Racconti Brevi Pensieri Sparsi
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La prima a togliermi dalla tappezzeria fu Gaia, l'amica di sempre, la mia gemella d'anima, nel senso di una profonda connessione tra mondi interiori e che non ha niente a che fare con l'accostamento romantico dei due termini. Avevamo sedici anni, o giù di lì, a una delle tante feste dove si ballava sui brani rock dei Van Halen e le ballate storiche degli Scorpions e degli Spandau Ballet*. A un certo punto mi disse: - Vieni a ballare Diego! - E io: - No Gaia lascia stare, proprio non sento il tempo - . In realtà ero terrorizzato. - Sai suonare la chitarra, non puoi non sentire il tempo! - , mi disse scollandomi energicamente e letteralmente dal muro. Ero in panico totale. - Muovi i piedi uno alla volta e non pensare! - Non avevo scelta. - Voglio sentirli battere forte a terra! - , mi incalzava. Provai. Qualcosa in qualche modo combinai e mi ricordo che ero veramente un pezzo di legno. Non era affatto vero, era tutta paura, perché in realtà la cosa che più desideravo al mondo in quel periodo era proprio che qualcuno mi togliesse dall'angolo. Gaia lo sapeva, ha sempre saputo tante cose di me, più di quante poi io ne imparai di lei. Quella infatti non fu l'unica volta che Gaia mi insegnò qualcosa di nuovo. Qualche anno fa, durante un viaggio on the road tra la Provenza e la Camargue, attraversando le gole ocra del Verdon, ci fermammo come prima tappa a Vialfrè presso Torino. Lì in un'atmosfera fiabesca, fra i grandi alberi di un verde e pianeggiante bosco, si tiene annualmente un evento internazionale di danze tradizionali folk: il Granbaltrad. Sono circa quattro o cinque giorni di stage di balli popolari da ogni parte del mondo, dove a laboratori giornalieri in cui si insegnano i passi, si alternano serate danzanti dal vivo. Io ballavo già da tempo danze caraibiche, tutto un altro stile e quindi per me fu un'esperienza completamente nuova. Ricordo che, tra gli stage a cui partecipai, quello che più mi colpì fu quello Rom. Il maestro era un omone grande, un po' trasandato e con la barba incolta. Aveva però un sorriso e un modo di fare coinvolgenti, che ne facevano un magnete per il pubblico. Fummo in tanti a partecipare. Prima di iniziare la lezione, il maestro fece partire la musica e improvvisò una breve sequenza di passi. Indossava scarpe grandi che assomigliavano a degli zoccoli. Con il tacco largo e tozzo colpiva energicamente il pavimento in legno del soppalco, proprio come fanno i ballerini gitani di flamenco. Dopo un minuto si fermò, interruppe la musica e ci spiegò che nelle danze tradizionali rom esiste una sola regola: non ci sono regole. Dopodiché ci disse di sparpagliarci sul soppalco, senza nessun ordine o fila, e ci insegnò pochissimi passi basilari. Riaccese la musica e partimmo tutti con quella base. A turno dovevamo aggiungere un passo a piacere, a cui qualcun altro poteva rispondere a sua volta. Fu un'ora di giocosa ed energica improvvisazione. Se io ero un neofita, Gaia invece quei balli li aveva nel sangue, soprattutto quelli mediterranei. Quando ballava entrava in un'altra dimensione, in cui esistono solo le emozioni e lei sembrava fatta di quello che danzava. La sera, tra tendoni multicolore adornati a festa e concerti dal vivo, c'era gente vestita in ogni modo. Ognuno sembrava essere a proprio agio, senza temere giudizio. A tarda serata iniziò una bellissima mazurka. Io sentivo che era un bellissimo brano, ma non sapevo di certo che fosse una mazurka. Gaia, che un attimo prima saltava come un grillo durante una pizzica, si avvicinò rapidamente e mi prese il polso. - Questa è stupenda, Diego vieni a ballare! - - Gaia lo sai che non ho la più pallida idea di cosa sia e come si balli - , provai a dire. - Ti porto io! - , mi strattonò energica. C'era poco da discutere. Anzi niente. Gaia è una di quelle donne che conosce un modo solo di coniugare i verbi: l'imperativo. A quel punto non avevo scelta e posi la mano destra sulla sua schiena, laddove sapevo che avrei avvertito meglio i suoi movimenti. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare. Era bello ballare così vicini. Mi sussurrò i passi e in effetti non li trovai difficili. La mano destra mi guidava nei passi laterali e rotatori seguendo i suoi profili vertebrali. Dopo qualche minuto di silenzio, immerso in quella bellissima atmosfera di musica ed emozioni, chiesi con qualche esitazione: - Come sto andando Gaia? - - Diego benissimo...Non ti sto portando, sto ballando - , mi sussurrò con un filo di emozione. Alla fine mi chiese sorpresa: - Ma come hai fatto? - - Seguivo il movimento della tua schiena sotto le dita e facevo i passi che mi hai detto - . Gaia è un medico e mi conosceva bene, sapeva che non mentivo. Quella volta fui io a stupire lei, forse l'unica a mia memoria. Certo è che non capitava spesso e soprattutto io, ancora oggi, non so ballare la mazurka.
Matteo Grasso
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