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Autore: Gina Marcantonini
L'avventura ereditata
Fantasy
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L'avventura ereditata
Ci sono luoghi che si visitano per piacere, altri in cui si va per evolvere.

Un misterioso addio

Tutto ebbe inizio una sera di qualche anno fa quando, riuniti come al solito a far merenda e ad ascoltare uno dei fantastici racconti di nonno Claudio, lui ci mostrò il rotolo di un'antica pergamena che sembrava riprodurre la cartina geografica di un dimenticato paese collinare chiamato Scrofa.
Mentre Matteo, Paolo, Alessandro ed io finivamo la merenda, ci fece segno di liberare il tavolo e la srotolò appoggiando dei bicchieri ai quattro angoli per tenerla tesa. La mappa mostrava in alto il nome del paese e, poco più sotto, si leggeva anche quello di una località tuttora data in affitto dal comune agli allevatori locali: Valle Cavallara.
La legenda in basso a sinistra spiegava a cosa corrispondessero i numeri che leggevamo un po' qui un po' là, sulla cartina.
- Noi siamo in questo punto, qui c'è il centro del paese e qui l'antica sorgente. -
Nonno Claudio, con la sua solita calma, indicò dove si trovavano i vari luoghi segnati dai simboli, compreso l'ingresso di una grotta sotto una collina.
Quando notò i punti interrogativi stampati a lettere maiuscole sui nostri visi, ci guardò con affetto.
- Troverete tutte le risposte dopo la mia morte. -
In quel momento, quell'affermazione ci sembrò buffa perché noi l'avevamo sempre visto così com'era quel giorno: un simpatico signore dai capelli bianchi che avevamo adottato, anche se non era davvero il nonno di nessuno di noi.
Fin da bimbetti, essendo un amico di famiglia, avevamo preso l'abitudine di andarlo a trovare nella piccola baracca accanto all'orto di campagna, in cui passava le giornate in compagnia di aria pulita, cibo salutare, un buon bicchiere di vino e l'affezionato gatto Puccio.
Prima con i genitori, poi da soli, ogni volta che gli facevamo visita, aveva sempre offerto a tutti panzanella d'estate e ciambellone d'inverno, farciti con un sacco di storie, favole e barzellette, desiderando in cambio solo un po' di compagnia.
Gli anni passavano, ma non avendo notato sostanziali cambiamenti fisici in lui, di certo non riuscivamo a renderci conto che ormai era molto, molto vecchio. Questo finché quel dì, affermò serio che i suoi giorni stavano per finire, che aveva avuto un'esistenza ricca di situazioni e persone da amare, e che noi avevamo allietato gli ultimi anni della sua lunga e gratificante vita.
- Vi ho preparato già da tanto tempo un'ultima storia che, a differenza dalle altre, va vissuta e non raccontata. Questa è la mia eredità. -
Un po' intristiti, ma non del tutto convinti di quanto stesse dicendo, continuammo senza far domande, a sentire tranquillamente le sue ultime volontà. Eravamo talmente abituati a rimanere in silenzio ad ascoltare i suoi racconti, spesso con la bocca piena, che per noi fu naturale farlo ancora senza renderci davvero conto fino in fondo che quella volta non era la solita storia di fantasia.
- La casa in paese la donerò a un mio parente che è stato meno fortunato di me, il terreno qui intorno possono utilizzarlo i vostri genitori o affittarlo secondo le loro esigenze e volontà, mentre questa baracca resterà a voi come rifugio e proprio qui inizierà la vostra avventura. -
Un lungo interminabile momento di silenzio avvolse la stanza facendola sembrare immensa. Nonno Claudio ci stava osservando uno ad uno, quasi volesse memorizzare i nostri volti, come se già non li conoscesse abbastanza per averci visto crescere.
L'istante successivo sembrò riprendersi, riavvolse velocemente la pergamena riponendola dove l'aveva presa e depose frettolosamente il suo amato bastone da passeggio accanto a una sedia dicendo con enfasi:
- Occhio ragazzi! È qui che inizia tutto. -
Dopo quest'ultima enigmatica frase appoggiò le chiavi del lucchetto d'entrata sul tavolo, ci lanciò un ultimo nostalgico sguardo con cui sembrò abbracciarci mentre faceva lentamente ciao con la mano, risalì sulla sua ape 50 e andò via lasciandoci in parte increduli di fronte a quell'inaspettato pomeriggio.
Pur non rivedendolo più, continuammo per un po' ad andare puntuali agli incontri, quasi credevamo che da un momento all'altro avremmo sentito di nuovo il rumore scoppiettante del suo ronzino a tre ruote che si avvicinava saltellando sui sassi della strada sconnessa. Questo però non accadde e noi dovemmo rassegnarci all'idea della sua scomparsa.
Apprendemmo la notizia della sua morte da un necrologio appeso al muro in paese, in cui leggemmo anche la sua età. Sorpresi, intristiti e increduli di fronte a quella notizia, ci fermammo qualche minuto di fronte al manifesto.
- 113 anni! Caspita! Chi l'avrebbe mai sospettato! -
Paolo, come tutti noi, era davvero sconcertato da ciò che i nostri occhi avevano appena letto a stento tra le lacrime che non riuscimmo a trattenere.
Quello stesso pomeriggio tornammo alla sua baracca e, preso il bastone, cercammo di capire cosa volesse dire quando affermò che “iniziava tutto da lì”.
Lo esaminammo a fondo: sembrava un comune pezzo di legno con il manico ricurvo come se ne vedevano tanti in giro, usati dagli anziani per aiutarsi a camminare. Alcuni disegni intarsiati e la punta inferiore rinforzata con un cappuccio in ottone per non farla usurare, erano le uniche peculiarità che gli davano, in qualche modo, un maggior valore.

Con un esame più attento però, ci fu evidente che gli intarsi avevano un significato particolare. Per praticità copiammo tutto il disegno su un foglio di carta in modo da poterlo analizzare con facilità e comodità.
Lo sottoponemmo quindi immediatamente al nostro “esperto” in rebus, come lo chiamavamo noi, perché quando mettevamo insieme i soldi per comprarci le parole crociate, lui era l'unico che si divertiva un sacco a risolverli. Matteo era quello tra noi che più s'intendeva d'enigmi e rompicapi in genere, ne aveva una vera passione, così non gli fu molto difficile capire il significato nascosto di quei disegni.

Nella prima parte del bastone, quella ricurva, c'erano undici numeri romani separati in cinque gruppi da due e un gruppo da uno, da doppie linee. Poi vi era rappresentato lo stesso bastone da passeggio dove, al posto del cappuccio d'ottone era disegnata una doppia punta che poteva essere la chiave per qualcosa. La terza parte era un vero e proprio rebus, quindi i numeri romani sicuramente rappresentavano il numero di lettere presenti in ogni parola.
Capito questo, Matteo iniziò subito la decifrazione del messaggio, in cui si leggeva:
Nella parete della baracca rintracciare un foro e infilare la chiave.
Nella quarta e ultima parte c'era una freccia dentata, che circondava tre quarti del bastone, e accanto vi era il due in numeri romani: questo fu il simbolo più difficile da decifrare, ma poi capimmo che voleva dire che dovevamo girare il bastone-chiave due volte nel senso della freccia.
A quel punto togliemmo il cappuccio d'ottone dal bastone scoprendo che, come nel rebus, era diviso in due parti e non restava che trovare il “foro” descritto nell'enigma.

L'agenda nascosta

Il giorno successivo esaminammo con cura tutte le pareti della baracca del nonno, sia all'interno che all'esterno, senza trovare ciò che cercavamo. L'unica cosa che notammo, fu che uno dei lati appoggiava su una grande roccia tufacea lavorata e tagliata in modo da servire alla perfezione per poter essere di sostegno a una struttura solida, facendo risparmiare tempo e denaro. In quel momento ci ricordammo che era la stessa da cui nonno Claudio aveva preso la pergamena!
Grazie a quell'intuizione, tornammo velocemente dentro per cercare lo sportellino che aveva aperto quella sera. Alessandro entrò per primo, dirigendosi con fare sicuro verso un punto preciso.
- È incredibile come si diano per scontati i movimenti delle persone di cui ci fidiamo. Ero sicuro che il nonno avesse preso la cartapecora da una cavità in quest'angolo, ma non è così, visto che non c'è nulla. -
Eravamo tutti sbalorditi. Ci guardammo per un istante l'un l'altro con espressione interrogativa, poi, senza rassegnarci, iniziammo a esaminare ogni centimetro della parete, in modo scientifico, senza peraltro trovare niente.
Ci fermammo un attimo a pensare guardandoci attorno finché, d'un tratto, ci rendemmo conto che l'unico luogo cui non avevamo pensato, era dietro a un quadretto raffigurante una cascata la cui acqua aveva tutti i colori dell'arcobaleno.
Spostandolo con attenzione, trovammo un piccolo sportello di legno, che era stato molto ben mimetizzato ricoprendolo con lo stesso intonaco e la medesima vernice usata per tutte le pareti della baracca. L'unico dettaglio che sarebbe potuto sfuggire a un qualsiasi occhio poco attento, era un minuscolo pomello, sporgente al massimo un centimetro con cui si riusciva a malapena ad afferrarlo.
- Presto, aprilo! -
All'interno trovammo, come previsto, la pergamena e una lettera indirizzata a noi, in cui si diceva che la cartina riproduceva il paesaggio del nostro paese. Il fatto che il nome non corrispondesse a quello attuale dipendeva dai cambiamenti avuti nel corso degli eventi storici che a un certo punto, per motivi conosciuti forse solo al dittatore che ebbe questa strana idea, portarono a cambiare molti nomi dei paesi di provincia della nostra splendida penisola.
La leggenda vuole che, anticamente, fu chiamato “Scrofa” perché un maiale femmina, in un lungo periodo di siccità, aveva trovato, scavando, una sorgente d'acqua tutt'ora esistente, salvando la vita alla piccola comunità che viveva a quei tempi in quel luogo e agli animali che allevavano.
Alessandro notò sul muro interno della piccola cavità cubica scavata nella roccia, quello che conteneva la pergamena per capirci, un foro proprio della dimensione e forma cercati.
Con un po' di esitazione, provammo a infilarvi il bastone-chiave che, con grande sorpresa, s'incastrava in modo perfetto. Non eravamo ancora convinti che quanto stesse succedendo fosse del tutto reale. Nelle nostre menti si aggirava costantemente il dubbio che tutto ciò fosse un qualche tipo di strano scherzo.
A quel punto, guardandoci l'un l'altro con uno sguardo d'intesa, facemmo fare, lentamente ma con decisione, due giri completi all'asta di legno. Appena terminato il secondo giro, si sentì un piccolo click e contemporaneamente, a circa mezzo metro sopra la cavità, si aprì un nuovo sportellino che ne scoprì una seconda nicchia.
Nel suo interno trovammo una piccola agenda e una busta da lettera bianca nel cui destinatario c'era semplicemente annotato: Per i miei cari ragazzi.
La aprimmo con curiosità e, su un foglio di carta pergamena, scritto con una calligrafia ricercata, si leggeva:
Cari ragazzi,
non avevo dubbio che sareste arrivati fin qui. In ogni caso voglio ugualmente complimentarmi con voi perché avete dimostrato di avere grande spirito d'osservazione, inventiva e attitudine al ragionamento.
Tuttavia, vi metto in guardia su ciò che state per affrontare. Vorrei accertarmi che, prima di continuare, ci pensiate molto bene perché questa impresa vi segnerà la vita. Dovrete attraversare percorsi ripidi e rischiosi, ma non sono quelli che dovrete temere di più.
Ciò che dovete maggiormente prepararvi ad affrontare e che non dovete assolutamente sottovalutare, sono i cambiamenti nel vostro spirito. Sappiate che, mentre da una ferita fisica si può guarire facendo sparire del tutto anche la cicatrice, quando si cambia dentro non si torna più indietro, neanche se lo si vuole con tutte le tue forze.
Questo che avete tra le mani è solo l'inizio di un percorso pieno d'insidie e pericoli, e potrete andare avanti solo usando istinto, coraggio e autocontrollo, doti che senza dubbio avete in abbondanza, nonostante la vostra giovane età.
In ogni caso era mio dovere avvisarvi, perché la maggior parte delle persone è letteralmente terrorizzata dai cambiamenti interiori.
Ora non mi rimane che farvi i miei migliori auguri. Qualsiasi sia la scelta che farete, la mia immensa fiducia in voi non finirà.
Vi ho voluto bene come foste nipoti di sangue e per questo vi terrò sempre nel cuore.
Nonno Claudio

L'onda di emozione che c'invase non c'impedì di iniziare a sfogliare l'agenda.
Le prime pagine parlavano di un pozzo situato in una grotta che era l'entrata di un paese chiamato Xerolandia. Il resto era una vera e propria guida turistica per visitarlo e riportava, tra l'altro, equipaggiamento, medicine e armi, necessarie all'audace viaggiatore.
Alla ventiduesima pagina poi, c'era lateralmente un appunto del nonno nel quale si leggeva:
Nel mio sgabuzzino degli attrezzi, all'interno del baule di legno, troverete la maggior parte del necessario che vi aspetta pazientemente già da alcune settimane.
Il nostro entusiasmo salì alle stelle e tutti i dubbi d'un tratto svanirono pensando all'idea di intraprendere un simile viaggio.
Siccome si trattava di star via alcuni giorni, avremmo dovuto trovare una buona, anzi ottima, scusa per la nostra assenza poiché, dicendo la verità, nessun genitore degno di questo nome, avrebbe mai dato il permesso di partire a degli adolescenti quali eravamo.

Gina Marcantonini

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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