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Autore: Luigi Arcari
Un'ombra che cammina
Romanzo
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Un'ombra che cammina
Dodici.

Erano tutti lì fuori, nel cortile. C'erano anche quelli del liceo classico, che per solidarietà si erano rifiutati di entrare. Arrivati verso le otto, come ogni mattina, c'era stata la novità della scuola non agibile. Ogni altro ingresso della scuola era chiuso, tranne quello principale, che invece era aperto ma presidiato da uno dei bidelli. Si era diffusa la voce che si trattasse di un atto vandalico, che durante la notte qualcuno fosse entrato e avesse fatto un casino. Dentro la scuola c'erano i carabinieri, arrivati con un'alfetta, che stava ora parcheggiata presso il bar, entrata nel cortile dal varco mobile per il carico e scarico merci. Anche i professori erano per lo più fuori, tra loro o mescolati con gli studenti. Tutti, più o meno coinvolti, stazionavano pigramente in capannelli di dimensione variabile. Alla sorpresa era subentrata la curiosità, poi il commento e quindi l'attesa che qualcuno dicesse loro qualcosa di certo. Inutile dire che molti, indifferenti del cosa e del perché, si godevano il diversivo, che aveva portato una non prevista e piacevole giornata di assenza di lezioni. A tenere banco tra gli argomenti generalisti era naturalmente il calcio, con l'interminabile analisi del recente 2-2 tra Atalanta e Roma, in casa dell'Atalanta. La Roma, in vantaggio di due a zero dopo venti minuti di gioco, si era fatta rimontare i due goal alla fine del primo tempo e a tre minuti dalla fine della partita. Seguiva a ruota l'argomento donne. Un'esigua minoranza di quasi intellettuali discuteva della condanna a morte pronunciata da Khomeini nei confronti dello scrittore Rushdie. L'alternativa, per questi analisti del settore esteri, era il ritiro dell'esercito sovietico dall'Afghanistan. La curiosità e il commento riguardo alla scuola si incentravano sul tipo di vandalismo che poteva esserci stato. Si ipotizzavano scritte a valanga, di carattere variabile dall'osceno, al politico e allo sportivo. Ognuno ricordava una scritta particolare che l'aveva particolarmente colpito. Altra ipotesi credibile, che sembrava essere stata confermata dal bidello all'entrata, era che tutta la scuola fosse stata allagata. C'era chi era certo avessero distrutto tutti i bagni, e a ragione, perché davvero indecenti. All'improvviso, erano circa le dieci ormai, un brigadiere e due carabinieri apparvero nell'ingresso, accompagnati dal preside. Stettero ancora qualche minuto a parlare, poi rientrarono in macchina e andarono via, tra la folla degli studenti che si apriva per fare loro strada. Il preside si fece dare un megafono e, accompagnato dal suo vice, si portò nel prato al centro del cortile. Si fece silenzio.
- Ragazzi, è successo purtroppo un fatto grave e increscioso, che costringerà la scuola a restare chiusa per oggi, per effettuare i lavoro necessari. Questa notte dei vandali sono entrati a scuola, rompendo la catena del cancello e forzando la porta d'ingresso. Hanno preso gli idranti e li hanno srotolati lungo i corridoi, in ogni piano, poi nella sala conferenze e nella palestra. Hanno poi scaricato gli estintori spargendo schiuma antincendio ovunque.
Mormorii e risate contenute si diffusero tra la folla di studenti, che trovavano comunque la cosa se non divertente almeno spiritosa.
- Mi riesce difficile pensare, - Continuò il preside, alzando ancora il volume del megafono. - che si siano volontariamente voluti limitare a questo, per quanto sgradevole. Evidentemente, se non hanno danneggiato altri beni ed evitato di lasciare scritte sui muri, devono aver avuto qualche imprevisto che li ha fatti interrompere l'azione e scappare. Purtroppo viviamo anni di puro squallore, con comportamenti senza più neanche la motivazione degli eccessi dell'impegno ideologico e politico. Sono invece eccessi dettati dalla superficialità e dalla leggerezza. Sono derive nichiliste ed esibizioniste che riflettono i nuovi stili di vita improntati al disimpegno, al divertimento, al narcisismo. All'essere si va sostituendo il sembrare, l'apparire, l'esteriorità. Si dà ormai priorità all'effimero più che alla sostanza.
Alla folla, ormai informata, alla giusta condanna dell'atto vandalico parve ormai sovrapporsi nelle parole del preside l'intento pedagogico della lezioncina morale. Motivo per cui cominciarono i mugugni di disapprovazione, movimenti agitati e qualche fischio più lontano di incerta origine. Il preside prese consapevolezza della cosa, da filosofo pragmatico qual era. Ritenne sufficiente aver lanciato il sasso. Concluse quindi con qualche informazione di servizio ed un doveroso monito.
- Contiamo di ripristinare l'agibilità della scuola entro oggi, risistemando l'operatività di idranti ed estintori. I carabinieri hanno eseguito i sopralluoghi opportuni e procederanno con severe indagini per rintracciare i colpevoli. Voglio anche dirvi che io personalmente, e con me tutto il corpo docente, siamo assolutamente sicuri dell'estraneità di ognuno di voi a questo deplorevole gesto, convinti che voi riteniate insieme a tutti noi che la scuola sia la nostra casa comune, da trattare con cura e rispetto, come le nostre proprie case.
Qualche applauso si levò dai presenti, alcuni di approvazione, altri di sollievo per la fine del discorso. Un po' tutti cominciarono ad andarsene, in gruppi o da soli, a godersi il giorno di libertà. Maurizio ciondolava ai bordi di un gruppo vicino all'ingresso. Il bidello lasciato a guardia della porta stava spazzando e armeggiava con qualcosa. Borbottava con una collega all'interno.
- Non ho capito ancora chi ha lasciato qui questo coso e da dove proviene. Stamattina era qui fuori e sono sicuro che ieri, quando ho chiuso, non c'era.
Maurizio, incuriosito, si avvicinò al bidello, col quale quasi cinque anni di vicinanza avevano instaurato confidenza e complicità. Pugliese di origine, Lorusso Carmine era tifoso del Foggia, squadra di cui tutti ignoravano se non proprio l'esistenza la benché minima informazione rilevante. Era rimasto sorpreso già anni prima quando Maurizio, neoacquisto della scuola, aveva dimostrato una ottima conoscenza su campionato di appartenenza, proprietà, allenatori e giocatori, in particolare di Delio Rossi, centrocampista della squadra. Allora la squadra militava in C1, dopo lo retrocessione di due anni prima, che ancora bruciava. Ma il campionato in corso sembrava quello buono per ritornare in serie B e i due, Maurizio e Lorusso, ne commentavano periodicamente gli avanzamenti.
- Che ti succede, Carmine? Parli da solo ora? Preoccupato per la partita di marzo in trasferta a Pesaro?
- Figurati. Quelli ce li mangiamo in un solo boccone. No, stavo parlando di chi ha lasciato questo barattolo. L'ho trovato qui fuori stamattina. È un barattolo vuoto, in cui c'era della vernice rossa. Vedi? È tutta incrostata. Ma qui in giro nessuno ha usato vernice rossa.
Nella testa di Maurizio ci fu uno sprazzo simile ad un corto circuito. Rispose qualcosa di vago a Carmine e si allontanò, in cerca di Manina. Lo trovò che chiacchierava con Simone e altri due ragazzi della scuola. Lo tirò da parte con una scusa.
- “Risalire a noi è praticamente impossibile.” vero? Vi hanno trovato, porcaccia la miseria!
- Ma di che parli? - Rispose Manina, cadendo dalle nuvole. - Chi ha trovato chi?
- I laziali. Ecco chi. Quelli ai quali avete fatto lo scherzetto del campo da calcio. - Fece Maurizio con rabbia, più verso l'amico che verso i laziali. - Sono stati loro a combinare il casino qui a scuola.
- I laziali! Ma che dici? Che c'entrano quelli del campo da calcio con la scuola? Ti sta dando di volta il cervello?
Pazientemente, ma palesemente alterato, Maurizio cominciò a raccontare del ritrovamento del barattolo di vernice rossa davanti l'ingresso della scuola, prova inequivocabile, a suo dire, del fatto che a commettere l'atto vandalico erano stati i laziali. Avevano voluto firmare con uno dei barattoli vuoti che loro avevano lasciato sul campo da calcio dopo aver fatto la scritta. Manina, seppure a malincuore, dovette convenire che l'altro avesse ragione. Naturalmente, fu un rapido passaparola. Nel giro di meno di mezz'ora i cinque del commando erano stati informati, entro l'ora successiva tutti i partecipanti all'estrazione a sorte ne erano a conoscenza, subito dopo pranzo la cosa era ormai nota a tutti i ragazzi della scuola. L'imperativo era non farne parola con i professori, il preside e men che meno con i carabinieri. Le reazioni erano molteplici. C'era la grande maggioranza degli studenti del liceo che dava degli stronzi al gruppo dei romanisti che aveva ideato e compiuto l'azione contro i laziali, la conseguenza della quale era stato un danno a tutta la scuola. Una frazione riteneva che fossero state fatte due goliardate, più o meno divertenti, ormai da archiviare e non pensarci più. Una parte minoritaria pensava che solo l'operazione dei romanisti fosse stata una goliardata, ma quella dei laziali una vera e propria ritorsione, un atto vandalico indiscriminato contro chi non c'entrava niente, di gran lunga più pesante. Gli ultras romanisti erano essi stessi divisi tra chi era comunque soddisfatto di come erano andate le cose, perché la loro azione era stata di gran lunga più simbolica rispetto alla banale delinquenza dei laziali, chi riteneva invece di dover rispondere alla sfida, questa volta coinvolgendo tutto il liceo. In generale, un po' di nervosismo cominciò a serpeggiare, dietro l'interrogativo se la cosa fosse finita lì, pari e patta, oppure qualcuno si riteneva ancora in credito. In particolare, i cinque attivisti, pur conservando una baldanza esteriore, ritennero opportuno assumere un profilo più basso e discreto.

Luigi Arcari

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