Canto I - Il risveglio Quivi incomincia la Comedia nova, ne la quale Dante si risveglia da lungo sonno per ritornare nel loco etterno e incontrare nuove genti e discovrire lo mondo cangiato.
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Nel mezzo de li sonni lo migliore fui da mano morbida toccato che mi condusse fuor da lo torpore;
e ancor del dolce oblio inebriato mi ritrovai per la selva proterva che in passato avea già calpestato.
Oh qual paura memoria conserva di tal loco selvaggio e aspro e forte che tosto non m'accorsi di chi osserva.
Un omo dalle chiome ben ritorte s'ergea innanzi a me con deferenza, e con magno timor per la mia sorte
avvicinossi e fece canoscenza: “O Sommo Vate, perdona l'ardire; io non volea destarvi con veemenza,
ma è la terza volta, o mio sire, che scotovi perché da lo torpore possiate finalmente voi uscire.
Son'io, mio magnifico signore, di Francia Arouet il giovinotto, che ne lo nostro mondo peccatore
Voltaire mi fei chiamar, qual omo dotto. Incarico mi fu testé affidato dal Sommo Onnipotente, ed io di botto
precipitommi qui molto onorato, e a l'occhi mei creder non potea quando vi scorsi quivi qual beato
dormir sopra l'ignuda madre Gea. Portar vi debbo io ne lo mondo di color che Iddio, che tutto crea,
a Sé chiama secondo per secondo.” Guardai con stupor l'omo gentile che di guidar avea il divin pondo
e con fare incerto ed infantile gli dissi: “O guida, o mia speranza, perdona la domanda sì puerile,
ma io, nella mia somma ignoranza, il nome tuo giammai ebbi ad udire. Colui che mi guidò con padronanza
tra l'altre genti pria del mio dormire Virgilio fu, di Mantova il poeta; su dimmi, mio signor, qual impedire
s'oppose al raggiunger questa meta pel vate mio maestro e per qual fine debb'io tornar con visit'inconsueta?”
Sorrise con movenze sopraffine quel nobile messer e con pazienza: “Mio sire” disse “ancor oltre il confine
de' vivi andar potete, ma ahimè senza lo sommo Virgilio oramai stanco. L'età avanzata e la lunga presenza
e le cambiate cose per financo meritar gli fecer'l giusto riposo dell'omini anziani dal capo bianco.
Per quel che riguarda, vate glorioso, la conoscenza vostra del mio nome, ai vostri orecchi esso era ascoso
ché nacqui appresso a voi e così come tant'altra gente fui desideroso de la Comedia vostr'udir le crome.
E pel quesito vostro desioso di conoscer lo scopo dell'andare, il Sommo Onnipotente e Generoso
v'invita acché veniate a constatare li cangiamenti enormi apportati de' trapassati al mondo e poi tornare
a quello de li vivi disgraziati per raccontar le cose che vedrete e furon ne li secoli passati”.
Repente di saper mi venne sete e come la mia guida al fin si mosse le fui dietro, e voi mi seguirete.
Così gimmo a veder qual nova fosse.
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Canto II - Lo novo mondo Nel canto secondo Voltaire racconta como e perché è cangiato lo mondo de le anime, il quale non ha più Inferno, Purgatorio e Paradiso.
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Tosto che fui da novel guida avviato lo mond'intorno estraneo m'apparìa ché più non discernea ch'avea lasciato.
La selva, gli animali e quel che sia non più li stessi l'occhio mio veggeva ed anco l'aere strano io sentìa.
E com'innanzi a noi al fin s'ergeva l'antica porta sanza le parole che l'altra volta ivi io scorgeva
“Maestro” dissi “disturbar mi duole la vostra nobilissima persona, ma la memoria mia conoscer vuole
se ingannasi oppur ancor ragiona: la porta ch'a noi qui s'oppone innanzi avea, nel ricordo, una corona
di parole tremende e oscure; anzi, di lasciar speranza diceva a color ch'avanti ad essa procedevan'nnanzi.
Or non veggo più dell'etterno dolor le dure parole che il cor turbaron; nemmen più i pianti i'odo di color
che sanza ‘nfamia né lodo camparon. Orsù, maestro, di' qual caso avvenne ch'anco l'etterne cose pur mutaron?”
Lo duca mio gentile mi sovvenne e cominciò ad ispiegar le cose ch'alcuna mente umana mai sostenne.
“O sommo vate, il sonno vi nascose li cangiamenti quivi avvenuti. Lo mondo de li morti ch'Iddio pose
innanzi a noi umil sprovveduti non è più sì come già a voi apparve ma mutamenti ebbe risoluti.
Ma è giusto dall'inizio raccontarve gli accadimenti che al cangiamento portaron questo mondo pien di larve.
Voi già sapete qual temperamento ha l'uomo ne li fatti della vita, che tiene sì cattivo atteggiamento
ch'a triste pena il Giudice invita. Tant'erano li omin tristi e rii, che ciascheduno peccatori addita,
e tanto superavan quelli pii ch'ormai non bastavan i gironi p'accogliere quell'omin ch'ai disii
e all'atri peccati non furon buoni a rinunciar per l'anima salvare. Ma l'anime dannate nei cantoni
costrette l'una e l'altra a sé pigiare ancor più che le pene lor'inflitte eran'ormai stanche a sopportare.
Li pianti e le grida derelitte giungean tra gli spirti penitenti che per non sentir più l'altrui fitte
al Somm'Iddio si volsero chiedenti che alla propria e altrui afflizione ponesse fine senza incidenti.
E ancor li condannati a dannazione chiedevan una carta de' diritti che garantisse loro protezione
e non li mantenesse ancor più afflitti di quant'Iddio avesse stabilito per compensar i guai dei lor delitti.
L'Onnipotente tutto avea sentito e per esaudire l'oratorio decise di cambiar'l tremendo sito.
Il monte che già fu del Purgatorio fu tosto assegnato all'Inferno e il popol penitente meritorio
fu fatto di ricever'l premio eterno. Ma molto a lungo non poté durare di questi luoghi il novo governo:
l'Inferno arrivò a traboccare di ladri, assassini e traditori e il Paradiso invece a scarseggiare
di savi, retti e benefattori. E ancora li lamenti infernali nocevano del ciel gli abitatori
che degli ampi spazi siderali potevano disporre a discrezione, mentre i dannati como animali
venivano ammassati in condizione ch'ognuno reputava la sua pena leggera in codesta situazione.
Iddio, cui il cor di ciascun mena nel mentre nel bisogno ci si trova, provvide a chetar l'anime in pena
con una soluzione tanto nova che tutte l'alme furono sorprese che lo divino amor desse tal prova.
Del tutto rinnovò questo paese togliendo ogni minima barriera tra i due regni eterni e poi intese
levar di torno la vecchia maniera di dispensar le pene e i premi all'alme e tutti avemmo un'unica bandiera.
Le anime al fin fuer tutte calme, ciascuna nella propria condizione: chi si godeva l'ombra delle palme,
chi stava nell'eterna afflizione. Quest'è la situazione qui presente sì come da novel visitazione
veder voi potrete immantinente.” Io ascoltai senza intervenire il conto del mio nobil riferente
e ancora frastornato dal suo dire e dalle nuove cose appena apprese provai tal domanda a proferire:
“Perdonami, orsù, se son scortese ma proprio non riesco a immaginare come l'omo malvagio ed il cortese
possano fianco a fianco camminare uno godendo ancor del premio etterno l'altro la sua pena andando a scontare”.
“Facile pur non è spiegare il perno su cui ruota quest'ordine divino. Capir potrete il nuovo regno etterno
vedendolo soltanto da vicino”. Queste parole disse la mia guida e mosse a proseguir il suo cammino,
ed io seguii la mia scorta fida.
Andrea Chiarelli
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