Gabriele.
Un po' mi seccò che il cherubino con lo struzzo sulla testa non mi avesse degnato di uno sguardo, perché era lo stesso moccioso che avevo fatto vincere a sasso-carta-forbisce giusto la sera prima. - Hai rotto una corda dell'arpa? - Gli chiesi. Sgranò gli occhi senza muovere il busto. - Ti girano, eh? Qui tutto il giorno... La vita è dolore. Oggi a te, domani ancora a te!... Se mi dici però perché vuole vedermi, metto una buona parola nel Coro delle anime beate! - Proseguii senza neanche dargli la soddisfazione di aspettare la risposta. Dannate scale che non terminano mai! Prendete quelle che portano alla vetta del Monte Hua e moltiplicatele per cinquanta, centomila, naturalmente. Un'infinità di volte, sia io che Michele avevamo sollecitato nostro Padre a mettere un ascensore. - Ma ci sono le barriere architettoniche! - Rispondeva. - Allora un montacarichi! - - Non ho le autorizzazioni! - Replicava. - Se non venissi più? - Una volta lo minacciai. - Pensa a mangiare meno! - E io zitto perché con lui una parola è sempre di troppo. Al termine della prima rampa ero già senza fiato. E sarei tornato indietro se non avessi incontrato Eros: - Che svolazzi da queste parti? - Gli era concesso in virtù del suo grado di “divinità primordiale”. Da quando l'ateismo era diventato la prima religione, Dio si era fatto più ecumenico. - Hai infranto qualche cuore oggi? - Lo canzonai. - Cercavo un po' d'amore celeste! - Nascose il volto nelle alette. Che dolce! Era sempre stato un ragazzino molto sensibile. Oltre che disponibile, visto che mi dette un passaggio fino alle porte dell'Empireo. - Mi raccomando, continua a cercare! - Lo salutai appena mi venne incontro San Bernardo. Mi sarebbe piaciuto, ma non avevo tempo di sfidarlo a freccette. Per raggiungere la sala d'attesa, percorsi un'infinità di corridoi. Aprii una miriade di porte, passai sotto cunicoli, attraversai ponti e quant'altro, che il labirinto del Minotauro, a confronto, era il deserto del Gobi. Siccome ho tanti pregi, ma il senso dell'orientamento non è uno di essi, dopo essermi perso un paio di volte, sparsi qualche mollichella qua e là per segnare la strada. Avevo letto da qualche parte che funzionava.
L'Eremo era sterminato. Anche questo non aveva senso. Una persona sola, seppur il Dio Onnipotente, che se ne faceva di tutto quel fortilizio? - Perché non ti trasferisci in una bella baita in montagna? - L'avevo consigliato. - Perché da qui posso vedere i miei figli! - - Contento tu! - Oltre tutto, e questo sì che era una seccatura, ancora non avevo capito come si apriva l'enorme portone d'ingresso. Picchiai affinché qualcuno mi facesse entrare. Tirai da una parte all'altra. Spinsi con tutta la forza possibile. Rischiai pure di sbriciolarmi il piede quando si richiusero le ante. Fu un dolore disumano! - Ma che fai! - Tuonò la sua voce possente mentre mi contorcevo. - C'è il sensore! - - C'è il sensore? - Non lo ricordavo. Un fantoccio molto più smilzo di lui sedeva sul trono nella parte alta della cavea. - È per i seccatori! - Spiegò. - La vigilanza è oltremodo indolente da queste parti! - Rintronò appoggiato a una colonna: - BÈ, quindi che te ne pare? - Non era mai stato prodigo di convenevoli. - Sono cresciuti? - Pensai si riferisse ai kiwi che coltivava in giardino. - Parlavo degli uomini... Non ti è arrivato il messo? - - Sì, ma la pergamena era in aramaico moderno. Io leggo solo quello antico! - Mi dette ragione e illustrò i dettagli del piano: - Ripongo grande fiducia in te. Hai pochissimo tempo! - - Non ti preoccupare. Posso perdere una battaglia, ma non perderò mai un minuto! - . - Non lo dire neanche per scherzo! - Mi stordì con un pippozzo interminabile sul pianeta che va a rotoli, sul male nel cuore della gente, sul bene che prevarrà, sulla necessità di un nuovo Adamo. E quando finalmente girai i tacchi: - Non ti fidare di nessuno - ! Echeggiò la sua voce possente. - Faresti la fine del topo! - - Quello in trappola? - - Quello mangiato dalla rana, dopo averla aiutata ad attraversare il ruscello! - Mi voltai senza aver compreso il significato della metafora. Ma una cosa era chiara: ogni volta che andava in depressione doveva cambiare le carte in tavola e a me spettava il compito di fare il lavoro sporco. Per carità, la cosa mi riempiva d'orgoglio e l'incarico era prestigioso. Solo che, dopo tanto tempo, avrei preferito tornare sulla terra per portare buone notizie, anziché annunciare la solita fine del mondo!
Vanni.
Come sempre a ricreazione, Vanni e Fosco si erano rifugiati sotto le scale esterne, quelle che davano sul giardino della scuola. Il secondo mangiava il panino avvolto nel domopack, il primo lo agognava. - Perché mi fissi, non hai il tuo? - Vanni non confessò d'averlo offerto a Cristiana: uno che a sedici anni si eccitava davanti alle imprese di Aguilar de Nerha, non avrebbe capito il profondo valore di quel gesto. - Ricordati che hai l'interrogazione... E soprattutto, che hai preso quattro a quella precedente! - - Ne vuoi un pezzo? - - No-oo! - - Allora, puoi guardare da un'altra parte che mi rimane tutto... - , scese la prima goccia di pioggia della nostra storia, - sul gozzo! - . Rigò le lenti degli occhiali di Fosco e scivolò sulle sue labbra. La seconda inumidì la finocchiona. Sotto lo scroscio, lui si sciacquò le mani e tornarono in classe. Vanni neanche si rese conto delle torture a cui l'amico venne sottoposto. Si era abbandonato all'atmosfera da Blade Runner oltre la finestra. Amava la pioggia. L'aspettava a gloria perché giocare a pallone nei campi motosi era un vero divertimento. A parte lavare i vestiti al gelo in terrazza, come aveva imposto la madre. C'era pure un altro motivo per cui l'agognava: Cristiana. Era stato grazie a un temporale se, pochi giorni prima, si era avvicinata per chiedergli di accompagnarla fino all'auto dei suoi. E si parla della ragazza più bella che sia mai esistita sulla faccia della terra. Per questo, quando suonò la campanella, scese cinque gradini alla volta, spinse le matricole che lo intralciavano e saltellò per farsi notare. Fu come cadere da un precipizio. Il Bertozzi? Faceva la civetta con quel vichingo. Per la rabbia, batté l'ombrello. Un raggio finì nella siepe. Un altro si piantò sul cofano della cinquecento rossa del temibilissimo Prof. Malvagi, di cui si vociferava fosse stato medico a Sonnemburg.
Inventò alla madre che era caduto di bicicletta, trascurando il dettaglio che non ne avesse mai avuta una. Infatti, - Dimmi la verità! - Come una mantide che non molla la presa. - Soltanto la verità! - - Lo giuro! - Vanni uscì dalle corde. A quel punto, fu più facile parlarle di Cristiana, seppur romanzando la storia. - Insomma, al suo ragazzo la cosa non piaceva e oggi me lo sono trovato davanti... Ce l'hai con me? Gli ho chiesto a muso duro. Ce l'hai con me? Ti giuro che sembravo De Niro... Poi la cosa è degenerata... - - Non avrai reagito? Sai che odio la violenza! - - Non l'avrei mai fatto: ha ripetuto la quinta tre volte! - - Quanto è coraggioso il mio bambino? - Agnese gli arruffò i capelli. - Comunque, quando vuoi dirmi la verità... - Lo liquidò perché doveva finire di riordinare le camere.
Nel pomeriggio, anziché seguire gli amici che andavano a far esplodere i petardi nei formicai del bosco, Vanni decise di far ripartire Le età di Lulù, interrotto la sera precedente quando Andrea l'aveva quasi beccato. Anche stavolta, però, il fratello sradicò la porta proprio nel momento in cui Francesca Neri entrava nel bordello. - Sto veramente molto male... Possiamo fare domani? - Da sotto il tavolo. Peraltro, risentirgli le lezioni era fuori dalle proprie capacità. E così, all'ennesimo schiaffone, il nanerottolo si lamentò con la madre, che accese la solita sigaretta pre-trans agonistica, si tolse le ciabatte per non lasciare segni sul muro e: - Vanni? - Gridò con voce inquietante. - Giovanni, vieni qui! - Giocolando col mattarello e la scopa di saggina. Vanni scivolò sotto la poltrona. Chiuse gli occhi immaginando di sfondare la finestra, fuggire in giardino, darsi alla macchia, tirare avanti alla meno peggio fino al giorno in cui qualche coetaneo gli avrebbe dato fuoco. Mentre gli amici filmavano la scena da postare sui social. CAPITOLO 3 Adalgisa
Alle 15:10 di quel sabato, si spensero le luci. Ma dico tutte le luci, da quelle dei lampioni alla lampadina ciondolante nella più recondita cantina. Non subito, però, le persone si resero conto di cosa stava accadendo. Dapprincipio fu un problema di connessione, con i soliti: - Qui non prende! - , - Anche qui non prende! - . Poi si fermarono le fabbriche e gli operai della Tessitura Goti furono i primi a manifestare contro il Capitalismo, reo di architettare bieche astuzie pur di non farli lavorare. Dopo venne il momento dei liberi professionisti, artigiani, negozianti, chiunque fosse sul pezzo. Allorché si aggiunsero anziani, casalinghe, studenti e nullafacenti vari, montò il panico. E dal panico all'isteria ci vuole niente, soprattutto se manca qualcuno con cui prendersela.
Ci fu anche chi non si accorse del blackout. Come Adalgisa. Fu lei ad accendere la prima candela della nostra storia. Lo faceva ogni sera, alle 19:00 precise, perché non si addormentava mai se gli occhi non danzavano insieme a una fiammella. Baciato l'elefantino regalatole da suo nipote, si coprì il collo con la proboscide, appoggiò la dentiera sul comodino, chiuse gli occhi e buona notte. Anzi no: il vento sbatacchiò le finestre e spense il fuoco. Lo riaccese e tornò a letto. Si spalancarono di nuovo e stavolta, nello schiuderle con troppa foga, un'anta volò giù. Avrebbe avuto tutta la mattina successiva per spiegare l'accaduto ai proprietari dei motorini.
Pierugo.
Pensare che sognavo di ritrovarmi in una bella baia tropicale! L'ambiente era angusto e sapeva di muffa. Così buio, che mi venne in mente quando San Pietro pretendeva che superassi l'acluofobia chiudendomi nelle segrete dell'Empireo. Chiappe doloranti a parte, il resto andava alla grande. Quanto al fatto che fossi nudo, rimediai con una foglia di ficus strappata da un albero plastificato che giaceva su uno scaffale. Ero pronto, determinato e cazzuto. Talmente concentrato che non mi sentivo in nessun luogo pur essendo in ogni luogo. Attraversai la strada per il mio primo obiettivo. Porca! Avevo schiacciato qualcosa di molliccio. Sì e no dieci anni. Faccia piena e corpo massiccio. Seduto di fianco al letto, con una mano faceva volare una tigre di peluche e con l'altra si soffiava il naso. Si chiamava Pierugo. Decisi di aspettare finisse di ciucciarsi le dita. Il tizio che entrò in camera doveva essere suo padre. - Anche oggi tutto il giorno in casa? - Lo tirò per il polso. - Devi uscire, se non vuoi diventare un ciccione brufoloso e quattrocchi che tutti prendono in giro! - - Ma io ho il mio Wando! - Il piccolo mostrò la tigre di peluche. - Bel nome! - Il padre la decapitò. - Ti ho mai raccontato di quella volta alla tua età? - I bambini sono proprio degli enigmi luminosi. - Quella in cui abbassasti i pantaloni al Maestro? - - No, non quella. - - Quella della rissa al pub? - - Neppure. - - Allora quella della caccia alla balena? - - Posso parlare?... Fuori diluviava come non s'era mai visto prima. Pioggia, lampi, trombe d'aria. Pure il terremoto. Credimi, ero terrorizzato. Il mio vecchio mi afferrò l'orecchio e, senza dire niente, mi portò in giardino. Rimasi sotto la bufera per ore, con lui che lanciava le lattine contro di me perché non voleva che mi avvicinassi alla porta... Capisci cosa voglio dirti? - - Vuoi che vada a prenderti la birra? - - Voglio che tu esca di casa! - - Ma fuori mi prendono sempre in giro! - - Piccolo mio... - Suo padre si abbagliò. - Ti ho mai raccontato di quella volta in cui eravamo io, una bellissima spranga di ferro e Buzz il bulletto? -
Si chiuse in bagno e pianse di fronte al proprio volto tumefatto. Neppure progettare di rovesciargli addosso un pentolone d'acqua calda, riusciva a consolarla. Riassettò i capelli e deterse le sbavature del trucco. Percorse l'ingresso. Un'occhiata in cucina, poi in sala. La fredda maniglia dell'uscio di camera. La luce morbida dell'abat jour accesa. Mezzo passo dentro la stanza. Uno intero. Un'ombra mossa e qualcosa la urtò. Tanto caldo all'addome. Poi una seconda fitta all'altezza dei polmoni, più dolorosa della precedente, le tolse il fiato. Selena si trovò stesa sulla moquette, a non molta distanza dai mocassini di Amodio. Quante volte gli aveva detto di metterli sotto il letto? Non si era accorta che ci fossero anche le caviglie e tutto il resto.
Rifilò un calcio al corpo esanime della moglie per completare il senso di compimento. Maledisse lei e quel piccolo bastardo che gli avevano rovinato la vita. La rovesciò a pancia in su con la punta della scarpa, attento a non sporcare la nappa. Il mentecatto! - Pierugo? - Chiamò il figlio con voce artefatta. - Dove sei?... Non vuoi farmi arrabbiare, vero? - Batté il pugno nel muro. - Sai che, se non rispondi, sono costretto a punirti! - Quasi sradicò la maniglia della porta. Lo cercò sotto il letto. - Tanto ti trovo! - Aprì l'armadio. - Vieni dal tuo babbino! - Esplorò anche in soffitta, dove spesso si nascondeva. - Parliamo da uomini! - E sotto la rampa delle scale, dove sperava fosse caduto. Non lo trovò perché eravamo ormai parecchio distanti. - Guarda che bei nuvoloni! - Distrassi Pierughino per sfilargli il peluche. Dove stavamo andando, non erano ammessi gadget, giocattoli o affari simili. Lo lanciai dietro un albero. - Fattene una ragione! - Dovetti recuperarlo perché non smetteva di lagnarsi. Avrei impiegato un paio di giorni per abituarmi a quei mocciosi.
Vanni.
Quando udì un tonfo provenire dalla strada, Vanni smise di ipnotizzare la zanzara. Afferrò lo spazzolino del water appoggiato sopra il cuscino e si affacciò alla finestra, verso la spirale di fumo che si alzava dalla scuola. Provò ad autoconvincersi che fosse meglio non andare a curiosare, ma ormai aveva già sbattuto contro tre auto, cinque alberi e un cassonetto dell'immondizia. La struttura era orripilante di giorno quanto agghiacciante di notte. Si fece coraggio e attraversò il giardino strisciando sull'erba, fino al prefabbricato in cui mi ero nascosto. Smosse scatoloni, una borsa, uno scrigno, sedie gambizzate, inciampò su una brugola. La torcia! L'aveva lasciata appoggiata alla recinzione. E, come se non bastasse, gli scivolò il cellulare di mano. - Cercavi questo? - Schizzò dentro una cassapanca vuota, il cui coperchio batté violentemente sollevando una nuvola di polvere: - Chi sei? - - Gabriele!... Tutto bene? - Mi sembrava una reazione eccessiva, visto peraltro che gli avevo ritrovato il telefono. - Sei nudo! - - Lo so che sono nudo. Mi fa un freddo cane, infatti! - Per metterlo a suo agio, mi coprii la testa con un libro a mo' di cappello. - E non sono il solo... - Indicai dietro al materasso, dove era raggomitolato il corpo della guardia giurata che mi aveva beccato mano nella mano con Pierugo. - Non sembra anche a te un bambolotto? - - In effetti... - Avanzò verso di me. - Scusa un attimo... Puoi andare indietro per cortesia? - Procedeva rasente la parete. - Un altro pochetto... Ti sposti che voglio passare? -
Dopo parecchio tira e molla, mi portò nel suo garage. Gli avevo promesso che non mi sarei più fatto vedere se mi avesse trovato dei vestiti. Ovviamente avevo incrociato l'anulare e il mignolo del piede. Dai cassetti di un armadio sbilenco estrasse dei costumi estivi. Provò i reggiseni appoggiandoli uno alla volta sul mio petto. - Non te ne sta uno! - Con gli slip non gli permisi tanta confidenza. Così sfilò l'abito di Babbo Natale da un manichino. - Perfetto! - - È umido! - - Lo prendi o non lo prendi? - Fece per allontanarsi. - Fra l'acqua torbida di fango e le onde è difficile scegliere!1... Per la verità starei anche morendo di fame... - - Madonna santa, ma sei una lagna - ! - Non nominare il suo nome invano! - - È solo un modo di dire... - - Già, perché ormai dite quello che volete!... Comunque non mi hai risposto. - - Sto perdendo la pazienza. A cosa? - - Al fatto che non ho un posto dove andare... E anche a quello che ho fame! - - A casa mia abbiamo un solo bagno e siamo in quattro... Fai tu! - Ci scambiammo qualche frase in cagnesco, finché: - Allora posso stare qui? - Feci gli occhietti dolci: - Solo per questa notte! - . - Giura? - - Non si giura! - Incrociai le braccia e poi mi battei la fronte e il petto lato cuore con la mano destra. - L'hai visto in un documentario sulle tribù africane?... Ascoltami bene: se ti trova mia madre io non so niente. Se ti sentono i vicini, io non so niente. Se qualcuno ti violenta, io non so niente... Intesi? - Accese la torcia. - Usa questa perché non c'è la luce. - Indicò un cartone che avrebbe dovuto fare da letto. - Starai alla grande! - Ci rovesciò sopra alcune monete d'oro. Ne scartai una. - Buonissima! - A bocca piena. - Cos'è? - - Cosa sarà?... È cioccolata! - - Deliziosa!... Qualcosa che dia un senso di maggior sazietà? - - Vado a prepararti due trofie al pesto?... Guarda che dicevo per dire!... Però, se ti piacesse la cucina crudista... - - Oh sì! Mi piace... Mi fai una tartare? - - Divertiti da solo... Con tutti gli scarafaggi che ci sono, ti puoi togliere parecchie soddisfazioni! - - Aspetta! - Stavolta se ne stava andando davvero. - Almeno siamo amici? - - Di uno che gira nudo nel giardino della scuola?... Devo averti fatto davvero una bella impressione! -
Gabriele.
Per non destare sospetti, innanzi tutto, dovevo modernizzare il linguaggio e liberarmi dai formalismi che gente dozzinale come questa non avrebbe apprezzato: poche conoscenze, scarse aspirazioni, mediocre curiosità e un mare di arrogante frustrazione. Odi profanum vulgus et arceo. Feci spallucce: tanto valeva divertirsi. La prima cosa che dovevo fare, era adeguarmi ai giovani incontrati finora. Bastò qualche prova allo specchio per sviluppare una camminata scimmiesca con gambe larghe e braccia penzoloni, un vocione da orco, un ghigno fra lo sprezzante e l'offeso, tipo Tantalo quando gli Dei lo spinsero nel Tartaro. Anche l'abbigliamento avrebbe dovuto essere consono: semplicemente il più grezzo possibile. Carico come una saetta, mi addentrai nei meandri della città. Sin da subito, non mi fece una grande impressione. Abituato agli spazi infiniti, trovarmi fra tutti quei casermoni, fu come essere bloccato corpo e testa nelle profondità di una caverna, senza però una sola dannata ombra di cui indovinare la sorgente3. In preda a un attacco d'ipossia, tentai di imbucarmi nel primo negozio. Dico “tentai” perché impiegai parecchio prima di capire che la porta a vetri si apriva lateralmente. Scegliere fu un gioco da ragazzi: scarpe da ginnastica, pantaloni strappati e felpa. Ero talmente “giusto” che feci il gesto delle corna davanti allo specchio. Una ragazzetta sorrise pure. L'energumeno che stava all'entrata, invece, mi fissò ingrugnito. Che m'abbia riconosciuto? Aspettai in camerino che si dissolvesse. Tempo di completare la stesura dell'Esodo, e sono unidici capitoli! Sulla parete di fianco allo specchio, si spalancò la tenda. Era talmente grosso, nero di carnagione e nero d'abbigliamento, che improvvisamente fu tutto buio. - Pensavo fosse il bagno! - Finsi di cercare la tazza del cesso. - I vestiti! - Tuonò. - Se ti giri, ne trovi quanti ne vuoi! - Mi aspettavo una strizzata di guance, invece, mi centrifugò a modino. Fu una gran faticaccia comprimerlo tutto per ficcarlo sotto lo sgabello.
L'esperienza nel negozio mi aveva reso così ansioso che strappai le unghie a una ragazza perché avevo finito le mie. Camminare, però, mi faceva bene. Mi rilassava. Finché, davanti a un semaforo, tornò il panico. Verde, giallo, rosso. Che volevano dire? Intorno non c'era anima viva, pertanto non potevo agire per emulazione. Nell'incertezza, feci “ambarabàciccicocò”. Ovviamente vinse il rosso. Le prime due auto suonarono il clacson. La cosa mi inorgoglì e contraccambiai con un arrivederci della mano. Le successive mi sa che non apprezzarono: boom! Anzi, Boom! Boom! Boom! Dopo aver schivato un crick, me la detti a gambe levate. Finalmente una porta. Percorsi un ingresso illuminato da una luce rosso pastello. - C'è nessuno? - chiesi. Sdraiato su una poltrona, un giovanotto guaiva in solitudine: - Perdonami caro, sai indicarmi l'uscita - ? Non rispose. E non sembrava neppure nel suo giorno migliore. Si protese verso una rivista con lo schema delle parole crociate sulla copertina sgualcita. - Bisogno d'un aiutino? - Sfiorò, invece, quella che sembrava una siringa per marinata in acciaio con ago da bistecca di una quindicina di centimetri. E siccome manzi in giro non ne avevo visti, supposi che si fosse divertito un po' troppo. - Vuoi questa?... No amico, è vuota. Rischi ti parta un embolo! - Nella stanza successiva un capellone nudo e parecchio sudato stava schiacciando una fanciulla sofferente. - Scusi esimio... - Gli bussai sulla natica sudaticcia. - Non vede che sta affogando? - Oltre alla criniera selvatica, il tizio aveva una grossa cicatrice che gli attraversava la guancia, denti sporgenti e un occhio di vetro. Ma la cosa che più mi turbò, fu il tatuaggio di Nemo sul collo. - Prego, continuate pure! - Sgattaiolai nella rampa di scale più ripida che avevo mai visto. La seconda per la verità: della prima già sapete. - Tutto bene signore? - Il berbero gobbo dietro al gabbiotto della reception alzò la testa. - Alla grande! - Gli risposi con le mani alle ginocchia per riprendere fiato. Ma il portone di vetro era senza maniglia. Tesi il braccio aspettando che si aprisse automaticamente. Niente. Sorrisi imbarazzato a Quasimodo. Avanzai con tutto il corpo e rimasi in attesa. Idem. Spinsi sia a destra che a sinistra. Alla fine afferrai una sedia.
Vanni e family.
Avevo deciso di posticipare la conoscenza della famiglia di Vanni non solo per provare le sfogliatelle di Alfonso, davvero paradisiache!, ma perché Andrea, suo fratello minore, era in preda a una crisi e, sensibile come sono, non volevo impressionarmi. - Sono io... Gabriele! - Sapevo che Vanni era dietro lo spioncino. Non aprì subito. - Che ci fai qui? - - Sono venuto a trovarti. - Mi riformulò la domanda. - Sono venuto a trovarti. Quante volte devo ripeterlo? - Indicai la pioggia. - Ti avevo detto di non... - - Signora, buongiorno! - Agnese aveva fatto capolino. - E mi scusi il disturbo! - Le baciai la mano. - Questo non è tuo amico, vero? - Mi allungò uno straccio. - Asciugati che bagni tutto! - - È fanatica delle pulizie! - Mi piaceva Agnese: aveva una bella faccia schietta e lasciava una favolosa scia di soffritto. - Sto cucinando... E tu fai l'ometto - Al figlio, - Offrigli un'aranciata o un succhino! - - Mai avuto succhini! - Vanni allargò le braccia. - Neppure l'aranciata! - Mi anticipò. - Bei vestiti! - - Forti, vero?... Peccato che qui passi l'acqua! - Mostrai gli strappi nei jeans. - Ti spiace se entro?... Ho fatto colazione e mi sento un po' gonfietto! - Raggiunsi il divano col torso della mano sulla fronte, come fossi lì lì per svenire. Avevo detto che Vanni si comportava da vero bastardo? Mi prese per le caviglie e mi trascinò fino all'ingresso. - Posso giocare anch'io? - - Andrea! - Entrambi in sospensione. Un salto da wrestler confermò che si era ripreso. - Fate la pista senza la sabbia? - - Ecco cosa mancava! - - Ci siamo dimenticati anche le biglie! - Chiosai. - A questo punto... - - Ma perché non resti? - Vanni mi spinse verso l'uscita. - Non fare il timido! - - Sai com'è... vorrei ma non posso - ! La manfrina sarebbe durata chissà quanto se Agnese non fosse apparsa all'improvviso per invitarmi a pranzo: - Non mi ringraziare, potresti pentirti! - Sogghignò malefica. - Perché? - - Perché se le piaci, sono cazzi tuoi! - Vanni rispose al posto suo.
Immerse il ramaiolo nel pentolone fumante: - Prima gli ospiti! - Anticipò i figli che già tenevano i cucchiai pronti. - Non diciamo la preghiera? - Chiesi quando tutti furono serviti. Vanni si fermò a bocca aperta. Andrea sputò tutto nel piatto. Agnese s'incantò nel vuoto: - Certo che diciamo la preghiera... Quale preghiera? - - Di ringraziamento? - - Giusto. Vanni comincia! - - Andrea pensaci tu, che vai all'oratorio! - - Ma io ci vado per giocare a calcio! - - Lo faccio io! - Ruppi gli indugi. Cercai la mano del piccoletto, che interpretò erroneamente il mio gesto e mi passò il bicchiere. Poi strinsi quella di Agnese. Un cenno a Vanni per completare la catena e ringraziai per il cibo donato, l'amicizia che ci aveva uniti e tante altre belle cose. - Ovvia! - Vanni inforcò nuovamente il cucchiaio. - Non ho mica finito! - Fu sufficiente una pallina di mollica nell'occhio per farmi cambiare idea. - Ti piace? - Chiese Agnese. - Buonissimo. Cos'è? - - È verdura che si cuoce e si ricuoce e poi si mangia quando il frigo e vuoto! - Con una risata fresca, coinvolgente. - Proprio simpatica vostra madre! - - Ma raccontami un po' di te! - - Di me? - Ero impreparato a quel genere di domanda. - Ahh, ehm, ehh... - - Con parole tue! - - Certamente... Anche dalle mie parti, quando è sera, ci riuniamo tutti insieme, sediamo per terra e pasteggiamo dallo stesso piatto. È bello condividere, ci fa sentire uniti! - - Oh mio Dio come sei poetico! - - Grazie, ma Dio non c'entra! - - Non sembra poetico anche a voi? - - Di solito è una zuppa d'orzo, lenticchie o ceci insaporita con erbe selvatiche... - Precisai: - Niente di che! - - Tua madre è vegana? - - No, no. Sta bene, grazie!... Davvero eccezionale questa rifatta! - - Ribollita! - Agnese rise fragorosamente percuotendomi con la baguette. Poi, senza un motivo apparente, si perse nel cielo plumbeo, quasi cercasse qualcosa. Compresi. - La prima illuminazione - , provai a riaccenderla, - avviene quando ci rendiamo conto delle coincidenze che si presentano nella nostra vita - - Che hai detto, caro? - - Forse lo sai già, ma un tempo il fato era una forza misteriosa e incomprensibile. Tutti lo temevano, Dei compresi... - - Forte!... E che vorrebbe dire? - - C'erano le tre Moire... - - Dopo! - Vanni mi praticò una strana morsa al collo. Gli avrei conficcato la forchetta nello zigomo, poiché ho sempre detestato essere interrotto durante le mie divagazioni, ma sfortunatamente suonò il campanello. Apparve una signora sulla settantina. Trucco pesante e portamento trasandato. Parlava con apprensione, portando spesso le mani alla bocca. Ero troppo lontano per capire e ne approfittai per tornare in cucina e farmi altre due cucchiaiate di rifattona, o bollitona, o verdurona, o quello che era. A pancia piena, sarebbe stato più facile sintetizzare il da farsi. - Fermo! - Agnese mi aggredì. - Scusa! - Si riprese subito. - È successa una cosa terribile... Serviti pure. Ma lasciane un po' anche a noi! - Aveva già capito tutto. - Pare che siano spariti dei bambini! - - Dove, come, quando, perché? - - Calmati bello, ho detto che sono spariti dei bambini!... Raccontaglielo tu - , all'amica, - Io sono sconvolta! - . - E io sono distrutta... Cos'è 'sto profumino?... È da stamani che vado in su e giù per l'isolato. M'è presa 'na fame! - - Edamus, bibamus, gaudemus!1 - Esclamai. Le servii una ciotola piena e, mentre la famigliola ascoltava il racconto, svuotai il pentolone.
Raimondo Preti
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