Da un'intuizione alla nascita di un prodotto tipico.
27 giugno 2013 Oggi giornata strana. Sono entrato in un piccolo negozio per consegnare i prodotti e la titolare era girata di spalle, intenta a sistemare la merce nel frigo. Mi sono bloccato... sembravi tu mamma, gli stessi capelli, lo stesso modo di muoversi. Per un istante ho creduto davvero che fossi tu e mi sono goduto quel ritaglio di felicità per poi tornare nell'orrenda realtà. “Buongiorno signora, devo consegnarle la merce”.
Mio fratello Andrea scrisse una poesia dedicata a lei in dialetto anconetano
Mà, oggi so ‘ndato su en cima al colle Guasco, da San Ceriago. Jo fatu j'unori e po', con tuto el rispetu, jo datu le spale... de là, verzu el Cardetu. Oh, prò ce so ‘ndato de note, dopo el tramonto. Se vede un ragio de luce, è el faro novo! Te ricordi abitami lì de soto? El campo dej ebrei? Te ricordi che ce giogavi da fioleta? Se guardo con più attenziò c'è anche el faro vechio. Da sta pusiziò pare proprio che el ragio de luce se smorcia a passaje davanti. Cume per rispeto, cume a dije... Mà, m'hai lasciato qui da per me. Adè, sta tranquilla, riposate chè te vojo bè un bel po'. Ciao Mà.. Tu fiolo Andrea
CAP. 4
“Gradisce?" Una voce maschile dal forte timbro mi distoglie dai miei ricordi riportandomi bruscamente alla realtà Prendo tra le mani il calice con la bevanda ricca di bollicine e, quando lo avvicino al naso, dalle percezioni olfattive delicatamente fruttate, in particolare il profumo della mela, riconosco il verdicchio della zona di Jesi. Porto il calice alle labbra e sento il suo inconfondibile sapore fine con un leggero retrogusto amarognolo. È simile al vino che produceva nonno Gigio nella cantina di Montefano, un meraviglioso paese in provincia di Macerata immerso nelle colline marchigiane. Spesso da bambino trascorrevo con mio fratello il fine settimana nell' appartamento dei nonni paterni situato al quarto piano di una casa popolare poco fuori dal paese. Ricordo un gran calore in quella piccola casa, nonostante ci fosse solo un camino a riscaldare l'ambiente. Di sera, per intiepidire le lenzuola fredde, mia nonna nascondeva uno strano oggetto sotto le coperte. “Voi andatevi a lavare i denti. Io intanto vado a mettere lo prete”, diceva ogni sera nonna Assunta. Mi chiedevo quale strana magia nascondesse quell'arnese dal nome così particolare, ma di qualunque cosa si trattasse era in grado di rendere il letto caldo e accogliente. Quando mi coricavo mi sentivo protetto, avvolto nel tepore delle lenzuola scaldate e sprofondavo nel materasso morbido, che nonna Assunta aveva riempito di lana. Quando di notte andavo in bagno trovavo sempre un coniglio o una gallina che mia nonna accoglieva in casa. Nei lunghi e freddi pomeriggi autunnali, spesso veniva a trovarla una sua amica. Mi incantavo a osservare le loro abili mani che tenevano tra le dita dei lunghi aghi per riempire i materassi con lana di pecora, mentre chiacchieravano sedute sulle dure sedie di paglia della cucina. Nelle mie fantasie di bambino pensavo che nonna Assunta fosse una specie di fata capace di fare delle incredibili magie con i suoi arnesi dai poteri straordinari in grado di rendere ogni cosa estremamente piacevole. Quando mi svegliavo, come sempre nel più assoluto silenzio, mi attendeva la colazione con l'uovo sbattuto di gallina che secondo nonna Assunta serviva a darmi energia. Ero avvolto dal piacevole odore del sugo che bolliva lento sulla stufa, i cui ingredienti ancora oggi sono per me un mistero. Spesso mi sono chiesto quale fosse la ricetta del sugo di nonna Assunta, ho tentato ripetutamente di realizzare una simile prelibatezza ma senza successo. Quando sento qualche odore che si avvicina al profumo del suo sugo si accende l'interruttore dei miei ricordi e mi sento avvolto da una sensazione di protezione e di sicurezza. Quando arrivava la primavera i miei weekend dai nonni erano diversi. Amavo giocare con i ragazzini del paese nel grande parco che chiamavano “la bora” perché la zona era molto esposta al vento proveniente dal nord. Spesso la domenica ci riunivamo intorno a lunghe tavolate dove mia nonna non finiva mai di servire succulenti pietanze portate a cuocere al forno del paese. Non mancavano le verdure arrosto, i grissini fatti in casa, i vincisgrassi marchigiani e il pollo ruspante arrosto con le patate. Dopo pranzo i nonni erano soliti riposare e io amavo osservare dalla finestra le rondini che arrivavano a stormi per posarsi sulla grondaia della casa. Mi chiedevo da dove venissero, se fossero frutto di una delle tante magie della nonna e mi incantavo a guardare quei volatili dal ventre bianco, così piccoli e agili, pronti ad accendere la bella stagione e che ci facevano compagnia fino all'autunno, quando giungeva il momento della vendemmia. Oltre a essere titolare di una piccola impresa edile, mio nonno lavorava in una cantina sociale di fronte alla sua casa e quando a fine estate arrivava il momento della vendemmia mi portava con lui, mentre mi raccontava aneddoti sull'orrore della guerra in Etiopia che aveva dovuto affrontare da giovane. La vendemmia è stata una delle esperienze più belle della mia infanzia. Anche noi bambini tagliavamo i grappoli succosi e riempivamo grandi cesti che poi venivano portati nella cantina, dove erano inseriti nella macchina diraspatrice per separare i chicchi d'uva dai raspi, i piccoli rametti che tengono il frutto unito alla pianta. Si passava poi alla pigiatura e il succo che ne derivava, il mosto, veniva lasciato per alcuni giorni nelle tini di legno prima di diventare vino attraverso la magia della fermentazione. Finita la vendemmia si faceva una grande festa dove ci si riuniva attorno a lunghe tavolate imbandite di cibi profumati e deliziosi. Nonno Gigio mi spiegava che i vini pregiati venivano lasciati anche per anni in piccole botti di rovere chiamate barrique. Quando la vendemmia era finita, giungevano gli agricoltori delle aree vicine con le loro uve per creare vini dal gusto unico. Ero curioso di conoscere le varie specie di uva e mi divertivo ad assaggiarle per comprenderne le differenze. Quando tornavo in città, nella casa di Brecce Bianche, una zona periferica di Ancona, dove mi ero trasferito con la mia famiglia all'età di sei anni, raccontavo la mia esperienza agli amici di quartiere e insieme organizzavamo escursioni nei campi vicini ricchi di vigneti. Il quartiere era ancora in costruzione ed era circondato dalla campagna. Prendevamo d'assalto i raspi chini sotto il peso dei grappoli di uva rossa destinata alla produzione del Rosso Conero. Tornavo a casa con i vestiti completamente sporchi, con enormi chiazze rosse che erano l'incubo di mia madre. Fu in quel periodo che il sapore e l'odore dell'uva mi portarono ad appassionarmi al vino. Quando mio nonno Gigio me ne versava un dito nel bicchiere durante il pranzo domenicale, la mia tenera età mi impediva di apprezzarne il sapore, ma ero totalmente affascinato dalla magia di come un chicco potesse divenire una bevanda tanto gradita dagli adulti. Crescendo la passione per il mondo dei vini è aumentata e, verso i 25 anni, cominciai a studiarli come autodidatta abbonandomi alla rivista “Il mio vino”, scritta con un linguaggio semplice e accessibile a tutti. Visitavo le cantine marchigiane, dove seguivo tutte le fasi della produzione del vino, dalla vendemmia all'imbottigliamento, e dove ho potuto confrontarmi con enologi e produttori. Ciò che cercavo nel vino era il terroir, il rapporto che lega il vitigno al microclima e alla presenza dei minerali nel suolo in cui è coltivato. Ricercavo le tradizioni, il carattere e l'unicità dei vini. Li amavo a tal punto da non smettere mai di informarmi e più aumentavano le informazioni che acquisivo e maggiore era il desiderio di avere una conoscenza approfondita. Ero affascinato dal vitigno autoctono, che possiede uno stretto legame con il territorio nel quale è impiantato e che è utilizzato per la produzione di vino nella zona geografica ritenuta d'origine del vitigno stesso. Grazie all'acquisizione delle tecniche di degustazione e della capacità di riconoscere vini pregiati e di qualità, intrapresi il commercio su e-bay, il sito di vendite che dal 2001 si è diffuso nel nostro paese. Leggevo quotidianamente gli annunci sui giornali alla ricerca di bottiglie di vino a poco prezzo per poi rivenderle a collezionisti. Ricordo che mi recai a Roma in una villa lussuosa vicino Villa Borghese per acquistare un lotto di trecento bottiglie da un professionista benestante. “Porta via tutto e svuota la cantina”, mi disse con tono sbrigativo. Quando arrivai a casa, aprii gli scatoloni uno a uno e, con stupore misto a gioia, mi accorsi che molte bottiglie erano rare e costose, alcune erano addirittura champagne degli anni sessanta e settanta. Riuscii a venderle a un prezzo alto e ad ottenere un ampio margine di guadagno.
Luca Giampaolini
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