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Autore: Elisa Delpari
1944: The Rebellion
Fantasy Storico
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1944: The Rebellion
Mi chiamo Elektra, a scuola sono considerata una sfigata, sempre china sui libri, senza uno straccio di vita sociale; non aiuta il fatto che mi vesta sempre con tute da ginnastica o maglioni sformati, per non attirare l'attenzione ed eviti ogni festa ed evento scolastico come la peste. Il ragazzo di cui sono innamorata, Matt (capitano della squadra di football), fin dalle elementari non mi ha mai notata.
L'unica ragazza che ha accettato di essere mia amica è Alice, una compagna di classe, ed è proprio da lei che mi trovo in questo momento, a piangere e sfogarmi come un anima in pena.
– Perché devo essere sempre trattata così? Non è giusto!
– Sai benissimo qual è il problema. Sono sempre dalla tua parte, ma dovresti sforzarti di essere meno apatica. A proposito, che ne dici se stasera andiamo a un party?
– Lo sai che li odio, nessuno mi rivolgerà la parola e poi non ho niente da mettermi.
– E se ti dicessi che c'è anche Matt, potrei riuscire a convincerti?
– Non so, però devo pur iniziare da qualche parte. Va bene, mi hai convinto, ci vengo! A una condizione però, niente abito elegante, solo jeans e maglietta.
– Va bene! Ti passo a prendere per le otto, ok? Per i vestiti non ti preoccupare, te li trovo io un paio di jeans carini e una maglietta, tanto abbiamo la stessa taglia. Eccoli, prendili e vai a farti bella.
A dopo!
Arrivo a casa, il tempo di mangiare, prepararmi ed ecco che Alice è già qui.
– Ciao Elektra, sei pronta?
– Sì, andiamo!
Arrivate a destinazione il vialetto è già pieno di auto: sono tutti lì. Comincio a pensare che non sia stata una buona idea, ma ormai sono qui e non posso certo tirarmi indietro.
Ci spostiamo all'interno della villa, immensa, disposta su tre piani: l'ingresso sembra la copia di un tempio greco. Nel retro dell'abitazione si trova un giardino grande come l'intera città, con al suo interno due piscine olimpioniche, un campetto da football e uno da volleyball.
Nelle varie stanze (tutte lussuose con mobili pregiati, lampadari di cristallo ed vari gadget elettronici di ultima generazione) musica a palla e rifiuti sparsi dappertutto, molti ragazzi già ubriachi oppure nelle camere da letto a divertirsi.
Mi guardo intorno e vedo Matt che, notandomi, fa un gesto di saluto con la mano nella mia direzione, sorridendomi. Sarà forse che, grazie al mio nuovo look, sto cominciando a ottenere gli effetti desiderati? Sembrerebbe di sì!
Noto che alcune mie compagne (tutte con abiti da sera che, a mio parere, sono molto più adatti per un locale di spogliarelliste) mi guardano in maniera curiosa. Non sono abituate a vedermi vestita così, ma a giudicare dalle loro occhiate direi che il mio aspetto non deve essere poi così male. Sto cominciando a sentirmi a mio agio quando, all'improvviso, comincio ad avvertire un senso di stanchezza e sonnolenza: gli occhi cominciano a chiudersi. Sento che sto per avere un mancamento, non so quanto riuscirò a resistere. Provo ad aggrapparmi al muro ma non ce la faccio, cado per terra perdendo i sensi.
Tutto a un tratto mi ritrovo in una stanza molto stretta e buia, con pochissima illuminazione, completamente spoglia. Sembra quasi uno dei bunker scavati sottoterra che ho visto spesso nei film di guerra.
Al centro della stanza c'è un tavolo enorme pieno di carte (sembrerebbero mappe geografiche ma non capisco di quali Paesi, le scritte sono in una lingua che non conosco), documenti, fotografie in bianco e nero di uomini e donne in uniforme militare. Intorno al tavolo c'è un gruppo di persone (sia ragazzi che ragazze di varie età, alcuni molto giovani, sembrano quasi dei bambini), vestiti con abiti di un'altra epoca, direi che possono risalire agli anni Quaranta/Cinquanta.
Quasi tutti sono armati, portano in spalla dei fucili o delle pistole alla cintura. Sparse in giro per la stanza vedo anche altre armi di vario tipo e dei mezzi di trasporto (biciclette, una motocicletta e due vecchie automobili, una delle quali ha una croce rossa disegnata sui finestrini).
Uno dei ragazzi (che qualcuno chiama con il nome Paolo), molto bello, con folti capelli ramati, occhi azzurro ghiaccio e un fisico atletico e asciutto, si gira verso di me guardandomi con uno sguardo carico di significato, come se provasse un qualche tipo di sentimento e dice: – Allora Lisa, qual è il piano per stasera? Andiamo a uccidere qualche crucco?
Lo guardo un po' strano pensando dentro di me: “Ma di cosa sta parlando? Chi è Lisa? Si sta rivolgendo a me?”
Sono nel panico più totale, quando improvvisamente, così com'era cominciato, termina questo mio viaggio e mi trovo nuovamente a terra semisvenuta. Inizio a sentire delle voci familiari, tra cui quella della mia amica Alice. Riapro gli occhi ed eccomi lì, di nuovo nella villa con i miei compagni che mi guardano a metà tra lo stranito e il preoccupato (incredibile ma vero, non l'avrei mai pensato, forse sotto sotto non mi detestano così tanto).
– Elektra, tutto bene? Sei caduta così all'improvviso che mi sono spaventata a morte!
– Sì, tutto a posto. Dev'essere stato un calo di zuccheri, ogni tanto mi succede.
– Forse è meglio se ti riporto a casa, che ne dici?
– Sì, sono d'accordo, andiamo.
Usciamo e dopo pochi minuti siamo di fronte a casa mia: una modesta casetta a schiera anonima in mezzo alle altre; purtroppo i miei genitori non navigano in buone acque: mia madre al momento è disoccupata mentre mio padre lavora in una fabbrica per pochi soldi. Durante il tragitto ho pensato e ripensato se raccontare alla mia amica quanto mi è accaduto, ma decido di aspettare. Non voglio essere presa per pazza e, in fondo, non sono sicura neanch'io di quello che ho visto.
– Ciao, ci vediamo a scuola domani, vero? – mi chiede Alice ancora visibilmente impensierita.
– Certo, assolutamente, non ti preoccupare, sto molto meglio adesso.
Rientro a casa, vado in camera, mi metto a dormire e non ci penso più.

Cosa sta succedendo?

Il mattino successivo, durante le lezioni, ripenso continuamente all'avvenimento della sera precedente e, per la prima volta in vita mia, non ascolto i professori (cosa alquanto insolita, considerando la mia reputazione di secchiona storica) che, stranamente, non mi dicono nulla, né mi riprendono.
La mia amica se ne accorge e appena uscite da scuola mi chiede: – Cosa c'è che non va?
Ma io, per paura della sua reazione (ma anche per non farla preoccupare inutilmente, è una persona molto ansiosa e iperprotettiva, basta poco per farla uscire di testa), faccio finta di niente e continuo a tenere tutto per me.
Alla sera, mentre sto facendo i compiti per il giorno dopo, mi coglie di nuovo quella strana sensazione avuta durante la festa a casa del mio compagno. Stavolta non faccio niente per oppormi e mi lascio completamente trasportare (devo ammettere che è stato molto meno fastidioso; la volta precedente, prima della sonnolenza e della stanchezza, ho avvertito una specie di dolore, come se mi stessero infilando tanti piccoli aghi nel cervello).
Ed è così che mi ritrovo in uno scenario completamente diverso rispetto alla prima volta.
Adesso sono in un ambiente collinare e, a giudicare dalla temperatura, mi trovo nel bel mezzo dell'estate (frinire di grilli e cicale e il sudore che mi cola giù dalla schiena su tutto il corpo ne sono un chiaro esempio), circondata da ogni lato da boschi verdi e lussureggianti. In lontananza vedo alcune volpi e qualche lupo con il pelo grigio e bianco, seguito a breve distanza dai cuccioli, che si muovono in mezzo al fogliame alla ricerca di cibo. In sottofondo odo chiaramente il cinguettio degli uccelli e il suono dell'acqua che scorre (presumo quindi che ci sia un ruscello nelle vicinanze, che da qui però non riesco a scorgere).
Sono riparata da una barriera di fogliame e terra e di fianco a me, con i fucili puntati verso un obiettivo ben preciso, c'è il gruppo di ragazzi visto nella prima premonizione (scorgo qualche viso nuovo; tra loro anche coppie di una certa età, chissà se hanno dei bambini che li aspettano a casa).
A un certo punto sento in lontananza delle voci che parlano una lingua che non capisco e dopo pochi minuti ecco che, al limitare della radura, vedo apparire un gruppo di uomini in uniforme militare.
Dopo uno scambio di battute, che sembrano ordini urlati a gran voce, i soldati si posizionano di fronte a noi. Che cosa succederà ora? Il ragazzo che mi ha rivolto la parola la prima volta, che trovo molto carino, mi dice: – Stai pronta a entrare in azione. Mi raccomando, non devono assolutamente fuggire!
Io, che non capisco a cosa si riferisca, me ne rimango ferma senza muovere un muscolo. Il ragazzo fa un cenno agli altri, dopodiché inizia il caos.
Le mie mani si muovono da sole, come se sapessi usare il fucile da tutta la vita, posizionandosi sul grilletto e, con una mira che non credevo di avere (a scuola mi prendevano sempre in giro durante l'ora di educazione fisica perché non riuscivo neanche a fare un canestro) inizio a centrare uno dopo l'altro i nemici che cadono a terra, come fossero tanti piccoli birilli.
Purtroppo, da dietro la prima fila di soldati, appaiono come per magia altri uomini che, per dare manforte ai compagni, iniziano a spararci addosso con una mitragliatrice.
La potenza dei proiettili è talmente forte che, con un rumore assordante, riescono a infrangere la barriera e sembrano provenire da ogni parte.
Molti miei compagni vengono feriti e uno di questi, fortunatamente ancora illeso, accorgendosi del pericolo che sto per correre, inizia a muoversi verso di me. Io non avevo capito ancora nulla di quello che mi sarebbe accaduto di lì a poco.
Non fa in tempo a raggiungermi che comincio a sentire prima un dolore esagerato e poi un bruciore altrettanto lancinante al braccio sinistro.
Abbasso lo sguardo per capire cosa sia successo e, attraverso la manica lacerata che sta assumendo un colore rossastro, vedo un buco da cui comincio a sanguinare in maniera esponenziale.
Capisco di essere stata colpita e presa da una paura incontrollabile, stramazzo al suolo semicosciente. Nonostante lo stordimento, capisco che qualcuno mi solleva e mi trasporta da qualche parte, presumo in un luogo sicuro. Mi sento adagiare su una superficie
morbida; qualcuno sta toccando il mio braccio, sicuramente stanno tentando di curarmi.
Per un minuto apro gli occhi, sopra di me vedo una tenda verde, molto simile a quelle che nei film di guerra vengono usate dai soldati per accamparsi. Alla mia destra c'è un tavolino rovinato dall'uso, pieno di garze insanguinate, barattoli di medicinali quasi vuoti e strumenti, la cui forma ricorda parecchio i bisturi usati durante le operazioni chirurgiche.
Paolo dice qualcosa che mi riguarda a un uomo con il camice da medico: – Ti prego, devi salvarle la vita, non posso perderla!
La cosa mi fa molto piacere, anche se non ne capisco il motivo e gradirei molto sentire cos'altro sta dicendo, ma purtroppo il destino o la sfortuna non me lo permettono, perché proprio in quel momento mi risveglio e mi trovo di nuovo in camera mia, distesa sul letto con il libro di matematica ancora in mano.
Osservo subito il mio braccio ma, come avevo supposto, non c'è nulla: nessun buco, graffio o altro che dimostrino quello che ho appena vissuto. Non ci sto capendo più nulla, sto forse impazzendo? Esausta dalla giornata appena trascorsa, appoggio la testa sul cuscino e mi addormento all'istante. Da quel momento in poi, sempre più spesso, durante la notte, a volte anche di giorno, mentre sono cosciente, continuo ad avere visioni di questo tipo che diventano sempre più reali e violente, al punto che non riesco più a distinguere la realtà dalla fantasia.
E se durante una delle mie allucinazioni dovessi morire, cosa succederebbe? Accadrebbe la stessa cosa anche nella realtà? Non mi sveglierei più il mattino dopo? ai tuoi lettori, e più saranno disponibili a farti una recensione, oppure ad acquistare il tuo libro.
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Elisa Delpari

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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