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Autore: Luigi Arcari
Ibridizzazioni
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Ibridizzazioni
L'esecuzione.

Tu sicuramente penserai che di fronte alla morte uno ripercorra in pochi istanti le vicende principali della propria vita. È normale. Lo pensavo anch'io. Ci hanno sempre detto che è così. Vedendomi quindi in piedi contro il muro, in evidente risalto rispetto al bianco della parete, volutamente intento a guardare davanti a me evitando di incrociare il tuo sguardo, immagini che io stia pensando alla mia vita, alla nostra vita. Immagini che io stia pensando a tutti i nostri cari, morti e vivi. Certo, ho ben presente nella mia mente ogni momento vissuto con voi e con loro, ogni pensiero rivolto durante le mie assenze, ogni riferimento fatto parlando con altri, ogni preghiera detta. La mia vita non è stata in fondo tanto male, serenità, gioie, dolori, soddisfazioni, sconfitte, ambizioni, delusioni, piaceri e amarezze. Una vita. Certo, non avrei mai immaginato finisse così, d'altra parte chi avrebbe potuto prevederlo fino a non molto tempo fa. Eppure, in questo momento, certamente non previsto, temuto inizialmente ma poi accettato come inevitabile e tutto sommato irrilevante, forzo il mio pensiero a non soffermarmi sulla mia e sulla nostra vita, nella convinzione di congelarla così come è stata e come per sempre sarà, senza il segno di questo increscioso epilogo. Mi concentro invece sui quattro uomini che ho davanti, a non più di cinque/sei metri, i tre allineati con i mitra spianati, puntati verso di me, ed il quarto che pare il loro capo, distaccato, le mani lungo i fianchi. Guardo il loro viso e i loro occhi, ad uno ad uno, cercando di vedere le loro vite.
Uno. Trema bastardo, devi tremare e morire mille volte di paura e disperazione prima ancora che i colpi arrivino a penetrare in questo tuo corpo marcio e inutile. Io ovviamente mirerò alle tue gambe e alle tue braccia in maniera da non ucciderti subito e spero che gli altri facciano altrettanto, così da darti il tempo di soffrire le pene dell'inferno anticipatamente, prima che il colpo di grazia ti ci spedisca definitivamente per farti bruciare e patire per l'eternità. Mi dispiace solo che in questo modo non ci sia divertimento. Questa sciocchezza di esecuzione è solamente irritante, sovradimensionata, mi sento sprecato, male utilizzato. Io che quando ero volontario nei teatri di guerra di mezzo mondo ero tra i cecchini più efficienti e ricercati! Lì era il vero divertimento! Ho stabilito due record successivi a poca distanza di tempo, seppure in luoghi diversi. Nel primo ho centrato in piena fronte, appena sotto l'elmetto, un tipo che era esattamente 2475 metri lontano, utilizzando un fucile L115-A3 calibro 338 Magnum. Nel secondo ho preso direttamente al cuore un addetto alla mitragliatrice a 3540 metri, con un McMillan TAC-50 calibro 50 BMG. Non chiedetemi come mai ora sono qui a sparare a uno a non più di cinque/sei metri! Sono stati l'amore e la famiglia. Sono dovuto rientrare in patria per stare insieme a loro, crescere soprattutto i figli, educarli e tirarli su bene. E qui non ci sono guerre da fare, solo un po' di gente da tenere a freno e punire quando serve quelli che proprio non ce la fanno a non stare zitti e ubbidire. Ho le mie medaglie, sono pagato bene e in occasioni come queste, pur non essendoci divertimento, almeno non perdo il sapore del sangue e della morte. Non mi hanno detto esattamente cosa ha fatto questo qui, ma mi hanno fatto capire che aveva rotto abbastanza da meritarsi non una ma due/tre volte questa fine. Basta che la facciamo finita presto. Oggi mio figlio ha la partita e devo esserci assolutamente. Certo che lì era un'altra cosa! La preparazione, la concentrazione, la vicinanza spalla a spalla dell'avvistatore, l'obiettivo al centro del mirino telescopico. Anche quando agivo come avvistatore era eccitante, l'appostamento, individuare il bersaglio giusto, calcolare la distanza, la direzione e la velocità del vento. Qui tocca accontentarsi.
Due. Che diamine avrà fatto questo poveretto per fare questa fine? Non mi risulta sia un ladro o un assassino, ma dicono meriti l'esecuzione. In fondo non è che me ne importi più di tanto, innocente o colpevole per me è lo stesso. Una volta poteva forse interessarmi, qualche anno fa, quando le cose erano molto diverse da ora, ma adesso vivi e lascia vivere. Mi hanno costretto a indossare una divisa, fare il militare per campare e quindi seguiamo l'onda, turiamoci il naso e andiamo avanti. Per la verità la prima volta che mi hanno detto che dovevo sparare a un uomo, impotente davanti a un muro, mi hanno lasciato la possibilità di scelta, di tirarmi indietro qualora non me la sentissi. Ho ammesso la mia contrarietà a farlo e mi hanno esentato, comprensivi. Ma i miei compagni mi hanno poi dato del vigliacco, incapace, inetto, evitandomi come la peste e facendomi sentire non all'altezza delle responsabilità che la situazione sociale e politica imponeva. È stato un momento difficile, anche in famiglia hanno deplorato la mia indecisione, temendo conseguenze nefaste per tutti. La volta successiva ho accampato una valida scusa, un impegno logistico già fissato, evitando ancora di essere coinvolto, ma alcuni dei commilitoni hanno subodorato la cosa e uno è arrivato persino a sputarmi addosso, perché era stato proprio lui a dovermi sostituire nel compito. La terza volta ho acconsentito, anche perché l'invito era ormai più un ordine. Al momento di sparare ho chiuso gli occhi. Non saprei dire se i colpi da me esplosi abbiano colpito o meno l'uomo, un signore dall'aspetto dimesso ma orgoglioso, che non ha voluto la benda. Tutti mi hanno manifestato la loro approvazione con pacche sulle spalle e sorrisi. Quando sono rimasto solo ho vomitato fiele. Adesso è evidentemente subentrata l'assuefazione. Non che sia felice di sparare quando mi viene ordinato, neppure vomito più, ma lo faccio con rassegnazione, quasi con indifferenza, come quando si deve prendere una medicina, certamente non piacevole ma necessaria. Mi assolvo.
Tre. Non riesco a credere di essere arrivato fino a questo punto! Io che ho sempre creduto nella giustizia, nell'amore e nella fratellanza. Non che non abbia avuto i miei vizi, ma non avrei mai immaginato di arrivare ad uccidere qualcuno. E non in battaglia, in una lotta per la sopravvivenza, ma a sangue freddo, lui vicino ad un muro, inerme, ed io di fronte, armato e onnipotente. È stata come una spirale, un gorgo, nel quale sono precipitato gradualmente, senza averne piena coscienza e attraverso fasi successive di condivisioni e accettazioni. Prima hanno cominciato a dire, a sostenere con motivazioni all'apparenza inoppugnabili, che fosse ormai necessario pensare a noi stessi, prima di tutto a noi stessi, smettendola di agitare la bandiera dell'accoglienza perché si era ormai oltrepassato ogni limite, quindi occorreva con decisione limitare, contenere, cessare di accogliere indiscriminatamente immigrati irregolari, falsi profughi di guerra, falsi perseguitati, gente in cerca di altre fortune, rom, zingari e simili varianti. Era evidente come ci privassero di lavoro, serenità, pace e sicurezza. Era ovviamente giusto ristabilire l'ordine e la legalità, la fiducia e l'incolumità, le regole e la sovranità. In tanti abbiamo pensato, io ho pensato, che fosse vero, corretto e improcrastinabile, ammissibile e condivisibile. Ne sono diventato convinto e attivo sostenitore, facendo a mia volta testimonianza e proseliti. Poi hanno rinforzato le loro argomentazioni facendo notare come ci fossero chiari segnali, sociali, religiosi e politici, di quanto problematiche fossero le mescolanze, quanto difficile fosse l'integrazione, quanto pericolosa fosse la contaminazione, asserendo la necessità di evitare a tutti i costi che il processo continuasse e degenerasse, studiando ed individuando opportuni paletti, necessari interventi, inderogabili provvedimenti legislativi. Non era certamente questione di discriminazione e di razzismo, ci mancherebbe altro, ma l'evidenza della situazione rendeva opportuno sollevare la soglia d'allarme e procedere con celerità. In tanti abbiamo condiviso, io ho condiviso, l'inoppugnabilità, la necessità e l'urgenza di intervenire. Ho fatto la mia parte nel supportare le motivazioni, organizzare gruppi di condivisione e di pressione, accelerare l'entrata in funzione dei doverosi interventi. Successivamente, a valle della chiara percezione di quanto i provvedimenti presi, in questi e altri settori affini, fossero praticamente inefficaci, meri palliativi, segni evidenti di sostanziale indecisione nell'affrontare i problemi alla radice, di eccessiva cautela e debolezza, di incompleta, assoluta e generalizzata pubblica condivisione, di remore falsamente morali e concettuali, fu ufficialmente ed energicamente dichiarata tolleranza zero verso tutti quelli, individui e gruppi, che vivessero, pensassero e si comportassero sulla base di principi diversi in termini del tutto generali, dalle questioni più attinenti alla religione, agli aspetti più eminentemente politici, ai temi più squisitamente etici, alle valutazioni più specificamente scientifiche, alle accezioni più finemente artistiche, alle interpretazioni più propriamente culturali. Come non concordare con tale decisa e definitiva nuova impostazione. Praticamente tutti abbiamo valutato, io ho valutato, l'assoluta validità di una simile decisione, la necessità e l'urgenza di trovare tutti gli strumenti, legislativi, di propaganda e di persuasione, per sostenerne in maniera efficiente ed efficace l'accettazione, in forma pienamente condivisa e completamente interiorizzata. A corollario di tali decisioni, è stato ritenuto come inevitabile intervenire risolutamente per limitare non certo la libertà, ma l'utilizzo improprio e scorretto, palesemente erroneo, l'abuso della possibilità di professare e promuovere le proprie convinzioni, idee e opinioni in settori delicati e sensibili come la religione, la politica, l'economia e la morale, sia individualmente che in forma associativa, organizzata o meno, attraverso tutti i mezzi di comunicazione, dai giornali alle televisioni, alla radio, a internet, anzi soprattutto mediante i nuovi strumenti di collaborazione e di espressione come i social network. Era lampante il bisogno di contenere le fonti di informazioni indiscriminate, esercitarne un controllo assoluto, accentrare la diffusione di informazioni vere, obiettive ed imparziali. In tanti abbiamo giudicato, io ho giudicato, l'impellenza di tale bisogno e il dovere morale di diventarne portavoce e convinto sostenitore. Poi hanno evidenziato come fosse palese l'ingovernabilità del paese a causa dell'eccessiva frammentazione dei partiti politici, in grado di ingenerare forme di ostruzionismo e ricatto parlamentare, inibendo ogni intervento legislativo indirizzato a normalizzare, migliorare e regolamentare l'ordinato vivere civile, il progresso economico, la riduzione delle povertà, la diffusione del benessere e della ricchezza. Tutti abbiamo considerato, io ho considerato, ragionevole e urgente ridurre il multipartitismo, procedere verso il bipartitismo e anzi, cominciare a porsi ragionevolmente la questione, senza false remore e condizionamenti, dell'utilità stessa dei partiti, retaggio di vecchie e ormai sorpassate modalità di organizzazione della vita politica, inutili e superate dall'evidenza della praticabilità, efficacia e correttezza dell'esercizio della democrazia diretta, unica, vera e sacrosanta rivoluzione della politica e soluzione dei mali della classe dirigente, della cattiva amministrazione, della corruzione e delle inefficienze dei processi decisionali ed operativi. A seguire, in maniera ormai incalzante, hanno sostenuto con dati alla mano ed incontestabili argomentazioni, supportate da studiosi eminenti a livello internazionale, che le continue, ricorrenti e regolari elezioni, a livello centrale e periferico, fossero ormai diventate oltre che costose, anche controproducenti, inutili e spesso pericolosamente rischiose, aprendo la possibilità a infiltrazioni e manovre da parte di poteri occulti, nazionali ed internazionali, che avrebbero inficiato la libera espressione e la corretta competizione. Ho trovato, insieme a molti altri, ineccepibili le premesse, le argomentazioni e le conclusioni, appoggiando pienamente e con totale convincimento le decisioni prese. Inevitabilmente, a questo punto, hanno tratto la conclusione che per una ottimale gestione della cosa pubblica, evitare complicazioni inutili, lungaggini amministrative e politiche, moltiplicazione delle competenze, apparati superflui e costosi, intralci e inefficienze, fosse ormai perentorio abolire, almeno in una fase iniziale e per un tempo transitorio, da valutarne successivamente l'estensione, la complessa architettura costituzionale della separazione dei poteri, accentrando nelle giuste mani insieme il potere esecutivo, il potere legislativo e il potere giudiziario. Mi è parso, trovando piena corrispondenza in tanti altri, un ragionamento limpido e inattaccabile, del quale mi sono fatto sicuro ambasciatore. E poi, in rapida successione, hanno proceduto ad adottare infinite altre piccole e grandi decisioni, ad abolire l'ormai inutile tutela delle minoranze, il suffragio universale, il voto libero e segreto, la possibilità di candidarsi alle elezioni, il diritto alla sicurezza personale, alcuni elementi relativi alla proprietà privata, ecc. Giusto sei mesi fa è entrata in vigore la militarizzazione degli apparati di governo, l'obbligo di un esteso e professionale servizio militare e la repressione, fino a valutare addirittura il ricorso alla pena capitale, di ogni minimo segnale di disaccordo, opposizione e aperta oppure occulta ribellione. Ed eccomi qui, a mirare il corpo di un uomo vicino ad un muro.
Ti starai chiedendo se io abbia o meno paura, nonostante la mia ostentata sicurezza e indifferenza. Sai che non ho mai avuto paura della vita, ma non sai come ci si possa veramente confrontare con la morte. So che tu invece hai paura, te l'ho letto prima sul viso, prima di distogliere lo sguardo da te. Hai paura per me, per i tuoi e nostri cari. Non è stato loro permesso di venire. Solo il figlio maggiorenne. Ti esorto mentalmente a farti coraggio e a fare coraggio agli altri. E ovviamente a non dimenticare quello che ho cercato di trasmettere a te e tuo fratello, quello che ho fatto per trovarmi qui ed ora. Ti ho insegnato la solidarietà e la tolleranza, l'accoglienza e la fratellanza, l'amore per la libertà e per le proprie idee, il rispetto di quelle degli altri, l'importanza del pluralismo delle opinioni e dell'informazione, la rilevanza dell'impegno politico, civile e sociale, l'osservanza dei principi umani universali e di quelli costituzionali, il valore delle istituzioni, l'equilibrio e la divisione dei poteri, la grandezza della democrazia. Vi ho mostrato col mio esempio che bisogna essere sempre attori e controllori, non cedere mai di un millimetro perché ogni cedimento è una via senza ritorno e un passo indietro rispetto ai valori della democrazia. Perché, come ho letto una volta: “Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell'umanità.”.
Quattro. È solo uno come tanti altri. Stanno aumentando e ce ne saranno sicuramente sempre di più. Temo che il mio lavoro sia destinato a non esaurirsi facilmente. Fuoco!

Luigi Arcari

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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