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Autore: Cara Valli
Il tuo nome - Williams (vol 1)
Avventura Erotico
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Il tuo nome - Williams (vol 1)
Erianne è costretta a lasciare la sua casa e il suo lavoro per cercare la sorella scomparsa. Giungerà in una citta che non conosce, dove le regole sono diverse e niente è come appare.
Informazioni scottanti la porteranno a scontrarsi con un uomo travolgente e pieno di segreti. Conoscerà gli elementi della sua squadra e stringerà un patto che metterà a rischio la sua libertà.
Un uomo, una squadra, un'indagine, un accordo...
Questo volume è il primo della serie “Il tuo nome”. I romanzi di questa serie contengono scene di sesso esplicite e se ne consiglia la lettura a un pubblico adulto e consapevole. 

Layla

Prima di rispondere alla domanda di Erianne faccio un bel respiro, non è facile raccontare gli eventi che mi hanno catapultato in quest'avventura, rimanendo distaccata dalle emozioni travolgenti che hanno scombussolato la mia vita.
Incontrare Demiyen è stata la mia condanna, ma non rinuncerei a un solo attimo trascorso con lui.
− La prima volta che l'ho visto era notte, la fiamma del suo accendino ha attirato la mia attenzione, era appoggiato al muro del mio Motel con un piede contro la facciata candida, mentre si accendeva una sigaretta con una mano a proteggere la fiammella dal vento glaciale.
Un brivido freddo mi percorre tutta la schiena, ma non sono certa se a provocarlo sia il ricordo del gelo di quella notte buia o il pensiero di ciò che avvenne dopo.
− Per una frazione di secondo ho pensato di dirgli di levare il suo lurido anfibio dal muro, ma quando ha sollevato gli occhi nei miei, ho capito che era molto meglio tacere: nel suo sguardo brillava tutta la sua letale arroganza.
− Quindi non vi siete parlati?−mi domanda Erianne con gli occhi sgranati di chi è affamata d'informazioni.
− No, non quella volta, mi è bastata la sua occhiata, ma soprattutto, mi è stato sufficiente vedere i tatuaggi su ogni dito della mano destra, per farmi affrettare il passo, strappandogli il suo primo sorriso ironico.
− E poi?
− Poi tutto è precipitato così in fretta che, ancora oggi, mi chiedo come possa aver accettato il loro stramaledetto accordo.
− Non intendevo quello.
− Lo so. 

Erianne

Tre settimane sono tante, troppo tempo per una ragazza svanita nel nulla, la certezza che mia sorella sia in pericolo e che abbia bisogno d'aiuto, non mi dà pace.
− Mi dispiace, Erianne, ma il mio capo non ti vuole parlare.
− Per favore, Alice, la polizia sta trascurando il caso e mi siete rimasti solo voi− farfuglio disperata.
Il sospiro pieno di pena della donna riempie la linea telefonica e me la immagino mentre si sistema gli spessi occhiali sul naso aquilino, prima di aggiungere a voce bassa:
− Purtroppo le indagini che ci hai affidato richiedono molte risorse, sia di tempo sia di uomini e il denaro che ci hai dato non le copre più.
− Troverò il modo di pagarvi, ma vi prego non potete abbandonare Sofia nelle mani di quei delinquenti.
− In via del tutto eccezionale, e dopo mia insistenza, il capo mi ha concesso di mandarti il fascicolo completo di quello che abbiamo scoperto sull'organizzazione che probabilmente ha preso tua sorella, ma finché non potrai pagarci un altro congruo anticipo, mi ha ordinato di dirti di non chiamare più.
Chiudo gli occhi sconfitta mentre la paura di non riuscire ad aiutare Sofia mi soffoca, facendomi boccheggiare. Stringo il telefono nel pugno fino a sentirlo scricchiolare, per cercare la forza d'andare avanti.
− Grazie, Alice, ti sono grata per tutto quello che hai fatto per me− le dico a denti stretti.
− Segui il mio consiglio, Erianne, e vai alla polizia, consegnagli le informazioni che ti sto per mandare e tormentali fino a quando torneranno a lavorare sul caso, non puoi permetterti di pagare altri investigatori privati.
Alice sa che per potermi permettere i loro servizi, non mangio un pasto decente da giorni e dormo in una bettola fuori mano.
− La polizia non crede che Sofia sia stata rapita, sostengono che si sia nascosta da qualche parte e che alla fine tornerà a casa sana e salva. Ho paura che non prenderanno mai in considerazione il rapimento e ho idea che quei delinquenti ne siano perfettamente consapevoli.
− Dammi retta, Erianne, affida tutto il materiale alle forze dell'ordine e tornatene a casa.
− Non posso lasciare nulla d'intentato, se lo facessi, non potrei più guardarmi allo specchio.
− Me lo hai detto tu che al lavoro sei ancora in prova e che ti hanno concesso solo un mese d'aspettativa.
− Sì, lo so, ma Sofia è più importante di qualsiasi posto di lavoro.
− Come vuoi, ti auguro buona fortuna.
− Grazie, Alice, a presto.
Nel giro di pochi minuti il cellulare mi avvisa d'aver ricevuto un'email, mi sistemo meglio tra i due lavabi dei bagni della stazione, dove mi sono rintanata per fare questa inutile chiamata alla segretaria della C.O.D.I.C.E. e inizio a visionarla.
Il filo del carica batterie mi impedisce di mantenere una posizione comoda e presto le braccia incominciano a farmi male. Poso il telefono sopra al dosatore del sapone e mi affaccio oltre le porte, tra poco passerà il personale di pulizia e dovrò uscire per permettergli di fare il loro lavoro, ma questa è l'unica presa elettrica che ho trovato in tutta la stazione ferroviaria e devo caricare il telefono il più possibile.
Soggiornare lontano dal centro cittadino porta a innumerevoli svantaggi e avere un cellulare con la batteria da cambiare è il problema più grave.
Non mi posso permettere di farlo spegnere, mia sorella potrebbe chiamarmi in qualsiasi momento.
Appena la carica arriva a un valore accettabile, esco dal bagno e vado al comando di polizia.

***

− Quando avremo novità, la contatteremo− sbraita il piantone prima d'indicarmi la porta d'uscita.
− Ho delle informazioni che potrebbero essere utili alle indagini− sostengo, cercando di convincerlo a lasciarmi passare.
− Signorina, i miei colleghi sono già informati di tutto, per favore non mi costringa a farla scortare fuori dall'edificio.
− Come fa a essere certo che quello che hanno scoperto i miei investigatori siano informazioni già in vostro possesso?
L'uomo in divisa si alza e, dopo essersi strattonato le falde della giacca per sistemarla sul ventre prominente, mi dice:
− Molto probabilmente quello che ha pagato profumatamente sono informazioni fasulle o, nel migliore dei casi sono, dati tendenziosi. Ora per cortesia si allontani e ci lasci lavorare− sbraita, indicando nuovamente la porta d'uscita.
− Almeno potrebbe dire ai suoi colleghi di farmi sapere a che punto sono le indagini?
− Certamente, buonasera signorina.
− Buonasera− mormoro prima di voltarmi e uscire.
Non posso più permettermi l'agenzia e la polizia non ha interesse a proseguire le indagini, quindi mi resta un'unica strada.
Cercare da sola mia sorella.
Leggo e rileggo ogni documento che Alice è riuscita a farmi avere. Mi soffermo sul particolare di un locale che, secondo gli investigatori della C.O.D.I.C.E., potrebbe essere un punto di ritrovo di un gruppo di uomini collusi con l'organizzazione.
Mi sistemo meglio sulla panchina e torno sull'unica fotografia del fascicolo. Alice mi ha inviato uno scatto di un uomo e anche se è sfocato, sia lui sia il locale sono inconfondibili.
L'hanno classificato come esterno alla cosca responsabile del presunto rapimento, ma poiché è stato visto più volte in compagnia di un esponente della mafia russa, è stato segnalato come personaggio coinvolto e potenzialmente pericoloso.
C'è qualcosa in quell'uomo che mi attrae e mi spaventa allo stesso tempo.
Spero che iniziare da lui non si riveli un errore, ma è anche l'unica strada facilmente percorribile che ho trovato, la mia inesperienza nell'investigazione è un ostacolo bello grande da superare.
Avvolta strettamente nel mio giaccone, per combattere il freddo che sta tentando d'insinuarsi nelle mie ossa, stringo al petto il borsone con stipati all'interno tutti i miei averi.
Non posso fidarmi del Motel in cui dormo, le porte delle stanze si aprono senza troppa difficoltà e non voglio che rubino il poco che mi sono portata dietro.
Mi avvicino il più possibile al locale e mi apposto tra due furgoni parcheggiati a poca distanza dall'ingresso. Molte persone entrano ed escono, ogni volta che spalancano le porte del bar, esce una cacofonia di suoni: un misto tra musica e schiamazzi incomprensibili.
Il rombo di una moto attira la mia attenzione e uno di quei bolidi dall'aspetto aggressivo, si avvicina con tranquillità. Uno strano brivido di pericolo mi attraversa facendomi venire voglia di rintanarmi maggiormente.
Nera, lucida e potente.
Una moto terrificante ma bellissima.
Fregandosene del passo carrabile in bella vista, il centauro si ferma esattamente davanti all'ingresso. Il bolide sotto di lui borbotta ancora per qualche istante per ammutolire non appena entrambi gli anfibi del suo conducente toccano l'asfalto.
Rimango incantata a fissarlo quando con pochi gesti sicuri si sfila i guanti e li ripone nella tasca della giacca di pelle. Un bagliore attira il mio sguardo sull'anello che indossa al pollice mentre si slaccia il casco.
Accidenti.
Capelli lunghi e scuri gli cadono morbidi sulle spalle fasciate da un giubbotto di pelle nera che mette in risalto il suo fisico possente. Anche i calzoni sono neri, aderiscono alle cosce in un modo così sfacciato che mi accorgo di fissarlo a bocca aperta. Smonta dalla moto e per poco non lascio cadere il borsone a terra.
Porca miseria, è proprio il tizio della foto.
L'aria da perfetto bad boy lo rende inconfondibile e indimenticabile: un filo di barba gli esalta la mascella squadrata e le labbra carnose; gli occhi chiari, ma pervasi di una luce sfrontata e pericolosa sono affascinanti; le mani grandi che si passa sbrigativamente tra i capelli per raccoglierli e legarli in una coda bassa, hanno qualcosa di peccaminoso.
Smonta e abbandona il casco sulla sella, come se fosse certo che nessuno oserebbe mai rubarglielo. I suoi occhi scattano su di me e mi appiattisco contro il portellone del furgone per non farmi scorgere.
Non so che cosa l'abbia insospettito, non ho mosso un muscolo, ma lui ha guardato dalla mia parte come se fosse consapevole della mia presenza.
Aspetto qualche secondo prima di azzardarmi a sbirciare oltre il mio nascondiglio.
L'uomo sta per oltrepassare l'ingresso del bar, ma poco prima d'entrare, si ferma e con un movimento stizzito, apre la giacca. Dopo aver preso qualcosa dalla tasca interna, si volta, parla al telefono per qualche secondo e torna alla moto.
Con un'espressione infastidita sul viso, chiude la conversazione e, poco prima di mettersi a cavallo del suo bolide nero, scocca un'altra occhiata verso di me.
Sulle sue labbra appare un sorriso strafottente e ringrazio il casco integrale che lo cela subito dopo, altrimenti la tentazione di uscire allo scoperto per affrontarlo sarebbe stata irresistibile.
Non sopporto le persone che si credono più furbe delle altre.
Appena sparisce dietro l'angolo, mi avvicino al locale. Più mi accosto alle porte e più i rumori si fanno distinguibili, percepisco il cozzare delle biglie di un biliardo, il vociare che si alza di tono dopo ogni colpo e le fragorose risate di uomini. Mi blocco con la mano sulla maniglia, proprio come lui tentenno sull'uscio: l'ambiente è cupo ed esclusivamente maschile.
Non posso entrare, nessuna donna con un po' di sale in zucca entrerebbe da sola in un posto del genere.
Dovrò aspettare un momento più propizio.
Mi allontano prima che qualcuno mi scorga e m'incammino verso la metro, per intraprendere il lungo percorso che mi separa dalla mia bettola.
Anche la sera successiva non si vede alcuna ragazza e quando il proprietario, un tipo completamente calvo e pieno di piercing, caccia fuori dal locale l'ultimo cliente, non mi resta che tornare al Motel.
Calco meglio il cappuccio della felpa oversize e m'incammino. Un paio di gatti, che per tutta la notte si sono sfidati e soffiati la loro pretesa di supremazia, mi sfrecciano davanti con il pelo dritto sul dorso e spariscono dentro un vicolo buio, spaventandomi a morte. Li sento miagolare inferociti e allungo il passo colta da una strana sensazione.
I loro versi mi hanno lasciato piena d'agitazione.
Mi volto spaventata da un rumore sferragliante, un bagliore rosso balza di nuovo nel vicolo, mentre un barattolo rotola sul marciapiede finché ruzzola sotto un'auto parcheggiata.
Come possono due mici fare tanto baccano?
Un movimento rapido oltre il mio campo visivo, attira la mia attenzione, ma quando sollevo gli occhi dal barattolo, tutto è immobile. Tutto tranne la paura che striscia nelle mie vene.
Percorro gli ultimi metri che mi separano della metro con tutti i sensi in allerta. Appena arrivo sul mio binario mi nascondo dietro un pilastro, l'impressione d'essere seguita mi ha resa irrequieta, ma per quanto scavi con gli occhi in ogni angolo non vedo nessuno prestarmi attenzione.
La sgradevole sensazione d'essere in pericolo mi abbandona solo dopo essermi chiusa nella mia stanza.
Sto diventando paranoica.
La sera dopo ottengo lo stesso risultato e cioè quello di ibernarmi in attesa di un motociclista che sembra sparito nel nulla.
Forse dovrei cercare un'altra strada in cui investigare, ma, per quanto abbia studiato ogni documento dell'agenzia, non sono riuscita a trovare altri appigli. Quindi anche il giorno dopo mi apposto davanti a quel locale in attesa di un'occasione per entrare, ma si rivela un'altra nottata persa e faccio ritorno nella mia stanza stanca e delusa.
Appena mi chiudo la porta alle spalle, tutti i miei campanelli d'allarme suonano impazziti.
C'è stato qualcuno.
La sensazione che abbiano rovistato nella stanza è netta, non è la prima volta che capita, ma questa volta non c'è nulla fuori posto e questo mi spaventa più delle altre volte. Non so neppure perché abbia questa sensazione, forse un profumo diverso nell'aria, non lo so, ma ne sono certa.
Hanno perquisito la stanza e chiunque l'abbia fatto non voleva che me ne accorgessi.
Con un rapido giro perlustro ogni possibile nascondiglio, poi incastro una sedia sotto la maniglia per impedire a chicchessia di entrare nuovamente.
− Ieri sera qualcuno ha chiesto di me?− domando al ragazzo che lavora alle reception.
− No.
− Hai visto delle persone avvicinarsi o entrare nella mia camera?
− No.
− Ieri notte sei sempre stato qui o ti sei allontanato?
− Che cazzo t'importa, chi sei una cazzo d'ispettrice del lavoro? O ti manda il mio capo?
− No, nessuna delle due. Qualcuno ieri è entrato nella mia stanza e volevo sapere se per caso tu avessi notato qualcosa di sospetto.
− Se ti hanno rubato qualcosa, devi compilare quel modulo− m'informa, indicando con il mento una pila di fogli sgualciti.
− Ma ti avviso che non servirà a un cazzo.
−Non mi hanno rubato niente, vorrei solo sapere chi è stato.
− E a me piacerebbe lavorare all'Hilton, ma ho l'impressione che nessuno dei due avrà quello che vuole.
Appoggio le mani sul bancone lurido e mi sporgo verso il ragazzo che sostiene il mio sguardo senza mostrare alcuna esitazione.
− Quanto ti hanno dato per tenere la bocca chiusa.
Mi valuta per qualche secondo, poi accennando un sorrisino di sufficienza, afferma:
− Molto più di quello che ti puoi permettere.
− Ma non ti vergogni neanche un po'? Quella stanza l'ho pagata per tutta la settimana e quindi fino allora è di mia proprietà. Non avevi il diritto di venderla ad altri per nessuna cifra e per nessuna ragione.
− Cazzo, per quella somma gli avrei venduto anche il tuo culo, sei fortunata che non me l'abbiano chiesto. Ora se non ti dispiace, ho da fare− afferma, sorridendomi e mettendo in mostra una dentatura irregolare e ingiallita.
Prende il manga che ha mollato sul bancone appena mi sono avvicinata e torna a leggere, ignorandomi.
− A proposito, ti ricordo che dopodomani devi pagare la stanza.
− Prendili dalla somma che ti hanno dato ieri− gli dico mentre apro la porta scrostata.
− Scordatelo, quei soldi sono roba mia non del mio capo.
− Quel denaro lo hai avuto solo per merito mio e quindi mi spetta una percentuale.
− Sei solo una troia.
− Quando tornerò stasera, mi aspetto di trovare la ricevuta dell'avvenuto pagamento oppure andrò a raccontare tutto quanto al tuo capo.
− Fottiti.
− Buona giornata− gli auguro, sorridendogli esattamente come ha fatto lui poco prima.
Ma almeno i miei denti sono diritti e bianchi.
All'orario d'apertura sono già nascosta nel vicolo di fronte al locale. Il solito fornitore trasporta dentro casse e casse di alcolici, mentre mangio il panino che non ho finito a pranzo e sgranocchio un pacchetto di cracker. L'imbrunire incomincia ad avvolgere con il suo manto scuro ciò che mi circonda, rendendo tutto più sinistro e inquietante.
− Allora ora sei tu il Ras del quartiere?− domando al micione rosso che mi guarda da sopra un cassonetto poco distante.
Il gatto addrizza le orecchie e inizia a muovere nervosamente la coda.
− Dì la verità, non ti va d'avermi attorno, vero?
Come se mi avesse capito, mi lancia un'ultima occhiata prima di scendere con aria sdegnata dalla sua posizione elevata e sparire inghiottito dal vicolo buio.
− Che caratterino.
Appena l'oscurità me lo permette mi avvicino maggiormente, nascondendo il mio viso nel largo cappuccio, come il resto della felpa nasconde il mio corpo.
Il suono di un motore mi fa affrettare il passo e riesco appena in tempo a nascondermi dietro un grosso camion prima che la moto svolti l'angolo.
Altre si aggiungono alla prima e poco dopo un folto gruppo di centauri posteggia davanti al locale, i motociclisti smontano dalle basse selle, alcuni di loro sono ragazze, ma la maggior parte sono uomini e tutti piuttosto massicci. Le poche donne presenti si raggruppano in un capannello mentre i loro uomini sistemano le Harley.
Osservo ogni volto con attenzione, ma lui non c'è.
[...]

Cara Valli

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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