Parigi, maggio 1789. Clothilde Le Brune ripose i panni lavati dentro una cesta di vimini e, dopo essersi detersa il sudore dalla fronte con l'avambraccio, si allontanò dal lavatoio dirigendosi verso casa. C'era un gran bel movimento in quei giorni per le strade parigine e non certo per il tepore della primavera che invogliava a stare all'aperto: nessuno voleva perdersi l'occasione per incontrarsi e discutere sull'evento che era stato preteso a gran voce dal popolo: la convocazione degli Stati Generali. Re Luigi XVI aveva infine accettato la richiesta e i rappresentanti dei Tre Ordini si trovavano in seduta stabile a Versailles per discutere sulla concessione dei diritti al popolo. Clothilde aveva seguito l'andamento della seduta solo nelle prime fasi, aggiornandosi leggendo i giornali che raccattava da terra, fantasticando sui miglioramenti della vita che i nuovi diritti avrebbero assicurato a ogni cittadino e si era permessa il lusso di cullarsi nei ricordi del suo passato, quando sua madre era ancora viva, quando le sue giornate erano state scandite dallo studio e dagli incontri con le amiche, prive di quella responsabilità che si richiedeva a un adulto. Ma poi si era dovuta arrendere all'ineluttabile: doveva fare i conti con il presente e con suo padre che rimaneva fuori tutta la notte per bere e giocare a carte, dilapidando la piccola fortuna che era riuscito a mettere insieme svolgendo la professione di avvocato. E allora non aveva più raccolto i giornali, confidando che se ci fosse stata una svolta nella seduta lei lo avrebbe comunque saputo. Serrò la cesta con i panni sotto il braccio, scansò un ciuffo ribelle di capelli che era sfuggito al fiocco che li tratteneva in una coda e affrettò il passo. Superò i giardini delle Tuileries, quindi la vecchia reggia del Palais Royale dove erano appostati venditori ambulanti e postulanti e svoltò in una stradina laterale. Aprì il cancello di casa e, prima ancora di entrare nell'abitazione, si fermò nel giardino per stendere i panni lavati a un filo teso tra l'albero di fichi e un chiodo infisso nel muro dell'edificio. Una volta terminata l'operazione lasciò la cesta vuota ai piedi dell'albero ed entrò in casa. Per un attimo sostò nell'ingresso, girando lo sguardo intorno per abbracciare la scala che conduceva alle camere, il piccolo salone dove tante volte sua madre si era seduta sulla poltrona preferita intenta a ricamare e infine la porta che immetteva nella cucina. Era una casa che aveva vissuto un certo fasto con tanto di domestici e cuoca e che aveva avuto il suo momento di massimo splendore quando suo padre, un avvocato affermato in tutta Parigi, aveva iniziato a ospitare sia nobili clienti sia colleghi e amici che gli chiedevano consigli legali. Ora quella fastosa dimora era quasi irriconoscibile. Il declino aveva avuto inizio due anni prima, quando sua madre era morta. Da quel momento tutto era crollato. Lei era stata costretta ad abbandonare gli studi per imparare a gestire una casa senza più servitù, con un padre che quando si ricordava di rivolgerle la parola era solo per insultarla, e che pareva non accorgersi che era lei ad accudirlo quando la mattina rientrava sempre ubriaco. Aveva diciannove anni ma a volte pensava di aver vissuto il doppio del tempo. In lontananza udì le campane di Notre Dame rintoccare il mezzodì, l'ora in cui doveva iniziare a cucinare quel poco che era riuscita ad acquistare quella mattina al mercato. Era sempre più difficile trovare i soldi, ma suo padre pareva sordo a ogni richiamo. Le poche monete che in quei due anni era riuscita a tenergli nascoste si erano quasi esaurite e il pane era diventato un lusso per ricchi. Ormai non ricordava più neppure quando era stata l'ultima volta che lo aveva mangiato. Doveva arrendersi all'evidenza: cominciare a guardarsi intorno per cercare un lavoro. Anche se, di quei tempi, avere un lavoro era concesso a pochi fortunati: i restanti andavano a ingrossare la quantità di postulanti che aumentava di giorno in giorno. Il battaglio picchiò all'improvviso sulla porta di casa e Clothilde sussultò, portando la mano sul cuore, pregando il cielo che non fossero di nuovo i creditori. Suo padre era ricorso ai prestiti per continuare a bere e giocare, lasciando lei ad arrangiarsi per sopravvivere. Nella mente le sfrecciarono una miriade di scuse più o meno plausibili da spiattellare al creditore di turno e nel frattempo sistemava i capelli raccolti a coda in un gesto abituale. Solo in quel momento si accorse che una parte della gonna era bagnata dall'acqua della fonte dove aveva lavato i panni e sospirò. Raddrizzò la schiena, dicendosi che la sua veste bagnata era l'ultimo interesse che conduceva i creditori alla sua dimora e cercando una dignità che non provava più da tempo, andò ad aprire. Atteggiò le labbra a un sorriso cordiale, pronta a mostrarsi il più gentile possibile, quando gli occhi le si posarono su un uomo che non aveva mai visto prima. Il sorriso le si spense subito e dopo averlo squadrato sfacciatamente da capo a piedi, mormorò incerta: - Sì? - L'altro si tolse il tricorno e il sole di mezzogiorno brillò su una capigliatura bionda raccolta a coda con un fiocco nero. Le fece un salamelecco come se si fosse trovato dinanzi alla regina e Clothilde sgranò gli occhi. Se non fosse stata terrorizzata dall'idea dei creditori, si sarebbe messa a ridere per tanta inutile pompa. - Buongiorno, mademoiselle. - esordì l'uomo raddrizzando la schiena e guardandola dritto negli occhi. - Scusate l'orario bizzarro, ma sono giunto solo ora. - Lei annuì appena, suo malgrado incantata da quel volto fresco, giovane, da quello sguardo di un azzurro così intenso che pareva di zaffiro e all'improvviso passò la mano sul proprio viso, consapevole di aver acquisito negli ultimi tempi un aspetto emaciato, diventando l'ombra della bella ragazza che era. - Il mio nome è Valentin Le Tellier, - si presentò lo sconosciuto con voce morbida, rimettendo il tricorno in testa e posando entrambe le mani sul pomolo del bastone, - e sono qui per parlare con monsieur Le Brune. - Clothilde ascoltò quel timbro carezzevole, simile a un languido tocco che la fece rabbrividire e sbatté le palpebre dalle lunghe ciglia nere che circondavano due occhi neri come pozze d'inchiostro. Era da tanto che non aveva occasione di osservare un bell'uomo e indugiò non poco su di lui. Ma all'improvviso si irrigidì, ricordandosi di avere di fronte un creditore, seppur di belle fattezze e facendo un gesto vago con la mano rispose secca: - Mi dispiace, ma mio padre non può essere disturbato. Vi conviene tornare in un altro momento. - L'altro non si scompose a quell'atteggiamento aggressivo e piegando le labbra in un sorriso luminoso ammiccò rispondendo: - Forse sarebbe il caso di parlare all'interno dell'abitazione. - - No, non è questo il caso. - ribatté pronta, alzando il mento in un gesto di sfida. - Mi dispiace per voi, monsieur... Le Tellier, - pronunciò dopo aver ricordato il nome, - ma dovrete ritornare in un altro momento. - - Sarà... - - Insisto. - ribadì categorica, chiudendogli la porta in faccia senza neppure ascoltare la replica. Era incredibile come i creditori fossero tenaci. Addirittura ora pretendevano di parlare con suo padre, quando sapevano bene che era lei ad amministrare la casa e a tenere i conti. Be', rifletté mestamente, i conti li ho tenuti fintanto che c'erano soldi da contare. Udì nuovamente bussare e con stizza si girò verso la porta. Caparbio, pensò. Si guardò intorno, alla ricerca di un'arma per sventolargliela sotto il naso in modo da indurlo a desistere, quando dalle scale vide scendere suo padre. Restò a bocca aperta, incredula. Com'era possibile? Lei stessa quella mattina all'alba lo aveva aiutato a mettersi a letto perché era troppo ubriaco per fare qualsiasi cosa e ora... Ora scendeva le scale con indosso il miglior vestito di sempre! Oh, certo, aveva ancora le guance e il naso rossi, l'andatura incerta di chi sta smaltendo la sbronza, la parrucca spettinata indossata di fretta, ma appariva battagliero e le gridava: - Stupida donna! Apri quella maledetta porta! -
MGL Valentini
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