L'arida distesa di sabbia, di sassi e di sterpaglie tristemente rinsecchite si perdeva a vista d'occhio fino a infrangersi sulle alture che si potevano scorgere in lontananza. Il sole imperava inesorabile alla ricerca di rare zone umide da prosciugare e, non trovandone, si accaniva sulla terra spaccandola in zolle. Il deserto di Tabernas si rivelava quanto mai inospitale e inadatto alla vita dell'uomo e, forse proprio per questo, il professor Torchianni l'aveva scelto come location dei suoi esperimenti. In quella terra desolata, per poter lavorare sotto il sole di ottobre senza ustionarsi, aveva fatto installare una struttura che ricordava molto il tendone di un circo. Da anni lavorava al progetto a cui ormai dedicava quasi tutte le sue energie fisiche e mentali. Il frutto dei suoi studi si trovava lì sotto, al riparo dal sole e dal vento. Era ormai pomeriggio inoltrato e il caldo risultava opprimente. Rispetto a un mattino caratterizzato dal cielo sereno e dall'aria ferma, nel pomeriggio si era alzato un venticello teso che, benché per un certo verso fosse gradito perché riusciva a rinfrescare un po' l'aria, al tempo stesso infastidiva in quanto sollevava anche il pulviscolo. Torchianni armeggiava con estrema cura sui delicati meccanismi della macchina. Era particolarmente attento alla pulizia dei sensori che venivano continuamente sollecitati dai suoni che giungevano dai quattro settori del “circo” che erano più o meno equidistanti fra loro e che, nonostante provenissero dal lavoro di un chitarrista, di un bassista, di una vocalist e di un percussionista, non si combinavano in una vera e propria melodia, ma producevano piuttosto un'accozzaglia di note delle più disparate intensità e tonalità che affluivano ordinatamente in semplicissime sequenze ripetitive e ancor più semplici accordi. I musicisti eseguivano il programma rigidissimo imposto dal professore e non provavano accordi più sofisticati neanche quando, come quasi sempre purtroppo, la combinazione di suoni risultava piuttosto sgradevole. La loro funzione era rigidamente definita ed era lontana dalla loro idea di fare musica. Cercavano di svolgere diligentemente quello strano lavoro che alla lunga rischiava di diventare troppo snervante anche per loro nonostante fossero dotati di dispositivi di protezione dell'udito e di tanto in tanto cercassero di staccarsi dal compito tedioso che stavano svolgendo. In queste occasioni entravano e uscivano dal “circo” attraverso diverse aperture, dalle quali scaturiva qualche spiffero più deciso che riusciva a raggiungere anche il centro della “pista”. Torchianni provò ad asciugarsi il sudore dal viso con la manica della sua camicia bianca ottenendo il risultato di cospargersi di un sottile strato di fanghiglia. Anche se una leggera striatura di sporco aveva fatto una fugace apparizione sulla sua fronte ampia, lui non si scompose più di tanto. Non riuscì comunque a restare del tutto insensibile al ben maggiore fastidio di essersi procurato un'irritazione agli occhi. Al destro, in particolar modo. Lo sentiva bruciare, mentre lacrimava copiosamente da entrambi, ma non ne fece un dramma, per lui il senso più importante era senz'altro l'udito. Tuttavia, si avviò comunque fuori dal tendone. A quella vista Alvaro smise di tormentare il suo basso meravigliandosi della scena a cui stava assistendo. Si sedette allungando le gambe e appoggiando schiena e nuca sulla custodia del suo strumento. Quella era la prima volta che lo vedeva staccarsi dal suo lavoro e, anche se avevano cominciato da pochi giorni, a lui sembrava ormai che fosse trascorso un tempo lunghissimo. Alvaro non era mai stato un tipo a cui stessero simpatici gli accademici come il professore, ma aveva apprezzato sin da subito l'idea di guadagnare qualche migliaio di euro suonando banalmente alcune note per lui. La sera prima, quando Torchianni si era un po' aperto davanti a una birra fresca, aveva potuto conoscere alcuni aspetti della sua ricerca, della quale fino al quel momento era ignaro, e ne era rimasto affascinato. Non subito, però. Lì per lì si era trattenuto dal ridergli in faccia, ma poi, durante la notte, aveva riflettuto a lungo sulla questione e aveva concluso i suoi ragionamenti con un interrogativo inquietante: E se quello che cerca il professore fosse il frutto di conoscenze che la scienza ufficiale ancora ignora? E se scoprisse davvero qualcosa di eccezionale, di fantastico? Io sarei testimone di qualcosa di storico. Fosse davvero possibile suonerei anche gratis... Torchianni impiegò pochi istanti per dirigersi al furgone camperizzato che aveva noleggiato ad Almería per l'occasione. Aprì il frigo e prese una bottiglietta d'acqua fresca per dissetarsi e per detergersi gli occhi e il viso. Raggiunto l'obiettivo, tornò verso il “circo”. Rientrando sotto il tendone, lanciò un'occhiata interrogativa ad Alvaro, il quale sembrò destarsi da quello che poteva sembrare un improvviso sonnellino. - Mi scusi professore, credevo avesse deciso di fare una pausa più lunga. Riprendo subito a suonare. - Torchianni lo degnò solo di un'occhiataccia, ma non rallentò e non rispose. Non che Alvaro si aspettasse una risposta cordiale, però, ci era rimasto male, forse proprio perché si era un po' affezionato a quel vecchio, o almeno all'idea di una scoperta affascinante, o forse semplicemente perché ci teneva molto a guadagnarsi i suoi soldi. Non aveva davvero temuto che si fosse trattato di un malore, perché, in fondo, era consapevole che solo dopo il tramonto avrebbe potuto sperare di riprendere a parlare civilmente con il professore. Durante gli esperimenti si era abituato a non aspettarsi niente di umano da lui. D'altronde, l'accordo che avevano stipulato prevedeva una condotta rigidamente legata alle regole da lui imposte, che erano strane sicuramente, severe sicuramente, ma teoricamente tollerabili visto che la paga che avrebbero incassato era molto allettante. C'era comunque un'incognita che non lo faceva stare tanto sereno. La paga, seppur altissima, era vincolata anche alle trasgressioni di quelle maledette clausole. Una di queste, in particolare, pendeva su di loro come una spada di Damocle: “Ogni eventuale distrazione o perdita di tempo di qualsiasi genere comporterà l'applicazione di una piccola penale.” In quel momento, Alvaro non ricordava a quanto ammontassero quelle piccole penali, ma sommandone tantissime ogni giorno non poteva certo stare tranquillo. La notte prima aveva fatto un calcolo approssimativo e aveva scoperto che dopo tre giorni di lavoro ne avrebbe potuto accumulare talmente tante da temere una riduzione del guadagno di almeno il 10%. Si domandò quanto gli sarebbe costata quella semplice domanda fatta per pura solidarietà. Già la sera prima Alvaro aveva sollevato la questione parlandone con gli altri componenti della band e dalla conversazione era emerso che anche i suoi amici si erano ritrovati a ragionare sulle stesse questioni sostenendo di essere più o meno nelle sue stesse condizioni. Erano tutti d'accordo sul fatto che quel lavoro si stava prospettando più noioso e stressante del previsto e che ormai anche il guadagno, che all'inizio appariva particolarmente facile, rischiava di assottigliarsi sempre di più. Nel giro di pochi istanti le operazioni erano riprese completamente. Posizionati ai quattro settori del “circo” i musicisti non cassarono più neanche una nota durante l'intera sessione pomeridiana che, come al solito, si concludeva con qualche minuto di libero sfogo della loro arte. Torchianni aveva inserito nel programma una breve sessione di sperimentazione mettendo in input il loro repertorio o qualche eventuale jamming forse più per il loro compiacimento che per una sua convinzione scientifica. Quella sera si riunirono davanti alle tende che avevano noleggiato ad Almería insieme a tutta l'attrezzatura che avevano portato nel deserto per allestire il “circo” e per campeggiare. Come ormai d'abitudine, dopo cena s'intrattenevano intorno a un fuoco acceso a qualche decina di metri dalle tende per rinfrancarsi bevendo qualche birra e per scambiare qualche parola. Dopo aver sofferto il caldo tutto il giorno, già poco dopo il tramonto si erano dovuti coprire con felpe e maglioni, perché la notte nel deserto faceva freddo. L'escursione termica non li infastidiva più di tanto, anzi gradivano molto di più il freddo, mentre invece Torchianni, che era più anziano, pativa di più quel clima e quasi sempre si ritirava sul suo camper per ripararsi e per riposare o, molto più probabilmente, per continuare a lavorare sui risultati degli esperimenti effettuando innumerevoli calcoli e lanciando svariati programmi sul suo computer. E anche quella sera il professore si era congedato presto. Rimasti al riparo da orecchie indiscrete, gli Over the sound si rilassarono un po' prendendosi alcune libertà che in sua presenza non avevano osato prendersi. Pedro tirò fuori il necessario per rollarsi una canna, mentre Alvaro si apriva un'altra birra. Intanto Angelica accarezzava voluttuosamente la pelata virile di Pascual, il quale se la godeva all'idea di quello che a lui sembrava essere solo il preludio a un'altra nottata di passione. Quando si eccitava, il percussionista diventava più loquace. Fu quindi il primo a esprimersi in maniera particolarmente colorita nel definire la pignoleria e la severità di Torchianni. Esordì rivolgendosi a tutti e a nessuno in particolare: - Se continua così quello stronzo alla fine ci avrà fatto suonare gratis. Ma se si azzarda a segnare tutto io gli rompo il culo! - - Non oserà. Al massimo ci darà il 10% in meno. La paga iniziale era davvero eccellente. Forse troppo anche per noi - disse Pedro, per niente sorpreso da quell'uscita. Pedro forse era il più moderato del gruppo, forse lo era ancora più di Alvaro. - Ma siamo matti? Se mi toglie più del 5% gli faccio causa! - intervenne Angelica, che era in linea con l'atteggiamento di Pascual già da un paio giorni, cioè da quando aveva deciso di accettare il suo corteggiamento anche se, forse, solo per consolarsi per l'assenza di Pepito. - Per riuscire a prendere quanto ci spetta dobbiamo cercare di non fare altre cazzate. Secondo me, se d'ora in poi saremo impeccabili, potremo farlo ragionare senza avvocati e senza minacce. - - Io vorrei credere che tu abbia ragione, Pedro. A me non sembra tanto stronzo a parte quando è sotto quella tenda a trafficare con quel macchinario. Anzi, mi è sembrato di vedere anche un tantino di umana simpatia nei confronti della nostra musica. Sicuramente gli serviamo solo per la potenza dei nostri riff e dei nostri drum rolls, ma mi è sembrato di intuire che ci ha scelto anche perché apprezza la nostra arte - disse Alvaro. - Figuriamoci! A quello al massimo piace Julio Iglesias - esclamò Pascual strappando qualche risata ad Angelica e persino a Pedro. In effetti anche Alvaro sorrise a quella battuta. Per una band heavy metal come la loro quel tipo di musica era davvero agli antipodi, anche se non erano certo nella condizione di poter criticare un artista che poteva vantare una lunga carriera costellata di successi. Loro erano gli Over the sound, erano una band che aveva sfornato solo due album, peraltro noti solo a un pubblico piuttosto ristretto. Non avendo avuto particolare fortuna nelle vendite si mantenevano a fatica con concerti ed esibizioni soprattutto in platee paesane e in piccoli pub in giro per l'Andalusia. Erano ancora nella fase in cui, per risparmiare, eseguivano personalmente anche tutti quei lavori che avrebbero dovuto demandare a tecnici e operai. Purtroppo quella fase della loro carriera pareva non finire più, tanto che, nel frattempo, erano ormai diventati così esperti da essere in grado di organizzare un evento in pochissimo tempo occupandosi di tutto. Tra l'altro, la produzione dei due dischi era costata gran parte dei loro risparmi e non erano ancora rientrati del tutto dalle spese. Gli Over the sound non erano particolarmente affiatati fuori dal palco. Spesso si scontravano tra di loro per le scarse affinità caratteriali o per l'effetto dell'abuso di alcol e droghe o per la rivalità per la leadership. Ognuno aveva la sua specialità. Alvaro suonava il basso, Pedro la chitarra elettrica, Pascual la batteria e Angelica era la vocalist. E poi c'era Pepito che suonava la tastiera e dava il carattere alla band con la sua voce cavernosa, il suo look da biker e la sua inseparabile Harley Davidson. I vocalist principali della band erano quindi Pepito e Angelica, ma anche gli altri partecipavano egregiamente e insieme costituivano un ottimo coro. La loro forza era proprio l'esibizione dal vivo. Pepito era l'unico assente di quello strano ingaggio. O meglio, stava ancora smaltendo i postumi di una fastidiosa influenza e avrebbe dovuto raggiungerli entro un paio di giorni dall'inizio dei lavori. Al terzo giorno non era ancora arrivato, ma il professor Torchianni non se ne lamentava più di tanto. A lui interessavano le note pure e semplici, a vari livelli di potenza e tonalità, non tanto il loro repertorio, né tanto meno era affascinato dal carisma del loro leader. In quel luogo isolato, nel bel mezzo del deserto di Tabernas non avevano visto altre anime vive da quando erano arrivati. Erano come fuori dal mondo, isolati anche nelle comunicazioni. Torchianni diceva di aver scelto accuratamente quel luogo per evitare distrazioni e contaminazioni del suo lavoro. Gli Over the sound non erano affatto abituati a quella specie di confino e non riuscivano a non esternare il loro sempre più evidente malumore.
***
Una sera, quella del terzo giorno di permanenza nel deserto, videro un bagliore squarciare il buio. La sua direzione faceva intuire che qualcuno stesse avvicinandosi al campeggio che avevano allestito per pernottare. Speravano tutti che si trattasse dell'arrivo di Pepito, che ancora attendevano. - Qualche dannato turista è arrivato fino a qui. Si sarà fidato del navigatore e avrà sbagliato strada - disse Pascual, non appena si accorse che la luce proveniva dai fari di un camper che sembrava puntare verso il loro accampamento. Anche gli altri si stavano innervosendo per quella sgradita sorpresa, ma era proprio l'umore di Torchianni a sembrare il più cupo di tutti, tanto che, distolto dai suoi calcoli, era uscito dal suo furgone camperizzato per assistere alla scena. Il camper finì la sua corsa ad alcune decine di metri dal “circo”, non prima di aver effettuato una serie di manovre accurate che lasciavano intuire che i turisti avevano l'intenzione di accamparsi per la notte proprio lì. - Devono andarsene subito - sentenziò il professore. - Sì, però, non avremmo nessun diritto di mandarli via - disse Pedro. Torchianni si guardò intorno, cercò un sasso, l'afferrò e si avviò a dare il benvenuto ai turisti. - Professore, aspetti, vengo con lei - disse Alvaro. - Veniamo anche noi - disse Angelica afferrando Pascual per un braccio e avviandosi verso il camper. Anche Pedro, con una certa riluttanza, si avviò al seguito. Man mano che si avvicinavano, strabuzzavano gli occhi per cercare di vedere chi ci fosse a bordo, ma i camperisti avevano chiuso le tendine e messo gli scuri ai finestrini prima che il gruppo si fosse avvicinato abbastanza per poter individuare qualche sagoma. Torchianni giunse per primo davanti alla porta fermamente intenzionato a cacciare via gli intrusi. Bussò con decisione ancora prima di sincerarsi di essere raggiunto dagli altri. Passarono pochi istanti nei quali i membri degli Over the sound fremettero per poter menare le mani con chissà quali energumeni e, nonostante facessero il possibile per apparire duri come il loro sound, lasciarono trasparire diversi segni di nervosismo e di insicurezza. Un conto è dire di essere dei duri, farsi decorare il corpo da un esercito di tatuatori indemoniati, farsi applicare innumerevoli piercing, indossare pellame scuro e ruvido adornato di borchie, mostrare cicatrici frutto di chissà quali battaglie, mostrare le proprie criniere sollevate verso il cielo contro ogni legge di gravità e un conto è comportarsi come tali di fronte all'ignoto. L'apprensione comparve impietosa nei loro sguardi, nelle loro espressioni. Solo il professore appariva imperturbabile e spietatamente determinato nell'atto di tempestare di pugni la portiera del camper. Passarono alcuni secondi, poi la porta si aprì e apparve la sagoma muscolosa di un uomo in canotta e bermuda con tasconi. Il suo viso era sorridente, ma un po' sofferente e discretamente coperto di barba e incorniciato dalle ciocche di lunghi capelli neri. L'uomo del camper era decorato da tatuaggi, tra i quali spiccava un grosso vegvisir, che sembrava uno scudo posto a protezione del suo collo, e piercing disseminati senza apparente logica su alcune parti scoperte della sua pelle. - Professor Torchianni, che bella accoglienza! Ciao ragazzi! - disse Giuseppe Verdi, detto Pepito. - Meglio tardi che mai! C'è qualcun altro a bordo? - chiese Torchianni, ancora sul chi vive. - Nessuno, stia tranquillo. - - Perché quelle facce? - disse Pepito rivolgendosi ai suoi amici. - Credevamo venissi con l'Harley - disse Pascual ancora visibilmente sorpreso. - Ho noleggiato questo pachiderma perché sono ancora un po' febbricitante e volevo stare più riguardato. Ho sentito dire che qui di notte fa freddo. - - Alvaro, per favore, informa Pepito di quello che dovrà fare domani mattina. Tu, Pedro e Angelica continuerete a fare solo la vostra parte. Sono fiducioso. Ci saranno sviluppi importanti - concluse Torchianni lasciandosi sfuggire un sorriso e mollando il sasso per terra. Il professore salutò tutti e si avviò verso il suo camper, mentre gli Over the sound si stringevano intorno al loro leader. L'accoglienza più calorosa gliela riservò Angelica con un lunghissimo bacio proprio sotto lo sguardo allibito di Pascual. Salirono tutti e cinque sul camper e si accomodarono sulle dinette. Stavano un po' strettini, ma non se ne curarono perché quella era l'occasione per ricompattare il gruppo. Alvaro cominciò a ragguagliare Pepito: - Che vuoi che ti dica? Domani toccherà anche a te romperti le palle come ce le siamo rotte noi in questi tre giorni di merda passati in questo deserto di merda con questo clima di merda. Ti dovrai piazzare alle tastiere e fornirgli le note che ti chiederà. C'è un programma ben preciso. Ce l'ho in tenda. Poi te lo passo. Insomma: dovrai fornire note, potenza, tonalità in tutte le miriadi di combinazioni che a quello svitato son venute in mente. E in più ti chiederà di aggiungere tutte quelle che possono saltare in mente a te. Stiamo consumando quantità enormi di tappi, ma abbiamo comunque tutti un male fottuto alle orecchie. - - Prendete una birra - intervenne Pepito, che nel frattempo ne aveva tirate fuori cinque dal frigorifero. - Ma la cosa peggiore è che quel figlio di puttana fa valere la clausola delle penali per ogni minima cazzata. Secondo me vuole farci suonare gratis - disse Pascual dopo aver tracannato una generosa sorsata. - Così, il vecchio è un pignolo di merda? - - Sì, ma solo quando è al lavoro nel “circo” - disse Pedro. - Circo? - - Tu come lo chiameresti quel tendone? - - È buffo, non ci avevo pensato. E quando non lavora, che fa? - - Mangia, dorme o studia, ma non disturba nessuno. - - Forse è solo stanco di fare lo stronzo tutto il giorno - puntualizzò Pascual. - A proposito di stanchezza, forse è il caso di farti riposare, visto che hai ancora la febbre - disse Alvaro. - Grazie, ma qui sopra riposerò benissimo anche se farò più tardi. Confesso che se fossi riuscito a mettermi in contatto con voi forse avrei atteso almeno un altro giorno prima di venire fino qui. Questo non è proprio il posto ideale per fare campeggio. Non c'è campo per qualche decina di chilometri e si fa fatica a distinguere le strade dal nulla che attraversano. Come avete potuto immaginare che questo fosse un camper carico di turisti? - - Non lo so. Ti accorgerai anche tu che la situazione qui è surreale e non stimola la razionalità. D'altronde, non abbiamo ancora capito qual è lo scopo di questi esperimenti - rispose Pedro. - Voi non lo avete ancora capito, ma io cercherò di farlo. E sapete come? Glielo chiederò. Prima con le buone, ovviamente - disse Pepito, scoppiando a ridere. - Meglio di no. Chissà quanto ci costerebbe come penale un'azione del genere - disse Pedro. - Io ci ho parlato già e non so se ho capito bene. Pare che stia cercando un modo per canalizzare l'energia che scaturisce dal suono dei nostri strumenti. Secondo lui c'è qualcosa nell'etere, o forse intendeva nell'aria, che possiede un'energia enorme che potrebbe essere scovata con questo esperimento. Potrebbe fare la scoperta del secolo se solo non fosse matto. Comunque io sono d'accordo con Pepito. Vale la pena correre il rischio di farlo parlare. Meglio mal pagati che ignoranti - disse Alvaro. - Meglio informati bene e pagati meglio - aggiunse Pascual palesemente in accordo con il suo leader. Angelica invece taceva, mentre sorseggiava la sua birra e mangiava con gli occhi Pepito, il quale a sua volta pregustava sornione l'epilogo della serata. Il discorso relativo al mistero dello scopo degli esperimenti quindi non decollò, nonostante il tentativo del bassista di suscitare l'interesse con quelle parole. Quando Alvaro e Pedro si alzarono per tornarsene all'accampamento, Pascual aveva cercato lo sguardo della vocalist per capirne le intenzioni e aveva visto quello che gli altri avevano compreso molto prima di lui. Con Pepito presente Angelica era ormai off-limits anche per lui. Di malavoglia si alzò e si avviò come gli altri due lungo il breve tragitto che divideva il camper del nuovo arrivato dalle tende. Intanto Alvaro aveva rallentato ad arte facendosi raggiungere da Pascual. Quindi gli disse: - Vieni, ti offro una birra. Ti devo confidare una cosa che mi ha detto il vecchio. - - Che vuoi che mi freghi? Quello se la farà ancora una volta. Mi fotte anche da malato. Che cazzo! - - Mi dispiace Pascual. Non ti fissare con quella troietta. Appena ce ne andremo da questo posto di merda ne troverai altre mille che sbaveranno per te. Ma adesso ascoltami, perché se quello che ho scoperto ieri sera fosse vero... - - Che vuoi dire? - - Voglio dire che secondo me il vecchio ha fatto una scoperta eccezionale che potrebbe valere miliardi e potere. Con il tuo aiuto potremmo ottenere tutto questo solo per noi. - - Non ti seguo. Di che si tratta? E perché non lo hai detto prima? - - Di che si tratta lo vediamo dopo. Non ho insistito poco fa davanti a Pepito perché non mi fido più di tanto di lui. Ci stai o no? - - E come? - - Possiamo aiutare Torchianni a sperimentare quanto ha teorizzato e poi prenderci ciò che avrà codificato, ciò che ci farà diventare ricchi e potenti. Serve solo un ultimo sforzo. - - Se è per fottere quello stronzo di Pepito ci sto di sicuro! - - Bene! Beviamoci su e poi ti spiegherò cosa dovremo fare. -
***
Rimasti soli, Pepito non aveva esitato a provare a soddisfare la sua donna. Ben presto, però, era stato vinto dalla spossatezza e, di comune accordo, avevano risolto la questione andando a dormire. Il mattino dopo un raggio di sole trafisse l'occhio destro di Angelica attraverso una fessura tra lo scuro e il finestrino posto sopra il letto che aveva diviso con il suo uomo. Intontita dal sonno, lo vide accanto a sé ancora addormentato. Si alzò con cautela per non svegliarlo, andò in bagno e controllò l'orologio: erano già le 8:50. Pensò con rabbia all'eventualità che Torchianni avesse applicato un'altra pesante penale perché erano già in ritardo di venti minuti. Poi fece attenzione ai suoni che giungevano dal “circo”. Sentì il rullare delle percussioni di Pascual crescere di intensità. Le parve un modo di suonare più cattivo del solito. Non che si sentisse in colpa per averlo illuso e poi mollato non appena aveva rivisto Pepito. Per lei Pascual era stato solo una parentesi, una fugace consolazione di una notte e non aveva rinunciato affatto all'uomo che amava e che stimava di più. Non temeva neanche una sua reazione dettata dalla gelosia, perché tutti quelli che la conoscevano erano al corrente del suo carattere volubile e lei non ne faceva mai un mistero. Anzi, la sua inaffidabilità era la prima cosa di sé che presentava a un uomo non appena ne faceva la conoscenza. Però, quel suono di percussioni che saliva sempre più d'intensità stava cominciando a inquietarla. - Cosa succede? Cosa stanno combinando? - urlò Pepito, che si era svegliato di soprassalto. - Hanno cominciato. Siamo in ritardo - rispose inutilmente. Nessuno avrebbe più potuto sentirla, perché l'intensità dell'assolo di Pascual era diventato assordante persino all'interno del camper. Angelica si vide costretta a tapparsi le orecchie, così come aveva già fatto Pepito. Cominciarono a tremare in accordo con tutto quello che c'era a bordo. Poi cominciò a oscillare l'intero camper. Lei prese a urlare in preda al panico, mentre lui si era raggomitolato sul letto cercando di nascondere il più possibile la testa sotto il cuscino. Passarono ancora alcuni istanti e poi avvenne. Un boato ancora più forte accompagnò un'onda d'urto poderosa che sollevò il camper da terra e lo schiantò alcuni metri più in là facendolo ribaltare un paio di volte finché non continuò la sua corsa sfregando sul terreno per un'altra decina di metri tra innumerevoli scintille e infine si fermò. Intanto il “circo” era sparito. Al suo posto era rimasta una voragine da cui saliva un'altissima colonna di fumo. L'accampamento era stato travolto da un'onda d'urto terrificante che aveva spazzato via tutte le tende e tutti i furgoni ormai ridotti in rottami in fiamme e disseminati a centinaia di metri di distanza dal punto dell'esplosione.
Biella, Italia, nove ottobre 2018
La pioggia scendeva incessante senza tuttavia diradare la nebbiolina che sembrava avvolgere la città. Nonostante il fenomeno non fosse particolarmente intenso, la sua durata gli aveva tuttavia permesso di trascinare sulla strada terra e foglie che mescolandosi e macerandosi avevano formato una spregevole poltiglia che aveva reso il fondo stradale piuttosto insidioso. Tommaso si trovò a guidare la sua utilitaria nel bel mezzo del traffico dell'ora di punta. Rimase incolonnato per quasi dieci minuti procedendo a passo d'uomo. Inaudito per una cittadina come Biella diventata da qualche decennio capoluogo di provincia, ma certamente non cresciuta nelle dimensioni grazie a quella promozione burocratica né tanto meno, per così poco, diventata caotica come una grande città. Ma la pioggia faceva sempre uno strano effetto sull'inconscio collettivo degli automobilisti di tutte le latitudini rendendo la guida generalmente più nervosa e indisciplinata del solito. Alcuni suoi amici attribuivano sarcasticamente la responsabilità di quegli ingorghi ai terroni provenienti da Gaglianico in giù. Tommaso, nonostante fosse originario di una città posizionata geograficamente molto più a sud della confinante cittadina incriminata, o forse proprio perché conosceva personalmente come si comportavano gli automobilisti suoi conterranei, non osava mai contestare quella perla di saggezza. La sua destinazione era ormai a pochi passi, ma per posteggiare avrebbe dovuto proseguire ancora per qualche centinaio di metri per accedere al parcheggio coperto. Mentre ascoltava l'ennesimo notiziario alla radio, un battito ritmico a lui familiare cominciò a diffondersi nell'abitacolo. Dopo un paio di secondi realizzò di aver cambiato la suoneria proprio la sera prima e rispose. - Ciao Giné, che mi dici? - - Ciao, scusami, stai ancora guidando? - - Sì, come al solito quando piove le auto spuntano come funghi! - - Ti ricordi di comprare anche la farina? Non l'ho scritta nella lista, ma è indispensabile per rinfrescare il lievito madre. - - Già, ci stavo pensando. Mandami un messaggino così non lo dimentico. - - Non scherzare, dai. A dopo. - - Ok, ciao. - In effetti Tommaso non stava affatto pensando alla panificazione, anche se ultimamente ci si era dedicato con entusiasmo. Era stata sua moglie a insistere sull'argomento. Ginevra dapprima lo aveva un po' incuriosito elogiando con qualche battutina innocente le persone che, come i loro amici Andrea e Lory, avevano avuto il piacere di riscoprire le preparazioni tradizionali, ma lui non si era comunque entusiasmato. Poi, però, dopo aver assaporato la focaccia preparata da Lory, si era fatto coinvolgere anima e corpo e negli ultimi giorni aveva pressoché soppiantato la moglie nello stesso passatempo. Ginevra gliel'aveva fatto fare senza alcuna remora. Sapeva benissimo che quella sua nuova fissazione era un modo come un altro per non pensare troppo alla sua situazione lavorativa. Tommaso aveva aperto un'agenzia di investigazioni e non sapeva come sarebbero andati gli affari. Da mesi ormai aveva intrapreso quella nuova avventura e non era ancora riuscito a crearsi un giro di clientela sufficiente. Mettersi in proprio era stato un suo pallino sin da quando era ragazzo. Esserci riuscito era stato un successo, ma doverla chiudere per mancanza di clienti sarebbe stato un disastro. Eppure, spesso e volentieri disperava di poter fare il salto di qualità e di far decollare gli affari. E in giornate uggiose come quella, essendo meteoropatico, non vedeva nessuna soluzione. Pensava al fatto di aver rinunciato al posto fisso e di aver investito quasi tutti i suoi risparmi nello start-up. Poi partiva con una serie di rimuginamenti. Si rimproverava di aver permesso al suo ego di gonfiarsi a tal punto da considerare cosa fatta guadagnarsi da vivere facendo l'investigatore privato. Alle volte pensava di dover attribuire la colpa a Ginevra perché gli aveva fatto vedere troppi film americani, altre volte se la prendeva con se stesso solo perché aveva l'hobby della lettura di gialli. Aveva persino l'abbonamento ai Gialli Mondadori. Ma inconsciamente sapeva che la responsabilità maggiore dell'insuccesso della sua agenzia era quasi certamente da attribuire alla pessima gestione dell'ultimo caso che aveva avuto per le mani. Infatti sognava ormai con una discreta frequenza il signor Cischetti penzoloni da un ramo di un castagno. Sognava spesso un'enorme quantità di ricci e di castagne, un albero altissimo e un ramo in cima al quale vedeva quell'imbecille morto impiccato che lo fissava scompisciandosi comunque dalle risate. Poi si svegliava in preda al panico, specie le prime volte. Ultimamente lo sognava anche da sveglio, a occhi aperti. La cosa che lo faceva spaventare di più era proprio il suono sinistro di quella risata, ovvero qualcosa che proveniva dal profondo delle sue paure. Giunto al culmine della crisi cercava sempre di scrollarsi di dosso l'imponderabile e ricominciava a razionalizzare i suoi errori. Anche quella volta si trovava in quella fase. Pensava al fatto che era stato tanto stronzo da aver inanellato un'incredibile serie di disattenzioni e di errati ragionamenti che l'avevano condotto dritto dritto al disastro. Non si rassegnava al fatto che quella sera, proprio la sera prima del macabro ritrovamento, si fosse rovinato con le sue stesse mani. Gli erano uscite di bocca certe parole senza alcuna spiegazione logica. Il suo stato d'animo, alterato dalla notizia della gravidanza di Ginevra e da qualche aperitivo di troppo, non poteva certo giustificare il fatto di aver detto alla sua cliente: - Signora Cischetti, suo marito se ne sarà andato via. Credo proprio che stia bene e che probabilmente si trovi nelle Antille olandesi, dove risulta avere un conto. Presumo si tratti di un allontanamento volontario. - Aveva persino rimarcato le parole allontanamento volontario non curandosi della più probabile conclusione che quella povera donna fosse in procinto di diventare vedova. Come volevasi dimostrare, il giorno dopo, un cercatore di funghi scoprì la verità al posto suo. La città è piccola e le voci corrono molto velocemente quando si tratta di far sapere al prossimo di un vero e proprio fiasco di un automobilista che è originario di una città situata a sud di Gaglianico. I pochi mezzi di informazione biellesi diedero infatti ampio spazio all'incredibile errore della sua agenzia di investigazioni. Essendo il primo caso di persone scomparse che avesse preso in carico fece proprio una pessima figura. Infatti non ci sarebbe voluto molto a capire come stavano realmente le cose se solo avesse usato un po' di prudenza nel vagliare tutte le ipotesi e le avesse prima verificate attentamente anziché sputtanarsi esternando le sue affrettate supposizioni. La polizia, una volta scoperto il cadavere, ci mise poco a ricostruire l'accaduto. Il signor Cischetti, che aveva dovuto affrontare l'ennesima crisi della sua piccola azienda tessile, per la sopravvivenza della quale, tra l'altro, si era battuto come un leone per parecchi anni, alla fine aveva anche fatto carte false, come anche Tommaso aveva prontamente scoperto, ma non aveva rubato per andarsene nelle Antille fregando tutti, compresa la moglie. No, Cischetti aveva semplicemente mollato e, visto che ormai era diventato complicato gettarsi giù dal ponte di Chiavazza, che era stato dotato di reti di protezione più alte e di telecamere di sicurezza per dissuadere gli aspiranti suicidi, si era inoltrato nel bosco e si era impiccato al ramo di un castagno. Tommaso pensava che per ogni uomo suicidarsi fosse sempre un grosso errore, ma avrebbe anche dovuto considerare che per ogni investigatore fosse un errore molto stupido non supporre che qualcuno possa giungere a ritenere sensata quella ipotesi, a maggior ragione a Biella che è da tempo ai primi posti in Italia nella triste classifica dei suicidi. E pensava anche che, per quanto cercare di impedire agli sventurati di gettarsi giù dai ponti possa oggettivamente ridurre il numero delle possibili soluzioni a loro disposizione per farla finita, tale prevenzione non potrà certo dissuaderli del tutto da quel terribile proposito. Purtroppo il disgraziato in questione non aveva lasciato alcuna lettera di commiato e non aveva mai lasciato intendere né che si stesse scoraggiando né tanto meno che si stesse preparando all'addio. - Sarà anche colpa di questo clima di merda! - gli scappò detto ad alta voce a conclusione di quei pensieri. Parcheggiò ordinatamente, aprì la portiera e si accinse a fare la spesa nel grande centro commerciale. Consultò più volte la lista preparata da sua moglie. Si sentiva quasi come un pensionato alle prese con un'attività ormai impegnativa a causa dell'età e della demenza senile, ma aveva appena trentacinque anni, un fisico forte e un aspetto ancora giovanile, anche se un po' minato da un principio di calvizie che, però, - credeva lui - metteva in risalto una fronte alta, spesso indice di una mente vivace. Si mise a scuotere il capo seguendo ancora il flusso dei suoi tormentati pensieri. - Ehi, Tommy, che ci fai qui? - si sentì dire. Si voltò disperando di essersi fatto beccare con quel terribile umore che lo accompagnava. Avrebbe rischiato di mostrare l'ennesimo volto negativo di sé e della sua agenzia. - Ciao Sergio, faccio la spesa e tu? - - Be', sì, anch'io. Pensavo lasciassi questa incombenza alla tua mogliettina. - - Oggi avevo un po' di tempo libero e me ne sono voluto occupare personalmente. Scusa se mi impiccio, ma tu fai la spesa in divisa? - - Ero venuto qui per servizio. Sai, il solito taccheggiatore anonimo. Ho già acquisito le immagini da portare in centrale per il riconoscimento e, già che ci sono, sto prendendo due cose al volo. Ma dimmi, come vanno gli affari? - Ma guarda che stronzo! Si vendica subito! Perché non mi faccio mai i cazzi miei? - Una meraviglia! Tanti piccoli casi ben remunerati. Non potevo sperare di meglio - s'inventò su due piedi. - Ma non ti manca la squadra? Sei proprio un orso! - Ma vaffanculo! - Sì, un po' mi manca, ma sono davvero un po' orso e lo sono sempre stato. Mi piace lavorare da solo. - E togliti dai coglioni! - Ok Tommy, ora devo scappare, mi ha fatto piacere vederti. Fatti sentire, magari organizziamo una pizza con le signore, eh? - Ma figurati! - Certo, come no? - - Ci conto, eh? - Conosceva Sergio sin dai tempi della scuola. Era sempre stato un tipo sveglio, più spigliato di lui, perfettino nel look, più atletico di lui e con un gran cespuglio fitto fitto al posto dei capelli, ma forse proprio per questo non gli stava particolarmente simpatico. Sergio era sempre stato presente nella sua vita sociale. Era un amico non particolarmente intimo, ma sicuramente fedele. Per alcuni anni era stato anche il suo vice ispettore e, quando aveva lasciato la polizia, aveva praticamente preso il suo posto facendo tesoro di quanto aveva imparato da lui e da quel momento gli era rimasto ancora più riconoscente. In quel frangente sentì ancora quell'inconfondibile battito ritmico. Era quello dei Queen, quello di We will rock you, la nuova suoneria che Ginevra gli aveva quasi intimato di impostare sul suo smartphone la sera prima, sostenendo che gli avrebbe rammentato di doversi scuotere di dosso la paura dell'insuccesso. Osservò il display. Numero sconosciuto. - Pronto? - - Buongiorno, sto cercando di contattare l'agenzia investigativa Maffone. - - Sono Tommaso Maffone, con chi parlo? - - Mi scusi, ha ragione. Mi chiamo Agata Audemori. - - Audemori? Parente del dottor Audemori? - - Sì, a chi si riferisce? A mio padre o a mio fratello? - - Be', in effetti, a tutt'e due. In cosa posso esserle utile? - - Si tratta di una faccenda delicata. Riguarda mio marito. - - Se si tratta di indagini per sospetta infedeltà, mi rincresce dirle che non è il mio campo, signora Audemori - gli scappò detto, anche se quello era forse l'unico campo di cui avrebbe dovuto occuparsi per risollevare le sorti della sua agenzia. - No, non si tratta di infedeltà. Ho il sospetto che mio marito sia stato ucciso. -
Michele Carini
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