Per scoprire quant'è ricco l'universo se vissuto in due.
Quando lui rientrò a casa, quel pomeriggio, e l'ultimo sole della giornata inondò di riflessi la sua giacca bianca nuova di zecca, fu per me un pugno nello stomaco. Un pugno sui denti. E un pugno in testa, per completezza. Rimbalzai come una Pigotta, sbattuta sulle corde di un ring da Mike Tyson. Ogni parola si sgretolò, e detonò il silenzio dell' incredulità. Passai al setaccio mio marito, con gli occhi che friggevano come le uova che avevo lasciato in padella, e brandii il coltello da formaggio con adeguata veemenza. Un lieve sibilare si protraeva dai polmoni alla mia schiena. Tirai un respiro spezzato e ritrovai la forza nelle viscere: - Ora basta! - . Scaraventai le mani per aria. La lama rimbalzò sonora sul parquet, mentre il parmigiano atterrò dritto nel muso peloso di Trilly, che non aspettava altro. Mio marito Romeo restò come uno stoccafisso, nei diversi secondi che trascorsero vuoti e dilatati, al pari di quelli che precedono l' eterno viaggio verso il Creatore. Abbandonai il campo di battaglia e corsi in stanza da letto, con le arterie che stavano per scoppiare. Intanto scoppiò la frittata e per poco anche la cucina. Immerso in quel fumo scenico che puzzava di bruciato, Romeo buttò in acqua la padella, spalancò le finestre e percorse a passo funebre il corridoio verso la “Fu camera del piacere”, convertita in stanza dell'espiazione. Ogni rumore era inequivocabile.
Percepivo il peso del suo sguardo seccato, mentre in casa si diffondevano i mugolii goduriosi di Trilly, che sprofondava nel ben di Dio piovuto dal cielo: “Talvolta qualcosa di buono accade, porco gatto”. - Sei impazzita?! - in quel punto interrogativo, Romeo riversò tutta la sua beata innocenza, senza alcuna cognizione della gravità di ciò che aveva fatto: - Si può sapere che c'è, Carol? - Io mantenevo il silenzio da celebrazione eucaristica in cui ero piombata, con gli occhi puntati sulle mie mani, per scansare i suoi che brancolavano nel dubbio. Scosse la testa. Pur senza guardarlo, lo appresi dal fruscio dei capelli sulla camicia. Detestavo quel gesto che giungeva, con consueta noia, a condire le nostre discussioni, anzi, i miei monologhi e i suoi sconfinati silenzi. Tolse quella giacca bianca di dosso e l' accomodò sulla sedia, stirandone le pieghe. Le carezze riservate al suo nuovo acquisto erano diventate utopia tra noi. Dovevo ammettere di essere gelosa di un capospalla: gran bel traguardo, dopo un lustro di fidanzamento e brodo di giuggiole, seguito da sette anni di mandorle amare e Amanita Phalloides . Vera essenza del matrimonio. I passi lo riaccompagnarono nel corridoio, inabissandolo nel torpore da cui era sbucato. Sentii lo sbadiglio del frigorifero che si apriva, simile al verso di un pachiderma annoiato, e il rumore secco di una birra stappata. L'insopportabile indifferenza governava la nostra vita. Non potevo fingermi cieca. Il sangue mi invase il cervello. Mi fiondai in cucina e scaraventai la giacca contro Romeo, con la forza di un lanciatore di giavellotto: - Si può sapere da dove salta fuori questa?! - - Ah, è questo il problema? - Romeo usava il tono soddisfatto di chi aveva raggiunto il traguardo di una difficile comprensione. Sospirai di sollievo. Da non crederci: davvero stavolta aveva capito, senza necessità di eterne, angoscianti, disumane disquisizioni? Sedette allo sgabello della cucina, prendendosi un tempo eccessivo prima di parlare. Giaceva sotto i riflettori di due sguardi insistenti: il mio, e quello di Trilly, l'ingorda, che, col muso ancora sporco di formaggio, pareva più che altro interessata al biscotto custodito nella tasca del suo umano. Il giusto dolce, dopo il salato. - Senti - biascicò l'esasperato - so che abbiamo qualche difficoltà economica, ma era in saldo, e la mia giacca beige è davvero consumata. Non ho speso tanto. - Eccolo lì. Quod erat demonstrandum : non aveva capito una mazza. Gli stampai un ceffone sulla guancia e me ne tornai nella tana, povera anima incompresa.
A parte lo sbuffare di Trilly, non c'erano altri fiati. Deceduto? Ma no, certo che no, che diavolo andavo pensando?! Soffocava semplicemente ogni lamento, come un saggio interlocutore che si sforza di assecondare un pazzo, o come una lepre che si nasconde all' incedere del cane da caccia. Non sapevo quale delle due immagini calzasse meglio.
Quella serata giunse a conclusione quando poggiai sul tavolo le lenzuola pulite e il suo cuscino: eloquente invito non verbale ad andare a russare altrove. Il patetismo scintillava sul soffitto, assieme alle luci dei neon. L'aria da vittima di Romeo distruggeva ogni mio tentativo di raccogliere le idee con sufficiente razionalità, e mi immergeva nell' istinto omicida. Sì, omicida. Romeo raccolse il tutto e se ne andò a stendersi sul divano, assieme a Trilly, l'unica che aveva in mente un obiettivo proficuo: il biscotto.
Anche quella notte, con puntualità svizzera, successe ciò che temevo. Non ero abituata alla regolarità di un orologio biologico. Perfino il ciclo mestruale era da sempre orientato alla più ampia libertà espressiva; per non parlare della mia altalenante defecatio, che decideva, sua sponte, date e ore di estrinsecazione. Si sa, gran problema: Defecatio matutina bona tam quam medicina, defecatio pomeridiana neque bona neque sana, defecatio vespertina ducit hominem ad ruinam . Chissà cosa avrebbero scritto i latini di me, unico essere vivente svincolato dai ritmi circadiani . Beh, in realtà, almeno fino al giorno in cui quell' incubo aveva iniziato ad assillarmi, presentandosi all' appuntamento con precisione maniacale. Principiava con l'aumento delle palpitazioni. Il respiro veniva meno, la fronte si bagnava di sudore ghiacciato, ma il sonno mi impediva di aprire gli occhi. Gradualmente, prendevano corpo i personaggi e le location del mio solito sceneggiato notturno...
La sala era allestita con sobria eleganza; sulla tovaglia blu della grande scrivania spiccava la targa che riportava il mio nome ‘Dottoressa Filomena Etere, psicoterapeuta'. Una hostess la sostituiva con una nuova targa ‘Dottoressa Carol Etere, psicoterapeuta'. Mia nonna la correggeva a penna: ‘Dottoressa Carla Etere, psicolabile'. Lì accanto, giaceva meditabondo il mio ultimo saggio Dinamiche del moderno divorzio, circondato da fiori d'arancio. Avrei strozzato il genio che aveva avuto l' idea di mettere dei fiori d'arancio durante la presentazione di un libro sui matrimoni in scadenza; ma il cattivo proposito veniva vanificato dal materializzarsi di Romeo. Si avvicinava sotto il mio sguardo pensoso. Mi stringeva con l' energia che tanto avevo amato nei tempi passati, e che mi aveva scaldato durante i nostri primi inverni. Tra quelle memorie defunte, provavo la nostalgia degli addii annunciati. - Complimenti per il tuo libro - sussurrava con aria sincera, baciandomi sulla fronte - Ma come abbiamo fatto a perderci, amore mio? - Avevo il tempo di scrutarlo nei grandi occhi color nocciola e scorgere l'amore consumato, il dispiacere e il rimpianto per scelte irreversibili: eravamo anche noi divorziati. Una mia lacrima cadeva... sulla sua giacca bianca. Sbarrai gli occhi, sottratta al sonno dal pianto che mi occludeva il naso. L'orologio segnava esattamente le 03.15. Stavo per rievocare la consueta analisi onirica, toccasana per i miei clienti ma non per me, quando, davanti alle mie pupille, prese consistenza la giacca appena acquistata da mio marito. Per mesi, al risveglio, avevo sbirciato nel suo armadio, con l'intento segreto di assicurarmi che non ci fosse una giacca di quel colore. Conoscevo bene la risposta, ma necessitavo di continue conferme. Proprio io, psicoanalista freudiana, mi facevo condizionare fino a quel punto dai sogni? Mi sentivo come quelle clienti cui avevo dovuto ripetere per anni: - Nei sogni angoscianti, la stanza che si rimpicciolisce e costringe a uscire con la testa non è un segno di sventura, ma il ricordo rimosso del parto naturale - . Oppure: - Il dente che cade non è un simbolo di morte imminente, ma ha a che fare con la castrazione psicologica che la società ci ha imposto - . Ora, invece, ero io in quella situazione, immersa fino al collo nei cattivi presagi, al limite della superstizione, e non riuscivo in alcun modo a districarmene.
Carmen Trigiante
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|