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Autore: Priscilla Potter
Rosa come il Natale
Romance Chicklit Natalizio
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Rosa come il Natale
Mi chiamo Samantha Logan. Avrete la pazienza necessaria ad ascoltare la mia storia? Me lo auguro!
Siamo all'inizio di novembre. Sì, è proprio quel periodo lì, dopo le follie di Halloween e prima del Natale, che non è proprio imminente, ma si fa già sentire nell'aria.
Prendo svogliatamente il piumino cattura polvere dallo sgabuzzino sul retro del mio negozio. Ho poco tempo per gli ultimi ritocchi. Sono quasi le nove e tra poco dovrò aprire al pubblico.
Dall'analisi dei miei anni di attività commerciale ho ricavato una specie di algoritmo personale, diciamo un metodo per prevedere l'immediato futuro. Se a essere venduto per primo è un pezzo di bigiotteria, la giornata sarà scarsa; se invece si tratta di un giocattolo o di un libro, sarà una giornata fortunatissima per le vendite.
Per questo motivo regalo un'ulteriore sistemata ai miei “talismani” e comincio ad aspettare.
Devo guadagnare il più possibile entro Capodanno. Devo ristrutturare casa. E' questo il periodo in cui la gente è più disposta a spendere senza tirare troppo sul prezzo. Cosa fondamentale in un negozio come il mio, di antiquariato, o come preferiamo io e la mia socia, Patricia, di cianfrusaglie.
Per i regali di Natale, molte persone preferiscono spendere cifre consistenti e fare bella figura. I clienti sono affezionati e tendono a tornare ogni anno perché si è instaurato un rapporto di fiducia.
La nostra merce è molto varia: mobili di diversi stili, dal Chippendale al Queen Anne; vecchi fucili della guerra di secessione, libri, stoffe, tappezzerie, quadri, statue, gioielli più e meno preziosi, bigiotteria, specchi.
Tre vecchie cassapanche sono quasi interamente ricoperte di vecchi giocattoli di ogni genere. Funzionano tutti, perché sappiamo che i giocattoli rotti non trovano compratori. Una bella collezione di bambole, soldatini di latta, carillon e orologi a cucù sono in bella mostra nel negozio, le cui pareti sono in parte di mattoni e in parte rivestite di legno di quercia. E' in vendita anche una discreta quantità di giocattoli di modernariato, da Mazinga a Barbie.
Certo, il negozio di giocattoli di fronte a dicembre è sempre più affollato rispetto al “Sampat shop”, nome che nasceva dalle iniziali delle due socie. Vuoi mettere però la soddisfazione di portarsi a casa un oggetto raro, piuttosto che un oggetto rumoroso e luminoso? Vuoi mettere la differenza tra i tipi di clientela?
Prendo il cd con le musiche natalizie e lo faccio partire. Le note di Jingle Bells aleggiano nell'aria e rendono già diversa l'atmosfera, anche senza gli addobbi. Il Natale è la festa perfetta per il mio negozio.
Guardo fuori dalla vetrina; sospiro. Le foglie autunnali volano nell'aria sospinte dal vento. Qualche foglia si adagia dolcemente sulla cornice della nostra vetrina.
Anche questa mattina sono da sola. Patricia è di nuovo in ritardo. Ancora una volta il piccolo Jimmy deve averle fatto passare una notte insonne. Bambini. Sinonimo di problemi e responsabilità.
Io detesto i bambini, soprattutto quelli capricciosi.
Spolvero la grande casa di bambola risalente ai primi del novecento che è esposta in vetrina, poi, con passo deciso, vado a riporre il piumino e mi regalo un'ultima sistemata davanti allo specchio di metà ottocento che riflette gran parte del locale.
Ho i capelli di colore castano chiaro, lunghi e mossi; le sopracciglia sottili e molto arcuate. Le lunghe ciglia ombreggiano due occhi di colore azzurro scuro, tanto simili al mare in tempesta, dice qualcuno.
Dicono che io abbia un caratteraccio che stona con il mio aspetto. Ho le guance paffutelle, troppo paffutelle, a mio avviso, nonostante il fisico snello e slanciato. Quando mi trucco, cerco –inutilmente- di correggere questo difetto con il blush.
Indosso una gonna nera sopra il ginocchio e una camicia bianca. Una bella collana d'acciaio all'ultimo grido decora il mio decolleté, florido ma non troppo. Ecco, la mia terza misura mi va bene. Non sono piatta, non sono una pin-up. E che gli uomini mi guardino il petto e non gli occhi mi dà un fastidio enorme.
Dimenticavo: un paio di stivali neri completa il mio abbigliamento.

Chissà come continuerà la mia vita, mi chiedo.
Imprevisti, imprevisti continui, ribaltamenti improvvisi. Ventotto anni di cambiamenti, fino a questo novembre 2023.
Mascherine, distanziamento e lockdown sono ricordi traumatici, sia nella mia memoria sia in quella altrui. Il sars-cov 2 ha cambiato le nostre vite, e non possiamo farci nulla. La lunga prigionia domestica e la paura del virus ci hanno segnato.
Il covid ha devastato anche il mio conto corrente: le chiusure forzate hanno devastato il settore commerciale.
Le mie riflessioni sono interrotte dall'ingresso di Celia, mia sorella. Piove. Lei si chiude frettolosamente la porta alle spalle. Se la temperatura scenderà ancora, presto arriverà la neve. Questo non impedisce a Celia di andare in giro con una minigonna cortissima e un chiodo nero e borchiato. Un po' troppo anni '70 e anche un po' troppo Grease, penso, guardandola.
- Perché non sei andata a scuola? -
Celia ha sedici anni, ed è una ribelle.
- Perché oggi mi andava di fare compagnia a te, sorellina - risponde allegramente, prendendo in mano una Barbie degli anni '70, con i vestiti originali.
La mamma. Se ci fosse la mamma, sarebbe tutto diverso. Sospiro. Non dovrei fare da balia a mia sorella.
Purtroppo mia madre è morta otto anni fa, lasciando soli noi tre figli. Mio padre ci ha abbandonati dopo la nascita di Celia, facendo totalmente perdere le sue tracce.
Cosa niente affatto insolita, nel Maine, tra la gente di mare. Molti uomini, superando i quaranta, abbandonano la famiglia senza nemmeno salutare. Vanno a trascorrere gli anni maturi in posti caldi, magari con donne più giovani, lasciandosi alle spalle il freddo e le responsabilità.
Phil Logan si è comportato come un vero lupo di mare. Mia madre, che si chiamava Glenda, ne denunciò la scomparsa alla polizia, che fece delle ricerche abbastanza accurate. Nulla. Svanito. Fu dichiarato morto. Nessuno però crede seriamente a quest'eventualità.
Mia madre ci ha allevato da sola, con il suo non lussuoso stipendio di maestra d'asilo. Poi, un giorno, senza alcun preavviso, un infarto l'ha portata via, così, in un soffio.
George, mio fratello maggiore, ha trentadue anni e lavora per una multinazionale a Hong Kong.
Io, Samantha, che avevo vent'anni quando morì mia madre, ho dovuto lasciare l'università per badare a mia sorella.
Non è stato semplice. Non è semplice elaborare un lutto, se c'è qualcuno che sta peggio di te. E Celia stava molto peggio di me.
A volte sembrava pazza. Più volte sono stata convocata dalle preside della scuola perché la bambina era aggressiva con i compagni di scuola.
Poi, all'improvviso, Celia pareva avere acquistato un suo equilibrio.
Una sera però Aubry, la madre di Anne, la migliore amica di Celia, mi chiamò al telefono.
Aubry si occupava di Celia, se dovevo uscire la sera.
- Sam, devo dirti una cosa. Non hai notato qualcosa di strano in tua sorella? -
- No, Aubry. Che cosa intendi? -
Cercai di non lasciar trasparire il pugno allo stomaco.
- Tua sorella si taglia con le lamette, soprattutto sulle braccia. L'ha confidato ad Anne. Devi fare qualcosa, cara. -
Costrinsi la mia sorellina a mostrarmi le braccia. Celia presentava tagli anche sul tronco e sulle cosce.
Piansi tanto, sia da sola sia con Celia. Mi sentivo incapace. Ho persino inveito contro la fotografia sorridente di mia madre che tengo su un tavolino in stile Biedermeier che addobba la mia camera.
- Cos'hai da ridere, mamma? Perché mi hai lasciata qui a badare a quella pazza di mia sorella? Fai qualcosa, perdio! Ho il diritto di essere giovane o no? -
Poi, ho compreso che da sola non potevo farcela. Ero troppo giovane e non avevo alcuna preparazione sui problemi psicologici. Affidai mia sorella alle cure di uno psichiatra.
La psicoterapia è stata lunga, dolorosa per la ragazzina e anche costosa, ma fortunatamente ha funzionato. Celia è diventata normale: un'adolescente scanzonata, allegra, svogliata nello studio.

Spero che nevichi presto. Vedere tutto ammantato di bianco, sprofondare con i piedi nel ghiaccio, l'aria sferzante, gli sport invernali: amo tutto della neve.
A Portland, nel Maine, l'inverno non è proprio come lo vorrei. Io amo il White Christmas. L'Oceano Atlantico lambisce la città e benché sia gelido, impedisce che Portland si ammanti di bianco per troppo tempo. Il mese più freddo qui è gennaio.
Quando con me c'era ancora James, allora sì che mi sono goduta veramente l'inverno. E l'estate. E la primavera. E l'amore.
Quando penso a lui, mi prende sempre una fitta al cuore.
L'inverno mi ricorda il periodo felice della sua vita. Due anni di vita pienamente vissuta. Con James.
Ci siamo conosciuti per caso, a una festa noiosissima organizzata da Amanda. Era settembre. La gente era divisa in gruppetti, con bicchieri e bottiglie in mano. Nessuno ballava, benché ci fosse la musica, e la conversazione languiva.
Ero uscita in giardino.
Uno splendido ragazzo bruno e muscoloso, con addosso una polo giallina a maniche corte che gli lasciava scoperti i bicipiti, si avvicinò con il suo passo dinoccolato e mi disse:
- Andiamo a vedere il mare? -
Chi era? A volte nella vita non devi farti troppe domande. Devi solo dire di sì, ed io lo feci senza indugio.
Poco dopo si ritrovai a passeggiare con lui tra le barche ancorate in rada nel porto vecchio.
Si chiamava James O' Brien e quella sera mi raccontò tutta la sua vita: dall'infanzia e l'adolescenza a Camden, al college. Mi raccontò dei suoi complessi per l'acne giovanile; della sua passione per il baseball e per la vela. Poi, mi confidò un sacco di cose sulla sua vita sentimentale, terminando con una carrellata delle sue ex.
Che ridere! Le sue imitazioni del modo di fare e dei gesti di quelle sconosciute mi costrinsero a ridere fino alle lacrime.
- E tu? Non mi racconti niente? -
- Io? -
Per prendere tempo e darmi un tono mi sedetti sul pontile.
- Ho avuto il mio primo ragazzo a quattordici anni. Si chiamava Joe. Un tipo brufoloso, che abitava di fronte a casa mia e moriva dalla voglia di mettermi le mani addosso. E' finita subito, per fortuna. -
- Non è un granché come inizio - disse lui, sorridendo, con le gambe penzoloni sul molo.
- E non hai sentito il resto...Il mio primo vero rapporto l'ho avuto a diciassette anni. Tutte le mie compagne avevano già tante esperienze, io ancora no - ammisi, ridacchiando, un po' imbarazzata. - Così quando Luke, il bello e spaccone della classe, mi chiese di uscire, mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Mi sbagliavo. Mi portò a casa sua e... -
James m'interruppe.
- Comincia a starmi antipatico - ammise.
- E non vuoi sentire il resto? - chiesi, ridendo.
- Il seguito è meglio ascoltarlo da un altro punto di vista - disse lui, mettendosi in piedi e invitandomi ad alzarmi. Mi sostenni alla sua mano forte e calda, mi aggiustai i vestiti e rialzai il bavero della giacca a vento. Faceva fresco.
- Vedi quella bella barca a vela? Appartiene a mio zio John. Ci lavoro come skipper, in attesa di una proposta di lavoro migliore. Andiamo lì. -
Poco dopo eravamo sull'imbarcazione, il Caribbean sea.
- Ti va di fare un giro della baia? -
- Adesso? Di notte? -
- Il mare è calmo, c'è poco vento. Prova tu stessa. Si fa così. -
James s'infilò in bocca il dito indice e lo sollevò in alto. Perché quel gesto, visto tante volte, mi eccitò tanto?
Calma, ragazza, mi dissi mentalmente.
- Fallo anche tu - diceva lui, inconsapevole della mia eccitazione. - Vedi che c'è solo una brezza leggera da est? -
Imitai il suo gesto, ridendo. Anch'io infilai il mio dito indice in bocca. Dentro, bruciavo. James comunque aveva ragione: soffiava appena un refolo.
- Conosco questo mare come le mie tasche. Ti prometto che non ci allontaneremo - m'implorò.
- D'accordo - concessi, dandomi mentalmente dell'imbecille sia perché ero su di giri sia perché mi stavo appartando con un perfetto sconosciuto.
Presto ci ritrovammo al centro della baia. La vista della città era spettacolare. La Maine Mall, la via dello shopping, scintillava: alcuni negozi avevano già installato le decorazioni natalizie. Le luci si riflettevano sulla superficie del mare come su uno specchio. Gli alberi delle barche e delle navi in porto formavano una sorta di foresta galleggiante.
- Non avevo mai potuto ammirare così bene i fari di tutto il golfo - confessai, commossa, perché senza volerlo, mi era riaffiorato il ricordo del padre sparito . - Grazie; James. -
Lui fermò l'imbarcazione e mi prese la mano.
- Ora sono pronto. Raccontami il resto. -
- Davvero vuoi sentire il resto? -
Adesso eravamo vicini, troppo vicini per non annusarci e percepirci l'un l'altra. Troppo vicini per non desiderarci.
Mi trovai con le labbra quasi sulla sua bocca. Mio Dio, cosa sto facendo, pensai. Un attimo dopo, le bocche si unirono. Il cuore in fiamme, gli occhi chiusi, le sue mani tra i capelli, sulla schiena, sulle natiche, mentre io percorrevo il suo corpo con le mani avide.
Desiderio ed eccitazione s'impadronirono di entrambi, ma io a un tratto decisi di non andare oltre.
- Basta, fermiamoci. Torniamo a terra. -
Perché per un attimo, ero rimasta sospesa tra mare, cielo, corpo e cuore.

Priscilla Potter

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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