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Autore: Vito Introna Francesca Panzacchi
Emergi Tartesso
Weird
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Emergi Tartesso
Ortro abbaiava furioso, le due teste mostravano file di denti affilati e sbavavano rabbiose all'indirizzo di un essere emerso sulla battigia. Il loppide non aveva paura, ma presto dalle onde si stagliarono altri busti verdastri, erano figure grottesche e imponenti, percepì un pericolo. Che Poseidone fosse impazzito?
L'oceano Occidentale non aveva mai ospitato simili esseri, titani rospiformi grandi forse metà del suo padrone, forse meno.
Drizzò il pelo, un mostro stava provando a inerpicarsi sulla scogliera.
Ortro stavolta non ebbe indugi e si lanciò all'attacco, superò lo sperone roccioso e impattò l'orrenda creatura.
L'essere, colto di sorpresa, lo serrò fra braccia possenti e viscide, ma lasciò la gola indifesa e le zanne del canide affondarono nella sua putrida carne grassa e insapore. Ortro sentì il freddo sangue dell'essere rifluirgli in bocca, la morsa si allentò, riuscì a scrollarselo di dosso e a ritrarsi.
Il mostro collassò malamente in acqua, giacque immobile sul fondale. Intorno al cadavere si allargò una macchia scura e maleodorante, terribili miasmi simili a tombe scoperchiate.
Ma gli altri esseri non si spaventarono e anzi, come in onore di un mutuo accordo, cominciarono a risalire fra lidi e scogli.
Ortro non conosceva la paura, nemmeno il suo padrone poteva fargli del male, ma era pur sempre consapevole di essere solo contro almeno due dozzine di creature abissali.
Si volse a cercare i buoi, la mandria per fortuna era in rotta verso le stalle, l'odore dei mostri aveva terrorizzato i capi.
Gli invasori camminavano a fatica, strascicando i passi su corte zampe terminanti in artigli palmati, piedi da lucertola all'apparenza prensili.
No, non erano forti sulla terraferma. Ma non poteva sbranarli tutti.
L'urlo e il richiamo del suo padrone lo fecero voltare e correre nella macchia, rinunciando al combattimento.
Gerione si levava molto oltre le querce e i frassini, le sue enormi gambe sostenevano tre busti, tre teste e sei braccia, ciascuna mano destra impugnava uno xiphos, ciascuna mano sinistra l'hoplon.
Gerione, re di Tartesso, stava accorrendo e il fido Ortro, rincuorato, di nuovo si precipitò sulla battigia per azzannare il mostro più vicino, sventrandolo in pochi istanti.
Ma le teste barbute di Gerione se possibile erano ancor più furiose delle sue, gli sguardi del divino re avrebbero terrorizzato perfino il grande Eracle.
La sarissa calò rapida a infilzare tre piscidi, poi il titano si avventò sugli invasori superstiti, piccoli e deboli al suo cospetto.
Gerione affondò gli xiphoi in quei corpi mollicci e repellenti, scrollò a calci due mostri avvinti ai suoi schinieri, ruggì dalla rabbia quando un essere più grande degli altri gli graffiò profondamente una coscia nuda e lo tagliò in due parti, lasciando che le sue interiora percolassero sangue bruno verso riva.
In pochi minuti nessun mostro era in piedi e Ortro provò ad assaggiare quelle interiora mortifere: vomitevoli, immangiabili.

Gerione lanciò ancora il suo urlo all'orizzonte, sfidando altri esseri a invadere la sua isola.
Un moto ondoso scosse il mare calmo, alcune creature nuotarono rapide al largo, terrorizzate dalla sorte dei loro compagni.
Un gorgo sorto all'improvviso prese a implodere convulso, tutto il mare parve precipitare nei suoi stessi abissi.
Un'enorme testa di piovra emerse dal vortice e l'immenso corpo da rettile alato si stagliò sopra tutto e tutti.
Ortro solo a vedere le dimensioni di quell'essere guaì di terrore e fuggì disperato verso gli ovili.
Ma Gerione, raccolta la sarissa, la scagliò verso il mostro, centrandolo in pieno cranio.
Si udì uno scoppio simile al rompersi di una vescica. Una densissima nebbia grigioverde coprì tutta Tartesso e l'oceano circostante.
Il Mostro, colpito, non era morto e le sue membra distese si stavano ricomponendo.
Il grande Cthulhu avrebbe preso Tartesso.
Ma Gerione non era disposto a cederla.

***

Zoltan e Concesiòn si risvegliarono in secca, sporchi di fango e intorpiditi.
Lui respirò a fondo, cercando di ritrovare almeno in parte il proprio equilibrio mentale.
Aveva un mal di testa terribile e gli occhi vistosamente arrossati.
La donna faticò a rimettersi in piedi, le gambe le facevano male ed erano piene di grossi lividi.
L'intero gruppo di seguaci fu invece risucchiato verso la città isola, in balia del mostro che iniziò a divorarli uno alla volta.
Urla strazianti echeggiavano nell'aria, eppure gli altri adepti non tentavano di scappare, molti di loro al contrario nuotavano estasiati verso Cthulhu che allungava i suoi mostruosi tentacoli sollevandoli a uno a uno.
Anche il santone fu divorato, la bestia gli staccò la testa di netto con un morso. Il resto del corpo continuò a dimenarsi in una danza macabra e surreale.
Zoltan e Concesiòn assistettero in silenzio a quello spettacolo aberrante, paralizzati dallo stupore e dalla paura.

Dalla città emersa intanto cominciano ad aprirsi portali e cunicoli e altri esseri, minuscoli al confronto di Cthulhu, si tuffavano rapidamente in mare puntando decisi a riva.
Zoltan, con la forza della disperazione, riuscì a scuotere Concesiòn e, sciaguattando nel fango, cercarono ancora riparo, nel folto della foresta.
Voltandosi di scatto Zoltan notò una delle creature acquatiche giunte a riva.
Erano verdi e vagamente umanoidi, non possedevano i tentacoli di Cthulu, ma emanavano lo stesso identico fetore cadaverico.
Zoltan trattenne a stento un conato di vomito.
Quelle creature erano Dagon, cacciatori di balene.
Gli stessi che Gerione e Ortro avevano respinto, per lo meno nei suoi sogni.
Prima di rituffarsi in mare uno dei mostri si drizzò in posizione eretta.
Era alto almeno quaranta metri.
Il mostro scrutò l'ambiente, poi esitò, aveva l'acqua all'altezza delle caviglie e tentò di muovere verso la terraferma.
Zoltan non stette ad attendere oltre, tappò la bocca dell'inorridita campagna di sventura e insieme si precipitarono nel fitto del bosco. Come se gli alberi avessero potuto proteggerli da quell'ammasso di putrida carne verdastra, grande più di dieci elefanti.
La terra tremò, il mostro sfidava la sua natura anfibia e avanzava a passi incerti verso di loro, travolgendo querce e frassini.
A quel punto Zoltan credette di impazzire, le urla disperate dei folli presi da Cthulhu arrivavano fin lì, la massa immensa e i miasmi del Dagon incombevano su loro due e la salvezza, al di là del colle, era troppo lontana per le loro misere gambe. Il cuore cessò per un istante di battere, rovinò di faccia nel terreno viscido. Concesiòn urlò di terrore, segnalando la loro presenza all'incubo abissale.
Ma Zoltan, del tutto incosciente, non vide Dagon voltarsi e rientrare precipitosamente in acqua. Non vide il folle donnino inerpicarsi sul clivo e finalmente correre a perdifiato verso l'autobus.
Non vide il grande Cthulhu ergersi del tutto e sprofondare in acqua, né seppe che era riemerso a qualche centinaio di metri dalla riva col mare alla cintola, alcuni suoi devoti stretti fra i tentacoli, altri che annaspavano molto più indietro.
Non vide un enorme braccio molle tendersi e puntare diritto verso la collina, superarla e rientrare trascinando al suolo ciò che restava del loro autobus. Il tentacolo nell'accorciarsi arò il terreno con la carcassa dell'autocarro, generando un profondo solco e abbattendo decine di alberi.
Zoltan non vide nemmeno il mostro immergersi e tornare rapido nella sua città, quella Tartesso immensa e mostruosa che considerava la sua seconda casa.
Non vide Cthulhu affrontare l'umanoide tricefalo grande quasi quanto lui, Gerione, fondatore di Tartesso e suo primo, mitico re.
I suoi occhi erano divenuti simili a cannocchiali, sapeva di essere a molte miglia marine di distanza, eppure coglieva ogni particolare di quell'assurda lotta fra titani.
Gerione era terribile, i tre corpi fusi nell'ampio bacino erano spaventosi sotto le pesanti corazze di bronzo. Gli elmi, le spade, gli scudi e gli schinieri riflettevano la cupa e sinistra luce verde di Tartesso, mentre avanzavano verso il centro della città. Cthulhu riemerse da un accesso sotterraneo e spalancato il portale che lo ritraeva, in tutto simile a quello di R'lyeh, si lanciò furente contro l'avversario. Di nuovo la sarissa lunga più di cento cubiti lo trafisse, il grande antico non parve risentirne e i suoi tentacoli avvilupparono il più piccolo Gerione. Ma il re non voleva darsi vinto e pur succhiato da mille ventose amputò alcune molli braccia, cercando di portarsi a tiro di spada.
Ortro ruggì alle spalle di Cthulu e vinto il ribrezzo saltò, riuscendo ad azzannargli una coscia glabra.
Stavolta il tentacolo calò come una frusta, sbalzando il canide contro una costruzione in rovina. Un lungo guaito di dolore, udibile a chilometri di distanza, accompagnò la morte del fido Ortro.
Gerione a quel punto raddoppiò gli sforzi, urlò al cielo qualcosa di incomprensibile ma che forse richiamava delle sonorità omeriche.
Apollo forse udì o forse ne fu disturbato, fatto sta che la terra prese a tremare con una tale violenza da far crollare gran parte delle torri, dei ponti convessi e degli edifici deformi di Tartesso, mentre i due avversari continuavano ad avvinghiarsi ferocemente.
Il terremoto e lo tsunami che seguì mandarono il povero Zoltan a gambe per aria, tentò di rialzarsi ma la fanghiglia alta fino alla vita ostacolò ogni suo tentativo di mettersi in salvo.
Un ultimo scrosciare di pioggia e fulmini precedette una nuova ondata di marea lurida che travolse Zoltan, risucchiando in mare centinaia di alberi divelti.

Tartesso tornò a sprofondare negli abissi, recando seco i due furenti titani avvinghiati su rovine, pinnacoli collassati e un'infinità di piscidi adoranti.

Vito Introna Francesca Panzacchi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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