“Trasformare le esperienze negative in fattori propulsivi” Eravamo in due. Troppe per un corpo solo. Sempre in guerra a contenderci lo spazio di una mente oberata dalla fervida immaginazione, dagli squilibri emotivi e dalle crisi adolescenziali. D'altronde l'età limite la stavamo valicando e presto nessuno, nemmeno l'amata nonna, ci avrebbe più giustificate. In famiglia mal tolleravano quella nostra vena artistica irreprimibile, cui tutti si erano dovuti temporaneamente rassegnare, seppur coltivando il nobile progetto di ricondurci sulla retta via entro la maggiore età. Purtroppo per loro, la maggiore età era prossima e, in quella sfilza interminabile di commercialisti, avvocati, alti militari, ingegneri e baroni universitari, eravamo spuntate io e lei, la mia doppia, che non avevamo alcuna intenzione di arrenderci, con qualche grillo per la testa e i piedi massacrati dalle scarpe da punta. Ai miei diciotto anni, anzi ai nostri diciotto anni, non volli dare una festa, non volli nemmeno un buono presso un'agenzia viaggi o presso un tatuatore, come fanno tutti i diciottenni normali, ma chiesi ai miei genitori un budget per l'acquisto di qualcosa che mi stava molto a cuore: elemento non meglio specificato, la cui vaghezza faceva parte del regalo, che innescò le preoccupazioni di mia madre, nota per la sua ipocondriaca ipersensibilità. - Suvvia, accontentala, fa parte della sua creatività. Un po' come quei bambini che comprano pacchi a sorpresa dalle bancarelle! - mia nonna fingeva un approccio disinteressato, mentre impastava la focaccia. - Già, solo che qui il pacco a sorpresa me lo devo prendere io! - mia madre, per forma mentis, non amava compromettersi con la suocera, ma stavolta era davvero troppo - Ha liberato un'intera parete nella sua stanza! Cosa ci deve fare? - Mia nonna si strinse nelle spalle e continuò a impastare, canticchiando, come al solito, Gianni Morandi. Mio padre, invece, impicciato tra la compilazione delle dichiarazioni dei redditi degli iscritti al Caf e le contestuali, irrinunciabili, semifinali di Champions, si era asserragliato nel suo studio pieno di cartacce, unica stanza della casa con accesso dall'esterno per i clienti e via di fuga per il commercialista, e dunque aveva sbolognato il problema alle “femmine adulte di famiglia”. Tra loro primeggiava un merlo indiano, che mia nonna era convinta fosse del suo stesso sesso e aveva chiamato, appunto, MariaCallas. Il nome era tutto dire, solo che, invece di cantare, sputava sentenze. Era il risultato della costante presenza in casa nostra di quella lingua biforcuta della vicina di casa, che, da quando l'aspirante marito se l'era filata sull'altare, si piazzava da noi a colazione e sgombrava il campo a notte inoltrata, passando il tempo a bestemmiare l'amore perduto. Mio padre stava cercando il modo di mettercela a carico, così almeno da trarne un vantaggio fiscale. Bieca deformazione professionale. Un paio di settimane dopo, suonarono al citofono di casa, in orario di digestione, mentre nel soggiorno rimbombava la lagna del solito sceneggiato. - Sì? - la vicina, come sempre, fu pronta a fiondarsi per prima. - Diamine dell'amministratore! Che diamine vogliono? - fece eco MariaCallas. - Vetr-ria Dest-o. - - Non si capisce niente! Quando si decideranno a riparare il citofono?! - urlò la vicina. - Diamine dell'amministratore! - MariaCallas. - Sign-ra, se abbassa la televis-ne, magari... - una voce maschile giungeva a tratti alterni. - Non è la televisione, è l'uccello! - Mia madre le strappò di mano la cornetta, spense la tivù e prese le redini della faccenda: - Chi è? - - Vetreria Destaso. Sign-a, ci apre o dobbi-mo fare nottata?! - - È per me! - schiacciai il tasto di apertura del cancello e mi precipitai a spalancare la porta. Si sentiva appropinquarsi il fiatone di un paio di uomini, misto a imprecazioni biascicate che facevano gola a MariaCallas, tutta orecchi per quel corso di aggiornamento non programmato. - Ma non funziona l'ascensore in questo palazzo? - urlarono nella tromba delle scale i due omaccioni con un affanno da mastino napoletano. - Diamine dell'amministratore! Non funziona niente! - stridette MariaCallas, da quel corpo nero e pennuto. Gli operai della vetreria raggiunsero il terzo piano e scaricarono, dietro la nostra porta, uno specchio da fare invidia all'omonima sala di Versailles. Gli occhi increduli di mia madre si riflettevano accanto a quelli della vicina di casa, la quale decise di rompere l'imbarazzo con la sua solita diplomazia: - Ho sempre adorato gli specchi! Belli! Peccato diventino il regno delle cacche delle mosche... - Mia madre la fulminò con lo sguardo, poi si rivolse a me, seppur dalle labbra non transitassero frasi sensate: - Co'- co'- co- - - Cocodè! - MariaCallas le svolazzò in testa. - Cos'è?! - l'aiutò mia nonna. - Il mio regalo di compleanno, nonna. - La mia doppia, intanto, gratificava il proprio ego con un'accurata osservazione della nostra immagine riflessa in pompa magna. Mia madre mi afferrò per un braccio con la forza di un laccio emostatico: - Dobbiamo aprire un salone per parrucchieri? - - Un salone da ballo, semmai! - mi liberai dagli sguardi impazienti dei due tizi. - Me' Signo', che noi c'abbiamo dafffare! - Nelle iridi di mia madre, luccicavano di lacrime le sfumate speranze che io rinsavissi, come per magia, con la maggiore età: - Dove lo dovete mettere? - - Signo', se non lo sapete voi! - - Nella mia stanza! Ovviamente - feci strada trotterellando. - Diamine dell'amministratore! - l'eco persisteva in sottofondo, mentre gli operai si inoltrarono nel corridoio. MariaCallas, che era dotata di un certo egocentrismo, si levò in volo, rasentò le teste dei malcapitati e si piazzò in cima all'unica mensola rimasta, sulla parete destinata ad accogliere il nuovo acquisto. - Mettetelo qui! - - Signo', non è che l'uccello ci caga in testa? - - Non la fa mica così, come una villana, la mia MariaCallas - disse la nonna - ha bisogno della sua privacy! - Mentre lo specchio prendeva posizione, la mia doppia esibiva un sorriso a trentadue denti, fatti salvi quelli del giudizio che non avevano alcuna intenzione di mettere radici nella nostra bocca. - Però! Ci sta giusto-giusto! - lo starnazzare della vicina fu schiacciato dal rumore assordante del trapano e dalla polvere che si levò a imbiancare capelli e mobili. La vicina prese a tossire come un'appestata: - Oddio! Aiuto! Sono allergica alla polvere! - e se la filò, gambe levate, sventolandosi i vestiti. - Se avessi saputo che bastava un trapano per togliercela davanti... - fu l'unica cosa che disse mio padre, quando uscì dalla sua cella di isolamento. - Diamine dell'amministratore! - Il più solerte dei due operai, rimesso a posto il trapano, guardò con curiosità il pennuto, poi si voltò verso di noi: - Solo una domanda: ma perché ce l'ha tanto con l'amministratore? - - Non è lui che ce l'ha con l'amministratore - mia madre si soffiò il naso che pareva avesse sniffato una pista di cocaina - Lui ripete solo quello che sente, è un merlo indiano! - - È la vicina che ce l'ha con l'amministratore - sogghignò mia nonna - l'ha scaricata sull'altare! - Mia madre le lanciò un'occhiataccia, passò due dita sulla scrivania, coperta da una coltre bianca manco fossimo alla vigilia di Natale, e mi fissò in cagnesco: - Pulisci! - - Ti aiuto io, a nonna! - - Non se ne parla nemmeno! Luana, pulisci! - mia madre aveva gli occhi infuocati e mia nonna non replicò. - E sia - sibilò la mia doppia - Sbrighiamoci con queste chiacchiere: dobbiamo concentrarci sui nostri obiettivi, e nessuno potrà più fermarci, ora che siamo maggiorenni. Viva la libertà! - Io e la mia doppia raccattammo una pezza sporca dal bagno e uno spray di cui dovemmo studiare il funzionamento. Discutemmo un po' su chi tra noi si sarebbe occupata dell'incombenza, poi abbracciammo soddisfatte il tanto atteso regalo della maggiore età, simbolo di una nuova vita, e ogni dissenso volò via come la polvere adagiata nella stanza. Nei giorni a seguire, fu tutto un accavallarsi di strazianti disquisizioni sulla faccenda dello specchio, tra mia madre, mio padre, mia nonna e la vicina di casa. Gli echi dei battibecchi aprivano scenari inquietanti e si insinuavano attraverso la porta chiusa della mia stanza. Era davvero avvilente constatare quanto fosse smisurata la grettezza artistica del mio parentado, fatta eccezione per mia nonna, che mostrava un minimo di sensibilità in più. - A che diavolo le serve uno specchio così grande? - rimbombava la voce di mio padre. - Che vuoi che ti dica? Balla da quand'era in fasce! - mia madre parlottava col suo solito tono della serie “i vicini ci sentono”. - Appunto e ancora non ha concluso niente! - - Non ha concluso niente... - intervenne mia nonna - perché tu le hai sempre impedito di partecipare alle audizioni, caro figlio mio dell'ottocento! - - Mamma, tu non c'entri, questa è una faccenda tra me e mia moglie. Io una minorenne non ce la mando in giro per l'Italia con quella gabbia di matti! Così magari mi torna drogata, tatuata e semmai pure incinta! O peggio, lesbica! - - Ma senti come parli, non ti ricordi quando te ne venivi a casa vestito da figlio dei fiori? - - Che c'entra? Erano altri tempi, noi avevamo un ideale! Queste che ideale hanno? Fare le influencer?! - - Sappi che tuo nonno era di vedute ben più ampie delle tue! - - Ma guarda cosa mi tocca sentire, da mia madre! Se vuoi le passo la carta di credito così spende l'eredità, che la buonanima ci ha lasciato, per rifarsi le labbra! - - A me sembra che tua figlia abbia altri interessi. Comunque ora è maggiorenne, quindi... - - Quindi? - - Quindi ti attacchi! - - Cosa?! Mamma! Ecco dove impara quel linguaggio irriverente mia figlia! Finché starà sotto questo tetto farà come dico io! E anche tu! - - Non puoi stroncare i suoi sogni, figlio mio! - - Quali sogni?! Quando prenderà 10 in matematica ne riparleremo! Non lascio mica il Caf, con tutti i miei clienti, nelle mani di una che nemmeno conosce le tabelline! - - Magari a tua figlia della matematica e del Caf non gliene frega un fico secco! - - E come camperà? Facendo la danzatrice del ventre! O la lap dance in qualche discoteca. Che bella prospettiva. - - Tu ci andavi un tempo in discoteca! Non è in discoteca che vi siete conosciuti voi due? - - Mamma, smettila di agitare quel mestolo! Non dovevi fare la lasagna?! E vai! - Il mestolo sbatté sul tavolo. Le pantofole di nonna strisciarono tristi sul pavimento. Le pantofole di mamma si trascinarono al seguito. - No, tu no! Meno male che a diciotto anni tua figlia doveva maturare, secondo le tue sagge amiche! Che bella maturazione che ha avuto! Oggi arriva lo specchio delle mie brame, e qua non ne sapeva niente nessuno. Cosa ci riserverà il futuro? - - Lo sai, nostra figlia è un'artista e gli artisti sono strani. Inutile ripeterlo sempre e fare tutte queste storie, e far sentire tutti i fatti nostri ai vicini, per uno specchio che, tra l'altro, devo pulire io! - disse mia madre, sussurrando. - Intanto la più pettegola delle vicine ce l'hai qua, eccola, e ci sente benissimo anche se parli così, sussurrando come in chiesa! - - Ce l'ha con me? - gracchiò la vicina, che fino ad allora aveva assistito in religioso silenzio. - No, con quell'altra! Poi la danza non è arte, è sport, altrimenti anche il calcio è arte, e allora spiegami perché ti lamenti quando guardo le partite?! E infine, faglielo almeno pulire ‘sto specchio, invece che continuare a viziarla! - - Ah, mi raccomando, dille che ci vuole uno spray specifico per eliminare le cacche delle mosche! - la vicina concluse col suo colpo di teatro. - Diamine di un amministratore! - dopodiché non c'era veramente altro da aggiungere. La mia doppia decise che doveva insonorizzare, se non tutta la stanza, almeno la porta; così vendette quel bracciale della defunta zia Gianna, sotterrato tra le mutande e la biancheria perché sapeva di reliquia funebre, e spese i proventi per coronare il nuovo obiettivo.
Carmen Trigiante
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