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Autore: Francesco Grimandi
Il soffio della morte
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Il soffio della morte
Le indagini del Vicario di Giustizia Jacopo Lamberti

Bologna, 10 novembre 1325, tre ore dopo il tramonto

Il brillio nel buio. Poi i fendenti lo pugnalarono, rapidi e implacabili, dall'alto verso il basso. L'uomo non ebbe il tempo di capire, perso nei suoi desideri. Percepiva ancora il contatto con la pelle calda della donna appartata assieme a lui nel vicolo, la coscia morbida di lei che l'attraeva a sé, in piedi contro al muro.
Non poté reagire e fu sopraffatto dalla consapevolezza di andare incontro alla morte.
L'assassino gli piombò addosso feroce, mandandolo a sbattere contro la parete alle sue spalle. Lo bloccò di peso, poi si accanì su di lui. Il primo colpo al petto che quasi non sentì per la sorpresa, e a seguire gli altri, che gli passarono le carni da parte a parte, imbrattando i vestiti di sangue.
L'uomo scosse la testa serrando i denti per la paura, si dimenò tentando di sottrarsi alla lama che lo trafiggeva ma era tardi.
Una mano gli tappò la bocca, impedendogli di gridare.
Alzò le braccia, senza riuscire a ripararsi dai colpi che lo raggiunsero lo stesso, identici e spietati; annaspò e poté solo aggrapparsi a chi lo uccideva. Dalla sua bocca sfuggì un gemito rauco. Nell'ultimo tentativo di liberarsi, scalciò l'aria prima di crollare indietro, il busto squarciato.
Il sangue fluì caldo sul selciato. I topi fuggirono veloci nella nebbia che si addensava in lingue più fosche; lontano un ubriaco dormiva storto all'incrocio della via.
L'omicida osservò la sua vittima, la bocca spalancata, le pupille dilatate, lo sguardo fisso nel vuoto. Piegò la testa di lato, inalando l'aria fredda e umida.
Non era nessuno, e nessuno ne avrebbe pianto di certo la scomparsa.
Sospirò. La stanchezza sembrò calare tutta d'un tratto.
Ogni volta era così. Prima un'esaltazione febbrile che esplodeva, raggiungendo l'apice. Poi le pulsazioni a poco a poco si placavano e il respiro tornava normale.
Avvertiva la voglia di tornare a casa; tuttavia mancava ancora qualcosa per ritenere conclusa la sua missione.
Prese il morto per le braccia e lo trascinò in fondo alla strada, i talloni che strisciavano sul terreno. Non vi erano luci a rischiarare il vicolo e notarlo sarebbe stato arduo, se non impossibile.
Incurante delle condizioni in cui versava il cadavere, si chinò e l'evirò di netto, quindi prese l'organo reciso e lo ripose in una scarsella di cuoio che teneva sotto al vestito.
Soddisfatta la brama di vendetta, si piegò di nuovo sul morto e si pulì le mani sporche di sangue sulla sua camicia. Si tolse la cappa e la rovesciò per nascondere ogni traccia, poi sistemò l'abito sgualcito e tirò sulla testa il cappuccio, stringendosi nel mantello come colto da un brivido.
Con calma, la testa senza più pensieri, s'avviò verso il centro della città. Nel volgere di pochi passi la sua sagoma intabarrata svanì, inghiottita dalle tenebre.

11 novembre, presso Porta Stiera, prima mattina

Steso sul lettino nel magazzino della spezieria, Jacopo Lamberti lasciò scorrere lo sguardo sulle mensole cariche di recipienti smaltati in terracotta, colmi di erbe medicinali ed essenze profumate.
A giudicare dall'ordine e il lindore che regnavano fino negli angoli più reconditi, l'attività del suo amico, Niccolò Garzoni, doveva essere alquanto redditizia. Probabilmente una delle più redditizie in città dopo quella dei banchieri e degli usurai.
Lasciò che lo speziale finisse di visitarlo, quindi si tirò su a sedere: — Allora, che cosa ho?
Ancora l'impensieriva il senso di malessere, delle fitte minacciose e acute vicine allo sterno, che l'aveva spinto a chiedere un consulto.
Niccolò gli fece cenno di rimettersi la camicia: — Per il tuo problema è difficile fornire un responso esauriente.
Mentre si infilava la camicia, dal corpo sagomato e le maniche strette sull'avambraccio, un senso di angoscia lo assalì ancora. Non era la paura di morire a spaventarlo ma il dolore che avrebbe dovuto sopportare.
— Non potresti essere più preciso?
Lo speziale lo fissò, scuotendo il capo. — D'accordo, ci proverò. I dolori che avverti fanno pensare a un disturbo al cuore, tuttavia sei piuttosto giovane per soffrire di questi fastidi che di norma si presentano più avanti con gli anni.
L'interruppe: — Non mi stupirei. Sai che sono sempre stato un tipo precoce, un po' in tutto.
— Certo, è vero. Ti conosco da quando pigliavamo le bacchettate dallo stesso maestro, non ti sei mai smentito.
Jacopo rise divertito, ripensando a quel periodo privo di obblighi e responsabilità. Com'era cambiata la sua vita da allora.
— In qualsiasi modo — aggiunse Niccolò cercando di apparire tranquillizzante, — non mi fascerei la testa troppo presto. Altre cause possono spiegare gli acciacchi. Potrebbero dipendere dall'eccessiva stanchezza e dagli strapazzi cui ti sottoponi di continuo. Il tuo lavoro di sbirro non è il massimo per la salute, in tutti i sensi.
Jacopo distolse lo sguardo, per non cogliere il biasimo che covava nell'espressione bonaria dell'amico. Di nuovo la sua attenzione si posò sui boccali, le bilance, le spatole, i mortai e i torchi che troneggiavano sul bancone da lavoro alle spalle di Niccolò.
Se non avesse avuto un carattere così ostinato, magari si sarebbe accontentato anche lui di fare quel mestiere, con dovizia e competenza, amalgamando unguenti e composti per alleviare i dolori.
Ma erano altre le sofferenze sulle quali aveva scelto di intervenire. E quotidianamente era immerso in mali assai più mortiferi, mali che scaturivano dal cattivo animo degli uomini.
Come lo speziale usava le mani cuocendo e distillando composti, allo stesso modo lui sporcava mente e corpo con le peggiori sozzure del mondo.
Niccolò incrociò le braccia. Era piccolo e mingherlino ma dietro a quell'aspetto ordinario nascondeva una mente formidabile.
Lo speziale restò a fissarlo, tamburellando le dita della mano destra sul braccio opposto, in maniera pensosa. Poi si decise a parlare: — Allora, cosa hai intenzione di fare?
— In che senso? Non ti capisco.
— A mio avviso, qui non servono impacchi o bagni in acqua calda e fredda. Magari una soluzione ce l'avrei però dovresti seguirla.
Jacopo si decise a guardarlo in faccia.
Avvertiva una stanchezza atroce, ma non capiva se dipendesse dalle membra provate o dall'affaticamento interiore che la vita ogni giorno di più gli riservava.
Era un fardello oneroso da portare, soprattutto per chi come lui non aveva nessuno con cui condividerlo.
— Quale sarebbe il rimedio? — chiese, raccogliendo quel briciolo di energie che gli erano rimaste. Muovendosi aveva avvertito una nuova fitta pugnalarlo al petto. Un po' meno acuta delle precedenti ma ugualmente dolorosa.
— Guarda che non scherzo. Se non ti decidi a curarti, rischi di lasciarci davvero la ghirba. Non sei solo pallido, hai proprio un brutto aspetto.
— Lascia stare, ti preoccupi troppo.
— E tu sembra che non ti riguardi abbastanza. Hai un bisogno assoluto di riposo. Di notte riesci a dormire?
Jacopo lo guardò quasi scherzasse. Non ricordava più il tempo che aveva dormito un'intera notte di fila. C'erano sempre gli incubi a tormentarlo, nascosti dietro le palpebre che grondavano sangue appena si posava sul letto tentando di dormire, o prendeva sonno appoggiato da qualche parte.
Scosse la testa, rassegnato.
— Posso darti qualche erba calmante per farti riposare. Ho degli infusi che fanno miracoli.
— Nel mio caso ne servirebbe uno parecchio potente.
— Così mi piaci. Aspetta un istante.
Lo speziale si diresse a uno stipo di legno. Impiegando una piccola chiave che teneva al collo, l'aprì. Poi, con la perizia di chi sa quello che gli occorre, estrasse una fialetta contenente un liquido denso e giallastro, del tutto simile a un liquore.
— Ecco qua — disse Niccolò porgendoglielo con aria dottorale. — Però non eccedere con la dose, se no potresti non risvegliarti più. Prendine massimo sei gocce sciolte in un bicchiere d'acqua prima di coricarti.
Jacopo girò la fiala rimirandola di sbieco in controluce poi la stappò. Il preparato aveva un odore zuccherino che invogliava a berlo d'un fiato ma preferì sigillarlo di nuovo.
— Grazie, Niccolò — disse, assestandogli una pacca affettuosa sulla spalla. — Non so che farei senza di te. Sei un vero amico.
— Già, anche perché non mi pare che tu ne abbia molti — disse lo speziale sorridendo della sua stessa battuta.
— Hai ragione, col mio mestiere non è facile stringere legami duraturi. La diffidenza è troppa. Quando imparano che cosa faccio, tutti tirano a evitarmi. Persino gli osti e le puttane.
— Manco fossi il boia! — sbottò Niccolò cordiale. Ma lasciò perdere quando intuì che non riusciva a smuovergli una risata.
La campanella fissata alla porta della bottega tintinnò, poi una voce raschiante urlò: — Messer Lamberti! Messer Lamberti!
Jacopo scattò in piedi, dimentico di ogni acciacco: — Sono qui! — Volgendosi all'amico, lo rassicurò: — È uno dei miei. Prima di uscire avevo lasciato detto dove mi sarei recato.
Lo speziale annuì. D'un tratto parve preoccupato, più per lui che per se stesso.
Un bargellino entrò a passo di carica nel retrobottega. Indossava una cotta di cuoio, un elmo e in cintura portava una spada corta. Sulla sua faccia, un'espressione trafelata, per niente simulata.
— Messer Jacopo, domine Fulgerio reclama la vostra presenza!
In quei mesi così travagliati per il Comune, rammentò Jacopo, Fulgerio il forlivese era stato nominato al grado di Capitano del Popolo per il suo piglio di parte guelfa.
— Dove si trova adesso?
— L'attende con urgenza al Palazzo.
— Cosa è successo?
— Ne hanno trovato un altro.
Jacopo avvertì un brivido di gelo solcargli la schiena, penetrandogli nelle ossa. Una scudisciata alle sue migliori intenzioni di dedicarsi qualche riguardo.
— Stesso trattamento degli altri?
— Lo stesso.
— Precedimi. Di' a domine Fulgerio che arrivo subito.
Il bargello recepì l'ordine senza discutere e si dileguò, animato dalla foga, come quando era giunto.
Jacopo riconsegnò la fialetta nelle mani di Niccolò.
— Conservamela per dopo, verrò a riprenderla appena mi sarà concessa un po' di tregua.

Francesco Grimandi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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