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Autore: Michele Scalini
Athena
Avventura Azione
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Athena
Quando ero una ragazzina e andavo ancora a scuola, ero solita prendere gli avanzi del pranzo per poi consumarli a cena, poiché non sapevo se avrei trovato qualcosa da mangiare una volta tornata a casa.
Alcuni miei compagni ridevano di me quando mi vedevano farlo, mentre altri, quelli che conoscevano la mia situazione, si preoccupavano di darmi i loro avanzi per aiutarmi.
Naturalmente mi faceva piacere ricevere quel piccolo aiuto da quei pochi compagni di scuola, nonostante non lo avessi chiesto.
Troppo spesso rientravo in quella casa senza trovare nessuno ad aspettarmi e con il frigorifero completamente vuoto.
Anche se avessi trovato mia madre, in quel freddo monolocale, l'avrei trovata con lo sguardo rivolto verso il nulla, in silenzio, e sotto gli effetti della droga che la stava distruggendo.
Quindi, non mi dispiaceva trovare quel monolocale vuoto al mio rientro, come non mi preoccupava il fatto che dovevo arrangiarmi meglio che potevo per vivere.
Raggiunti i sedici anni di età e terminato il periodo dell'obbligo all'istruzione, lasciai la scuola per andare a cercare un lavoro che mi garantisse uno stipendio per vivere.
Speranzosa di trovare qualcosa che facesse al caso mio, mi armai di coraggio e andai a chiedere un lavoro ovunque nel quartiere in cui vivevo.
Entrai in ogni negozio o tavola calda che incontravo lungo la mia strada per proporre, ai proprietari di quelle attività, la mia candidatura e disponibilità al lavoro, presentando anche il diploma della scuola.
Purtroppo per me, tutto quel coraggio, con cui mi ero armata per quella ricerca, non servì proprio a nulla.
Ovunque fossi andata trovai la porta sbarrata.
Nessuno era intenzionato ad offrirmi un lavoro.
Quello fu un periodo difficile per me.
Fu talmente difficile che mi fece perdere ogni speranza di avere una vita migliore di quella che avevo vissuto negli ultimi anni.
Cresciuta senza genitori su cui fare affidamento, mi ritrovai in un mondo che diveniva ogni giorno più complesso e invivibile, senza una speranza di riuscire a farcela.
Ero disperata e non sapevo proprio come fare.
Un giorno, dopo aver perso tempo nel cercare un dannato lavoro, me ne andai al parco nel tentativo di raccogliere le idee in modo da trovare una soluzione.
Ero completamente immersa in quei pensieri che mi passavano per la testa, quando notai due coetanei che stavano parlando tra loro poco lontani da me.
Incuriosita dal loro comportamento e dal loro colloquiare, voltai lo sguardo verso di loro.
Li osservai con attenzione e notai che uno dei due stava mostrando degli oggetti all'altro che li ammirava con interesse strofinandosi le mani.
Tenni lo sguardo fisso su di loro, prestando attenzione che non si accorgessero di quello che stavo facendo, quando sentii uno dei due dire che quella roba gli avrebbe fruttato parecchi soldi.
Non impiegai molto tempo nel capire che quei due ragazzi avevano rubato quella roba e stavano pensando di venderla da qualche parte, magari ad uno dei tanti rigattieri che si trovavano nel quartiere in cui vivevo.
- Magari... se ci riescono loro - borbottai mentre osservavo quei due - Sempre meglio che niente. -
Distolsi lo sguardo da quei ragazzi per poi abbassarlo verso il terreno sotto ai piedi, mentre riflettevo su quell'idea che mi avevano suggerito quei due ragazzi.
Considerando le scarse possibilità che avevo di trovare un lavoro, decisi che dedicarmi ai furti era l'unica cosa da fare, almeno finché non avessi trovato qualcosa.
Così, abbandonai la panchina su cui sedevo e lasciai quel parco per tornare a casa.
Arrivata a casa, mi fiondai in camera da letto per andare a prendere una giacca dall'armadio.
Appesi quella giacca ad un mobile e mi esercitai per qualche giorno ad infilare le mani nelle sue tasche senza scuoterla.
Mi esercitai con molto impegno con quella giacca, senza sosta, e quando raggiunsi il risultato di infilare le mani nelle tasche senza scuoterla, andai in strada per mettere in pratica ciò che avevo imparato in quel periodo.
All'inizio della mia carriera da ladra, venivo scoperta in poco tempo e dovevo scappare per non farmi prendere dalla vittima del momento.
Ma col tempo divenni piuttosto brava e quella gente non riusciva nemmeno ad accorgersi di me che rovistavo all'interno delle loro tasche o delle loro borse, mentre li affiancavo per la strada.
Comunque, con quei piccoli furti riuscivo a tenermi a galla, ricavando del denaro che mi serviva per riempire lo stomaco e per pagare l'affitto.
Naturalmente, dovevo evitare di parlare a mia madre di quei soldi e del modo con cui riuscivo a procurarmeli, altrimenti li avrebbe presi per poi usarli per comprarsi la droga.
Ma per mia fortuna, lei passava poco tempo in casa e quando si trovava con me era troppo sballata da quella droga che aveva in corpo per dedicarsi ad una sana conversazione con sua figlia.
Continuai a dedicarmi a quei furti e a condurre quella vita da perfetta emarginata fino a raggiungere i diciotto anni di età.
Le cose stavano andando piuttosto bene, insomma, avevo poco da lamentarmi visto che quei furti mi permettevano di sopravvivere.
Quel periodo vedevo raramente mia madre.
Alcune volte mancava da casa per intere settimane ed io non davo più peso alla sua assenza.
Quella donna trascorreva più tempo nel letto del primo spacciatore che incontrava per la strada che in casa sua con sua figlia.
Arrivai alla conclusione che quella sua scelta era la cosa migliore per entrambe, soprattutto per me perché mi evitava di assistere a quella sua fase distruttiva che non la voleva abbandonare.
In certi momenti, quanto rientravo a casa, prima di aprire la porta per entrare, speravo con tutta me stessa di non trovarla all'interno, mentre in altri momenti neanche mi chiedevo se l'avessi trovata.
Aprivo quella porta nella totale indifferenza, senza illudermi troppo di trovarla ad aspettarmi.
Ma in fondo cosa avrei potuto fare?
Anche se quella donna fosse stata in casa, non sarebbe cambiato niente.
Mi avrebbe ignorata per tutto il tempo per rimanere in quel mondo che generava la droga nel suo cervello.
Per qualche tempo, tornò l'idea di trovarmi un lavoro onesto per abbandonare la strada e vivere in modo meno rischioso.
Ma quando tentai di darmi da fare, non riuscii a trovare una porta aperta, proprio come accadde quando lasciai la scuola.
Trovare un lavoro non era facile a causa della sovrappopolazione, della crisi economica che stava attraversando il mondo intero, e di quei dannati droidi che stavano prendendo campo ovunque riducendo la richiesta di manodopera umana.
Per quel motivo, molte persone, che vivevano nella mia stessa condizione, si affidarono a quel gioco di cui si parlava ovunque, Atlantis, ed entravano in quel mondo virtuale per guadagnarsi da vivere.
Da parte mia, preferivo tenermi alla larga da quel gioco.
Non avevo nulla contro quel sistema, ma preferivo rimanere nel mondo reale, anche se sembrava non fosse interessato a me e sentivo di odiarlo ogni giorno di più.
Quel giorno mi recai da Viktor, il mio rigattiere di fiducia, quello che pagava la refurtiva che riuscivo a prendere nelle vie più frequentate e lontane dal quartiere in cui vivevo.
Anche se dalle mie parti c'erano diversi rigattieri, lui era l'unico con cui potessi trattare il prezzo della merce in tutta onestà, senza che si approfittasse della mia giovane età.
Dopo la consueta trattativa sul prezzo della merce che gli avevo portato, incassai i miei soldi e tornai a casa dopo aver comprato qualcosa da mangiare.
Entrata nel mio monolocale, lasciai la cena sul tavolo della cucina per poi togliermi la giacca e appoggiarla sul divano.
Con poca speranza, andai a controllare in camera da letto se ci fosse il corpo di mia madre, ma come mi aspettavo trovai quella stanza vuota e senza di lei.
A quella vista, a cui ero abituata ormai da troppo tempo, scrollai le spalle e tornai in cucina con l'intenzione di gustare la mia cena nel silenzio di quella casa vuota.
Mi misi a sedere e allungai le mani per prendere la busta che conteneva il mio pasto, mentre la luce dell'insegna pubblicitaria posta sul lato della finestra illuminava a intermittenza l'interno del locale.
Senza pensare a niente di specifico e in compagnia di quella luce che andava e veniva, gustai quel piatto di riso condito con del pesce surgelato, quando sentii bussare alla porta.
Sorpresa, rimasi immobile con la forchetta di plastica in mano, pronta per essere infilata all'interno della mia bocca, per poi voltarmi verso quella porta dove qualcuno stava bussando con insistenza.

Michele Scalini

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