Le vite accordate alle richieste del mondo sono spellate da ogni fantasia.
Sarah
Stromboli, 10 giugno 2009
Esco in terrazza. Sulla collina di fronte c'è una luna, spezzata in due, che ha fretta di crescere e la scia luminosa di un aereo che fa uno strappo nel cielo. Domani uscirà la prima edizione del mio libro, tu ci sei dentro tuo malgrado. Non ci sentiamo da un pezzo. Forse ti scriverò una e-mail. Allegherò alcune pagine a caso. Mi sono infilata in questa storia sgualcita che non posso indossare in pubblico. A pensarci, non è una storia, perché priva di trama. Episodi sporadici che per te sbiadiscono sul bagnasciuga e dentro me si conficcano come aguzzi frammenti di corallo. Gli amici dicono: «Sembri rinata!» Non ti devo alcun grazie per questo. Tu o chiunque altro rientrate in una strategica casualità. In questa giornata piena di scompensi spacco un frutto di melograno e sgrano, uno a uno, i chicchi rosso rubino; ognuno è un ricordo succoso e trasparente del mio volerti a tutti i costi. Oggi mi chiedo se, per te, sono stata una scorribanda mentale per evadere da una quotidianità ostinatamente pianificata, o una spassosa alternativa per aprire la cerniera senza aver voglia di fare pipì. Perché non si può vivere una vita senza regole, accanto a quella standard, senza far male a qualcuno? Se ci spostiamo da un luogo all'altro, con un traghetto, senza che questo sconvolga il mare, perché il mio viaggio tra te e lui è sempre in burrasca? Ogni abbraccio, tra noi, è incompatibile con i nostri punti fermi. Sbanda nei tornanti di un apparente equilibrio. Scaraventa oltre il guardrail ciò che sembrava definito e ferisce. Scegliere di opporsi è difficile, lasciare che accada è da stupidi.
Palermo, 9 giugno 2004 (Cinque anni prima)
«Allora, domani parti e mi lasci sola a Palermo per tutta l'estate?» sbuffa Cristina imbronciata. Per assicurarsi che starò bene mi convince a seguirla da una chiromante che definisce eccezionale. Non credo alle anticipazioni sul futuro, però c'è sempre un po' di curiosità. La gitana, mento appuntito, naso sottile. Le sue pupille, due trivelle prive di luce, scavano nel mio avvenire. Cosparge il palmo della mia mano di polvere marrone, la rimescola con i polpastrelli delle dita ossute. Esamina attentamente le linee della vita che in troppi punti quasi s'interrompono infiacchite dalle attese. Poi proseguono e diventano nuovamente marcate, forti di rabbia e di entusiasmo, rinvigorite dal bisogno di esistere ancora. Attendo ansiosa, ma infastidita da questa invasione nel mio privato. Comincio a pentirmi aspettando il responso. Lei non solleva mai la testa, neanche quando inizia a parlare e predice: «Vedo fiammelle scintillarti negli occhi. Tanto fuoco arderà dentro e vicino a te. Confonderai fuochi fatui e falò d'estate. Questo c'è nel tuo futuro». Aveva chiuso la mia mano a pugno, con la sua, e ora tendeva verso me l'altra mano aspettando il compenso per lo sforzo compiuto. Le pago la somma pattuita. Lei ringrazia, abbassa la fronte e afferra impaziente due lembi dell'ampia gonna che le arriva ai piedi. Questo gesto la direziona verso un luogo che, sicuramente, l'aspetta perché è molto decisa quando si allontana. Mi giro delusa verso Cristina: «Scusa, che voleva dire?» «Qualsiasi cosa sia, ti assicuro si avvererà, ha indovinato il futuro a tutte noi. Entro sette mesi, al massimo da oggi, ci sarà il cambiamento che lei ti ha predetto.» «Sì Cris, cerca di essere un po' razionale, cosa hai capito di quello che ha detto? Cosa dovrei aspettarmi? Fiammelle, fuochi e magari un'eruzione? Sarà l'eritema che mi viene a ogni cambio stagione?» Cristina fa spallucce: «Non essere prevenuta, aspetta. Se non succede niente ti darò indietro i cinquanta euro che le hai dato.» «Dai, smettila, cerca invece di organizzarti per raggiungermi ad agosto.»
Stromboli, 10 giugno 2004
Ancora due pennellate di blu oltremare e un marinaio dell'aliscafo griderà: «Ultima fermata! Stromboli!» Le casette bianche, a forma di cubo, sembrano costruzioni giocattolo lasciate cadere, sulla pietra lavica, da un gigante bambino. Ancora adesso, dopo tanti anni dal mio primo sbarco, questo posto continua a stregarmi. Mi dirigo alla pensione dove ho prenotato. La mia camera, per errore, è stata data a un'altra persona. A giugno è già difficile trovare posti per dormire, l'unica possibilità un bed and breakfast distante dal mare e comunque vicino al centro di osservazione vulcanologica. Ore 15.00. Trentotto gradi all'ombra, la strada è in salita, le ruote del mio trolley shuttle s'imbizzarriscono fra le scanalature del pavé. Dal nulla si materializza, come birra gelata sul bancone del bar, un cancelletto con la scritta I gatti al chiaro di luna. Non vedo la reception, mi guardo intorno. Sbuffo. I monolocali sembrano tutti occupati. Da una scala scende un uomo di statura media, ha i capelli cortissimi e brizzolati. «Buongiorno, sto cercando una camera, posso chiedere a lei?» Ha occhiali scurissimi, con l'indice li fa scivolare sulla punta del naso: «Non a me, non posso ospitarla nella mia singola» risponde radiografandomi con due fari blu ghiaccio. Gli punto contro il mio sguardo lupara e il suo tono di voce s'incivilisce: «Dovrebbe chiedere alla signora Maria, la trova in veranda». Corruga la fronte spaziosa. «Mi sembra comunque difficile, c'è un convegno sullo Stromboli in questi giorni.» “Lo so – vorrei dirgli – sono qui proprio per questo.” Ma perché informarlo dei miei programmi? Richiamata dalle nostre voci, la signora Maria non tarda ad arrivare. Mi viene incontro finendo di asciugarsi le dita grassottelle sul grembiule: «Mi scusi – dice accogliendo le mie mani fra le sue – stavo trafficando in cucina, posso fare qualcosa per lei?» Ha un sorriso aperto e un viso rubicondo e simpatico. Le spiego l'accaduto. «Allora siamo fortunate. Ho appena avuto una disdetta, l'accompagno al primo piano per mostrarle la sistemazione.» La stanza è accogliente, c'è una terrazza con tantissime piante e una vista sul mare impagabile. «Per qualsiasi cosa – aggiunge – trova me o mio marito al piano terra, quel portoncino a destra dell'ingresso. Per la colazione può scendere dalle otto alle undici. Dopo non ci trova più, andiamo a fare la spesa. Se volesse cenare da noi, per favore, vorrei saperlo entro le cinque del pomeriggio.» La ringrazio. Prendo dalla valigia un ricambio pulito, faccio una doccia e sono già le 18.00. Tra mezz'ora inizia la conferenza, mi vesto ed esco. La sala è quasi al completo, trovo un posto in seconda fila, mi siedo e cerco nello zainetto il blocco per gli appunti. Sul palco presentano i tre relatori: una donna del centro ricerche di Firenze, un geologo francese e un vulcanologo che, ironia della sorte, è il ghiacciolo dei Gatti al chiaro di luna.
Stromboli, 30 luglio 2004
Durante questi mesi l'ho incontrato un po' ovunque, d'altronde l'isola non è grandissima. Ho cercato di carpirgli il maggior numero di informazioni per scrivere i miei articoli. Sembra gentile e disponibile con tutti, ma credo sia un tipo da prendere con le pinze.
Stromboli, 1 agosto 2004
Ho spedito le due e-mail di lavoro a Mario, storico amico e da alcuni anni anche mio editore. All'uscita dal punto internet la grandine mi coglie impreparata. Mi riparo sotto la tettoia turchese del ristorante Grand Soleil. Per strada non c'è un'anima, sarò l'unica che non ha ascoltato il meteo. Sono in ritardo per il congresso con gli scienziati americani. La strada in discesa è scivolosa. Inizio a correre come una papera. Non è serio per una freelance, ma la scelta è salvare le gambe o l'immagine. Arrivo inzuppata di pioggia. Il portiere del Park Hotel La Sirenetta mi squadra, mi chiede di mostrargli l'invito. Tiro fuori il cartoncino, lo strizzo e glielo porgo. In cambio ottengo un telo di spugna accompagnato da un «prego» velatamente schifato. Mi asciugo sommariamente ed entro nel salone. Non so quante persone ci siano. Una a una si girano verso me. Sono davvero troppe. Perché non sono una talpa? Potrei scavare un tunnel per dileguarmi nel ventre della terra. A questo punto arriva il cavaliere che viene a salvarmi. Si toglie il mantello azzurro – vedi giacca griffata dell'abito blu – e mi aiuta a indossarla. Gli sono grata. Confido che anche Claudio Ribelli, il vulcanologo iceberg, abbia un cuore, se non altro in leasing. Lo ringrazio con un filo di voce e lui di rimando: «Non l'ho fatto per lei. Non posso rivolgermi a 600 persone se i loro occhi sono puntati sulla sua camicetta trasparente e non su di me». Solo allora mi rendo conto che la mia casacca aderisce al reggiseno in modo imbarazzante. Abbottono la giacca mentre Narciso sale sul pulpito accompagnato dagli applausi della platea. Bleaah! Chissà cosa mangia. Involtini di maiale sbollentati in salsa d'ego?
Annabella Di Vita
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