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Autore: Arsenio Siani
La morte giunse a Tarchna
Giallo Storico
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La morte giunse a Tarchna
Urla d'incitazione echeggiavano nella villa. Il piccolo Petruis si copriva il volto tenendo le braccia verticali davanti al naso, così da attutire i colpi del suo avversario. Riusciva a vedergli solo i piedi, si muovevano saltellando avanti e indietro, ogni volta che si fermavano il cuore del bambino sussultava e gli schizzava in gola, da dove iniziava a martellare come se cercasse un orifizio attraverso cui abbandonare quell'esile corpicino straziato dai colpi devastanti dell'energumeno che stava affrontando. Sentiva le nocche robuste dell'uomo urtargli contro l'ulna del braccio e ogni volta tutte le ossa degli arti gli scricchiolavano. Il dolore causato da quei colpi era talmente vivido da fargli lacrimare gli occhi.
Accanto a loro un auleta suonava la tibia per accompagnare con la musica i movimenti dei due contendenti.
La giovane Velelia, madre di Petruis, distoglieva lo sguardo e si copriva il volto con i palmi delle mani ogni volta che suo figlio riceveva un pugno, come se anche lei potesse essere oggetto di quei colpi.
- Mezenthies, ti prego. Ferma tutto - disse, aggrappandosi alla veste del marito, il quale intanto contemplava il duello di pugilato con aria assorta. - Ti ripeto che è una follia. Stai esponendo nostro figlio a dei rischi inutili. -
- Velelia, non mi distrarre - disse l'uomo, scrollandosi la moglie di dosso in malo modo e incrociando le braccia davanti al petto, - ne abbiamo già parlato. Petruis continuerà ad allenarsi in queste discipline perché credo nella loro funzione educativa. Forgeranno il suo carattere e, quando sarà il momento, diverrà il degno erede della famiglia Ceicna. -
Un pugno diretto riuscì a penetrare la difesa di Petruis. Aveva allentato la tensione dei muscoli delle braccia perché iniziavano a dolergli, creando così un impercettibile spazio tra gli avambracci. L'avversario sembrava essersene reso conto e ne approfittò per sferrare un colpo strepitoso che fece zittire la folla urlante e arrestare il battito cardiaco di Velelia. La donna emise uno strillo disperato nel vedere il suo bambino mentre cadeva all'indietro lanciando nell'aria una scia scarlatta dipanatasi dal naso.
- Petruis! - urlò Velelia, lanciandosi in avanti per soccorrere suo figlio.
- Non t'intromettere, madre! - Il fanciullo, che si stava rialzando a fatica vomitò sangue, parole e aria nello sforzo di ritrovare vigore. Scambiò uno sguardo d'intesa con suo padre, nelle cui iridi di ghiaccio lesse tutta la fredda determinazione nel perseguire il suo scopo. Velelia, in mezzo, faceva vagare lo sguardo sull'uno e sull'altro. I suoi begli orecchini dorati ondeggiavano in modo ipnotico: - Petruis... - mormorò con tono implorante.
- Non t'intromettere - ribadì Petruis, stringendo i pugni e pulendosi le narici col dorso della mano. L'avversario, nel constatare che il viso del bambino era ridotto a una maschera di sangue, sembrò esitare. Abbassò la guardia e si rivolse al suo padrone: - Mezenthies, mio signore, il tuo ragazzo si è battuto bene. Lascia che l'incontro termini qui. Ha resistito a lungo in un duello impari, puoi ritenerti soddisfatto. -
Mezenthies sollevò lo sguardo al cielo e rise in modo sprezzante, attirando su di sé lo sguardo di tutti i presenti: - Luvces, povero stupido. Dopo tanti anni al mio servizio ancora non hai imparato che non bisogna mai sottovalutare un Ceicna? -
Quelle parole ridestarono l'attenzione dello schiavo. Quando si voltò verso Petruis, era troppo tardi. Il bambino era a una spanna dalla sua vita, con le ginocchia piegate, e stava già caricando il braccio verso il basso. Luvces cercò di ripararsi il volto ma era in ritardo. Il bambino penetrò la sua guardia e riuscì a colpirlo in pieno sul mento. Approfittando dello stupore del concorrente, Petruis scagliò una raffica di pugni sia col destro che col sinistro, molti dei quali andarono a segno. Il gigante s'inginocchiò e fu un errore madornale. Finché restava eretto in piedi poteva sfruttare il vantaggio datogli dalle corte braccia di Petruis che non poteva facilmente arrivare alla sua faccia né colpirlo in altre parti del corpo: le regole del pugilato vietavano colpi al di fuori del viso. In ginocchio, era completamente nelle mani del giovane.
Luvces provò a tirare qualche colpo a vuoto per scacciare quella piccola furia ma ottenne soltanto altri colpi precisi da parte del lesto avversario, ormai totalmente dentro alla sua guardia. Gli esili pugni penetrarono le sue guance, frantumarono zigomi e denti e gli spaccarono un sopracciglio. La folla, assetata di sangue, urlava entusiasta, l'intero spazio circostante era pregno di frenesia, il vino versato dalle kylikes degli spettatori impregnava il terreno così come il sangue dei due lottatori, che si raccoglieva ai loro piedi formando delle pozze scarlatte, il suono della tibia divenne più veloce, in sincronia coi rapidi colpi di Petruis. L'auleta, senza staccare gli occhi dal ragazzo, si muoveva in tondo a breve distanza, aumentando e abbassando tono e ritmo della musica a brevi intervalli. Sembrava uno stregone che dirigeva le redini dell'incontro con la sua magia, i colpi sembravano guidati dalla sua musica, che ipnotizzava e controllava la volontà degli ascoltatori.
Infine Luvces stramazzò al suolo, privo di sensi. Il piccolo Petruis, ebbro di quel trionfo, lo afferrò per una spalla per rigirarlo, poi gli montò in grembo e continuò a colpirlo in viso con dei colpi secchi e precisi. Il setto nasale di Luvces si frantumò, facendo sgorgare copiosamente sangue dalle narici. Il pubblico passò in un istante dall'euforia allo sbigottimento ma nessuno osava intervenire. Aspettavano tutti un cenno da Mezenthies che osservava la scena tenendo il mento sollevato, orgoglioso di quel risultato. Infine fece un cenno con la testa al giudice di gara che si affrettò a dichiarare la vittoria di Petruis mentre due inservienti, a fatica, staccavano il piccolo combattente dall'inerte avversario.
Petruis fu sollevato con la forza e allontanato mentre continuava a scalciare nel vuoto, cercando di colpire coloro che lo avevano separato dalla sua preda.
- Complimenti, Mezenthies - , disse un uomo, porgendogli una kylix ricolma di vino. - Brindiamo alla caparbietà del tuo giovane rampollo, destinato senz'altro a grandi gesta. -
- Grazie, Marce. Spero che le tue parole siano di buon auspicio e che gli déi continuino a essere benevoli sulla sorte di mio figlio. -
- Se la sua sorte ti è davvero cara, dovresti evitare di esporlo a questi inutili rischi. - Velelia parlava senza guardarlo, riservando le sue parole al nulla che aveva davanti a sé, come se si rivolgesse a un interlocutore invisibile.
- Come osi contestarmi, Velelia? - urlò Mezenthies puntandole un dito contro con la mano che stringeva la kylix. La mano gli si macchiò con qualche goccia rossastra di vino che pareva una collana composta da perle di sangue.
- Se il tuo volere consiste nel mettere a rischio la vita di nostro figlio facendogli praticare attività che non si addicono a un bambino dai nobili natali, mi sento in diritto di mostrare la mia disapprovazione. - Gli occhi di Velelia emanavano saette, la postura eretta e il corpo immobile testimoniavano tutta la sua fierezza.
Mezenthies porse la kylix a Marce e fece qualche passo in avanti verso la consorte, tenendo le braccia tese. Sembrava che puntasse al collo della moglie per strozzarla, tuttavia lei, ferma in posizione dignitosa, non mosse un muscolo. Infine le mani di suo marito le si posarono sulle spalle e contemporaneamente il suo bel viso si addolcì: - ti chiedo solo di avere fiducia in me. So che per te è dura, voi donne siete molto apprensive quando si tratta della sorte dei vostri pargoli ma credimi quando ti dico che è per il bene di Petruis che faccio tutto ciò. Nostro figlio è destinato a grandi cose ed è mio dovere, in quanto suo padre, forgiarne il carattere. Sono certo che gli eventi mi daranno ragione e presto mi ringrazierai per ciò che ho fatto per lui e per il bene della famiglia Ceicna. La nostra dinastia si merita di essere guidata da un vero uomo. -
- Ma... ma... - Gli occhi di Velelia si riempirono di lacrime e il mento iniziò a tremarle per l'indecisione di pronunciare le parole che avrebbe voluto dirgli.
Mezenthies fece un passo indietro e portò una mano al manico del pugnale che portava alla cintura, lo sfoderò e poggiò la lama sul palmo. - Cosa stai... - urlò Velelia, ma non fece in tempo a terminare la frase che suo marito stava già serrando il pugno intorno al filo e, con la mano che stringeva l'impugnatura, diede uno strattone, procurandosi un taglio profondo. Poi stese il braccio mostrando il palmo gocciolante alla moglie, che lo guardava terrorizzata. - Se dovessi fallire nel mio intento di far diventare Petruis un vero uomo, ti offrirò la mia vita per ripagarti di tanti inutili dispiaceri. -
- Ancora sangue - , mormorò Velelia, impallidendo. Parve perdere i sensi, barcollò sulle gambe fin quando tre schiave vennero a sorreggerla. Sentendo di essere sostenuta, la donna chiuse gli occhi e si abbandonò totalmente.
- Donne - , disse Mezenthies rivolto a Marce, osservando sua moglie che veniva portata via, - così fragili, in un mondo così difficile... -
- Sembra che tu voglia preparare tuo figlio a una vita piena di austerità - disse Marce, riporgendogli la kylix e un frammento di stoffa con cui tamponarsi la ferita.
- Chiunque sia a capo di una grande famiglia, è destinato a una duratura lotta con le avversità dell'esistenza mio caro Marce. Più grande è il potere che si esercita, maggiori sono i pericoli e le insidie a cui si va incontro. -
- Lo so bene. Credo che il tuo esempio sia abbastanza eloquente a tal proposito. -
- Vorrei che mio padre mi avesse preparato a ciò che ho dovuto affrontare. Sto dando a Petruis ciò che avrei voluto per me alla sua età. -
Lo sguardo di Mezenthies si riempì di malinconia, i suoi occhi, volti al passato, contemplavano tristezza e sofferenza poi si tastò la barba con aria meditabonda e la ruvidezza di quel contatto parve ridestarlo sui fatti presenti.
- Fammi l'onore di unirti a noi per il pasto - disse infine rivolto all'amico. - La vittoria di Petruis va celebrata a dovere, non credi?
L'uomo parve pensarci, vuotò il contenuto della coppa che aveva in mano poi disse: - Spero sia un pasto veloce. Prima del tramonto devo incontrare un commerciante straniero per concludere un affare. -

La cucina era in fermento, le cuoche si muovevano tra i calderoni impartendo istruzioni agli aiutanti su ciò che andava aggiustato o aggiunto nelle pietanze in cottura. Il pasto prevedeva le più deliziose leccornie che la città di Tarchna potesse offrire. In una pentola era in preparazione la puls, tradizionale polenta di farro da condire con il sugo di carne suina che ribolliva in un altro contenitore. Intanto il panettiere sfornava enormi quantità di pani e focacce, da accompagnare con i rinomati formaggi di Luni, fatti giungere appositamente a palazzo per essere consumati nelle grandi occasioni.
La porta del locale si aprì e una serva comparve nella sala. Si muoveva nervosamente, facendo vagare lo sguardo sui presenti, alla ricerca di un'occhiata d'intesa con qualcuno degli indaffarati addetti alla cucina. Correva più che camminare, la sua lunga veste le svolazzava alle spalle, carezzando spalle e braccia degli inservienti che incrociava al suo passaggio.
Una donna anziana e robusta, con il corpo molliccio avvolto in una tunica rammendata in più punti e sporca, le sbarrò la strada: - Thania, per tutti gli dèi, cosa ci fai qui? E perché ti muovi come una ladra? -
- La piccola Thania è con i nostri signori da troppo poco tempo, - disse un servo giovane e alto, dai capelli colore del sole, introducendosi tra loro e posando in terra una cesta di vimini ripiena di fichi, - perdonala Thesathei, col tempo migliorerà. -
Gli occhi dell'anziana serva si restrinsero, come se cercasse di scrutare qualche dettaglio oscuro nel volto del suo interlocutore, un segno rivelatore di qualche segreto che interessava i due ragazzi. - Se continua a poltrire per le stanze del palazzo i nostri padroni la puniranno presto e potrebbero anche decidere di cacciarla. Laris, se la sorte di questa fanciulla ti sta davvero a cuore dovresti aiutarla a ragionare. -
Laris mosse le labbra per replicare ma non ne ebbe il tempo.
- Thesathei - disse Thania, senza degnarla di uno sguardo. Osservava le mattonelle del pavimento, perdendosi tra le righe generate dalla loro congiunzione. Seguiva il labirinto di diagonali, in cerca di un varco nella mente e nell'animo. - Thesathei - ripeté, alzando leggermente il tono di voce, - ero solo venuta a dirti che il figlio del padrone vuole mangiare il suo piatto preferito stasera. -
A udire quelle parole Thesathei s'irrigidì, sembrò che si fosse tramutata in una statua di pietra. Poi corse verso la dispensa, ne tirò fuori dei contenitori di terracotta e controllò il contenuto.
- Laris... - bisbigliò Thania, approfittando del momento di distrazione della capo cuoca. Il ragazzo la guardò e le sorrise dolcemente. Sembrava aspettare parole che giungessero dal cuore della fanciulla ma dalla tensione che le leggeva nel viso intuì subito che voleva dirgli ben altro: - È successo ancora. Li ho sentiti. Ero venuta anche per questo... -
- Laris! I funghi sono pochi - urlò Thesathei emergendo da una botola della dispensa con aria allarmata, - non riesco a farci una porzione decente. Vai a vedere se ne trovi qualcuno nel boschetto. -
Il giovane serrò le mascelle, risentito, e si congedò da Thania, dopo averle soffiato in faccia con le narici con disprezzo.
Laris era già nel corridoio che separava le cucine dall'antro d'ingresso del palazzo quando Thania lo raggiunse. Gli afferrò la mano, invitandolo a fermarsi: - Ti prego, credimi almeno tu. -
- Mi stai stancando con questa storia, - rispose Laris, senza voltarsi. - Perché insisti con questa bugia? Non è divertente... -
- Non è una bugia! - Thania gli strinse il polso più forte, al punto che lui sussultò lievemente per il dolore. - É successo proprio qui, dove siamo ora. Poco fa, mentre venivo in cucina. Li ho sentiti ancora, quei maledetti respiri. -
Laris finalmente si voltò, sospirando. Era spazientito dal comportamento della ragazza ma qualcosa gli impediva di essere troppo rude. Cercò le parole meno dure da rivolgerle, quelle che potessero suonare più gentili. Non voleva ferirla, né umiliarla. - Ascolta, Thania. Ti hanno separata da poco dalla tua famiglia, ti sei ritrovata da sola in una grande città della Lega quando eri abituata alla vita pacifica e serena della campagna. Tuo padre è morto non più di dieci lune fa, la tua famiglia non aveva più sostentamento e ti ha ceduta come schiava per ricavare qualche soldo per con cui tirare avanti. Credo che tutti questi cambiamenti, accompagnati da eventi tristi e funesti, abbiano fatto dei brutti scherzi alla tua immaginazione. -
Thania accolse le mani di Laris nelle sue: - Fai silenzio, - disse. La presa era delicata ma decisa, la voce quasi un sussurro. Deglutì, poi rallentò il respiro.
Rimasero così per alcuni interminabili istanti. Aguzzarono entrambi l'udito, Thania riusciva a sentire il battito del cuore che le tamburellava nel petto, preda di ansia e paura per avvenimenti sconosciuti e sinistri. Voleva che anche Laris udisse i respiri delle mura, quei rantoli inquietanti che fin dal primo giorno in cui era giunta nel palazzo dei Ceicna aveva sentito nei corridoi e nelle stanze dell'immenso edificio. Tuttavia nessuno dei due riuscì a percepire il benché minimo rumore. Laris scosse il capo e non riuscì a trattenere una risata ilare.
- Devi credermi! - urlò Thania, disperata per il fallimento del suo tentativo. Poi poggiò una mano sulla parete alla sua sinistra e vi poggiò anche la fronte dicendo: - So che sei lì. Manifestati! Che cosa vuoi da me? Cosa cerchi da noi? -
- Devo andare. Thesathei aspetta i funghi. Se ritardo troppo mi beccherò una ramanzina. -
Laris era già lontano quando Thania parlò ancora. Sembrava in estasi, come una sacerdotessa che stesse per formulare una profezia.
- Se potessi, butterei giù queste mura per dimostrarti che non è uno scherzo né che mi sto immaginando tutto, - disse Thania, strofinando una guancia sul freddo marmo della parete, per riscaldarla col calore del suo corpo. - Sta per succedere qualcosa di terribile. Questa casa è maledetta. Ci attendono grandi sciagure. -
Un fruscio appena percettibile giunse al suo orecchio. Thania s'irrigidì, spalancò la bocca abbandonando la mascella e trattenne il fiato. - Chi sei? - chiese e un flebile rumore di passi che si allontanavano oltre la parete la spinsero a scorrere lungo il muro mentre cercava di seguire il movimento dell'entità che stava cercando di dileguarsi.
Giunta nel punto in cui il corridoio si trasformava in un bivio, Thania sentì che lo scalpiccio diventava sempre più indistinto, si guardò ai lati come se si aspettasse di vedere una sagoma umana allontanarsi.
Una mano le si poggiò su una spalla facendola trasalire. Si voltò, col viso ridotto a una maschera di orrore: - Per Tinia , sei ancora qui? Ma non hai davvero nulla da fare? -
- Laris... l'ho sentito di nuovo. Appena sei andato via. -
Il ragazzo non fece nessuno sforzo per trattenere una risata sprezzante, - guarda caso, proprio mentre non c'ero. Devo stargli proprio antipatico a questo spirito. - Il ventre gli premette contro il cesto di funghi che stringeva in grembo e il contenuto si rovesciò parzialmente in terra.
- Acc... così si sciupano. Thesathei non mi perdonerà, - disse, calandosi per raccogliere i funghi rotolati sul pavimento.
- Sei stato veloce, - disse Thania.
- Pura fortuna, - si giustificò il ragazzo, scrollando le spalle una volta riguadagnata la posizione eretta. C'era una cesta piena di funghi all'ingresso. Forse qualcun altro aveva già pensato a raccoglierli e per qualche motivo li ha dimenticati lì. -
Thania notò che nel contenitore c'erano ovuli, porcini e leccini. La testa di un grosso porcino le solleticava un tallone. Lo raccolse e, con mano tremante, lo porse a Laris.
- Sei ancora scossa? -
- Finché rimarrò in questa casa non avrò pace. -
- Stai esagerando. Ora vai in sala e aiuta a preparare se non vuoi essere punita. -
- Laris, - un servo basso e tozzo giunse ansimando. - Thesathei ti aspetta. Hai finito? - Notò la cesta e gliela strappò di mano, - ci penso io a portarglieli. -

I commensali banchettavano mangiando noci e castagne e bevendo vino. Stesi sulle panche, si lasciavano andare alle più intense espressioni di frenesia e vitalità. Gli ospiti della casa godevano delle grazie delle schiave dei Ceicna, una donna cantava mentre un musicista suonava un aulos accompagnato da un crotali . Il piccolo Petruis, seduto tra i suoi genitori, osservava divertito la scena che gli si parava davanti. Era la prima volta che assisteva a una simile manifestazione di visibilio, le uscite in pubblico gli erano state vietate fino all'incontro che aveva consacrato l'inizio del suo percorso d'iniziazione come guerriero e cittadino Etrusco. Il suo sguardo incrociò spesso quello di Marce, sembrava contemplarlo in modo strano, talvolta aveva l'impressione di leggere ostilità in quelle pupille, in altre occasioni ci vedeva solo un'aria trasognata, uno sguardo astratto per un pensiero rivolto altrove, forse a causa dell'ebbrezza causata dal vino.
Quello sguardo insistente lo inquietò e cercò un braccio della madre per farsi cingere le spalle. Velelia, che intanto parlava con un ospite, assecondò distrattamente il bisogno del figlio abbracciandolo debolmente.
Finalmente giunsero le portate principali, gli schiavi entrarono in fila portando enormi tegami ripieni dei più succulenti cibi che si potessero trovare nella città di Tarchna: carni di maiale alla brace, zuppe di farro e legumi, focacce ancora fumanti, grossi pezzi di formaggio di Luni cosparsi di miele. I contenitori furono posizionati sui bassi tavolini accanto alle panche su cui erano sdraiati i commensali che iniziarono a saccheggiare avidamente le portate a disposizione.
Laris portò una piccola ciotola di terracotta che fu posizionata davanti a Petruis. Sollevò il coperchio e una nuvola di fumo si dipanò nell'aria rilasciando il delizioso odore della pietanza che da sempre faceva venire l'acquolina al fanciullo: zuppa di funghi e castagne.
Petruis spezzò una focaccia e intinse una mollica nel tegame, poi se la portò alla bocca.
Un urlo agghiacciante frenò il suo gesto, Thesathei piombò in sala correndo mentre gracchiava come una cornacchia in trappola: - Mio signore! Mio signore! - urlava, mentre avanzava verso il tavolo a cui sedevano Mezenthies, Velelia e loro figlio.
- Che ti prende Thesathei? - chiese l'uomo, scattando in piedi, furente, - spero che tu abbia una valida ragione per creare questo scompiglio durante un banchetto solenne. -
Thesathei continuò ad avanzare, con la traviglia urtò il piede di un tavolino che si mosse in avanti, facendo cadere diversi vassoi poggiati su di esso. Teneva lo sguardo fisso su Petruis. - Ha mangiato? Il piccolo padrone... ha già assaggiato la zuppa? -
- Thesathei! Stai causando tanto trambusto solo perché un tuo piatto forse non è abbastanza gustoso? - tuono Mezenthies, portando istintivamente la mano al manico del pugnale che portava alla cintura. Poi un pensiero improvviso gli balenò nella mente, paralizzandolo. Iniziò a intuire ciò che l'anziana serva voleva dirgli.
Si voltò e colpì con un calcio la ciotola davanti al figlio poi gli schiaffeggiò la mano in cui ancora stringeva il boccone che rovinò in terra. Petruis, stupito e spaventato dal comportamento del padre, si ritirò verso la madre, trovando accoglienza nel grembo materno. - Hai mangiato, Petruis? Dimmi, hai già mangiato? - Il padre lo afferrò per le spalle e iniziò a scuoterlo, il fanciullo si sentì vibrare tutte le ossa, che sembravano mescolarsi e sbattere tra loro sotto pelle. Le ferite procuratesi durante il duello ripresero a fargli male, le braccia gli dolsero ed ebbe voglia di piangere. Infine, fece un gesto di diniego con la testa, poi affondò il viso nel seno materno per nascondere le lacrime alla vista del padre furente. - Che succede, Mezenthies? - chiese Velelia, mentre carezzava la nuca del piccolo per tranquillizzarlo. Intanto, intorno a loro si era radunato un capannello di persone disposte a semicerchio che osservava la scena. Qualcuno sembrava sinceramente preoccupato, altri ridevano divertiti. Un uomo, totalmente ubriaco, cantava in un angolo una triste litania dedicata alla luna con lo sguardo rivolto al soffitto.
Mezenthies, preceduto da Thesathei, corse verso le cucine, dove trovò alcuni servi rannicchiati in un angolo della stanza che tremavano come topi in trappola. Accanto a loro, a pochi piedi di distanza, un giovane era steso a terra e si contorceva dal dolore. Si teneva il ventre e urlava in modo agghiacciante. Accanto a lui Laris gli teneva la testa, cercando di dargli conforto. Era pallido e aveva gli occhi rossi.
- Ha cominciato a sentirsi male, - disse Thesathei, portandosi un lembo della veste davanti alla bocca. Stringeva i denti, come se volesse arrestare l'uscita delle parole. - Sono riuscita a parlarci, nonostante fosse già preda dei dolori e, tra le urla, mi ha detto di aver preso di nascosto uno dei funghi della cesta mentre li portava in cucina e di averlo mangiato. - Indicò il contenitore in cui era ancora presente qualche fungo, Mezenthies ne prese alcuni e, dopo averli studiati con lo sguardo per qualche istante, riconobbe tra essi alcuni esemplari di Amanita. - Sciagurata! - urlò, rivolto a Thesathei, - questi funghi sono velenosi! -
- Ho mandato... - Thesathei esitò un istante prima di parlare, piantò i suoi occhi colmi di orrore su uno dei servi e deglutì. - Ho mandato Laris a prenderli. Io non c'entro, sembravano normali... non so riconoscere le specie velenose, pensavo che ci avrebbe pensato lui. -
Laris iniziò a singhiozzare mentre stringeva la mano dello sfortunato compagno che intanto stava diventando paonazzo. Boccheggiava come un pesce in cerca dell'aria che cominciava a mancargli. - Perdonami, padrone, - disse il giovane, asciugandosi le lacrime con la manica della sua tunica. Mezenthies digrignò i denti. - Mi occuperò di te dopo - disse, poi si fiondò nell'altra sala. Ordinò a un servo di andare a chiamare un medico e cercò di rassicurare gli ospiti che, inorriditi dal racconto, iniziarono a preoccuparsi di aver ingerito anche loro del cibo contaminato dal veleno. Thesathei dichiarò che aveva usato i funghi solo per preparare la zuppa di Petruis e non per altre pietanze. Uno dei presenti, allarmato e confuso, chiese la testa del servo che aveva commesso un errore che avrebbe potuto costare la vita a tutti loro.
Un uomo dalla folta barba che indossava un cappello a cono e si muoveva poggiandosi al suo lituo , cerusico e aruspice di Tarchna, fu condotto nelle cucine.
Mezenthies gli spiegò l'accaduto e gli mostrò i funghi avanzati. - Puoi fare qualcosa per il mio servo? - chiese il capo famiglia dei Ceicna che non poteva fare a meno di provare compassione per quel giovane che urlava in preda agli spasmi. L'aruspice tenne lo sguardo fisso su un fungo, sembrò studiarne la consistenza premendo il gambo tra il pollice e l'indice poi, senza degnare i presenti di uno sguardo, si voltò e andò via.

Nello stesso spazio in cui si era svolta la gara di pugilato tra Petruis e lo schiavo Luvces si consumò anche l'esecuzione della punizione inflitta a Laris. Tutti i presenti al banchetto furono invitati ad assistere così da trarre soddisfazione dalla pena per il rischio che l'inadeguato servitore aveva fatto correre a tutti loro.
Fu allestito un piccolo palco di legno su cui gli ospiti si accomodarono, gli schiavi passavano tra gli spalti per offrire frutta fresca, birra e latte fermentato. Alcuni di loro, ai lati, sventolavano dei grandi ventagli per aggradare la condizione degli spettatori costretti a stare sotto al sole cocente in quella calda mattina autunnale.
Lo schiavo fu portato con le mani legate davanti a un tavolo di pietra al centro del giardino, sulla cui superficie poggiò petto e fronte. Di fronte a lui, all'ombra di una pianta di castagno con la mano poggiata delicatamente su un tronco, c'era Thania, che lo osservava con aria pregna di ammonimento ma anche di pietà. Prima che piegasse la testa sul tavolo del suo supplizio, Laris riuscì a incrociare il suo sguardo. Te lo avevo detto. La voce della ragazza gli rimbombò dentro la testa e brividi di profondo terrore giunsero a sommarsi a quelli che già provava per la punizione incombente.
- Amici, - disse Mezenthies, piazzandosi alle spalle di Laris, - questa pubblica punizione è organizzata per voi, per restaurare il vostro animo offeso dalla disonorevole condotta del mio sciagurato schiavo. Egli non solo ha messo a repentaglio l'incolumità di tutti voi, fatto già di per sé riprovevole, ma ha messo in una condizione di pericolo ciò che ho di più caro al mondo, mio figlio Petruis, che più di tutti noi ha rischiato un prematuro accesso nell'oltretomba a causa di questa disgraziata vicenda. -
- Non sono stato io a raccogliere quei funghi, - urlò Laris. - Ho trovato la cesta davanti all'uscio della porta di servizio che dà sul bosco. Sono innocente, gli dèi mi proteggano! -
- Silenzio, villano! - disse Mezenthies, voltandosi di scatto verso Laris. - Non aggravare la tua condizione con inutili menzogne. -
- Non sto mentendo, padrone, te lo giuro! É stata opera di qualcun altro, qualcuno che vuole fare del male... -
- Per le tue azioni insolenti, per la tua dabbenaggine e imperizia, ti condanno a ricevere dieci frustate, - disse Mezenthies, ignorando le parole del servo.
- ...e che potrebbe colpire ancora, - continuò Laris.
- Venti frustate! -
- Ahimè Thania, perdonami per non averti creduto... -
- Venticinque frustate! -
- Questa casa è maledetta! La sventura si abbatterà su di noi, è solo l'inizio. Ora lo so, lo sento! -
Lo spazio si ammutolì per un istante, anche la natura sembrò paralizzarsi davanti a una tale empietà. Furono gli schiavi a rompere per primi quella sorta d'incantesimo, il silenzio fu attraversato dai loro brusii seguiti dalle imprecazioni dei nobili che sedevano sul palco.
- Quale affronto! -
- Che oltraggio! -
- Altro che frustate, fosse stato un mio schiavo gli avrei tagliato quella lingua lunga che si ritrova. -
- Trenta frustate, Laris. E se dici solo un'altra parola, - disse Mezenthies, puntando un dito verso il cielo, - ti spedisco a lavorare nelle miniere. -
Davanti a quella minaccia Laris si ammutolì, paralizzato. Anche il suo respiro sembrò arrestarsi.
- Molto bene. Procediamo, - ordinò Mezenthies. Luvces, lo schiavo pugile, si fece avanti stringendo una grossa frusta tra le mani. Il volto, cosparso di pomate, con cui erano state curare le ferite causate dall'incontro con Petruis, era cereo. Avanzava con passo incerto, mantenendo una posa tutt'altro che fiera. Quando giunse in posizione, Mezenthies gli toccò un bicipite. - Ho scelto il mio schiavo più forte come esecutore materiale di questa punizione affinché le frustate più potenti vengano assestate a questo vile che è scampato alla forca solo perché non posso permettermi di perdere un altro membro della servitù dopo la dipartita dell'altro mio schiavo da lui avvelenato. Che la pena abbia inizio! -
- Un momento, - disse Velelia, sollevandosi dal suo posto nel palco. Accanto a lui sedeva Petruis, che le stringeva la mano. - Credo che l'avvio della punizione spetti di diritto a nostro figlio. Dev'essere lui a infliggere i primi colpi di frusta. -
Petruis strinse più forte la mano di sua madre e le gambe iniziarono a tremargli.
Mezenthies li scrutava entrambi, divertito. Un accenno di sorriso gli comparve sulle labbra. Fece cenno a suo figlio di farsi avanti ed egli esitò per un istante poi, notando l'aria risentita di suo padre, si decise a muoversi. Mentre avanzava poteva sentire alle sue spalle il calore bollente generato da sua madre che fissava Laris con occhi colmi di vero odio.
Mezenthies prese la frusta dalla mano di Luvces e la porse a Petruis. La mano esitò, facendo cadere in terra l'involucro di corde intrecciate. Il fanciullo lo osservava ai suoi piedi poi lo sguardo gli cadde sulla schiena nuda del condannato al supplizio. L'immagine della carne lacerata gli causò la nausea, pensò di svenire; Luvces gli posò una mano sulla spalla, sorreggendolo. Gli sorrise amabilmente, in un modo che non aveva visto mai nemmeno sul volto di suo padre a suo padre. Lo schiavo gli porse il manico della frusta e gli diede qualche istruzione su come usarla. Quando fu pronto, lo piazzò di fronte a Laris. Un primo colpo andò a vuoto e il servo, udendo il colpo di frusta, si strinse nelle spalle. A Petruis tremò il cuore, voleva scappare via e rifugiarsi da qualche parte per versare fiumi di lacrime ma non poteva farlo. - Ricordati il nostro duello, - gli sussurrò Luvces a un orecchio, - tira fuori la belva che è in te. Ha sete di sangue, io l'ho sentita. -
- Luvces, io... -
- Quel giorno mi avresti ucciso se non ti avessero fermato, ragazzo. Diventerai un grande guerriero, forte e feroce, ma devi imparare a non avere paura della tua belva. Tutti ne abbiamo una dentro di noi. Metti da parte il fanciullo fragile e piagnucoloso e apri la gabbia del lupo. Fallo scatenare. Ha bisogno di uscire. -
Petruis chiuse gli occhi, espirò. Poi strinse le mani, i piccoli muscoli delle braccia si tesero. Sollevò la frusta, puntò dritto sulla schiena di Laris e lo colpì con tutta la forza che aveva in corpo. L'aria fischiò, lo schiavo latrò come un animale ferito. Sulla pelle gli comparve una profonda striscia rossa, l'odore ferroso giunse alle narici di Petruis, che sbuffò come un toro pronto a caricare. Sollevò la frusta ancora e ancora. Lo spazio, fino a quel momento fermo e vuoto, fu riempito per un tempo indecifrabile da urla, imprecazioni, schiocchi di frusta e dal terribile rumore, appena percettibile, della carne che si lacera come un vecchio manto.

Arsenio Siani

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