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Autore: Francesca Erriu Di Tucci
Farfalle mutanti
Racconti
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Farfalle mutanti
Farfalle mutanti, ecco il nuovo segnale individuato dagli scienziati in merito alle conseguenze sugli animali del disastro nucleare di Fukushima. Gli esperti hanno evidenziato anomalie nelle antenne, nell'addome e nelle zampe delle farfalle, oltre che nei loro occhi.
I ricercatori hanno scoperto che alcune farfalle avevano ali rotte o spiegazzate, mutamenti nelle dimensioni delle ali oltre che nel loro colore e nel numero delle macchie.
Lo studio è iniziato due mesi dopo il terremoto e lo tsunami che hanno devastato il nord-est del Giappone nel 2011, innescando una catastrofe nucleare. Le radiazioni provenienti dall'impianto di Fukushima-Daiichi non soltanto hanno costretto allo sfollamento di decine di migliaia di persone, ma hanno portato anche a conseguenze su animali come le farfalle.

"La fuga di Chicco"

Ogni giorno un chicco di caffè viene macinato. Eppure nessuno si prende la briga di condividere foto sui social, nessuno fa una denuncia, che so, una petizione. È una vergogna. La causa dei chicchi di caffè passa in secondo piano, rispetto alle altre torture nel mondo. Perché nessuno ha mai alzato la voce, minimamente accennato una protesta davanti al Parlamento, o iniziato una class action contro le caffettiere? Perché, si chiedeva Chicco di caffè. Non se ne capacitava. Stava lì rinchiuso insieme a tutti gli altri, e invece di aspettare tranquillo la sua sorte, si poneva mille domande, mentre intorno sentiva parole che lo facevano rabbrividire come: “decaffeinato”, “shakerato”, parole che non aveva mai sentito in Brasile. Il viaggio era stato lungo, tutti stipati insieme nei sacchi - aveva anche perso di vista la sua amica Chicca, chissà dov'era finita. E ora guarda dove si ritrovava, in mezzo al caos più totale: rumore di tazzine, bicchieri, gente che entrava e chiedeva “un caffè!”, un caffè così, un caffè colì, un attimo, no? Ma come faceva quel povero barman a non impazzire? E invece sorrideva a tutti, e quando una signora gli aveva chiesto l'ennesimo caffè, lui addirittura si era messo a canticchiare: “Caffè caffè caffè, caffè per me” sulle note di The man I love. Sembravano tutti pazzi, evidentemente il caffè che bevevano aveva su di loro qualche effetto che lui ignorava, dato che non l'aveva mai bevuto.
Da quella posizione riusciva a sbirciare all'esterno, dove più che altro vedeva la faccia del cameriere che armeggiava con strani macchinari. Ma quando questo si spostava, Chicco poteva anche scorgere persone al bancone. Per esempio la signora, quella che aveva chiesto l'ennesimo caffè, una donna vestita di un verde sgargiante, una grande spilla a forma di farfalla sul petto, molto truccata, forse troppo, e tutta ingioiellata. Non gli sembrava di aver mai visto signore così in Brasile. Ogni tanto la donna si guardava allo specchio per sistemarsi i capelli, ma strizzava un po' gli occhi dando l'impressione di non vederci tanto bene da quella distanza; oppure, pensò Chicco, il trucco era così forte da appesantirle le palpebre e annebbiarle la vista. Infatti aveva anche gli occhi un po' umidi, doveva essere per la fatica che facevano sotto quell'ombretto e quel mascara. Ma poi si rese conto che forse erano umidi per la tristezza, lo capì quando la donna sospirò: “È come il caffè che faceva mio marito”. Lo disse rivolta al cameriere, che però era troppo indaffarato in quel momento, così praticamente lo disse a se stessa, e lo sentì solo il Chicco e forse qualcun altro, che comunque fece finta di niente. La cosa strana era: come faceva la donna in verde a sapere che il caffè era come lo faceva suo marito, se non l'aveva ancora assaggiato? Forse si riferiva all'aspetto morbido e cremoso, mentre continuava a girarlo col cucchiaino rendendolo ancora più cremoso, e girava e pensava, ma non beveva.
La distrasse una signora che entrò frettolosa, tirando una ragazzina magrissima per il braccio. Chiese un caffè, “presto, che devo portare la bambina dall'assistente sociale!” Doveva essere una di quelle persone che buttano lì qualche frase per far sapere a tutti i fatti propri, sperando che qualcuno chieda informazioni, intuì Chicco. Nessuno chiese niente, ma la donna rispose comunque a una domanda inesistente, rivolgendosi proprio alla signora molto truccata: “Non mi mangia niente! La vede com'è magra? L'assistente sociale dice che è stressata!” La donna in verde la guardò fingendosi interessata, ma disapprovando in cuor suo quella donna isterica. “Così piccola?” chiese, riferendosi alla ragazzina che poteva avere dodici anni. “Sì, così piccola! Pensi che lei invece dell'amico immaginario, come tutti i bambini, a cinque anni aveva già l'analista immaginario!” “Chissà perché...” pensò la donna con il trucco pesante, e probabilmente lo pensarono anche tutti gli altri che avevano sentito quel discorso. “Non so, se continua così, cosa potrebbe fare? Non vorrei che finisse in un call center!” La donna in verde sorrise e suggerì placidamente: “Potrebbe fare la velina, in una piccola barchina”. Tutti risero, la donna isterica invece, contrariata, finì il caffè e se ne andò schifata.
Mentre la signora in verde continuava a girare e girare col cucchiaino, l'attenzione di tutti era stata catturata dall'ingresso di un uomo di una certa stazza, che fermo sulla porta – che occupava con tutta la sua corporatura - aveva urlato: “Visto il gol di ieri sera?” E allora quasi tutti si erano girati, il cameriere gli aveva risposto qualcosa in tono di scherno, e da lì – apriti cielo! – chi diceva una cosa, chi un'altra, ma non è colpa dell'allenatore, ma se quello non sa tirare i rigori, finché l'uomo così com'era venuto era uscito, dimenticandosi persino di prendere il caffè che aveva chiesto! E si era scordato pure il cane, che però non sembrava dispiaciuto e si era messo a mangiare le briciole per terra.
Le briciole cadevano dai cornetti di due ragazzi che li divoravano come se non mangiassero da giorni, e nel frattempo giravano il loro cappuccino. Chicco sentiva stralci dei loro discorsi. “Questa tipa si chiama Michelle, come quella famosa, hai presente? La Hunziker.” “Ah sì.” “Eh, pensa che uno sul profilo le ha scritto: Michelle, ma belle!” “Ahahaha! E sarebbe?” “Boh non lo so, sarà francese”. Chicco capì che il cervello di un chicco di caffè non avrebbe mai raggiunto la complessità di quello umano.
Fu quando uno dei presenti, fino a quel momento immerso nella lettura di un giornale, se ne uscì dicendo: “Tanto non la faremo mai la rivoluzione”, che Chicco ebbe l'illuminazione. Comprese che nessuno avrebbe aiutato i chicchi di caffè a salvarsi e quindi si dovevano organizzare da soli. “Che ci vuole a fare una rivoluzione?”, disse agli altri chicchi, attoniti. “Un chicco da solo può fare poco, ma tanti chicchi insieme...” aggiunse. Fu proprio in quel momento, nel pieno del suo discorso più riuscito, che una scossa fece tremare tutti i chicchi nel sacco, e all'improvviso si trovarono catapultati in un macchinario infernale dal quale era impossibile uscire, e persino Chicco non poté fare niente se non urlare, e salutare per sempre la sua pianta in Brasile, sapendo che non l'avrebbe più rivista...
Si risvegliò con una strana sensazione, questo certo non se l'aspettava. Era liquido, completamente liquido e scuro. Si trovava dentro una tazzina, in una di quelle dannate tazzine dove prima aveva visto bere gli strani avventori. Un po' aveva paura, eppure stava bene nella tazzina. Qualcuno afferrò il manico, facendo sobbalzare Chicco e girandolo per mischiarlo allo zucchero. Non era poi così male come poteva sembrare. Il volto di un uomo si avvicinò sempre più, poi le sue labbra, ed ecco, finì nel suo stomaco senza nemmeno accorgersene. Breve ma intenso, un momento di vero piacere. Ora capiva perché nessuno si batteva per i diritti dei chicchi di caffè. Perché berlo dava questa sensazione, e lui sapeva di aver regalato un attimo di felicità. L'uomo soddisfatto posò la tazzina. “Buono! – disse al barista – purtroppo era l'ultimo” “Come l'ultimo?” si stupì il ragazzo. “Eh sì, il medico me l'ha proibito... da domani, niente caffè! Problemi di cuore.”
Il cameriere guardò l'anziano uscire reggendosi al suo bastone. “Ecco perché l'ha bevuto con tanto gusto”, pensò. E continuò ad asciugare le tazzine.

Francesca Erriu Di Tucci

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