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Autore: Camilla Di Blasi
AKRA - La guerra dei Regni
Fantasy
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AKRA - La guerra dei Regni
Nient'altro ricopriva la fredda terra nella periferia di Whireland se non immense nubi di fumo e fiamme che sfioravano il cielo. Travi infuocate imprigionavano la famiglia di contadini all'interno della loro umile casa; nessuno giunse in loro soccorso, l'eco dei loro disperati richiami avvolgeva il silenzio di quelle campagne solitarie.
“Dov'è Deyrin?!” Urlava afflitto un uomo, stringendo tra le braccia sua figlia. La ragazza, impaurita, copriva il volto mentre continuava a chiedere aiuto. Stringendo in mano una coperta, Doris, il più grande tra i figli, li raggiunse. “Non c'è via d'uscita, le porte sono bloccate!” ribadì coprendo la sorella con il pesante tessuto, mentre ella tossiva ripetutamente.
“Porta Kamen con te” continuò l'uomo, spingendo la figlia. "Raggiungete vostra madre e mettetevi in salvo!”
“Padre!” gridò la ragazza, mentre vedeva cedere una parete sul corpo ormai debole del genitore. Doris, a malincuore, tirò con sé la sorella, conducendola verso la scala che li avrebbe condotti al piano di sopra ma, non appena sfiorarono il primo gradino, due grossi tronchi infuocati caddero, bloccando il passaggio. Al piano superiore, la madre stringeva a sé la piccola nata solo da pochi mesi, la sua ultima figlia. “Ti salverò!” sussurrava più volte, proteggendola col suo corpo. “Ti salverò piccola mia” pronunciò, guardandosi intorno, come se sapesse già che tutto ciò sarebbe accaduto.
Attese la fine.
La misera casa di legno crollò. Non rimase che un cumulo di brace ad illuminare quella fredda terra di una sera d'estate; solamente lo scoppiettio interrompeva il silenzio. Quella notte qualcosa cambiò il destino di un giovane ragazzo, quella notte segnò la sua storia.
E da qui cominciò tutto.

CAPITOLO I: UN NUOVO INIZIO
Il sole splendeva alto sul Regno di Whireland. Sorto sulle rive del fiume Havel, esso era il più antico dei quattro Regni degli umani; più di venti dinastie di grandi Re l'avevano reso magnifico e importante, conducendolo a svariate conquiste territoriali ed espandendo il suo dominio. La città principale, costruita su una grande collina, rappresentava la più grande potenza economica fra i popoli umani. I suoi abitanti apprezzavano ogni singolo sforzo dei loro precedenti sovrani e vantavano la loro grandezza come mai nessuno prima d'ora. Rinchiusi nei loro ideali gli umani di Whireland conducevano una vita frenetica, dominata dall'avarizia e dal continuo bisogno di dimostrare la propria supremazia di fronte a coloro che consideravano inferiori. Non conoscevano carità, né fraternità per i deboli e i diversi, ma sapevano fingersi un popolo eccellente agli occhi dei viaggiatori e dei commercianti che non conoscevano la vita all'interno di quelle mura che circondavano l'intera città. L'idea di base, in realtà, nasceva proprio dal palazzo, dove il Re Thoron sosteneva ed aiutava solamente chi proveniva da famiglie più prestigiose e nobili; i poveri, gli stranieri e gli abitanti dei villaggi non avevano nulla se non ciò che riuscivano a procurarsi con le loro mani e i loro sforzi.

Erano trascorsi cinque anni da quel terribile incendio che uccise la sfortunata famiglia di contadini. Solamente due furono i superstiti quella notte: Sirian, la piccola di soli cinque anni che scampò alla morte grazie alla protezione della madre, che la protesse con il suo corpo affinché qualcuno potesse ritrovarla viva tra le macerie, e quel qualcuno fu proprio Deyrin, il terzogenito della famiglia, che ritornò a casa troppo tardi quella sera, quando ormai non c'era più alcuna speranza. Si diceva che il giovane contadino avesse litigato con i suoi fratelli quel giorno e che fosse scappato da casa senza far ritorno. Si dicevano molte cose sul suo conto ma in verità Deyrin non ricordava nulla, nulla eccetto quel cumulo di macerie e il corpo della madre che stringeva tra le braccia la piccola sorellina. Il gentiluomo che li aveva adottati diceva sempre che quel terribile incendio aveva portato via molte cose e che fosse stata davvero opera degli Dei se i due fratelli erano rimasti vivi dopo una tale tragedia. Spesso ribadiva anche quanto quell'evento avesse cambiato Deyrin; se fosse stato un bene o un male, non fu semplice capirlo. E intanto Deyrin compiva il suo ventunesimo compleanno e nulla nei suoi ricordi riaffiorava. Cosa fosse accaduto realmente restava ancora un mistero.
Cresciuto come un giovane contadino, egli dedicava le sue intere giornate al lavoro nei campi, senza distrazioni e senza svaghi. La sua carnagione era bruna, aveva una folta chioma color nero e dei grandi occhi che lasciavano trasparire la curiosità per il mondo al di fuori del suo lavoro. Il vecchio che si prese cura di loro era abbastanza noto tra i cittadini di Whireland, nonostante fosse un contadino anch'egli. Raccontava di essere un caro amico del signor Hangan, il vero padre di Deyrin, ma i figli non lo ricordavano molto. Nonostante ciò, si fidavano di lui.
Deyrin, dopotutto, sapeva essergli riconoscente. Si sentiva in debito nei suoi confronti e, come se volesse ripagarlo, lavorava giorno e notte per far sì che il raccolto risultasse il migliore del Regno. Essendo il più giovane contadino di quel piccolo villaggio, metteva sempre sé stesso in ciò che faceva. Malgrado le sue giornate fossero monotone e faticose, spesso si trovava a vagare con la mente: cosa sarebbe potuto accadere se avesse tentato di stravolgere la sua vita?
“Ho finito, finalmente.” Si passò un braccio sulla fronte per asciugare il sudore mentre a distanza vide il solito vecchio cliente avvicinarsi.
“Deyrin, figliolo! Cosa hai oggi per me?” chiedeva il vecchio, mentre si avvicinava col suo pesante carro trainato da un asino.
“Il solito, signore: cipolle, patate...”
“Mangio cipolle al mattino e alla sera, ragazzo! Dammi delle carote questa volta.”
Deyrin annuì cercando tra i sacchi. “Mi sono rimaste solo queste” affermò con tono dispiaciuto mentre gli porgeva un piccolo mazzo.
“Si, si! Vanno bene quelle.” Si lamentò il vecchio mentre tirava fuori dalla tasca qualche moneta. “Quanto vuoi per queste?”
“Fanno sette ori.”
“Sette ori? Per quattro carote?”
“Sono molto pregiate, signore. Le ho coltivate con le mie mani!”
“Per l'amor del cielo, ragazzo! Non sono mica il ciambellano di corte!”
Deyrin sbuffò un po': “E va bene dammi quanto vuoi, basta che mi dai qualcosa.”
Il vecchio cliente continuò a borbottare mentre contava le monete sul palmo della mano. “Te ne do cinque, ma solo perché sei tu! Non pensare mai che potrei fare un tale favore a quel farabutto di tuo padre! Mi deve ancora la mia ascia, glielo hai ricordato?”
Deyrin sorrise rassegnato, mentre prendeva in mano il denaro. “Il signor Jerman non è mio padre e di certo non è nemmeno un farabutto. Vedrà che le restituirà la sua ascia.”
“Si, si, certo. Vedi di lavorare di meno e mangiare di più, ragazzo! Non ci sono molti giovani come te da queste parti!” Fece un cenno con la mano mentre si allontanava con il suo carro e continuava a canticchiare le solite canzoncine.
Deyrin sospirò almeno due volte da quando quel vecchio era andato via. Il suo lavoro non era facile e quel che guadagnava sembrava essere giorno dopo giorno sempre più misero. Il vecchio patrigno teneva per sé molti soldi, Deyrin non sapeva quanti fossero ma lui gli ripeteva sempre che erano davvero importanti e che non avrebbe mai dovuto cercare di prenderli. Guardando quelle misere monete non poté fare a meno di pensare che forse non avrebbe dovuto consegnare i soldi al suo patrigno. Pensò alla sorellina, ancora dormiente sul suo letto, e all'improvviso un'insolita idea gli passò per la testa, qualcosa che non aveva mai fatto prima d'ora.
“Se facessi un salto al mercato per comprare qualcosa di saporito non se ne accorgerebbe nessuno.” Affermò a bassa voce.
Temeva molte cose della vita all'interno della città, ma temeva ancora di più di vivere per sempre rinchiuso tra quelle mura immaginarie che lo separavano dal resto del mondo. Rimase qualche minuto a rimuginarci su quando, con decisione, afferrò la giacca pendente dalla staccionata e si incamminò lungo le sterrate vie che conducevano all'ingresso della città, guardandosi continuamente intorno e sperando di rimanere indifferente agli occhi degli altri.
Oltrepassata la grande arcata dell'ingresso, la città sembrava quasi disabitata. A quell'ora del giorno tutti i cittadini affollavano le strade del mercato, anche se non dovevano far compere, eppure non ci volle molto per riconoscere la via giusta. Strade affollate da nobili, poveri, ladri e persino assassini, ognuno nella propria indifferenza. Sembrava che nessuno ti guardasse negli occhi se non per augurarti qualche sciagura.
“Scusate... Mi scusi!” Ripeteva ogniqualvolta qualcuno lo urtava. Provava un senso di ansia in mezzo a tutta quella gente sconosciuta; non era mai uscito dal suo villaggio e mai si era incamminato verso la grande città di Whireland. La confusione era tale da riuscire a distoglierlo dal suo reale obiettivo. Deyrin amava stare in compagnia ma sicuramente non lo divertiva finire travolto da così tanta gente. Camminando con passi piccoli e lenti tra il flusso di persone, raggiunse uno spazio vuoto accanto al grande tendone di uno dei mercanti; si sistemò le vesti prima di decidere di ributtarsi tra la mischia quando un profumo assai invitante catturò la sua attenzione.
Il profumo proveniva da una bancarella piena zeppa di formaggi; era qualcosa che Deyrin non assaporava da molti anni ormai.
Si avvicinò al tavolo, curioso di assaporare una di quelle pietanze, quando un tipo incappucciato gli finì addosso, facendolo cadere. Nell'urto contro il pavimento fece scivolare dalla tasca quei cinque spiccioli che custodiva attentamente. “Ahi!” Affermò mentre si toccava la testa. Con occhi socchiusi cercò di capire chi fosse stato a farlo cadere quando all'improvviso si rese conto di aver perduto il suo denaro e che chiunque lo avesse urtato fuggiva adesso a gran velocità dopo aver agguantato il bottino
“Cosa fai?! Ehi, fermo! Quelle sono mie!” urlò il contadino mentre, sollevandosi da terra, cominciò ad inseguirlo.
Il ladruncolo si voltava continuamente muovendosi come un'ombra tra le vie del mercato, cercando di seminarlo, ma Deyrin, nonostante venisse intralciato dalla fitta folla, non accennava ad arrendersi. Lo inseguiva a perdifiato, senza fermarsi un attimo. Il ladro era abile: saltava su per gli ostacoli, si aggrappava alle travi se necessario, si muoveva così lestamente che Deyrin facilmente lo perse di vista. Il giovane contadino si fermò, guardandosi intorno; non riuscì più a trovare la via per l'inseguimento. Quel ladro era scaltro, molto più di quanto lo fosse lui. Riprendendo fiato lo cercò tra i tanti vicoli senza trovarlo. Il ladro, diversamente da ciò che sembrava, non era del tutto soddisfatto della cosa: nascosto tra due botti, sbucò fuori sorprendendo Deyrin alle spalle, ridando il via all'inseguimento. Deyrin era forse il primo tra le sue vittime che reagiva così istintivamente ai furti; da questo si capiva quanto lui tenesse a quelle monete, quanto fossero importanti. Ma al ladro questo non interessò più di tanto. Scappò nella direzione opposta non appena Deyrin riprese il suo inseguimento. Il ladro si divertì tanto a prendersi gioco di lui, ma la cosa non durò molto poiché Deyrin, ormai troppo stanco, si abbatté su una parete, lasciandolo scappare via. Non appena si rese conto di non essere più seguito, il ladro si fermò nuovamente. Insoddisfatto, tornò indietro avvicinandosi al contadino, accasciato per terra per la troppa stanchezza. Si posizionò di fronte a lui e lo osservò per qualche istante.
“Non mi insegui più?” chiese.
Non ricevette alcuna risposta da Deyrin, solo uno sguardo tagliente che significava molte più parole.
“Bene.” Affermò insicuro, riprendendo la sua strada. Dopo qualche passo si fermò di nuovo.
“Perché non mi insegui più? Ti ho derubato!” si lamentò.
“Sei troppo veloce. Preferisco risparmiare le forze per poter riguadagnare quello che ho perso.”
Il ladro non si sentiva ancora soddisfatto: “Perché non chiami le guardie?”
“Non sto molto simpatico alle guardie.” rispose con indifferenza.
L'uomo misterioso lo fissò ancora, notando come Deyrin non si sentisse nemmeno un po' a disagio di fronte a lui.
Dopo essersi guardato attorno più volte tirò giù il cappuccio, mettendo in mostra il volto; incrociò le braccia, guardandolo dall'altro. Capelli di un biondo scuro uscirono da sotto quel pesante tessuto; erano spettinati, quasi un mucchio di paglia agli occhi del contadino. Quel ladro non aveva il volto tenebroso che Deyrin aveva immaginato, osservandolo nell'ombra. Sembrava avere sui trent'anni, nonostante mostrasse atteggiamenti quasi infantili. Aveva un viso sciupato, ma la cosa che maggiormente colpì il contadino erano i suoi occhi dal colore diverso: apparentemente castani, ma uno, il destro, tendeva al verde. Era una caratteristica che forse molti non avrebbero notato, ma Deyrin non era di questi.
“D'accordo, facciamo così: dividiamo le monete.” affermò il ladro con sicurezza. Il giovane contadino era sorpreso dalla sua improvvisa decisione.
“Vorresti dividere cinque monete?”
“Dividiamo queste monete e togliamoci il pensiero.” Riprese il ladro.


“Sei stato bravo nell'inseguimento, ti meriti metà del bottino. Così saremo alla pari!” continuò.
“Quelle monete mi appartengono, dovresti semplicemente restituirmele.”
“Non posso restituirtele, mi servono.” continuò, diventando improvvisamente più serio.
Deyrin non distolse lo sguardo nemmeno un secondo.
“Mi stai chiaramente prendendo in giro.” Affermò Deyrin sollevandosi da terra e urtandolo con una spalla.
“Sei un contadino, non è così?” chiese ancora il ladro.
“Si lo sono. Adesso, se permetti, devo tornare al mio lavoro.” disse l'ultima frase con tono aggressivo mentre riprendeva il suo cammino verso casa.
“Se sei un contadino avrai bisogno di queste monete.” Insistette l'altro, cercando di trattenerlo. Tirò fuori dalla tasca i cinque pezzi e con un gesto afferrò il polso di Deyrin mettendo due monete sul suo palmo. Il contadino lo guardò confuso.
“Che stai facendo?” chiese. Il ladro ne infilò poi due in tasca e cominciò a fissare la monetina rimanente. “Non ho idea di come dividere questa.” borbottò aggrottando la fronte.
A Deyrin scappò una risatina; il ladro sembrava fin troppo determinato e il più giovane continuava a chiedersi come potesse una persona tanto stupida riuscire a derubare con tanta facilità.
Scuotendo la testa riprese: “Sei la persona più strana che abbia mai conosciuto.”
“Non credo tu abbia conosciuto molte persone.” affermò con disinvoltura il ladro, lasciando l'altro colpito dall'improvvisa affermazione che, sorprendentemente, rispecchiava la realtà. All'improvviso l'attenzione del contadino venne catturata da una voce familiare che proveniva dalla stradina accanto.
“Oh no, è lui...” pronunciò a bassa voce.
“Lui chi?” chiese l‘altro, cercando di vedere oltre il vicolo. Deyrin lo spinse dietro una grossa botte vuota, implorandolo di rimanere in silenzio. Quella voce apparteneva al signor Jerman, il suo patrigno: un uomo basso e barbuto dalla voce rauca, che trascorreva le giornate al mercato vendendo il suo raccolto.
Il vecchio passò indifferente continuando la sua piacevole conversazione con il compare; una volta allontanatosi, il giovane contadino uscì fuori, sospirando con sollievo.
“Chi era?” chiese curioso il ladro.
“Il mio patrigno.” rispose con fermezza. “Lavoro per lui da molto tempo.”
“Perché ti nascondi?”
“Non vuole che vada al mercato; pensa che chiunque possa derubarmi facilmente.” si voltò verso il ladro. “In effetti... non aveva torto.”
Il ladro lo guardò, provando un po' di compassione nei suoi confronti. Incrociò le braccia inclinando la testa e, dopo averci rimuginato su per qualche secondo, prese la sua decisione.
“Vieni a casa mia, ti darò qualcosa da mangiare.”
“Da mangiare?” sgranò gli occhi Deyrin.
“Mi sei simpatico, davvero! Non avevo mai conosciuto un tipo come te qui a Whireland.”
Il ragazzo continuò a guardarlo fisso. “Non so cosa dire...”
“Allora, accetti o no?”
Dovette pensarci più volte prima di prendere una decisione; non si fidava molto di quello strano tipo ma l'idea di tornare a casa senza nient'altro che le sue stesse mani lo rattristava, dopo tutto il lavoro che aveva fatto. Si era intrufolato al mercato per poter comprare qualcosa da mangiare che non fosse la solita minestra di verdure, ma era finito per non avere niente se non quelle due misere monete che gli erano rimaste.
Guardò ancora una volta quell'uomo, nella speranza di poter trovare in lui qualcosa che gli ispirasse fiducia. Si guardò alle spalle, poi con determinazione affermò: “Accetto.”
Inaspettatamente il ladro fece un sorriso soddisfatto, che nascondeva un grosso carico di felicità. “Perfetto!” esclamò. “Vieni con me!”
Deyrin sospirò, ancora un po' preoccupato, poi cominciò a seguirlo lungo le vie. Durante il loro cammino, il contadino osservava le stranezze di quella città: le strade a Whireland non erano mai state molto accoglienti ma le case erano ben costruite e resistenti, in gran parte realizzate con mattoni di una solida pietra grigia. Non a caso Whireland era considerato il più importante tra i quattro Regni degli umani. Tutti i sovrani che lo governarono diedero il meglio per garantirne lo splendore e lo si notava nei pregiati materiali con il quale venivano costruite le strutture e i monumenti più importanti. Quatti e indifferenti i due si intrufolarono in una serie di vicoli non lontani dal mercato. Furono molti gli sguardi inquietanti che Deyrin incrociò mentre camminava per quelle vie; continuava a tenere la testa bassa cercando di evitarli, aumentando sempre di più il passo.
“Che posto è questo?”
“Forse il posto peggiore al mondo.” ridacchiò il ladro. “Anche se sono fermamente convinto che al palazzo reale ci siano persone più strane.”
“Vivi qui?”
“Si, ma quando ci vivi da molto tempo impari ad andare d'accordo con questa gente. E poi, siamo a due isolati dal mercato, quindi non è così male in fondo.” continuava.
Deyrin non se ne convinse molto, mentre camminava sempre più incollato a lui, spaventato da quegli sguardi.
“Posso sapere il tuo nome?” chiese per distrarsi.
“Il mio nome?” fece un'espressione perplessa l'uomo. “Ehm...Hansol.”
“Hansol?” chiese ancora.
“E tu invece? Come ti chiami?”
“Deyrin.”
“Che strano nome. Da dove vieni?”
“Dal villaggio.” borbottò, continuando a seguirlo. “Ma i miei genitori non erano di Whireland.”
“Capisco.” Concluse il ladro, non appena si fermò di fronte ad un cancello. Deyrin alzò gli occhi, osservando la grande casa oltre quella ringhiera di ferro; era grande come quelle dei nobili ma, contrariamente alle aspettative sembrava malandata e abbandonata a sé stessa. Le alte pareti avevano perso la verniciatura quasi del tutto; il giardino che la circondava era arido e non curato, secco abbastanza da far apparire l'intero edificio spettrale. Oltrepassarono il cancello arrugginito, chiuso con una semplice corda consumata.
Deyrin lo seguì fin dentro la struttura. L'ambiente era cupo, sporco, come se nessuno entrasse lì da tempo.
“Vivi qui da solo?” chiese irrequieto mentre osservava la casa.
“Prima avevo un compare.”
“E adesso dov'è?”
Hansol rispose con spontaneità. “È stato preso dalle guardie e impiccato.”
Deyrin rimase stupito dall'indifferenza mostrata da Hansol nel raccontare quel fatto. Inquietato, rimase in silenzio per qualche secondo, poi riprese con le sue assidue domande: “Rubava anche lui?”
“Si, lo hanno beccato mentre derubava una nobildonna. È questo il motivo per cui non rubo ai ricchi. Se avesse derubato un povero non lo avrebbero di certo giustiziato.”
“Mi dispiace.”
Hansol si limitò a fare spallucce mentre portava al tavolo due coppe, delle pagnotte e della carne secca. Deyrin aveva gli occhi spalancati come se non vedesse del cibo da una vita. “Hai tutto questo cibo... senza pagare?”
“Lo rubo. È semplice quando vivi vicino al mercato. Mangia pure!”
Deyrin prese in mano del pane e mangiò ingozzandosi.
“Non mangiare così in fretta! Sai, mia nonna è morta in questo modo.”
“Davvero?”
“Si. Si ingozzò come te finché un boccone le andò di traverso. Non fu male come sua ultima cena... Eh, povera nonnina.”
Deyrin posò il pane sul tavolo, disturbato da quel racconto.
“Non te la passi così male per essere uno... contro la legge” continuò.
“Non sempre, però, le cose vanno bene... Una volta ho mangiato mele per un'intera settimana. Non riuscivo a rubare nient'altro!”
Ridacchiarono entrambi quando Deyrin con uno sguardo fiducioso si rivolse nuovamente a lui: “Qualche volta puoi venire nel mio villaggio, posso darti frutta e ortaggi in quantità se sei disposto a pagare.”
“C'è la tua famiglia lì?”
“Vivo solamente con mia sorella e il vecchio. I miei genitori e i miei fratelli maggiori sono morti in un incendio cinque anni fa.”
“Capisco. Quindi hai una sorella?”
“Si.” sorrise “È molto piccola. Tengo tantissimo a Sirian.”
Anche Hansol non poté che sorridere. “Sirian... Come la stella.”
“Le stelle hanno un nome?” ridacchiò il contadino.
“L'ho letto in un vecchio libro.”
Deyrin si lasciò distrarre da un fastidioso suonare di una tromba che interruppe il loro discorso.
“Cos'è?” chiese preoccupato.
“È solo il messaggero del Re, non ne hai mai visto uno?” rispose Hansol.
“No, in verità.”
L'uomo si alzò dalla sedia e chiuse la finestra che affacciava verso la strada principale, sulla quale passava il nobile messaggero a cavallo, accompagnato da un paio di guardie.
“È incredibile come questi strambi uomini a cavallo non si siano mai accorti della mia esistenza.” disse ridacchiando, mentre guardava il tipo passare.
A quel punto anche Deyrin si alzò, prese due pagnotte e poggiò sul tavolo le due monete. “Adesso è meglio che vada.”
Hansol seguì con gli occhi i suoi movimenti, stranito. “Perché le dai a me?”
“Mi hai dato da mangiare, non ne avrò bisogno per oggi.”
“Sei la prima persona gentile che incontro.”
“Non puoi pretendere che la gente sia gentile con te se rubi dalle loro tasche!” continuò.
“In ogni caso...” Deyrin gli fece un sorriso. “Con me sei stato davvero onesto, ti considererò un amico d'ora in poi. Adesso vado. Spero di rivederti!”
“Aspetta!” lo fermò il ladro, voltandosi verso il tavolo e afferrando in fretta le monete. “Non devi pagarmi, non lo accetterei. Prendile tu, ne hai sicuramente più bisogno di me.”
Deyrin fissò quei cinque spiccioli di rame, colpito dall'improvviso gesto dell'altro. Con un caldo sorriso le prese e lasciò in fretta la vecchia casa, raggiungendo il prima possibile i confini della città, per poter ritornare al villaggio prima del calar del sole.

Passò la notte e al mattino seguente sembrava essere tornato tutto alla quotidianità. Deyrin riprese con il suo solito lavoro; zappando sotto il sole cocente, estirpava dal terriccio robuste radici ed erbacce. Alzava spesso gli occhi verso l'orizzonte, sperando, in cuor suo, di rincrociare lo sguardo di quello strambo uomo tanto simpatico che gli aveva tenuto compagnia il giorno prima. Vagando con la mente ripensò a tutto ciò che era accaduto e in qualche modo cominciò a credere che forse molte delle cose che ricordava non fossero reali. Era un pensiero strano, ma per un ragazzo tanto semplice era difficile credere di aver realmente trovato un amico di città.
Era immerso nelle sue paranoie quando a distanza, nonostante gli accecanti raggi del sole, riuscì a scorgere delle figure. Due uomini a cavallo, non di più, con furia si dirigevano verso la casa del vecchio cliente che quasi ogni mattina veniva a comprare da loro. Deyrin, preso dalla curiosità, lasciò perdere il lavoro, avvicinandosi quatto, a una distanza sufficiente da poter sentire le loro voci, ma senza dare nell'occhio.
Avevano lunghi mantelli neri e un'elegante armatura che metteva in risalto l'importante stemma reale. Il ragazzo sentì un brivido di paura non appena si rese conto che quei due cavalieri provenivano dal palazzo, probabilmente mandati dal Re in persona.
“Siamo venuti a riscuotere le tasse, vecchio.” Disse una delle due guardie mentre scendeva dal cavallo.
“Tasse? Ho già pagato quello che dovevo al Re.” rispose con voce roca il vecchio falegname.
“Secondo quanto prescritto nel nuovo regolamento, dovete ancora trecento ori.”
“Io non possiedo tutto questo denaro! Lavoro il legno e guadagno quel poco che serve per sfamare me e mia moglie!”
Il cavaliere, camminando con spavalderia, si avvicinò minaccioso al vecchio. “Se non pagate, saremo costretti a portare via il carro e le bestie. Vi verrà sottratto tutto ciò che possedete.”
Deyrin assisteva alla scena a dedita distanza; avrebbe voluto far qualcosa per difendere il vecchio dall'arroganza dei due uomini, ma un pensiero ben più grande lo preoccupò al momento in cui uno degli uomini cominciò a tirar fuori il carro carico di legna che il buon signore teneva nella stalla.
Si voltò verso la sua casa, rendendosi conto di non aver nulla se non ortaggi ben coltivati e vecchi armeggi. Non sapeva dove il vecchio tenesse il denaro e niente di tutto ciò che era dentro quella scricchiolante casa di legno avrebbe potuto ripagare una tale somma. Corse nuovamente verso la sua umile dimora, chiudendosi all'interno.
“Pensa, Deyrin, pensa.” bisbigliava mentre sentiva i due uomini allontanarsi dalla casa del vecchio.
Il panico lo travolse mentre, con sveltezza, cercava una soluzione al problema.
“Sirian!” svegliò la sorellina, che dormiva sul suo letto. “Sirian, dobbiamo andare via.”
La prese in braccio afferrando anche una coperta, per poterla tenere al caldo una volta usciti fuori. Voleva scappare via, prima che quelle guardie potessero trovarli lì dentro, ma si fermò quando sentì i pesanti passi farsi sempre più forti man mano che si avvicinavano alla porta. Era troppo tardi.
Sentiva le loro voci, anche se non riusciva a capire bene cosa dicessero. “Oh no.” si guardò intorno.
Con uno scatto corse verso il letto, si chinò per far entrare la sorellina sotto di esso e subito dopo si infilò anche lui, usando la coperta per coprire sé stesso e la piccola, ancora assonnata e confusa.
Una volta giunti davanti alla porta d'ingresso, uno degli uomini cominciò a bussare con forza. “Aprite, contadini! Abbiamo un messaggio dal Re.”
Quanto fosse forte il respiro di Deyrin riuscì, per fortuna, a sentirlo solamente la piccola Sirian, stretta dalle braccia del fratello che continuava ad accarezzarla, cercando di tranquillizzarla. Bussarono ancora una volta ma nessuna risposta giunse a loro; non persero altro tempo quando decisero di entrare con la forza.
“Siamo guardie reali, fareste bene ad uscire fuori dalle vostre tane!” ordinava con voce possente l'uomo. Deyrin riusciva ad intravederlo dalle fessure del letto e continuava a pregare nella speranza potesse andar via il prima possibile. Tratteneva il fiato mentre stringeva a sé la bambina. La guardia continuava a vagare per la casa, prendendo in mano qualche oggetto, buttandone a terra qualcun'altro, e continuava a ripetere: “Dove ti nascondi vecchio? Lo sappiamo che sei ancora qui.”
All'improvviso si avvicinò al letto, poggiando con forza le mani sul materasso in paglia. Rimase un po' in quella posizione, sollevò poi le coperte e scoprì i cuscini. Deyrin sentiva il cuore pulsare ad una tale velocità da temere si potesse sentire anche a distanza; quei secondi sembravano non passare mai. Sirian voltò lo sguardo verso fuori quando uno dei cavalli cominciò a nitrire.
“Sta buono!” urlava la guardia che attendeva all'esterno.
L'uomo armato si allontanò dal letto. “Che succede lì fuori?”
“Questo maledetto cavallo sembra essere impazzito.”
“È impazzito perché sarà affamato quanto me.” si lamentava. “Andiamo via, qui non c'è nessuno.” La guardia prese in mano un tozzo di pane dal tavolo e uscì fuori, chiudendo la porta.
Il fiato sembrava non bastargli al giovane contadino. Qualche istante dopo degli improvvisi e consecutivi colpi alla porta allarmarono nuovamente i due fratelli; erano le guardie che avevano lasciato un messaggio di avviso alla porta, come promemoria prima di andarsene definitivamente. Deyrin aspettò qualche minuto ancora prima di uscire fuori dal suo nascondiglio, spolverandosi i vestiti e mettendo la sorellina su una sedia. “Credo che qualcuno ci abbia davvero ascoltati da lassù, Sirian.”
La piccola non rispondeva, ma lo guardava con un'espressione stranita, quasi irritata.
“Probabilmente torneranno domani. Devo trovare un modo per avvertire il signor Jerman.” Parlava da solo mentre nervosamente afferrava la borsa. “Tornerò presto, Sirian. Sta tranquilla e aspetta che torni. Non mancherò molto.” Le diede un bacio in fronte e uscì dal retro correndo velocemente verso la città.
Tra le strade la solita confusione e i soliti ingorghi che, fortunatamente, riuscì a evitare passando per le vie più strette. Raggiunto il mercato Deyrin rallentò il passo, guardando a destra e a sinistra, sperando di trovare il suo patrigno in mezzo ai tanti venditori. Niente riusciva a distrarlo; riprese a camminare in fretta voltandosi continuamente tra il viavai della gente finendo per scontrare bruscamente un uomo. Tutti i presenti reagirono stupiti, o almeno, questo era ciò che credeva lui; i volti degli abitanti erano quasi smarriti, come se fosse accaduto qualcosa di estremamente grave; stavano tutti fermi immobili attorno a lui, fissandolo, dando l'impressione di voler provare pietà nei confronti del contadino. In realtà il vero problema, secondo quelle menti mediocri, era colui che Deyrin aveva urtato.
"Come osi?!" gridò a gran voce l'uomo ben vestito, con tanto di bastone.
Deyrin avrebbe voluto chiedere scusa, o almeno, avrebbe voluto farlo un attimo prima che quel nobile aprisse bocca in modo tanto sgarbato.
"Sto parlando con te, contadino!" gridò ancora l'uomo.
Attorno a loro, intanto, si formava una folla di persone curiose e allo stesso tempo intimorite dalla scena, consapevoli che il contadino non sarebbe riuscito a sfuggire alla trappola in cui il nobile lo aveva messo.
"Andavo di fretta, non ho prestato molta attenzione." Borbottò Deyrin.
"Hm! Voi morti di fame andate sempre di fretta." si fece una risata, cercando in qualche modo di coinvolgere gli spettatori. "Dovresti inchinarti a me e chiedermi umilmente perdono!" continuò l'uomo.
Deyrin continuava a non rispondere alle sue minacce, se non con uno sguardo serio e penetrante.
"Hai idea di chi tu abbia urtato? Sono il vice consigliere del Re in persona!"
La folla sobbalzò all'affermazione, l'unico che rimase impassibile fu proprio il diretto interessato.
"Mostrami rispetto o ti farò arrestare!"
"Mi hanno insegnato a portare rispetto a coloro che hanno dimostrato di meritarselo. Non mi inchinerò a colui che sta portando alla morte la gente come me." Continuò rivolgendosi ancora a lui, più deciso e coraggioso che mai. Deyrin pronunciava quelle parole con freddezza, tirando fuori tutta la rabbia che teneva dentro da tanto. Si sentiva così offeso dalle sue spavalderie che decise che non avrebbe lasciato passare oltre quella spiacevole vicenda, ma si sarebbe ribellato in nome di tutta la gente che ogni giorno soffriva a causa dei potenti del Regno.
"Come osi? Voi contadini siete come le bestie, siete al mondo solo per servire noi." Insistette l'uomo, mostrandosi ancor più spavaldo e cattivo.
"Quando non avremo più le forze per lavorare, o quando il nostro corpo cederà per la troppa fame, nessuno potrà servirvi, mio signore."
"A quel punto mangeremo voi allora!" cominciò a ridere. "Come le vacche! Quando diventano vecchie e inutili le mangiamo!"
Deyrin continuò a fissare il nobile con aria di sfida, senza distogliere gli occhi dai suoi.
"Come osi guardarmi in quel modo?! Non dovresti nemmeno passarmi vicino, inutile essere delle campagne!”
Il contadino placò la rabbia, sentendosi responsabile di ciò che sarebbe potuto accadere se avesse continuato ad opporre resistenza. Prendendo un respiro gli voltò le spalle, cominciando ad allontanarsi.
L'uomo, offeso, decise di non darla vinta al più giovane e con forza lo spinse con il bastone buttandolo per terra.
"Non osare affrontarmi!" Urlò l'uomo, spingendo la punta del suo bastone contro la schiena del ragazzo.
Tra la folla, intanto, si infiltrava Hansol, incuriosito dalla scena. Avvicinandosi riconobbe subito Deyrin, con il volto schiacciato contro il terreno e gli occhi strizzati.
"Ma cosa sta facendo?" Pensò, con volto stranito.
Le voci del pubblico sembravano acclamare l'abuso; come se Deyrin fosse diverso da loro, si presero gioco di lui ridacchiando spudoratamente. Con un sospiro che nascondeva un filo di preoccupazione, Hansol si fece avanti, contrapponendosi tra il contadino e il suo aggressore.
"Chi sei tu?" Ribatté l'uomo.
"Lascialo!" Rispose Hansol tirando fuori un pugnale. La folla sobbalzò, indietreggiando.
Sentendosi minacciato, il nobile cominciò ad urlare. "Guardie! Guardie!"
Deyrin, una volta in piedi, capì che la situazione non poteva che peggiorare. Afferrò il compagno per un braccio ed entrambi cominciarono a correre, cercando di sfuggire alle guardie, che intanto raggiungevano di corsa il vice consigliere.
"Prendeteli, hanno osato minacciarmi!" Ribadì egli con agitazione.
Cominciò così un inseguimento frenetico tra i vicoli della città. Deyrin e Hansol fuggivano dalle guardie che, allarmando l'intera zona, aumentavano sempre di più di numero.
I due fuggiaschi sembravano non riuscire ad avere la meglio, così, nel tentativo di togliere il compagno dai guai, Hansol fece arrampicare Deyrin su per una vecchia scala in legno che portava su una grande terrazza.
“Non fermarti!” urlava dietro di lui, aspettando di avere abbastanza spazio per seguirlo. Una guardia afferrò il ladro alle spalle, tirandolo giù. “Preso!” urlò soddisfatto. Hansol non si arrese: lo calciò in viso con entrambi i piedi, rialzandosi da terra e riprendendo la frenetica corsa lungo la strada.
“Hansol, corri!” gridò Deyrin, che intanto cercava di seguirlo correndo sui tetti delle baracche.
Hansol continuò a correre a perdifiato, cercando di seminare gli uomini armati. Seppur in svantaggio, il ladro conosceva tutti i vicoli più impenetrabili della città e, con un po' di astuzia, riuscì ad allontanarsi abbastanza. Sembrava fosse riuscito a seminarli ma, svoltato un altro angolo, imprevedibilmente si trovò circondato da mura. Con le guardie di nuovo alle calcagna, il ladro cercò invano di arrampicarsi sulle pareti ruvide, ma venne presto acciuffato e sbattuto a terra, con le lance puntate addosso.
“D'accordo, d'accordo.” Ridacchiò nervosamente. “Avete vinto voi.”
Hansol non poté opporre resistenza; venne legato e strattonato dalle guardie. Poco dopo Deyrin riuscì a raggiungere il luogo dove il ladro era rimasto intrappolato, rimanendo nascosto sui tetti. “Oh no!” esclamò dopo essersi reso conto che il compagno era stato catturato e circondato da una decina di guardie.
Hansol si dimenò, cercando di allentare dalla presa, ma fu tutto inutile; venne trascinato fuori dal vicolo e condotto verso una grande strada, la strada principale, che li avrebbe portati direttamente al palazzo reale. Il giovane contadino sentì un profondo senso di colpa nei confronti del compagno. Non sapeva realmente cosa avrebbe potuto fare per salvarlo da quella situazione; restare con le mani in mano era certo l'ultima cosa che avrebbe voluto. Si convinse che seguirlo era la scelta migliore e così, silenzioso e quatto, intraprese anch'egli la strada per il palazzo. Esso si trovava nella parte più alta della città; una struttura maestosa e possente, composta da due grandi torri sulla cima e circondata da uno stretto fossato; le mura erano in pietra grigia, corrose dal tempo. Hansol aveva sempre osservato il palazzo dalle strade del mercato ma solo dopo essersi trovato ad una così breve distanza si rese conto della sua reale grandezza. Venne portato all'interno di un'ampia sala dove non poté fare a meno di notare l'imponente figura del Re Thoron, che sedeva sul trono affiancato dai suoi due figli. Le guardie lo trascinarono fino al suo cospetto, costringendolo rozzamente ad inchinarsi.
Hansol non provava molta paura, nonostante si trovasse di fronte a colui che avrebbe deciso le sue sorti. Era perso nell'osservare gli oggetti che riempivano quella sala; non aveva mai visto così tanti materiali preziosi e così tanto oro nelle decorazioni e negli ornamenti divini. Diede un'occhiata anche all'abito della principessa, così costoso e ben cucito, e pensò che se mai avesse avuto l'opportunità di avere un tessuto così tanto pregiato per sé avrebbe di certo smesso di rubare.
Eppure, il ladro non era l'unico ad aver lo sguardo perso per ciò che gli era nuovo. Tra gli occhi incerti anche quelli dei due principi, Tairon e Nice, fratelli gemelli appena sedicenni, scrutavano con curiosità il volto smarrito del condannato. Avevano perso la madre quando erano ancora molto piccoli e da quel momento il Re voleva che i suoi due figli lo affiancassero durante ogni sentenza e riunione importante, poiché voleva insegnare loro cosa significasse essere un sovrano; voleva che il suo Regno, anche dopo la sua morte, fosse governato da regnanti forti e determinati. I due ragazzini, in realtà, non erano propensi ad apprendere ciò che il padre cercava di insegnargli. Le questioni del Regno li annoiavano, piuttosto amavano curiosare, sia con buone che con cattive intenzioni, in tutto ciò che accadeva all'interno del palazzo. Nonostante fossero gemelli, i due principi nutrivano sentimenti contrastanti: Tairon aveva uno sguardo confuso, infantile, grandi occhi castani e una bionda chioma sempre ben sistemata; osservava tutto sempre con stupore e curiosità ed era sicuramente il più tranquillo della famiglia reale; amava leggere le storie avvincenti che coinvolgevano le razze al di fuori di quella degli umani, in particolar modo era affascinato dagli elfi e dalle vicende che i libri raccontavano sulla loro nascita e le loro guerre. Erano aspetti che non lo accomunavano di certo alla sorella Nice, che spesso sembrava essere il suo esatto opposto. Appariva come una dolce fanciulla dalla lunga e dorata chioma, ma sotto quella sua innocua apparenza nascondeva un carattere tremendo; Era assetata di potere, superba o, come era solito definirla il fratello, "un'odiosa sanguisuga". Se fosse più severa lei o suo padre il Re, non fu ben chiaro a nessuno di loro.
“Chi è costui?” chiese distratto il Re.
“Ha tentato la fuga dopo aver cercato di assassinare il vice consigliere, Sire.”
Tairon fissava il ladro con poco interesse, consapevole della superficialità con la quale il padre e tutti coloro che lo affiancavano giudicavano i singoli cittadini, in particolare coloro che erano visti come delinquenti.
"Dovremmo giustiziarlo, padre." rispose con una tale freddezza la principessa.
"La solita avventata." sbuffò il principe.
"È un criminale, non ha alcuna dignità." Ribadì con malizia ella.
"Figli! Placate la vostra rabbia. La decisione spetta a me." Li interruppe il padre dall'imminente litigio.
Intanto, al di fuori, Deyrin aveva raggiunto le mura del grande palazzo seguendo il percorso delle guardie; non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare una volta giunto lì, ma lasciare che Hansol venisse imprigionato sarebbe stato ingiusto, dal momento che era finito in quel guaio per salvare lui. Sentì il rumore di una carrozza avvicinarsi alle sue spalle; con uno scatto si nascose dietro delle grandi casse in legno, probabilmente piene di merce importate dagli altri Regni. Dalla carrozza scesero alcuni uomini ben vestiti con lunghe toghe; Deyrin non ne aveva mai visto uno, ma pensò si trattasse di normalissimi predicatori. Il grande cancello era aperto ma le guardie lo circondavano in modo assiduo ad ogni ora del giorno. Non era sicuro di voler entrare dentro: nella sua mente continuava ad apparire la tanto temuta prigione di Whireland, dove si narrava nessuno potesse uscirne vivo. Se fosse realmente finito lì dentro, avrebbe lasciato Sirian per sempre e questo non poteva accadere. Ma dentro di sé continuava a pensare a quell'uomo che lo aveva difeso e salvato dalle guardie. Probabilmente se fosse successo al contrario Hansol avrebbe rischiato tutto per liberarlo da quella prigionia. Deyrin avrebbe dovuto fare lo stesso, ma non sapeva come. Le guardie continuavano a controllare gli ingressi incessantemente.
“Devo trovare un modo per poterli distrarre.” pensava mentre con gli occhi osservava tutto ciò che lo circondava. D'un tratto qualcosa attirò la sua attenzione. “A fuoco! A fuoco!” urlò qualcuno a distanza. Le guardie furono sull'attenti mentre cercavano di capire da dove provenisse la voce. In effetti qualcosa stava davvero bruciando e non a caso si trattava proprio della carrozza da dove un attimo prima erano scesi gli uomini religiosi; le fiamme furono talmente alte che incendiarono persino gli abeti lì vicini, costringendo tutte le guardie ad intervenire. Quello era il momento, pensò dentro di sé Deyrin, quello era il momento perfetto per poter entrare. Non si spiegava come potesse un carro prendere fuoco così facilmente, ma non gli importò molto; ciò che importava è che aveva finalmente l'accesso libero.
Cominciò a correre nel grande cortile fino a giungere dentro il palazzo, restando cauto e nascosto. Cercò di seguire le voci per poter capire dove si trovasse Hansol; si guardava sempre intorno mentre nascondendosi tra i lussuosi mobili del palazzo, si spostava lentamente. Vedeva le guardie sorvegliare l'intera sala del Re e cercava un modo di raggirarle, ma ogni passo presumeva un rischio. Non era certo di quale direzione prendere per sfuggire dalla loro vista. Tra le squillanti voci dei sovrani, con un po' di fortuna, riuscì a focalizzare una sentinella alla fine del lungo corridoio. Prese la via opposta che lo costrinse a salire su per una gradinata, addentrandosi sempre più in quell'immenso labirinto. Tra un corridoio e l'altro, per sfuggire alle guardie, si rese conto di aver smarrito la strada.
Tutto ciò che desiderava era di poter trovare Hansol e andarsene via da quel posto al più presto, ma in quel momento gli sembrò di starsi allontanando ancora di più dal suo obiettivo. Intravide una domestica andargli incontro e, spaventato, entrò in una delle stanze, in cerca di un nascondiglio. Una grande stanza, estremamente lussuosa, probabilmente la camera di uno dei sovrani. Con il cuore in gola e, senza pensarci troppo, si nascose tra le ante di un armadio.
"Sono impazzito." respirava affannosamente mentre, dentro di sé, cominciò a pentirsi di quello che stava facendo. Restò ad aspettare per un po', terrorizzato da quello che avrebbe trovato una volta uscito da quella grande stanza. Andò per sporgersi, quando la porta si aprì. Si nascose ancor di più dopo aver riconosciuto la figura di un fanciullo dalle nobili vesti, che presumeva fosse il principe, e cominciò a pregare. Tairon non avrebbe mai creduto che all'interno della sua stanza potesse nascondersi qualcuno, così, in completa indifferenza, scompigliò la bionda chioma dopo essersi tolto l'elegante smanicato e si sedette al tavolo, dove cominciò a leggere. Deyrin credette di non aver mai provato tanto timore in vita sua; cercava di capire quali fossero le intenzioni del principe fissandolo attraverso uno specchio, ma non fu facile intravederlo. Dopo quasi un'ora riuscì a vedere il principe sonnacchiare sui libri che probabilmente avrebbe dovuto studiare. Spinto dall'istinto, capì che quello era il momento più adatto per fuggire dalla stanza. In punta di piedi, si diresse verso la porta e sgattaiolò fuori, convinto di averla scampata.
Una volta fuori, però, si ritrovò di fronte a quella che probabilmente era la persona che più tutti temevano, e che nessuno si sarebbe mai voluto trovare ad affrontare: la principessa.
"Oh no... No no, ti prego non-" cercò invano di tranquillizzarla.
La principessa prese fiato e urlò talmente forte da far allarmare l'intero palazzo. Il primo ad avventarsi sulla situazione fu Tairon che, non appena aprì la porta, rimase fermo a fissare lo sfortunato contadino, cercando di capire, mentre sia le guardie che il Re arrivavano in fretta.
"Cosa succede, tesoro? Chi è costui?!" il Re afferrò tra le braccia la figlia favorita, allontanandola dal pericolo.
"Uno straniero, padre! Uno straniero è entrato nel palazzo e ha cercato di farmi del male!" piangeva al petto del padre. Tairon guardò stranito la sorella, consapevole di quanto fosse brava a mentire.
"No, non volevo!" si difese inutilmente il contadino.
“Guardie! Prendete questo mascalzone, che sia condannato ad una vita di sofferenza!” urlava il Re, come se avesse appena assistito ad un crudele episodio di violenza nei confronti della figlia.
Le guardie afferrarono Deyrin, colpendolo allo stomaco con una ginocchiata per fermarlo dalla tentata fuga. Lo trascinarono con violenza nei sotterranei, dove era stato rinchiuso pure il povero Hansol.
"Non volevo farle del male, lo giuro!"
"Resterai qui per il resto dei tuoi giorni!" Urlava una delle guardie prima di chiudere la cella, lasciando il prigioniero all'interno senza avere le prove dei suoi misfatti e senza dare lui la possibilità di spiegarsi. Deyrin si toccava il viso ferito per i diversi colpi mentre continuava invano a difendersi dagli insulti delle guardie fin quando queste non lasciarono le prigioni, portando con sé l'unica fonte di luce. Non poteva credere a tutto ciò che gli era accaduto; adesso si trovava lì, senza avere una vera colpa.
Così come per molti dei prigionieri, rimaneva rinchiuso senza cibo, acqua né una misera fiamma per potersi scaldare. Il buio era così fitto da non permettergli nemmeno di guardarsi intorno; non vedeva nulla se non quella rossastra luce che proveniva dalla scala.
Si trascinò ad una parete, poggiandosi ad essa e rimanendo per terra. Attese, in silenzio, scaldandosi con le sue stesse mani.

Camilla Di Blasi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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