Come la neve non fa rumore
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Bologna, 6 aprile 2019 La ven zò, la ven zò, gridò una vecchia signora dai capelli color neve, puntando il dito verso l'alto. E lei venne giù, volteggiando scomposta. Braccia e gambe annasparono a ghermire l'aria, e i ricordi si frantumarono al suolo in infinite schegge. Paura, dolore, morte. Allegri, indaffarati, o distratti che fossero, i bravi bolognesi che gremivano la Sala Borsa in quel tiepido sabato di aprile sembravano ignari del dolore del mondo. E fu il rumore sordo di quel corpo che imbrattava il pavimento a sferrar loro uno schiaffo violento, ridestandoli. Allora molti scapparono, altri gridarono, solo pochi si avvicinarono. E lei giacque lì, corpo magro martoriato, fasciato di pelle nera.
Quel sabato di aprile era cominciato come un giorno qualsiasi. Drago e Strega, con cui divideva un miniappartamento alla Bolognina, l'avevano svegliata appena la luce aveva cominciato a filtrare dal lucernaio. Drago aveva l'abitudine di camminarle sulla pancia fino ad arrivare al naso, che leccava con piccoli tocchi della linguetta ruvida. Strega era più discreta: appena la sentiva muoversi, le si attorcigliava intorno al collo e cominciava a fare le fusa. Dopo la doccia, si era seduta a gambe incrociate sul morbido tappeto bianco a pelo lungo del salottino e aveva contemplato la stufa a legna appoggiata alla parete, con i gatti accanto che continuavano a produrre il loro rassicurante borbottio. Era il momento meditativo della giornata, quello che le dava energia, dopo il caffè bollente e il frullato di mela e carota che beveva appena alzata. Le piaceva perdersi nella contemplazione della sua piccola casa ricolma di oggetti e candele profumate, la quintessenza dell'hygge scandinavo. Un amico aveva dipinto la parete dietro la stufa con tronchetti di legna accatastati l'uno sull'altro in maniera perfettamente simmetrica, senza lasciare un singolo spazio fra un tronchetto e il vicino, creando un trompe l'oeil perfetto. Era appena uscita da un caso che non l'aveva fatta dormire per settimane. Un abuso sessuale su minori, due bambine di dieci e tredici anni che avevano sul volto e sul corpo le tracce delle violenze subite dal patrigno. Interrogare quel bastardo era stato un'ordalia. Aveva continuato a negare tutto con strafottenza, con la certezza dell'impunità, facendole prudere le mani. Se non fosse stato per Cavani che era con lei e faceva buona guardia, l'avrebbe pestato a sangue. Quanto alla madre, una donna dallo sguardo vacuo, era come parlare col muro. Aveva asserito, durante un interrogatorio in cui aveva articolato poche parole confuse, di non aver sentito le urla e i pianti delle figlie e che suo marito, quando non era ubriaco, era un brav'uomo. Le aveva persino mostrato la foto di loro due il giorno del matrimonio, che teneva come una reliquia nel portafoglio. Due ragazzotti con lo sguardo voglioso e innamorato che si stringevano, in posa plastica, per lo scatto del fotografo. Con sorpresa mista a fastidio aveva colto nelle parole di lei il rimpianto per quel tempo perduto in cui si era sentita Cenerentola abbracciata al suo Principe Azzurro. I racconti delle ragazzine erano stati un'immersione senza respiratore in un mare d'orrore. E il fatto che il bastardo fosse ubriaco fradicio durante gli stupri non spostava di una virgola lo schifo che provava. L'unico momento piacevole dell'indagine era stato quando Rosita, la più piccola, aveva detto alla sorella - guarda, ci sono i pupazzi - , indicando col dito un pelouche rosa appoggiato su una mensola della saletta riservata agli interrogatori dei minori. Aveva sorriso. I pupazzi erano uno specchietto per le allodole. Rassicuravano i piccoli interrogati e, al tempo stesso, nascondevano un microfono al loro interno per registrare i colloqui. Aveva bisogno di riposo e si era preso un fine settimana da dedicare interamente a sé stessa: jogging la mattina presto dentro Bologna, quando ancora la città sonnecchiava, zigzagando sotto i portici fino ai Giardini Margherita per poi tornare al suo appartamento, farsi un bagno a lume di candela e leggere stesa sul divano. E questo sarebbe stato solo l'inizio. Aveva in programma il pranzo alla Buca San Petronio o, per variare, in una delle botteghe di Via Pescherie Vecchie che, da sempre, la affascinavano. Il binge watching di Breaking Bad, per cui nutriva una passione smodata, era invece previsto come diversivo per un rilassante pomeriggio sul divano. Per la sera aveva in serbo sesso liberatorio con Tommaso. Trent'anni e spiccioli, alto e in gran forma, sapeva come darle piacere. L'unico neo era che voleva dormire con lei, dopo il sesso. - Non se ne parla, un uomo che dorme nel mio letto non è contemplato - aveva subito messo in chiaro. Ma lui insisteva, e la sera prima, irritata, lo aveva fatto rotolare giù dal letto, tirandogli dietro le scarpe e qualche parolaccia in danese. Quella mattina, dopo la solita corsa in giro per Bologna, si era stesa sul divano a leggere Il predicatore, di Camilla Lackberg, la sua giallista preferita, peccato che è svedese, quando sentì la familiare vibrazione del cellulare. Si tirò su svogliatamente e controllò. Era Cavani. Cazzo, deve essere successo qualcosa. - Mi prendo due giorni di permesso e rompete subito i coglioni - . - Ha telefonato il nano dalla Procura. È morta una ragazza, è sufficiente come motivo per rompere? - Sentì una fitta allo stomaco. - Che è successo? - - È caduta dalla Sala Borsa - . Si tirò su dal divano con un colpo di reni. - Caduta... dalla Sala Borsa? È salita sul tetto? - - No, è caduta dal terzo piano. Morta sul colpo, pare - . - C'è qualcuno lì? - - Sì, due di pattuglia, Quadrati e Caianello. Hanno delimitato la zona e allontanato i curiosi - . - Arrivo. Raggiungimi, fa' presto - . Scaraventò Il predicatore a terra, si scrollò di dosso Drago e Strega che la guardarono sdegnati, si vestì e uscì sbattendo la porta. Decise che non valeva la pena prendere la macchina, una 500 vintage di color fucsia che coccolava come un bimbo capriccioso e usava raramente. Erano le undici di un sabato di primavera, benedetto da un cielo azzurro e un sole tiepido: camminare le avrebbe fatto solo bene. * La Sala Borsa era uno dei suoi luoghi del cuore. L'aveva amata da subito; ci aveva colto lo spirito della città e, quando poteva, nei rari momenti liberi dal lavoro, ci andava per girovagare fra i libri, sedersi al bar a mangiare qualcosa o osservare i bolognesi intenti a leggere, parlare, mangiare. Le riusciva difficile immaginare la morte al suo interno, al punto che, al solo vedere la facciata di Palazzo d'Accursio quella mattina, le sembrò di essere intrappolata in un brutto sogno. Entrò a passo spedito, ma le ragazze all'ingresso la fermarono. - Polizia - disse, mostrando il distintivo. La guardarono con curiosità, mista ad ammirazione. Quella bella donna bionda in jeans e sneakers fluo sembrava tutto meno che una poliziotta. Cavani non era ancora arrivato. Si avvicinò all'area transennata e vide una sagoma nera a terra, le braccia spalancate a formare una croce, le gambe leggermente divaricate. Sangue e tracce di materia cerebrale imbrattavano le mattonelle di vetro del pavimento. Distolse lo sguardo. Dopo tanti anni in polizia, ancora non si era abituata allo spettacolo sconcio della morte. - Che è successo? - disse, rivolgendosi a Quadrati. - Si è buttata, o forse qualcuno l'ha spinta. Abbiamo una testimone - . Guardò verso l'alto e le sembrò di vederla, quella ragazza che scavalcava il parapetto e volava giù. - Una testimone? Chi è? - Caianello, con un mezzo ghigno, le indicò una signora anziana, seduta su una seggiola non lontano dalla zona recintata. - Che hai da ridere, tu? - disse la Larsen, provocando l'immediato rinsavimento dell'agente Pino Caianello, che si rimise la maschera da bravo poliziotto. Mentre si avvicinava, ebbe l'impressione che la signora si fosse addormentata. Aveva la testa reclinata sul petto e gli occhi mezzi chiusi. - Signora, sono la commissaria Larsen. Posso parlarle? - disse, scandendo bene le parole. Lei ebbe un sussulto, rialzò la testa e, per tutta risposta, indicò il piano alto. - L'è vgnò zò... da lassù - . - Mi sa dire altro? - Si chinò verso di lei e sentì un odore dolce e penetrante. Profumo alla violetta, pensò, con un moto di disgusto. - Ho visto un'ombra - . - Un'ombra? Saprebbe dire qualcosa in più? - - Un cinno - . - Un cinno? - - Sì, un ragazzo. Era lassù - e puntò l'indice verso il soffitto a cassettoni. La Larsen scosse la testa. Una testimone anziana e in stato confusionale non era il massimo. - Come si chiama, signora? - - Mi arrestate mica? - - No, stia tranquilla - . La vecchia signora guardò ancora verso l'alto, come se temesse di vederla, quell'ombra. - Am ciam Rosa, Rosa Malaguti - disse, soffiandosi il naso. - Mi lasci anche il telefono e l'indirizzo, in caso avessimo bisogno di lei - . Annotò distrattamente le informazioni, mentre individuava Cavani che entrava trafelato. - Può andare, signora - le disse, andandogli incontro. - È arrivata la Scientifica? - chiese bruscamente. Era sempre in ritardo, Cavani. - Sì, c'è la Falcinelli e il medico legale, dottoressa - . disse lui, asciugandosi la fronte sudata con un fazzoletto. - Avete identificato la ragazza? - chiese a Quadrati che si era avvicinato, ansioso di farsi notare. - Alessia Matteucci, diciassette anni, era in gita con la scuola - . - E gli altri, dove sono? - Rispose prontamente, scattando quasi sull'attenti. - Li abbiamo fatti accomodare accanto al bar. Erano tutti sotto shock - . - Ho bisogno di parlare con un professore. Chiama qualcuno - . Lui non si fece pregare e tornò subito con una donna piccola coi capelli a caschetto che camminava lentamente. La Larsen la osservò stupita. Si aspettava una donna arcigna, vestita in maniera formale, e si trovava davanti una ragazzona in jeans e felpa, lo sguardo perso nel vuoto. - Buongiorno, professoressa. Avrei bisogno di qualche informazione, se non le dispiace - . Lei annuì. Aveva gli occhi lucidi. - Lei è la professoressa...? - Rispose con un fiume di parole. - Migliocci, Isabella Migliocci. Insegno Storia e Filosofia al Liceo Scientifico ‘Leonardo da Vinci' di Perugia. Siamo in due, io e il professor Diana, ma lui è rimasto di là con i ragazzi. Sono sconvolti, non riescono a crederci, non ci credo nemmeno io. Tutto, ma non questo... - - Posso immaginare. Quando siete arrivati? - - Ieri sera. Siamo partiti da Perugia il 4, diretti a Ferrara, poi... - La interruppe. - Mi sa spiegare che è successo? - - Non lo so, non lo so che è successo... abbiamo lasciato ai ragazzi una mezz'oretta di libertà prima di portarli disotto a vedere gli Scavi Romani - . - Che ore erano? - - Le dieci. più o meno - . - E poi? - - Dopo un po' abbiamo sentito gente che urlava e un gran trambusto e poi... poi l'abbiamo vista. I ragazzi hanno cominciato a piangere e urlare e io non riuscivo a crederci - . - Aveva motivi seri per pensare al suicidio, questa ragazza? - - Non credo. Anche se la conosco poco, è arrivata quest'anno. Era una ragazza strana, un po' isolata, aveva un tatuaggio con un falco su una spalla e la prendevano in giro per questo, all'inizio. Ma poi... - La interruppe bruscamente. - È a conoscenza di episodi di bullismo? - - No, bullismo no... sono tutti dei bravi ragazzi! E poi... aveva trovato due amici, Sofia e Federico. Ma perché pensate a un suicidio? Non potrebbe essere caduta? - Guardò in alto e si rese conto di quanto fosse assurdo quello che aveva appena detto. - Noi non pensiamo niente, professoressa. Facciamo ipotesi basate su fatti. Per ora può bastare. Se volete, potete rientrare in albergo. Dove alloggiate? - - All'Hotel Donatello, in via dell'Indipendenza - . - I genitori della ragazza vivono a Perugia? - - Sì, in un sobborgo vicino - . - Contatta qualcuno della Questura di Perugia. Che avvertano subito la famiglia - disse, rivolta a Cavani. Decise che era ora di congedare la Migliocci che se ne stava lì, affranta. - Può andare, professoressa, ma avremo bisogno di parlare con i ragazzi, più tardi. Vi faremo sapere - . Lei si allontanò in silenzio, senza dire altro. Aveva le spalle cadenti e il passo incerto di chi non sa bene dove andare, né perché. Le ricordava sua madre la notte in cui era morto Tobias. Lo stesso dolore che fiacca le membra e l'anima, la stessa incredulità. Perché l'hai fatto, piccolo? * La Falcinelli e Vannini erano una strana coppia. Alta, un po' cavallina e con una folta chioma di capelli rossi lei; basso, scuro e in sovrappeso lui. Appena arrivati, dopo un breve cenno di saluto, si misero all'opera, concentrati, in silenzio. Quando lavoravano, il mondo intorno sembrava non esistere. Cavani era sulle spine. Forse voleva farsi perdonare il ritardo di prima, pensò la Larsen. - Andiamo a parlare col Responsabile? - - È lui che ha fatto la segnalazione? - - Sì, si chiama Silvano Venturi. Mi ha detto che ci aspetta nel suo ufficio. Su, al terzo piano - . - Se avete bisogno di noi, siamo disopra - disse, rivolta alla Falcinelli che sembrò non sentirla. Un uomo alto e magro coi capelli bianchissimi li accolse in un piccolo ufficio pieno di libri e piante. Un enorme ficus benjamin accanto alla finestra si prendeva tutta la luce, lasciando la stanza quasi in penombra. - Prego, accomodatevi - . Loro si guardarono intorno, perplessi. - Scusate, sono ancora sconvolto per quella ragazza - . Si alzò e prese due seggiole pieghevoli appoggiate accanto a una fiancata della libreria. - Cosa è successo? - - Stavo controllando il sito Internet della Sala, sa abbiamo molti eventi in questo periodo. All'improvviso, ho sentito gridare, sono uscito dall'ufficio e ho visto tutta quella gente disotto e quella... quella macchia nera sul pavimento - . - Che ore erano? - - Le dieci e trenta, più o meno - . - Qualcuno del personale ha visto qualcosa? - - No, abbiamo sentito le urla, dopo che è successo - . - Immagino ci siano le telecamere - . - Sì, certo, ma quelle del terzo piano non funzionano. È un'area poco frequentata, non le abbiamo ancora fatte riparare - . - In ogni caso, mi faccia avere i filmati che ha - . - Senz'altro, mi dia il tempo di recuperare i CD - rispose lui con gentilezza. Gli sorrise. - La ringrazio, per ora. Ci risentiamo più tardi - . Lui si alzò e strinse la mano a entrambi, ancora turbato. Non riusciva a credere che quella ragazza fosse morta nel luogo che considerava il suo gioiello. Spazio di cultura, relax, incontro. Che le sarà passato per la testa? pensò, mentre si rimetteva a sedere. * Mentre uscivano dall'ufficio di Venturi incontrarono la Falcinelli che scendeva di corsa. - Novità, Rossella? - Lei si concentrò, era una che pesava le parole con cura. - È improbabile che qualcuno l'abbia spinta. Il parapetto è molto alto e lei avrebbe sicuramente fatto resistenza. Avrebbe urlato, qualcuno l'avrebbe sentita. E poi la traiettoria della caduta è obliqua, fa pensare più a un suicidio, anche se non è poi così dirimente. Per le impronte abbiamo fatto i rilievi. Verificheremo - . La Larsen annuì e guardò Cavani. - Che mi dici, campione? - - Della testimone che ne facciamo? Dice di aver visto un ragazzo dietro di lei - . - L'hai vista bene, Giuseppe? Ottuagenaria e confusa. Magari ha pure la cataratta - . - Sarà mica razzista, dottoressa? Ho un nonno quasi centenario che dà il fumo a tanti giovani - . - Facciamo così: più tardi, vai tu a parlarci, chissà che non ne tiri fuori qualcosa - . Arrivati disotto, si avvicinarono a Vannini che stava ancora armeggiando vicino al corpo, con competente indifferenza. La Larsen si guardò intorno. La Sala aveva un aspetto triste, quella mattina. Non c'era quasi nessuno, tutto era silenzio e si sentiva un odore dolciastro che dava la nausea. Avrebbe voluto uscire all'aria fresca, tuffarsi fra la folla, correre come una forsennata per le vie di Bologna e dimenticare quella scena. Un volo nel vuoto, giovane carne straziata e poi il buio. Si scosse e si rivolse a Vannini. - Allora Claudio, che ci dici? - - E che ti dico? La cittina era una che si tagliava - . - Si tagliava? - - Sì, ha un taglierino nella tasca destra dei pantaloni e tagli diffusi sulle braccia e sulle gambe. Roba vecchia, comunque. Si chiama cutting. Pare vada di moda fra le citte di oggi. Si vede che gli garbava il sangue - . - Sei il solito stronzo - disse la Falcinelli. - Aveva solo diciassette anni e probabilmente si è ammazzata. Piantala di fare battute idiote! - - E tu sei pesante, Rossella, quanto sei pesante... Mi ricordi la professoressa Torlonia. Cento chili di ciccia che una volta mi caddero su un piede - . - Lascia stare le ciccione e pensa a fare il tuo lavoro, stronzo di un aretino! - - Non vorrei interrompere questo litigio da innamorati - intervenne la Larsen, - ma ho bisogno di sapere l'ora presunta e le cause della morte, quando siete comodi - . - Fra le dieci e le undici. Fratture multiple, ma la morte è avvenuta per trauma cranico, direi che non ci sono dubbi - . Lo guardò come si guarda uno che non vuole capire. Eh, già. Tutto è chiaro, tranne l'unica cosa che conta: perché l'ha fatto?
Lorella Marini
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