Da quassù mi sento un privilegiato, avverto una moltitudine di sensazioni. Non è facile descrivervi l'estasi che i miei occhi percepiscono; vorrei rendervi partecipi e raccontare il legame tra uomo e natura che in alcuni casi crea un rapporto armonico e divino. Il cielo è azzurro in lontananza e si confonde quando rasenta il mare. Non poteva esserci colore più appropriato per tali prodigi del Creato. Osservo le nuvole che vaporose solcano la volta: sono di una bellezza unica. Creano forme di ogni tipo, dipingendole con una tavolozza che va dal bianco al nero, facendo notare tutta la scala di grigi; quando la natura ci si mette, non ha eguali in talento. Dinanzi a me si eleva maestoso il Vesuvio; la montagna di fuoco che possiede il fascino del criminale, in un momento di tranquillità. Osservo il mare: è vivo, agitato da un vento leggero ma fastidioso. Tre gabbiani, di cui uno quasi immobile nel cielo, planano lentamente. In basso a sinistra c'è il molo turistico e, seppure non siamo in estate, ci sono sei o sette yacht, tra cui uno lunghissimo con issata una bandiera di cui non riesco a individuare la nazionalità, sicuramente sarà uno di quei micro stati semisconosciuti dove le tasse per questo tipo d'imbarcazioni sono quasi inesistenti. Ci sono centinaia di abitazioni che costeggiano la collina, scendendo fino al mare. In basso, alla mia destra, splendide ville situate a pochi metri dalla spiaggia e in fondo all'orizzonte, di un celeste scuro evanescente, quasi a sembrare un miraggio, la regina, l'isola di Capri. Non sono l'unico a contemplare questo spettacolo, ci sono diverse coppie, qualche famiglia e un gruppo di turisti, sembrano dell'est Europa. È incredibile la magnificenza dell'universo, diventa ancora più̀ enigmatico e infinito quando si pensa che tutto sia stato fatto con delle microscopiche particelle: gli atomi. Già gli antichi filosofi greci compresero che ogni oggetto o essere vivente si poteva scomporre in mattoncini indivisibili cui assegnarono il nome di atomos: ciò che non si taglia. La parola che oggi nello stesso tempo evoca mistero, meraviglia e forse, troppo spesso, terrore. Mi fa girare la testa pensare a quanti siano gli atomi esistenti, sono un numero che non solo non riusciremmo a scrivere, ma nemmeno lontanamente a immaginare. Sono loro gli unici a essere eterni e immortali. Gli atomi che esistono oggi, anche se in combinazione diversa, sono gli stessi che esistevano milioni di anni fa, gli stessi che esistevano alla nascita del Creato. Se è vero che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, un giorno anche i nostri atomi faranno parte di queste meraviglie. Un mio atomo potrebbe divenire una piccola parte di questo mare o di questo cielo. Pensateci solo un attimo, dove saranno in questo momento gli atomi appartenuti a Leonardo da Vinci o ad Albert Einstein? Sicuramente faranno parte di una miriade di oggetti o persone o animali in giro per il mondo. Per me questa è la reincarnazione. Tutto il nostro mondo è formato da un incastro miracoloso di atomi, come se fossero i mattoncini di plastica componibili che usavamo quando eravamo bambini, li assemblavamo e formavamo degli oggetti, li scomponevamo e creavamo nuovi obiettivi, ma i mattoncini erano sempre gli stessi. In tutti noi ci sono degli atomi che in passato potrebbero essere appartenuti a personaggi famosi o sconosciuti. Chissà dove sono in questo momento gli atomi che componevano il corpo di Gesù Cristo nel giorno della sua crocifissione. Non mi trovo qui per caso, anzi vengo spesso a contemplare l'isola che ho di fronte. Quasi quaranta anni fa, in quel luogo, è stato svelato il segreto più grande di tutti i tempi. La prova definitiva dell'esistenza di Dio. Pochi hanno avuto il privilegio di conoscerlo e forse io sono l'unico ancora in vita. Mia madre è stata una testimone diretta e l'ha dettagliatamente descritto in un suo diario mai reso pubblico, penso sia venuto il momento che l'umanità sappia! Io mi limiterò solo a leggervelo.
Se la vita fosse un gigantesco mare, animato da milioni di pescatori, questa storia interpreterebbe un ruolo ben preciso: il momento dove si tirano le reti. Andrebbe a rappresentare l'istante in cui ci si confronta con le proprie responsabilità, le azioni precedenti e le conseguenze che esse potrebbero avere su quelle future, ma l'imponderabilità è sempre dietro l'angolo, perché le reti potrebbero impigliarsi e raccogliere ciò che un pescatore non si aspetta.
Sofia Novikova aveva ventisette anni e viveva a quasi trecento chilometri da Mosca, nella città di Jaroslavl', dove coltivava il sogno di diventare una giornalista professionista, scrivendo articoli per lo “Jaroslavl' Today”, un piccolo giornale locale, sito in un appartamento di appena tre stanze e una redazione composta da cinque persone, tra le quali figurava il suo proprietario ed editore, Igor Bogdanov. L'impegno giornalistico non le offriva sicuramente prospettive economiche solide e allettanti, soprattutto in una situazione, dove Internet predominava in maniera schiacciante sulla carta stampata, ma Sofia era tenace, testarda e non bastava questa precarietà a inaridire irrimediabilmente il suo obiettivo; anzi, le donava uno stimolo maggiore. Per integrare le modeste entrate finanziarie, dedicava parte del suo tempo a traduzioni e lezioni private d'inglese, talvolta a bambini della scuola primaria e altre ad adulti, che preferiva notevolmente, ritrovando in loro aspetti a lei più inclini, come l'ansia e la volontà di apprendere, mentre nei bambini scorgeva solo l'obbligo dettato dai genitori. La strada del giornalismo non era stata scelta a caso, imboccata con leggerezza e senza senso, bensì apparteneva alle aspirazioni di sua madre, Nadya, morta a trentasette anni, quando Sofia ne aveva appena dodici. Da allora la figura più importante della sua vita era stata rappresentata da Anastasia; la nonna materna che, nonostante tutto, era riuscita a farle vivere un'infanzia felice e, tra i tanti insegnamenti, uno in particolare: “Ci si può volere bene, anche quando l'amore svanisce.” D'altronde, era questa la perfetta sintesi dell'esistenza di Anastasia, una vita carica di sacrifici e amore e lo dimostrava il fatto che seppur si fosse separata dal marito Viktor, l'uomo continuò a essere presente nella sua vita e principalmente in quella di Sofia, diventando per lei l'unica figura paterna di riferimento. Del suo padre naturale, Sofia non aveva particolari ricordi. Il tempo trascorso insieme era stato fugace, quasi come un temporale estivo. L'uomo aveva lasciato da oltre venti anni, lei e sua madre per andare a vivere con un'altra donna a Irkutsk, in Siberia, frapponendo cinquemila chilometri tra loro. Da allora non lo aveva più visto, né avuto sue notizie. Sofia non lo odiava, per un semplice motivo: l'odio non le era stato insegnato e, dunque, non le apparteneva. Piuttosto, aveva ribaltato in un enigma il nocciolo della questione, continuando a chiedersi come facesse un uomo ad abbandonare moglie e figlia, senza preoccuparsi del loro destino. Con quella domanda Sofia era cresciuta, diventando una donna con tantissimi corteggiatori, ma nessuno che rispondesse ai suoi canoni: un ragazzo intelligente, buono, che la rendesse felice e la amasse; non necessariamente doveva essere un'icona di bellezza e ricchezza. Probabilmente, fu proprio l'abbandono ad aver influito sulla malattia di sua madre Nadja, una donna bella quanto fragile, un cristallo dalla purezza innata, che avrebbe con certezza meritato una sorte migliore. Fu lei a insegnarle l'inglese, a trasferirle l'amore per la lettura, il rispetto per la natura e le persone. Quando morì, Sofia giurò a se stessa che l'avrebbe resa orgogliosa. E ci riuscì! Laureandosi in Lingue Straniere e intraprendendo una strada professionale tanto cara alla donna che l'aveva messa al mondo. Quella mattina, Sofia stava percorrendo a piedi i poco più di due chilometri di distanza che intercorrevano dalla casa di sua nonna, con la quale viveva, e la redazione del giornale; quel breve tragitto le serviva spesso a riorganizzare i pensieri e, qualche volta, a isolarla dall'ambiente circostante. Ciò le accadeva, soprattutto, quando giungeva nei pressi di Piazza Volkov, dove la sua mente “incontrava” Valentina Tereskova. Pochi mesi prima c'erano stati in città i festeggiamenti per il centenario della sua nascita. Quell'illustre concittadina era nata in un piccolo villaggio, poco distante, per poi trasferirsi in un appartamento situato proprio nei pressi della medesima piazza. Si trattava della prima donna al mondo ad aver volato nello Spazio, nell'ormai lontano 1963. Insieme a Jurij Gagarin, primo cosmonauta della storia, era stata una degli eroi nello Spazio e vanto assoluto per l'Unione Sovietica. A Sofia piaceva rifugiarsi in quell'intima ammirazione verso chi aveva poggiato i pilastri del proprio sogno su un terreno pregno di sacrifici; infatti, Valentina Tereskova studiò la sera e lavorò di giorno, come operaia in una fabbrica di pneumatici e in un laboratorio tessile, fino a superare l'esame di ammissione al programma di addestramento per cosmonauta. Sofia pensava a quell'illustre connazionale e mentre percorreva la piazza, le sembrava quasi di trovarsi immersa nella valle lunare che porta il nome dell'astronauta. Era un martedì di una tiepida giornata di aprile, nonostante vi fosse ancora un po' di neve sulla strada, la temperatura era gradevole, mitigata ancor di più da una completa assenza di vento. Non vedeva l'ora che giungesse il sabato, ma non per dedicarsi alle consuete abitudini delle sue coetanee, fatte di baldoria e discoteche, bensì per recarsi nella dacia con i suoi nonni, il suo luogo preferito, o meglio, dove risiedevano le pagine più nitide e felici della sua infanzia insieme alla madre. Avvolta in tutti quei pensieri, impiegò qualche secondo in più per avvertire la suoneria del cellulare, una sveglia impietosa che la riconsegnò alla realtà. Era Igor, il “grande capo buono”. - Buongiorno, Igor - , esordì lei. - Ciao Sofia, ho immediatamente bisogno di te in redazione, c'è una persona molto importante che vuole parlarti! - - Sto arrivando, dammi solo cinque minuti, sono a Cheluskincev Ploschad ‒ rispose il senso del dovere, e la curiosità aggiunse ‒ Posso sapere chi è? - - Non posso anticiparti nulla al telefono, però ti consiglio di arrivare nel minor tempo possibile! - - Certo Igor, ci vediamo tra poco - , disse lei, chiudendo la comunicazione e affrettando visibilmente il passo. Durante la parte restante del tragitto, l'ansia iniziò a pervaderla: le novità non le piacevano, le destavano agitazione, forse per la sua atavica insicurezza; altra eredità della madre. Con profondo affanno fisico ed emotivo, giunse in redazione, dove iniziò a incrociare gli sguardi dei suoi colleghi, Alina, Rozana, Leniana e ovviamente Igor, per capire cosa realmente stesse accadendo. Finì con l'imbattersi in una presenza alta, alquanto robusta, un uomo sulla cinquantina, che non celava per nulla la sua attitudine alla leadership. Era molto elegante, notò subito che sul polso sinistro campeggiava un orologio prezioso, ma quello che la colpì maggiormente fu il suo sguardo, indagatore, che la scrutò a lungo dalla testa ai piedi, mettendola a disagio. Igor, seppur con un pizzico di agitazione, interruppe quel momento: - Sofia, ti presento il dottor Aleksandr Petrov, Direttore della CNN di Mosca. - La ragazza, visibilmente frastornata, strinse la mano a Petrov, dicendogli soltanto: - Sofia Novikova - . - Lei conosce Raffaele Rinaldi? - , esordì Petrov. - Certo, ne ho sentito parlare, è il magnate italiano, l'uomo più ricco del mondo! - , rispose Sofia in un crescendo di tonalità. - Esatto! Probabilmente saprà anche che il dottor Rinaldi è il proprietario della rete televisiva che dirigo. - - Ecco, veniamo al motivo della mia presenza qui: Raffaele Rinaldi ha espresso il desiderio di essere intervistato personalmente da lei! - - Da me? ‒ disse sorpresa e aggiunse ‒ Io non capisco, non sono né una giornalista professionista, né famosa, e del signor Rinaldi conosco la fama, nulla di più. - - A essere sincero, anche a me è sembrata molto bizzarra la sua strana richiesta. Ammetto di aver pensato che fosse stata lei a prendere contatto e lui, per l'eccentricità che lo contraddistingue, avesse accolto tale richiesta. - Sofia rispose in modo deciso: - Non ho mai scritto e nemmeno mai pensato di prendere contatto con il signor Rinaldi; per me è tutto così assurdo, sono assolutamente impreparata. Le mie interviste sono dedicate a persone comuni, ancora non capisco come una personalità così importante mi scelga per un'intervista. - - Ripeto, non conosco tali motivazioni, io ho solo l'ordine di trasferire questa sua volontà. Qualora lei dovesse accettare, l'incontro è previsto per il 12 maggio, in Italia, nella villa di Rinaldi a Capri. Un aereo privato avrà cura di condurla da Mosca a Napoli, il giorno precedente all'intervista, e per tale disturbo, riceverà un compenso di diecimila dollari; ovviamente, tutte le eventuali altre spese saranno a nostro carico! - . Nella stanza piombò il silenzio. Aleksandr Petrov si avvicinò all'unica finestra presente nell'ufficio e, dando le spalle a Sofia, iniziò a giocherellare con una tendina plissettata. Era consapevole di possedere il ritmo della conversazione; con un pizzico d'invidia e, senza mai guardarla negli occhi, spezzò il silenzio: - Converrà con me che dopo aver realizzato questa intervista, diventerà molto famosa e tutti faranno a gara per assumerla, poiché Rinaldi, in tutta la sua vita, non ne ha mai rilasciata una di persona, ‒ fece una breve pausa che sembrò infinita ‒ penso proprio che per lei sia una di quelle occasioni che accadono una volta ogni cento rivoluzioni di ottobre! - , ultimò quasi divertito Petrov. Sofia non si soffermò sulle parole dell'uomo, bensì sulle facce incredule di Igor e delle sue tre colleghe che la guardavano attoniti. Era confusa, non riusciva a capire se tutto quello che stava accadendo fosse reale, un sogno o semplicemente un brutto scherzo. Preferì propendere per la terza ipotesi; non poteva esserci altra spiegazione, considerando la portata della proposta, e divertita rispose: - Bella offerta! Anche se volessi accettare, non possiedo nemmeno il passaporto. Non mi vergogno a dirle, dottor Petrov, che non sono mai uscita dalla Russia e dubito di riuscire a ottenere un passaporto in sole tre settimane. - - Se davvero l'unico problema per lei è il passaporto, posso intervenire in modo da farglielo rilasciare in un giorno. Tuttavia la sollecito a fornirmi una risposta nel minor tempo possibile! - , la invitò Petrov con tono notevolmente serio. Sofia non rispose, persa nei suoi mille dubbi. - La sua espressione mi fa pensare che lei non abbia dato la giusta attenzione a quanto le ho appena detto. Capisco che la situazione le sembri fuori dal comune o, forse, sarebbe meglio dire... straordinaria, ma le garantisco che corrisponde al vero! Non sono abituato a perdere un minuto della mia vita, figuriamoci il tempo per venirla a cercare per uno stupido scherzo. Ad ogni modo, ora devo proprio andare.
Raffaele Criscuolo
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