Fuori dai binari - Vita di B.
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Eva.
“C'è qualcosa che non va?” Non conosco la sua voce. E nemmeno il suo viso. I capelli sono onde morbide intorno al sorriso turgido. Ha un qualcosa di finto, ma anche fottutamente intrigante nel volto. “Posso sedermi qui?” Indica il posto di fronte al mio. Io faccio un cenno affermativo. Posa il vassoio su cui noto l'insalata mista in cui pezzi di pollo si alternano a cubetti di Feta. Lascio cadere le posate sulla lasagna. Avevo voglia di lasagne, anche se di solito non mangio la pasta al forno. Verde e zeppa di besciamella, con la pasta un po' bruciacchiata, secca ai lati. La ragazza mangia tenendo le spalle sollevate. Maneggia le posate con un certo sussiego, osservando l'ambiente circostante. Ogni tanto sbircia l'iPhone, scrollando la testa e continuando a masticare lentamente. Io, invece, termino la lasagna a fatica. Sorseggio l'acqua, notando che ho ancora venti minuti prima di rientrare. La ragazza si ferma. “Sai che mi piaci?” Resto immobile, la mia faccia è una tavolozza d'imbarazzo. Per fortuna che ho già deglutito l'acqua: mi sarei strozzata. Scuote la chioma fluente, allargando la carne turgida “Mi sono messa qui per provarci con te.” “Sei diretta.” “Ti dà fastidio?” “No, anzi.” La risposta mi esce così, come una reazione incontrollata. Sposta il piatto e mi prende la mano. Ha una stretta delicata e calda, unghie curate dello stesso colore delle labbra. “E questo? Ti dà fastidio?” Sono frastornata. Mi sembra di essere investita da un getto di sole. E io sono la luna con il suo lato oscuro. La guardo, rispondo alla sua stretta, poi, scoppio a ridere. Lei inclina la testa, come una tigrotta curiosa. “Tu nascondi qualcosa.” “Cosa sei, una sensitiva?” Ride: ha denti come perle, curati. “No, ma ho imparato a capire le persone al volto. – Fa un cenno – Al volto, non al volo, hai capito bene. Io guardo la postura, i gesti. Gli occhi.” Mi posa la mano sulla guancia. “Hai occhi molto... intensi. Malinconici.” “Mi dicono che sono belli.” “Aggettivo abusato. Banale. Bello, cosa vuol dire? Per Hume la bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla e ogni mente percepisce una diversa bellezza.” “Hume?” “Era un filosofo empirista.” “Okay, lascia stare, non ci capisco niente in queste cose.” Lei cambia subito argomento: “Senti, ti va di venire da me? Non per parlare di filosofia”. Mi ritraggo. “Venire da te?” “Sono una sconosciuta, hai ragione a essere diffidente. Ma sono in città da poco, sono sola e avrei piacere di avere qualcuno con me. Anche per la notte.” “La notte?” “No, ma non in quel senso...” abbassa la voce “poi se capita qualcosa... va anche bene. Ma non farti strane idee su di me.” Guardo l'orologio sul cellulare, devo rientrare in ufficio. Si offre di accompagnarmi, io dico che posso andare a piedi. “Vengo con te.” Svuotiamo i vassoi, li lasciamo accanto alla cassa, quindi ci incamminiamo fuori dalla mensa. “Ah, io sono Eva.” “Io, B.” “Solo B.?” “Chiamami così.” “Se me lo chiedi, ti chiamerò così.” Svoltiamo sulla destra, le indico il palazzo dove si trova l'ufficio. Lo raggiungiamo, e quando stiamo per salutarci, le chiedo: “Conosci la gente. Sei una psicologa?” “No. Faccio film porno.” Mi sorride, anche se noto lo sguardo adombrato. Prendo la maniglia della porta, che tiro verso di me, facendomi scivolare addosso la risposta. “A stasera.” Lei si affretta a prendere un foglietto su cui appunta il suo numero di telefono e l'indirizzo. “Ti aspetto.” Prima di entrare, le prendo la mano e la attiro verso di me. La bacio, non a stampo. Ha un sapore che mi fa scoppiare sotto e in testa. “Mi piaci anche tu” le dico prima di entrare.
Dolore.
I no fanno male. Il senso dell'abbandono è qualcosa che ti si attacca come l'insonnia negli occhi. Tutto crollato con un no. “Forse non è il caso.” “È per la bionda con cui ti ho visto?” “Ma tu pensavi davvero che tra noi potesse crearsi un legame, tipo coppia?” Mi sposto da lui, allacciandomi la giacca. L'autunno cade con le foglie. Qualche auto sfreccia sulla provinciale. Io pensavo che... il per sempre non esiste, ma qualcosa di bello può durare. Mi tocca la mano, io non la sposto, anche se vorrei. Non la bacia, non la posa sulla guancia come nei momenti di conforto. La stringe come se volesse farmi forza. Io non mi sottraggo, mi fa tutto paura, ma non la verità che si sarebbe manifestata, prima o poi. E io non sono una che se la racconta. Del resto, uno come Teo, non avrebbe potuto scegliere una come me. Avevo parlato troppo: bastano due parole, per parlare troppo, vero? Per rovesciare la situazione di una storia. Ma, no, non è una storia. Non lo dice, lo pensa: ho imparato a leggergli in testa, a decifrare i movimenti della fronte, quelli minimi della bocca. Meno gli occhi: sa tenerli fermi sui suoi obiettivi esplicitati. Il resto è sommerso, si vede la punta dell'iceberg, affilato. Buca bene gli obiettivi, ma non affonda perché è dentro la radice del non amore, un destino cui sono sempre stata rassegnata. Io mi mordo le labbra e trattengo le lacrime, come la pipì che scappa. A volte è più difficile trattenere le lacrime. Alla fine, gli stringo la mano, dandogli calore e un sorriso a mille denti. “Parlami di lei. È davvero una gran bella gnocca!” Lui mi guarda e ride. Sono scema, è bello fare la scema per non impazzire dentro. “Fabiola è un'impiegata amministrativa. Lavora in un comune. È molto pignola, ha una chiarezza mentale incredibile.” “Una bella testa, anche. Una con cui puoi fare dei figli, ecco.” Lui annuisce, io abbasso il mento. “Suo padre lavora in banca, sua madre è insegnante. Ha due fratelli più grande. Una famiglia molto tranquilla. Ci conosciamo da anni. Era alle Superiori con me. Ci siamo rivisti a una cena di classe e abbiamo iniziato a parlare per ore e ore.” “Come quando non riesci a staccarti?” “Esatto.” “Capito.” Non nascondo un certo abbattimento. Io non sono quella delle chiacchiere a fiume. Lui mi lascia andare la mano, notando certamente il mio cambio di espressione. Il silenzio cala, cedendo il testimone ai nostri respiri. Io giocherello con la zip del giubbotto. Quando non so cosa dire, gioco con le zip, con le dita, con i capelli. Mi scosta una ciocca, io lo osservo. Non c'è più bisogno di dire nulla, così esco dall'auto. Lui mi ferma, io gli lascio una buonanotte tra le dita. Rientro in auto e vado via. Dallo specchietto, lo vedo uscire dall'auto per fumare. Credevo che avesse smesso, invece fuma, una gamba piegata con il piede posato sulla fiancata. Procedo sulla strada, non faccio più caso ai tratti disconnessi, non mi lamento dei lavori che non sono mai in corso, delle sospensioni che traballano, dei dossi troppo alti, dei lati della carreggiata erosi. Non mi lamento, non snocciolo il rosario dell'insoddisfazione, io che sul rosario ci ho sputato una volta, scandalizzando il parroco. Non credo in un Dio che ci fa nascere sbagliati. Imbocco una stradina secondaria, non mi importa se può essere pericoloso. Lì posso stare isolata, nella cava dove io e Teo abbiamo guardato le stelle, guidati da un volontario dell'osservatorio. Una serata estiva piena di stelle e di voglia di stare bene. Mi fermo, tengo le luci dell'auto accese ed esco. Il vento mormora tra le fronde che scoprono un cielo attraversato da nuvole. Improvvisamente si alza, investendomi, io mi stringo nel giubbotto e piango. “Dio, mi hai maledetta.” Non sono destinata all'amore. Nessuno vuole un mostro. Perché io sono un mostro, forse segnata da Dio, un essere che deve scontare i peccati di qualcuno. Ma perché proprio io? Perché? Mi lascio cadere sulle ginocchia, il vento sbuffa, il cielo si copre. Forse pioverà.
Intermezzo sesso (passato remoto)
Non ho mai avuto un fidanzato che mi dedicasse una canzone sui social. Non una poesia. Nessun anello, anche se io non porto gli anelli perché le dita si gonfiano spesso. Eppure non soffro di ritenzione idrica. C'era una poesia... la riprendo nella Moleskine del 2007. Il 7 giugno ho segnato:
La dolcezza del cuore viene da dolci bevande etc...
Alda Merini era un'assaggiatrice, credo. Di vita, di parole, di solitudine. Guardai un documentario su di lei: a sei anni sapeva a memoria la Divina Commedia. Io a malapena ricordo l'inizio, la parte importante e non credo che lei scrivesse perché fosse matta. La sua poesia nasceva da una testolina d'oro, come la mia è di crapa. Io scrivo, scrivo per non dimenticare e forse qualcosa mi è rimasto, accanto al sistema di fatturazione ed economia aziendale. Ma sono più brava in economia domestica. Cucino bene, pulisco perché sono allergica alla polvere (mi irrita la pelle). Ho visto una foto di Alda Merini, una volta. Era nuda e vecchia. E sorrideva, un sorriso di un'innocenza disarmante. Io non riesco nemmeno a guardarmi allo specchio. Se sono completamente nuda, distolgo lo sguardo. Come fece mia madre quando mi mostrai nuda. Mi diede uno schiaffo e mi disse di vestirmi. Perché ero un mostro. Non me lo disse, ma io ho pensato che lo pensasse. E così mi sono coperta. Avevo 11 anni, volevo capire se vergognarmi, vista la bozza dei seni. Da allora ho odiato il mio corpo.
B.B.
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