella realizzazione di se stesso, fino a quando Emanuele li aveva invitati a Bologna per festeggiare il suo compleanno e da allora avevano riallacciato i rapporti. - Il tè è pronto. - annunciò Anna dalla cucina. I due amici scambiarono un cenno d'intesa e mentre si alzava, Francesco borbottò: - Quand'è che ti tagli quei capelli? - - Scordatelo. - L'altro rise e si divertì a tirargli un riccio.
Myrddin Emrys
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