Si svegliò, infastidita dai raggi del sole sulle palpebre. Dimenticava sempre di chiudere tutti quanti i buchi della serranda, era uno dei motivi che le faceva odiare di avere il letto così vicino alla finestra. Eppure, le piaceva quando poteva stendersi nelle ore pomeridiane e fissare il cielo dipinto di nuvole. Si perdeva nella contemplazione e chi la vedesse poteva dirla persa in pensieri profondi, ma in realtà non pensava a niente. A niente che non fossero quelle nuvole simili allo zucchero filato. Quel cielo azzurro che assomigliava troppo al mare. Odiava il mare. Lo odiava perché lo aveva amato troppo in passato. Il cellulare squillò e quando lesse il nome sul display, non poté fare a meno di sbuffare. - Pronto? Lucrezia? - . - Ezio, per l'amor del cielo, so di essere in ritardo, ma già telefoni? - partì all'attacco la donna. Il sogno di far carriera le toglieva molto spesso il sonno e ogni assillo da parte di superiori e colleghi diventava un incubo. - Lo so, lo so, ma non è che ci sono solo io in ufficio. Beh, dovranno aspettare. Lo so che sono in ritardo, ma cosa posso fare? Non hanno ancora inventato la macchina del tempo! - . Continuare quell'inutile discussione le dava il mal di testa. - Sì, lo so che è importante arrivare in orario. Sì, lo so che ci faccio una pessima figura. Sì, lo so che ricopro un ruolo importante e che di conseguenza do una cattiva immagine all'azienda. Sì, lo so che il signor Sergio Bianchi ha grandi aspettative su di me. E sì, lo so che è brutto tardare, ma so anche che si farà ancora più tardi se mi tieni al telefono! - . Fu una violenza per lei riattaccare ancor prima che l'altro finisse di parlare, ma sapeva fin troppo bene che a quella paternale non ci sarebbe stata una fine. Tutte le conversazioni con quel suo collega dovevano per forza interrompersi bruscamente, essendo Ezio saccente e fastidiosamente, terribilmente, logorroico. Si preparò in fretta e furia, doccia in due minuti, vestiti già pronti dalla sera prima, una fetta biscottata tra i denti ed era già pronta ad andare. Con una mano guidava la macchina, mentre con l'altra teneva la fetta biscottata, divorandola a grandi morsi. - Potevo anche metterci della marmellata... quell'Ezio sarà la mia rovina! Ma chi si crede di essere? Non è neppure il mio capo - . Seguitò a lamentarsi da sola, finché un pezzetto di cibo non le andò di traverso e per poco non soffocò. Posteggiò davanti a un grande edificio e, prima di scendere dall'auto, si pulì con un fazzoletto le poche briciole rimastele sulle labbra, dopo di che, si diede un'altra passata di rossetto, specchiandosi col retrovisore interno. Quando entrò, fu quasi assalita dai clienti, che uno dopo l'altro entravano e uscivano dal suo ufficio, non dandole un attimo di respiro. Se il suo ufficio chiudeva al pubblico, doveva poi pensare ad altre mansioni affibbiatele dal capo, per non parlare del lavoro arretrato e non mancavano i colleghi dallo scarso rendimento, che avevano sempre bisogno dell'aiuto di chi aveva più esperienza. A fine giornata passò il direttore, che si complimentò per i risultati ottenuti quell'oggi, ma a rovinarle la serata ci pensò Ezio che, intrufolandosi nel suo ufficio, si pose al fianco del direttore. - Lucrezia sa fare il suo lavoro, ma non dimentichiamo che stamattina ha riportato un ritardo di quasi mezz'ora - . - Ma, Ezio, erano solo quindici minuti - . - Solo? Ah, quindi sminuisci il tuo ritardo. Bell'esempio ai nostri colleghi più giovani - . Lucrezia si morse le labbra. Come diavolo faccio a cadere sempre, giornalmente, nei trucchetti infantili del mio collega nullafacente? L'invadenza di Ezio mise in imbarazzo lo stesso direttore, che si limitò a raccomandarle la puntualità. Soddisfatto, Ezio lasciò l'ufficio della collega, dietro al direttore Sergio Bianchi. Grazie tante, Ezio. Farmi concludere la giornata con l'amaro in bocca. Che nullità di uomo... ma che dico, uomo? Parassita! Neanche quello era un appellativo adatto, quantomeno per rispetto agli stessi parassiti che si sarebbero visti messi sullo stesso livello di quell'essere. Ma non ci poteva far niente. Ad Ezio Bianchi, figlio del direttore, nessuno diceva nulla. E dinanzi a quella figura mingherlina, occhialuta e con le guance piene di acne, peggio di un adolescente, e che portava ancora l'apparecchio, colorato come quelli che Lucrezia aveva visto a qualche bambino, si doveva fingere quantomeno un po' di ammirazione e di rispetto. A me, quel tizio fa solo ribrezzo.
Rincasò presto, come spesso faceva negli ultimi tempi, rifiutando gentilmente gli inviti dei colleghi che si riunivano per bere o mangiare. In quel periodo sentiva il corpo distrutto, come se invece di svolgere gli incarichi di ufficio, il suo lavoro fosse quello di sollevare pesanti sacchi di cemento sulla schiena e portarli dove servissero. Si liberò delle scarpe, lasciandosi sfuggire un sospiro sollevato. Perfino quei tacchi bassi erano una tortura. Indossò i pantaloni di una tuta, sentendo insopportabile persino la gonna che le stringeva troppo le gambe. Si liberò del tailleur e della maglia, rimase in canottiera. Con l'estate alle porte, faceva un gran caldo in città. Andò in soggiorno, dove teneva un giradischi. Era una collezionista di vinili fin da adolescente e anche adesso non rinunciava a questa passione. Ascoltare il suono di un vinile, passare dal lato A e a quello B e viceversa le metteva in cuore una particolare nostalgia, un sentimento che non avrebbe potuto avere, poiché cresciuta nell'era dei cd. Eppure non avrebbe saputo descrivere diversamente questo suo sentimento, l'immaginarsi catapultata in un passato mai vissuto, solo ascoltando uno dei tanti dischi della sua vasta collezione. Chissà se in una vita precedente, io sia stata una donna di quel tempo, una ragazza che ogni volta si alzava dal letto per cambiare il lato del disco e riascoltare all'infinito le canzoni che amava. Chissà se in quella mia vita precedente, io sia stata meno stupida di adesso. Mise un disco e sedette. Sull'immagine di copertina, la foto della cantante più amata. Sul bordo una piccola dedica per lei, firmata da “Bastiano”. Già, me l'ha regalato lui. Me lo comprò coi soldi della paghetta. Ascoltò la prima canzone, ma fu la seconda ad arrecargli una tremenda stretta al cuore. “Occhi tristi” di Mia Martini. Gli stessi occhi tristi che Bastiano aveva nel suo sogno. Gli stessi occhi tristi di quel giorno di diversi anni fa, quando lo lasciò e partì per intraprendere gli studi universitari. Queste parole, nella canzone, la affliggevano come tanti pugnali conficcati fin nelle ossa:
Io potevo essere sua. Giorni che ho buttato via Ora certo che vorrei. Come il vento andrei da lui.
Ma i suoi sospiri non potevano tramutarsi in vento e soffiare via i suoi pensieri, che altrimenti lo avrebbero raggiunto, volando fin lì, in Sicilia, in quel paese di mare dove era rimasto, mentre lei partiva per cominciare una nuova vita, pronta a qualsiasi rinuncia. Lui compreso. Quando arrivò il momento di girare il disco, non si alzò. Si sentiva di nuovo pesante, sentiva come un sacco di cemento sulla schiena, che la schiacciava fino a terra. A pesarle era l'anima, colma delle sue frustrazioni, dei suoi pentimenti, di tutti i pianti trattenuti e di quei sogni che il giorno non riusciva a spazzare via e che trovavano rifugio nella parte più vivida della memoria, immagini indimenticabili che la inducevano a una dolorosa nostalgia, quella che si insegue, che si afferra e che sfuma nella realtà di un risveglio. Lucrezia si adagiò completamente sullo schienale della sedia, abbandonandosi a un lungo sospiro. Qualunque sia il suo peso, l'anima non la si può certo buttare a terra, come un sacco di cemento. E il disco girava a vuoto.
Si girava e rigirava nel letto. Sbuffi a non finire, fin quando, con un sospiro, non si arrese all'insonnia. Ma a che serve combatterla? So già che non mi addormenterò. Non gocce di calmanti o sonniferi. L'insonnia andava affrontata a mente lucida, giacché aveva un volto ben definito, labbra carnose incurvate in un sorriso sornione, occhi marroni spesso socchiusi, ma assai penetranti quando sceglievano l'oggetto sul quale posarsi. E quei capelli neri, dal taglio militare, come lei li definiva e chissà se era cambiato quel volto nella realtà. Nella sua immaginazione, Bastiano restava tale e quale all'adolescente con il quale aveva iniziato a far progetti. “La costruzione di un amore”, la cantavano sempre quando sognavano e immaginavano la loro casa, i lavori che avrebbero fatto per andare avanti e il raggiungimento della felicità domestica. Per Bastiano era tutto e anche per lei, fin quando non abbandonò il cantiere e la costruzione di un amore divenne una Torre di Babele incompiuta, cementata di incomprensioni. I primi dubbi li ebbe ascoltando le parole della professoressa Milani, la ricordava come una donna grassoccia, dall'espressione sempre tesa, con un forte strabismo all'occhio destro, la pupilla certe volte sembrava sparire dietro la palpebra. Insegnava letteratura e storia al liceo classico e soleva, spesso e volentieri, interrompere la lezione per dare le sue arcaiche idee in merito all'attualità, per parlare di politica o, come diceva Bastiano, per parlare di come lei vedesse la politica, ammirando personalità che non si erano certo distinte per una grande apertura mentale. Però Lucrezia riteneva che ci fosse una cosa sulla quale la Milani si dimostrasse aperta e saggia e, cioè, sul ruolo delle donne in una società. Sull'importanza per una donna d'avere, ancor prima di un uomo, una carriera. Una carriera piena di soddisfazioni, non un lavoro per campare, quello al quale invece ambiva Bastiano, facendolo presente quando progettava il futuro assieme a lei. Per lui si trattava solo di guadagnare il sufficiente al loro sostentamento e a quello dei figli, quando e se li avessero desiderati. Lui sognava la famiglia e la serenità, mentre lei veniva sempre di più sedotta dalla prospettiva di un futuro glorioso. Partire dal basso, come tutti, ma poi distinguersi, ottenere gradi più alti, che non determinassero solo un mero aumento dello stipendio, ma soprattutto la ricchezza interiore, la soddisfazione e quel senso di importanza che la facesse brillare. Lucrezia cominciò a immaginare un lavoro che avesse bisogno di lei e non il contrario. Le parole della professoressa Milani, nonché i suoi complimenti, le lusinghe, solleticavano di più il senso di vanità e importanza che cominciò a darsi la studentessa. Milani vedeva in lei una ragazza con del potenziale, una donna che doveva per forza far carriera. Quel che Lucrezia non si aspettava era non poter portare avanti due progetti insieme. “Lascialo!” le disse poche settimane prima degli esami di maturità, quando nuovamente Lucrezia si era confidata, dicendosi indecisa se restare accanto al suo ragazzo oppure andare via.
*
- Lascialo! Se lui non ha ambizioni, non può frenare te - . - Le ambizioni ce le ha - chiarì in fretta lei - Ma sono tanto diverse dalle mie - . Il sorriso di scherno della Milani, la ferì. - Ah, sì? E quali sono le ambizioni di quel ragazzo? Avere una casa e una moglie? E dei figli, immagino. Già ti vedo. Una mente brillante come la tua, ridotta a casalinga! - . Lucrezia stava replicando che Bastiano non aveva mai ostacolato il suo desiderio di lavorare, ma la Milani riprese subito la parola. - Senti, ragazza. Ne ho viste fin troppe di giovani come te, di elevata intelligenza, rinunciare a tutto, interrompere gli studi e far le cameriere nel bar sotto casa. E col sorriso, dicono di aver scelto l'amore, che vogliono iniziare a metter da parte i soldi per il matrimonio. E tutto finisce lì! È questa la fine che vuoi fare, Lucrezia Di Dio? - .
Pochi mesi dopo il conseguimento del diploma, Lucrezia aveva lasciato Bastiano.
*
Ma era davvero necessario? Si era messa a sedere sul letto. Tutto ciò accadeva sette anni fa, ma riviveva sempre quelle vicende, come fossero del giorno prima. Bastiano non si era mai detto contrario al mio interesse per l'università. E quante persone instaurano relazioni a distanza? E poi, santo cielo, non sono partita per un'isola deserta! Stette ore a struggersi per come sarebbe potuta andare e per come invece era andata. Non aveva provato a parlarne con lui, lo aveva lasciato e basta, senza dargli spiegazioni, sennò dirgli che desiderava una carriera. E ovviamente Bastiano l'aveva guardata perplesso, perché lui che cosa aveva fatto per impedirle di seguire i suoi sogni? Assolutamente niente! Un innocente condannato ingiustamente. Quante volte tornavo in Sicilia, per trovare la mia famiglia? Era così difficile farlo con lui? E poi, lui poteva venire a stare da me e... ma che sto facendo? È tardi per le soluzioni. Sette anni e ci pensava ancora. Si sentì patetica. Stendendosi sotto le coperte, chiuse gli occhi, mandò al diavolo carriera, la sua mente brillante e pure quell'Ezio che, chissà perché, le era venuto in mente. Mandò al diavolo tutte le sue scelte e, alla fine, sussurrò a sé stessa: - Voglio un uomo - .
Mattia Vanfiori
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