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Autore: Francesco Grimandi
Ex vita
Giallo Storico Medievale
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Ex vita
Le indagini del Vicario di Giustizia Jacopo Lamberti

Comune di Bologna, 17 settembre 1326

— Vicario, voi dovete scoprire chi mi ha uccisa!
Jacopo Lamberti guardò la giovane in piedi davanti a lui, dubitando della lucidità della sua mente. Poi volse lo sguardo a Niccolò, vestito elegante in totale sintonia con la sontuosità del palazzo, immerso nelle luminose vie del centro cittadino.
— Che storia è questa? È forse una strega, come Chiara?
Lo speziale scosse la testa, le braccia incrociate sul petto.
— No, è figlia di una mia cliente. Io l'ho già interrogata. Sua madre dice che ha sempre affermato questa idea, ma non l'ha mai resa pubblica per non alimentare equivoche dicerie.
— E con ragione! — affermò Jacopo sbuffando dal naso, riportando l'attenzione sulla ragazza, di corporatura esile ma graziosa. I capelli biondi, tagliati corti, incorniciavano il viso spigoloso, dando lucentezza agli occhi verdi che sembravano brillare di vita propria e spiccavano sul colorito pallidissimo.
Non sembrava star troppo tempo all'aria aperta, ragionò Jacopo, ma di per sé non era una stranezza. Diverse famiglie, specie le più benestanti, preferivano mantenere le figlie entro le mura domestiche facendole uscire assai di rado finché non avessero trovato loro marito. Tuttavia la nobile difficilmente avrebbe incontrato qualcuno che la impalmasse insistendo in quelle convinzioni. Ecco il motivo per cui la madre, affranta, si era rivolta a Niccolò. L'amico l'aveva coinvolto di sponda.
Jacopo sbirciò oltre la finestra aperta il cortile delimitato da un voltone, meditando di rifiutare quell'assurda proposta.
Scrutando il pulviscolo dorato che danzava nell'aria, gli sembrava più compito di un dottore far chiarezza nella mente confusa della ragazza, non certo di un ex sbirro senza lavoro come lui. Da quando il suo integerrimo superiore, il Capitano del Popolo Gusta da Radicofani, era deceduto in circostanze misteriose, l'ufficio era stato assunto ad interim dal Collegio degli Anziani Consoli che l'aveva bruscamente sollevato dal suo mandato, affidandolo al bargello e ai suoi tirapiedi. E lui si era trovato di punto in bianco alla porta, senza un grazie e mezzi alternativi di sussistenza. Per campare avrebbe dovuto cercarsi un nuovo impiego, ancora più umile e mal retribuito del precedente. In questo, Niccolò stava cercando di aiutarlo. Dopo due settimane senza paga, era oramai a corto di denaro.
Lo speziale tossì piano per richiamare la sua attenzione.
La ragazza all'apparenza sempre più nervosa attendeva.
Jacopo si passò una mano tra i capelli sentendosi più che mai fuori posto in quell'ostentazione di follia e ricchezza. La sua attenzione si focalizzò sul volto serio di Rita, così aveva detto di chiamarsi al principio del loro strampalato colloquio.
— Credo dovrò approfondire meglio i dettagli, prima di assumermi ogni responsabilità d'indagare. Concorderete che quanto state chiedendo non sia per niente una cosa ordinaria.
Niccolò non batté ciglio, ma nel suo sguardo gli parve di cogliere un riflesso di approvazione. Alla fine in quella storia anche lui ci metteva la faccia avendolo proposto alla famiglia della giovane come la possibile soluzione del loro problema.
Rita accennò appena con la testa mostrandosi d'accordo.
Jacopo cercò di bandire i pensieri negativi, contrari a ciò che stava per fare. Non voleva ritrovarsi cinno di bottega, o a servire cibo e vino in un'osteria come un semplice garzone.
L'idea di intascare qualcosa, e di mantenersi impegnato, lo attirava ben più di ogni altra soluzione. Era il male minore.


II

Tarda mattinata, Corte dei Galluzzi

Quando Jacopo era uscito di casa quella mattina il tempo era dei migliori. La calura estiva era pressoché passata, e non la rimpiangeva anche se le giornate ora apparivano più brevi.
Doveva incontrarsi con Niccolò, che gli aveva promesso un nuovo lavoro dopo che gli era stato tolto il suo incarico di vicario. Velocemente aveva percorso il tratto da casa sua alla piazza principale del mercato quasi avesse un appuntamento con il destino. La vita che aveva davanti si prospettava come un grande salto nel vuoto, un enorme buco nero che ingoiava tutti i suoi progetti passati e futuri, finché non avesse stabilito quale piega dare alla sua esistenza. Come al solito, non aveva mangiato. Lo stomaco era chiuso da giorni, e non gli riusciva di mandare giù niente, tale era il nervosismo che lo logorava.
In giro le persone erano già parecchie. Non poteva essere altrimenti, visto che stava attraversando il cuore di Bologna.
Trovato Niccolò lo aveva seguito senza fiatare, sperando di non essere in ritardo. Lo speziale era stato inflessibile. Ma conoscendo la nomea della casata presso cui erano attesi non poteva dargli torto.
I Galluzzi spiccavano tra le famiglie di Geremei di antica schiatta. Nobili e fieri antagonisti del partito avverso in città, si erano mostrati piuttosto turbolenti nella loro storia, persino gli ecclesiastici, portando le loro battaglie e le loro congiure, nonché i loro omicidi, fin nelle vie cittadine in spregio a ogni legge e statuto dando più di un grattacapo al podestà di turno.
Erano implicati in molte uccisioni e distruzioni di torri e palazzi dei loro nemici politici, e loro risse in piazza avevano aizzato più volte disordini, creando tumulti che a fatica erano stati sedati. Alcuni di loro erano stati paragonati a lupi rapaci dai pubblici magistrati, e in tutta risposta avevano continuato a sfidare le leggi, arrivando perfino a uccidere un giudice de' malefici. La città allora si era sollevata e aveva preso le armi. I colpevoli materiali dell'omicidio erano stati banditi, il fisco aveva requisito i loro averi e il popolo aveva depredato e dato alle fiamme le loro case, ma le grandi ricchezze e la quantità di figli aveva permesso ai Galluzzi di continuare a sostenersi.
Questo e altro ancora Jacopo stava pensando, giungendo sotto l'oscura torre mozza di quell'Albizzo Galluzzi, che con altri armati degli Azzoguidi, Beccadelli e Gozzadini, oltre a molta gente del popolo aveva costretto a una precipitosa fuga Romeo Pepoli, il più ricco in città ma in odore di tradimento, il quale per salvarsi avevo lanciato dietro a sé monete d'oro, scappando in Romagna. Era capitato solo cinque anni prima. Il podestà, Albicello dei Buondelmonti, favorevole al Pepoli l'aveva seguito nella ritirata e la sommossa era durata alcuni giorni. All'epoca, il potere cittadino aveva chiamato il guelfo forlivese Fulgerio da Calboli, flagello dei Bianchi a Firenze, per riportare la pace e lì Jacopo aveva fatto la sua conoscenza mai pensando di affiancarlo nell'incarico quattro anni dopo.
Dato lo scarso preavviso, non aveva potuto informarsi di più e meglio sulla ragazza che dovevano incontrare, però non era un problema. Se Niccolò aveva avanzato quella proposta, sapeva di potersi fidare.
Quando erano giunti sulla soglia della casa padronale un servitore li aveva fatti entrare senza fare domande. L'edificio aveva l'aspetto di una fortezza e forse l'era stata, insieme alle case attorno, uno stabile accampamento pronto alla battaglia.
Quel luogo era l'esempio di come le famiglie più potenti organizzavano il loro abitare: una corte interna sulla quale si affacciavano le dipendenze principali, la torre, le residenze e un piccolo oratorio protetto dall'intrusione di genti nemiche.
Prima di varcare il buio ingresso della residenza, Jacopo aveva lanciato uno sguardo da vicino alla poderosa torre che ogni cittadino conosceva. Come grossezza dei muri superava l'Asinelli, e chi l'aveva progettata contava probabilmente di elevarla ben oltre la sua attuale altezza di ventitré ponti, quali si vedevano dai segni lasciati sulle lisce pareti dai costruttori. L'azione decisa di qualche magistrato doveva aver impedito che venisse ultimata, affinché non dominasse sulle altre torri.
Lui e Niccolò erano entrati nel palazzo vicino, più basso. Camminando su pavimenti di legno tirati a lucido, le porte li avevano introdotti lungo un susseguirsi di ambienti e scaloni, arazzi e statue alle pareti, accompagnati dal profumo di fiori freschi, fino a raggiungere l'ampia sala dove si trovavano, al cospetto di Rita che li scrutava in modo piuttosto enigmatico.
Jacopo andò alla finestra. Spalle alla luce, si appoggiò al bordo del balcone, le mani puntate all'indietro per sostenersi.
— Parlate, descriveteci la vostra storia, siam tutt'orecchi — disse inclinando la testa di lato, mentre spiava i tratti della ragazza pronto a cogliere e leggere ogni segno del suo corpo.
Stranamente, non si sentì affatto fuori posto. Dopo avere stabilito la sua scelta, i timori del mattino erano svaniti come neve al sole. Ora gli premeva solo capire ciò che doveva fare.
Rita ricambiò lo sguardo con un'espressione seria che la fece sembrare più matura della sua età. Inarcò le sopracciglia sottili e si schiarì appena la voce, puntando gli occhi nei suoi.
— So già che non mi crederete... ma vi esporrò la verità.
Niccolò annuì, comprensivo, guardando poi verso di lui.
Jacopo fece cenno che non vi erano problemi a riguardo.

Francesco Grimandi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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