A taste of Death – Assaggio di morte
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Matthew Sean Doherty, figlio di Luke, ingegnere chimico che si era occupato di biotecnologie alla H.M. di Saint Louis nel Missouri, è laureato in psichiatria ed è considerato un genio, estroverso all'occorrenza, nell'ambito della medicina applicata. Nonostante sia considerato da più parti un misantropo, riesce ad avere, soprattutto con i suoi assistenti, un intenso e cordiale rapporto professionale. È comunque apprezzato nel mondo della medicina grazie ai suoi studi sui visori VR che permettono di effettuare alcune diagnosi direttamente da remoto. Questi visori cominciano a essere utilizzati in camera operatoria per interventi alle vertebre, in quanto aiutano i chirurghi a non commettere errori. Ben conosciuto sia in ambito lavorativo sia al di fuori dello stesso, è considerato come una persona rispettata e importante, amante degli animali, apparentemente amico di tanti ma con un odio viscerale verso l'uomo. Non sopporta ciò che è capace di fare il suo simile, il quale tradisce la terra e uccide gli animali. Cova un odio spropositato nei confronti dell'essere umano ma non appartiene ad alcun gruppo di animalisti o ambientalisti. Prova più compassione per gli animali maltrattati e uccisi che per gli umani vittime di qualsiasi tipo di violenza. Odia, senza alcuna giustificazione politica o religiosa, gli uomini capaci di sgozzare il nemico, lapidare adultere durante l'intervallo di una partita di calcio, condurre carri armati che schiacciano donne e bambini, che si fanno esplodere nei centri commerciali o nei mercati affollati. Ama in modo viscerale gli animali indifesi e prova quasi piacere per gli esseri umani che vengono sterminati. In Europa, aveva visitato numerosi musei delle torture a Triora, a Castel Taufers e San Marino in Italia, ad Amsterdam, Parigi e Londra, studiando i banchi di stiramento, le sedie inquisitorie, le cinture di castità, le - maschere della vergogna - che i peccatori dovevano indossare in pubblico, le forcelle dell'eretico e i ragni spagnoli. Rimase folgorato da una citazione di Pietro Verri in - Osservazioni sulla tortura - del 1776: “La tortura non è un mezzo per iscoprire la verità, ma è un invito ad accusarsi reo egualmente il reo che è innocente; onde è un mezzo per confondere la verità, non mai per iscoprirla.” Trascorre intere nottate a guardare tutti i documentari che parlano di torture e guerre, soffermandosi in particolare su punizioni e violenze corporali. Sono di suo estremo interesse le varie modalità di rapporto tra uomo e animale, particolarmente in uso nelle culture non occidentali. Gli era stato raccontato un fatto accaduto in Bangladesh, dove un anziano contadino aveva ucciso a morsi un cane che si era preso la briga di aggredire il suo cagnolino. L'uomo di nome Rabindra, svegliato dai guaiti del piccolo e per lui affettuoso animale, aveva prima tentato di allontanare l'aggressore lanciandogli contro alcuni grossi frutti del kathal (l'albero del pane), quindi si era avventato sull'animale, mordendolo al collo e uccidendolo. “I due si sono rotolati per terra e hanno lottato per quasi dieci minuti,” gli aveva rivelato il suo interlocutore. Rabindra aveva riportato profonde ferite alle braccia, per cui era stato ricoverato in ospedale. Il cucciolo era sopravvissuto. Matthew non riesce a capire come, in uno stesso individuo, l'amore per un animale possa portare a ucciderne un altro, solo per amore, oppure per un tremendo bisogno di amore. Nell'eterno rapporto conflittuale tra l'uomo e il suo simile, immagina le scene e il piacere crudele che provavano gli aguzzini durante le interminabili ore di appello mattutino nel campo di Buchenwald dove al freddo intenso, soprattutto nei mesi invernali, ciascun deportato era costretto a riflettere sulla frase - JEDEM DAS SEINE - (A ciascuno il suo), la scritta forgiata in ferro che sovrasta il cancello d'ingresso al campo. Per non parlare della guerra in Iraq e in Afghanistan dove al suo amico Humphrey delle forze speciali, avevano modificato l'allenamento militare per annientare l'umana repulsione ad ammazzare e portarlo a una risposta istintiva e automatica nel premere il grilletto senza esitazione. Solo così erano riusciti a fare in modo che la stragrande maggioranza dei soldati uccidesse senza pensare. Ma ancora non era stato perfezionato il metodo per zittire gli echi che più tardi avrebbero risuonato violentemente nelle coscienze sia dopo ogni combattimento, sia al momento del reintegro nella vita normale con lunghe pause per riflettere. Da qui, il conseguente inizio degli incubi della vergogna che l'alcol e le droghe non sarebbero riusciti a mitigare. E quando non c'è modo per scaricare la rabbia accumulata, si finisce per cercare la rissa in un bar o si prendono a botte moglie e figli. La violenza e la morte erano il loro mestiere ma spesso la coscienza si poteva rivelare più forte di un qualunque allenamento e di tutte le convincenti argomentazioni a favore della guerra: onore, dovere e patria. Alcuni di loro, quando si rendevano conto della distruzione che provocavano ovunque andassero a combattere, dei commilitoni che si dissanguavano a causa di una granata del nemico, dei civili coinvolti, si chiedevano per quale motivo stessero combattendo, occupando un paese e causando la sofferenza di persone uguali a loro. Che cosa sarebbe successo se le truppe di invasori fossero entrate con i carri armati nel loro quartiere, avessero distrutto le case e spappolato con i cingoli i corpi dei loro figli e delle loro mogli in fuga lungo le strade? Un particolare molto importante: Matthew è stato violentato nella prima adolescenza e da quel momento ha sempre considerato l'uomo come un essere negativo, egoista, cattivo, arrivista, diverso dagli animali che immagina permeati da un amore vero e sincero tanto che, fin dall'inizio degli studi universitari, ha sempre avuto al suo fianco cani e gatti. Matthew vuole però farsi del male. Sente il bisogno viscerale di assistere a un combattimento di cani. Esperienza mai vissuta. S'informa e arriva al dunque. Riesce a sapere, attraverso la soffiata ricevuta da un allibratore al fotografo Oliver, un suo conoscente che collabora con quotidiani e periodici locali, che ce ne sarebbe stato uno il primo giovedì del mese successivo a Lafayette. “Per eludere i controlli della polizia, i combattimenti tra cani hanno luogo in località sempre diverse.” Lo aveva assicurato Oliver. “Puoi stare tranquillo perché gli agenti di polizia solitamente non intervengono, dal momento che hanno ben altro da fare, anche se sanno benissimo che questi incontri costituiscono un'ottima occasione per scommesse, ubriacature, prostituzione, narcotraffico e violenti risse.” Avrebbe fatto parte della spedizione anche Johanna, giornalista di un quotidiano di New Orleans, che sarebbe passata inosservata, in quanto Lafayette dista ben 250 miglia da New Orleans. Quindi, una giornalista e un fotografo sarebbero stati disposti a scortarlo per assistere a quel truce spettacolo. Matthew aveva saputo che non tutti i proprietari dei cani da combattimento sono delinquenti negativi. Alcuni sono ragazzi neri o immigrati latini senza lavoro che cercano di guadagnarsi da vivere con i loro campioni attraverso il meccanismo delle percentuali sulle scommesse. Il divertimento clandestino è talmente sanguinario che Matthew quasi vomitò quando gli furono mostrati il video di un incontro e alcune fotografie di cani moribondi con le viscere strappate a morsi. “José Serrano e un altro ragazzo della sua età possiedono un promettente mastino di quarantacinque chili,” continua Oliver fornendo a Matthew più informazioni possibili inerenti l'incontro che sarebbero andati a vedere “un bastardo di rottweiler, cresciuto a carne cruda, senza contatti con altri animali né l'affetto di un padrone, che allenano imponendogli di correre per ore, finché le zampe non lo reggono più, aizzandolo e facendolo impazzire con droghe e peperoncino piccante nel retto. Più l'animale soffre, più diventa feroce. I suoi padroni si recano nei quartieri più poveri di Alexandria, Lafayette e Baton Rouge, dove ci sono molti cani randagi. Legano una femmina in calore a un albero e aspettano che, attratti dall'odore, si avvicinino i maschi di strada; allora li catturano con una rete, li buttano nel bagagliaio di una macchina e se li portano via per usarli come sparring del rottweiler.” Quel giovedì il tempo è nuvoloso e, pur essendo solo le otto di sera, sembra già notte fonda quando Matthew e i suoi amici raggiungono la zona industriale. Vicino a un vecchio deposito di materiali da costruzione, in disuso da diversi anni, scorgono alcune macchine parcheggiate lungo la strada. All'interno di una sorta di hangar, in un'atmosfera densa di urla, fumo di sigarette, latrati e odore di sudore, sangue ed escrementi, scorgono pile di mattoni e sbarre di ferro ritorte. Era stata improvvisata un'arena di circa tre iarde per tre, con una palizzata in legno di circa una iarda e mezza di altezza, per separare il pubblico dagli animali inferociti. Per evitare ai cani di scivolare, una moquette dozzinale e insanguinata quanto il legno del recinto, ricopre il suolo del quadrilatero. Chiusi in gabbia o legati con delle catene, diversi cani che non hanno ancora partecipato ai combattimenti attendono il loro turno; per terra, a un'estremità del deposito, due animali sconfitti sono in agonia. Dando una leggera gomitata a Matthew, Oliver bisbiglia: “Guarda in fondo a destra, sotto la vetrata. Vedi quei due? Quello col cappellino è Serrano mentre quello di colore è il suo socio. Il rottweiler è vicino a loro. Quel cane ha vinto numerosi combattimenti che gli hanno lasciato cicatrici ben visibili sulla testa e lungo la schiena. Deve ancora combattere.” Matthew ha visto fin troppo. Gli sono bastati cinque minuti per capire l'efferatezza di quegli uomini: i proprietari dei cani, gli scommettitori e il pubblico che urla e gode nel vedere tali atrocità. Tutti con lo stesso obiettivo: incitare le bestie affinché una prevalga uccidendo quella concorrente. Il Professore scappa di corsa, seguito dai suoi amici che, pur avendo compreso la sua sensibilità, non volevano comunque perdersi la fine di un combattimento. Almeno riuscire a vedere come se la sarebbe cavata il rottweiler di José Serrano.
Daniele Ossola
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