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Autore: Luigi Arcari
Un diverso punto di vista
Racconti
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Un diverso punto di vista
Quindici.

Sono un sopravvissuto. Uno dei sopravvissuti. Siamo usciti a frotte, a piccoli gruppi di 2 o 3 per ogni nucleo di uranio duecentotrentacinque che è esploso, che ha subito fissione. Non è per imprecisione che dico 2 o 3, non è che sia vago, ma proprio che alcuni gruppi erano effettivamente costituiti da 2 di noi e altri da 3, ma a causa dell'enorme numero di nuclei, miliardi di miliardi di miliardi, non può che essere una valutazione statistica. Tutti insieme eravamo quindi un esercito sterminato. Ma i grandi numeri sono fatti di piccoli numeri, di unità, la storia è fatta sicuramente di grandi eventi e di grandi eserciti, ma anche di microstorie, di piccoli eventi e categorie circoscritte, di addetti all'approvvigionamento, alla logistica, di cuochi e puttane. Siamo stati sbalzati nell'inferno di fuoco, a temperature da alcune centinaia a qualche migliaio di gradi, a seconda della posizione del nucleo all'interno delle pellet di combustibile, temperature maggiori per quelli vicino al centro e minori per quelli all'esterno, più vicini al rivestimento e quindi all'acqua di raffreddamento. Per le barrette al centro del nocciolo la situazione era ancora peggiore, con picchi di temperature più che infernali. Non che sia per noi un problema l'alta temperatura, deve essere ben chiaro. Non queste temperature almeno, è solo a milioni di gradi che corriamo un rischio vero, quello della disintegrazione in quark. Le temperature del nocciolo ci fanno il solletico. Il termine infernale è riferito alla percezione umana, i cui sensi poco tollerano variazioni significative dei parametri fisici, inconvenienti dell'aggregazione biologica, architettata da labili forze di associazione. Siamo quindi usciti tutti insieme, ogni gruppo come un sol uomo, correndo a una velocità media dell'ordine di dieci milioni di metri al secondo, chi più chi meno, con una energia media di sfondamento per gruppo di circa cinque mega elettronvolt. Avevamo il senso del gruppo? Niente distingueva uno di noi da quelli degli altri gruppi. Per chi ci avesse guardato dall'esterno, una volta confusi nello sterminato esercito, non c'era modo di riconoscere i singoli gruppi. Eppure, ogni gruppo è rimasto a stretto contatto, spalla contro spalla, cercando di coprirsi l'un l'altro. Siamo stati espulsi dallo stesso nucleo, quindi ci univa una sorta di amore filiale e fraterno, la consapevolezza dell'origine comune. Riuscivamo a conservare il senso di appartenenza, il desiderio di restare uniti, di sopravvivere tutti insieme.
Il rischio peggiore più immediato è stato schivare gli enormi due nuclei dei prodotti di fissione che sono usciti insieme a noi, cento, centocinquanta volte più grandi di noi, imponenti e pericolosi, mentre non ci hanno impensierito di certo i raggi gamma e i neutrini che sfrecciavano tutt'intorno. Subito abbiamo visto unirsi a noi altri che arrivavano da nuclei dei prodotti di fissione generati qualche frazione di secondo prima, ma anche precedentemente in certi casi, fino a qualche decina di secondi prima. Percentualmente pochi, da due a sei ogni mille di noi, tanti quindi anch'essi in assoluto, ma che hanno portato i nostri gruppi ad essere costituiti statisticamente da 2,42 elementi in media per ogni nucleo di uranio duecentotrentacinque esploso. Eravamo piccoli gruppi comunque, pochi disperati. Ci siamo dati anche un nickname per la verità, non ricordo di chi sia stata l'idea, ma che ci ha reso orgogliosi. Gruppo ν. E qui è cominciata davvero la nostra odissea.
Qualcuno di noi, uno dei 2,42, tra quelli più veloci degli altri, più forte, più energetico, ben presto ha fatto una misera fine. La sua forza è stata la sua morte. La forza crea orgoglio, l'orgoglio arroganza, l'arroganza porta spregiudicatezza, sfrontatezza, sottovalutazione dei rischi. Ognuno in fondo è autore del suo destino. E poi c'è il caso, la fortuna, che a volte può chiudere le porte. Ha urtato un nucleo di uranio duecentotrentotto, devastandolo, facendolo esplodere. Certo, c'era anche uranio duecentotrentotto, anzi l'eccezione era l'uranio duecentotrentacinque, in misura di appena il 2-3%, forzatamente inserito, in misura maggiore di quello naturalmente presente nella miscela dei minerali di uranio. E questo ovviamente, ironia della sorte (ma non è forse dalla sofferenza che nasce la vita? Dalla morte che emerge la fenice?), ha generato altri di noi, con un effetto netto positivo che, rapportato alla consistenza numerica del gruppo ν, lo ha incrementato statisticamente di un fattore circa 1,04, potenziando quindi il gruppo fino a circa 2,52, che ha preferito il nuovo nickname di gruppo νε.
A questo punto, apparentemente rafforzati, sostanzialmente nel pieno delle nostre forze, siamo andati avanti. Ma l'inferno è fatto di ostacoli, anfratti, cunicoli, imprevisti vari, casualmente presenti o appositamente inseriti per rendere più dura la vita, la pena. Quanto vi è di casuale nella vita e quanto di voluto è un mistero, col quale ci si confronta costantemente. Nella nostra situazione, nella mia situazione, il caso è sotto controllo, per così dire, è relegato alla casualità intrinseca degli eventi statistici elementari che occorrono, ma gli accadimenti generali che si verificano, pur nella loro descrizione statistica, sono esattamente voluti, guidati, controllati, il loro decorso è del tutto prevedibile, già scritto, guidato. Gli ostacoli, gli anfratti e i cunicoli sono esattamente calcolati, previsti e inseriti nel posto giusto, nella quantità giusta, nella modalità e al tempo esatto per far sì che l'evoluzione del sistema nel suo complesso sia quello desiderato. Nulla è lasciato al caso. Ecco quindi che sono cominciate le perdite, le scomparse, i morti. Una parte di quelli più veloci, di nuovo loro, hanno pagato ancora il prezzo maggiore, sono riusciti ad evitare i nuclei di combustibile, dei materiali e dell'acqua di raffreddamento, sfuggendo dal core e perdendosi per sempre in chissà quale anfratto. Misero destino, non migliore di altri dal punto di vista proprio, ma del tutto effimero dal punto di vista della finalità del sistema. Si potrebbe obiettare che una morte è una morte, dal punto di vista del morto poco cambia. Giusto. In senso strettamente materialistico è assolutamente vero. Però in un'ottica finalistica, non certo spirituale, ma del progetto generale, non tutte le morti sono uguali, ci sono le morti che servono a qualcosa e le morti inutili, le morti buone e quelle cattive, quelle che sono in linea, coerenti, con i piani e quelle che ne divergono. Queste fughe sono state consistenti, circa il 13,5%, quindi il gruppo νε si è ridotto a 2,18 unità, cambiando di nuovo nome: gruppo νεPf.
Noi rimasti abbiamo cominciato a sbattere da tutte le parti, contro i nuclei dei materiali strutturali pesanti, acciaio soprattutto e di quello buono, e contro i nuclei dell'acqua di raffreddamento, una enorme massa d'acqua, diminuendo la nostra velocità dopo ogni urto. Può sembrare paradossale, ma mentre gli urti con i nuclei pesanti e grossi ci rallentavano poco, riuscivamo in qualche maniera a scivolargli addosso senza grossi effetti, gli urti contro i nuclei dell'acqua, soprattutto contro quello dell'infido idrogeno, piccolo, scaltro e pericolosissimo, che non aspettava altro che di essere toccato per schizzare via come una scheggia, ci rallentavano maledettamente. E quella odiosa acqua era stata messa lì apposta per fregarci, per moderarci, per rallentarci, perché rallentati siamo più efficienti a far esplodere i nuclei di uranio duecentotrentacinque, ci mettiamo più tempo a penetrare fin nelle loro viscere e li scombussoliamo per bene, fino a distruggerli. Certo, l'acqua serve anche a raffreddare i bollenti spiriti delle pellet di uranio, a ridurre la loro temperatura, a raffreddarli, a sottrarre loro calore per acquisire l'entalpia necessaria a svolgere il suo sporco lavoro là fuori, in sala macchine, ma sta lì pure per farsi urtare. Così abbiamo perso rapidamente la nostra forza, la nostra velocità. E non è tutto, purtroppo. La velocità ridotta, man mano che calava, ci ha danneggiato alla grande, ci è costata perdite numerose, ci ha fatto decimare. A queste velocità intermedie i nuclei di uranio duecentotrentotto colpiti non potevano esplodere, ma si divertivano a catturarci, rimanevamo imbrigliati, avviluppati, senza possibilità di sfuggire, persi per sempre, morti. Queste morti per la verità un senso ce l'hanno a ben guardare, le chiamerei morti mezze buone e mezze cattive. Mezze cattive perché ci hanno decimato, ma mezze buone perché il fottuto uranio duecentotrentotto grazie ad esse si converte in plutonio, che poi si comporta come uranio duecentotrentacinque. Ma intanto la cattura ci è costata ben il 20% di perdite, quindi il gruppo νεPf si è ristretto ulteriormente a 1,74 elementi, gruppo che ha optato per il nickname νεPfp. E abbiamo continuato ad avanzare, sbattendo da tutte le parti, fino ad arrivare a velocità di appena qualche migliaio di metri al secondo, velocità comune a quella di agitazione termica dell'acqua. La cosa incredibile è che durante tutto questo processo, questa avventura, ci siamo mossi mediamente di un misero cinque-sei centimetri. E quello che è sembrato a noi un'eternità è durato in realtà un tempo brevissimo, appena un centomillesimo di secondo.
A questo punto, piovendo sul bagnato, alcuni di noi sono riusciti non si sa come a sfuggire dal sistema, perdendosi in qualche oscuro recesso, morti e sepolti. Circa il 13,9%, intaccando ulteriormente il già esiguo gruppo νεPfp, che è sceso a 1,50, glorioso misero gruppo νεPfpPt. Abbiamo cominciato quindi a muoverci a velocità termica continuando a sbattere da tutte le parti, soprattutto contro i nuclei dell'acqua. Ma l'odiosa massa d'acqua, il maledetto monossido di diidrogeno, dopo averci rallentato ci massacrava, ci ammazzava, ci assorbiva. Alle ormai basse velocità l'acqua si divertiva a catturarci, inglobandoci nei suoi nuclei. A completare l'opera c'erano i veleni, boro, gadolinio o cadmio, infidamente inseriti nelle barre di controllo o dispersi nell'acqua, oppure accumulatesi a partire dai prodotti di fissione, xeno e samario. Tutti questi veleni, ancora più efficienti dell'acqua, ci catturavano inesorabilmente, golosi di noi, leccandosi i baffi. Maledetti. E così, tra acqua e veleni, abbiamo perso un altro 20% circa dei nostri, riducendoci ad un irrisorio 1,20, gruppo al quale abbiamo dato il nome di νεPfpPtf. Il passaggio statistico della consistenza del gruppo da una media di 1,50 a una di 1,20 non rende bene l'idea delle nostre perdite. Per essere più espliciti, è bene riflettere che una media di 1,50 significa che in ogni dieci gruppi una metà era costituita da uno solo di noi e l'altra metà da due. Una media di 1,20 significa che in ogni dieci gruppi quelli costituiti da due di noi erano rimasti appena due. Questa seconda parte della mia avventura, della nostra avventura, zigzagando tra acqua e veleni a bassa velocità, è stata più lunga della prima, circa un decimillesimo di secondo. Un tempo enorme per noi, senza fine. Vissuto pericolosamente e dolorosamente, vedendo venir meno molti di noi, amici e fratelli. Un tempo durante il quale siamo riusciti a muoverci appena di due-tre centimetri.
Ecco, sono giunto all'epilogo del mio racconto. Io sono uno del gruppo νεPfpPtf, uno degli 1,20, sopravvissuto all'inferno e alla decimazione. Sopravvissuto? Solo il tempo di scrivere questi miei ricordi da lasciare ai posteri. So che il mio destino, quello comune a tutto il gruppo νεPfpPtf, è segnato. Non ci facciamo illusioni. Fra un istante dobbiamo colpire i nuclei di uranio duecentotrentacinque. È la nostra missione. L'esito finale del disegno che è stato stabilito. Non c'è scampo. E siamo in fondo fortunati e felici che sia stato permesso dal caso che fossimo proprio noi e non gli altri a portare a termine la missione. Un ultimo ostacolo. Purtroppo, qualcuno di noi sarà solo catturato, insipida morte, vana. Solo l'83,5% di noi, percentuale che nel nostro gergo è detta σ_f/σ_c, quindi il gruppo νεPfpPtfσ_f/σ_c, anche chiamato ηεPfpPtf o sinteticamente gruppo K, sarà destinato a far esplodere l'uranio duecentotrentacinque. Uno solo. L'obiettivo fissato è appunto K uguale a uno. Solo io. È l'ora. Missione compiuta. E si ricomincia.

Luigi Arcari

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