Milano - Piazza della Scala
Varcò la soglia della porta col piglio di chi non ha nulla da temere, lo sguardo sicuro, gli occhi curiosi. Vestiva firmato e si muoveva con classe innata. Percorse con eleganza la distanza che la separava dalla poltrona e vi si accomodò, appoggiando la borsa nell'angolo della scrivania. - Non sono Giulia Sair, - esordì - ho usato un nome di comodo perché non volevo dare troppe informazioni alla sua segretaria che ho trovato decisamente impreparata per il ruolo che le è stato affidato.
- Lo so chi è lei, - sorrise la dottoressa, osservandola con attenzione - il suo volto riempie le copertine di tutti i giornali di questo mondo ed il numero da cui ha chiamato corrisponde alla società di suo marito.
- Vanessa Altieri Goldran, - esclamò, allungando la mano - e vorrei precisare che non sono qui perché mentalmente instabile, oppure in crisi... o le solite anomalie che accadono alle donne...
- Si rilassi, - l'affrontò con decisione - sono soltanto una psicologa e non uno di quei giornalisti che le stanno alle costole in attesa di coglierla in fallo. Il mio lavoro consiste nell'ascoltarla ed eventualmente di esserle d'aiuto, sempre che mi reputa in grado di assisterla. Alla base del nostro rapporto ci dev'essere principalmente fiducia.
- Come la devo chiamare?
- Può chiamarmi semplicemente Amelia e, per evitare qualsiasi malinteso, vorrei precisarle che ho risposto io al telefono quando ha chiamato, non ho una segretaria. Non ne ho bisogno.
- E come riesce ad organizzarsi da sola la giornata?
- E' semplice, la mattina prendo gli appuntamenti e al pomeriggio mi dedico agli incontri, massimo due al giorno. Non mi pare così complicato da aver bisogno di aiuto. Inoltre, come ben può capire, questo lavoro richiede molta privacy, quindi, meno persone sanno e più si ha la certezza che nessuna informazione riservata esca da questo studio.
- Sono d'accordo, - rispose Vanessa, guardandosi attorno - ma veniamo al dunque, cosa sa esattamente di me?
- Il Time l'ha titolata "The Best" e questo la dice lunga sul suo personaggio. A parte il suo fortunato e ricco marito, c'è una lunga lista di uomini che pagherebbero qualsiasi cifra per portarla a letto. Le sue fotografie riempiono le copertine delle principali riviste glamour, il suo seno viene preso come metro di misura per diverse linee di lingerie e i cameraman della tv aspettano solo l'occasione per riprenderla di schiena mentre cammina elegantemente, dimenando il suo marmoreo sedere. E' narcisista, egocentrica, intelligente, affascinante... a volte arrogante ma allo stesso tempo sa essere spiritosa. Non ha figli, non è mai stata pizzicata in situazioni sconvenienti ed è venuta da me senza un motivo. Quindi adesso mi aspetto di sapere perché ha deciso di spendere cinquecento Euro per farmi visita.
- Al telefono mi pare di aver capito trecento...
- La mia segretaria è inappropriata e il caso è complicato, - sorrise - inoltre ho dovuto tenermi libero tutto il pomeriggio perché non mi ha saputo dire con precisione l'orario in cui si sarebbe degnata di farmi dono della sua presenza.
- Ho solo venti minuti di ritardo. - si irrigidì sulla poltrona.
- Se io fossi un treno, lo avrebbe perso. - sentenziò la psicologa - Parliamoci chiaro, io non sono una sua dipendente, non le corro appresso e non mi adatto ai suoi tempi. Se ha bisogno di me, dobbiamo chiarire subito le regole e le modalità di questi incontri. Altrimenti questa città è piena di miei colleghi, sicuramente più entusiasti averla come cliente. Una curiosità, perché ha scelto proprio me?
- Ho letto un suo libro sulla sessualità, - rispose Vanessa - a quel tempo trovai che le sue idee fossero molto discutibili, però mi incuriosì il suo approccio al problema.
- Mi sta dicendo che è qui per un problema sessuale?
- Non esattamente! - trafficò nervosamente nella borsetta. Ne trasse l'ultimo modello di smartphone e lo commutò in modalità aereo. - Come le ho accennato prima, non ho turbe o problematiche che mi sconvolgono la vita.
Amelia le concesse un attimo di silenzio, poi tagliò corto: - Allora posso considerare la seduta terminata?
- No aspetti! Mi sono sposata vergine a venticinque anni e nel mio ménage familiare non ho mai riscontrato alcuna difficoltà. Posso asserire di avere una vita sessuale completa e soddisfacente. Il motivo per cui sono qui è quel che è accaduto negli ultimi cinque mesi.
- Partiamo da quel momento in poi allora, - la rassicurò, addolcendo il tono della voce - e non si faccia problemi a raccontarmi anche i dettagli apparentemente meno importanti... o più disdicevoli.
Vanessa si passò nervosamente la mano sulla fronte, scosse ripetutamente il capo, ma alla fine si decise a parlare: - Era il ventitré di luglio, ricordo la data perché quel giorno avevo un appuntamento dal notaio per l'acquisto di un appartamento qui a Milano. Arrivai in città in anticipo, pranzai in un ristorante del centro e feci quattro passi fino in piazza dei Mercanti. Era una giornata assolata, torrida. Io adoro il caldo, ma quel giorno l'umidità era insopportabile. Mi sedetti all'ombra, al tavolino del piccolo bar che si affaccia sul cortile interno, un caffè e qualche telefonata mentre sotto al colonnato suonava un'orchestrina, composta da un pianista e una ragazza col flauto. Era piacevole, poca gente ad ascoltarli e un'atmosfera decisamente rilassante. Tra gli spettatori notai un ragazzo armato di macchina fotografica con montato un potente zoom, uno di quelli che normalmente usano i professionisti per i concerti e gli eventi sportivi. Inquadrava prevalentemente la giovane flautista scattando a raffica. Dopo qualche istante, quando si appostò nel lato opposto, mi accorsi che saltuariamente puntava la macchina nella mia direzione. Preoccupata che mi avesse in qualche modo riconosciuta, gli feci cenno di no con l'indice, mi sorrise ma da lì a poco riprese a fotografarmi. Durante una pausa del concerto, venne da me e roteò la macchina sul dorso, mostrandomi qualche scatto. Restai stupita da risultato di quei primi piani, la luce era magnifica, molto particolare ed io apparivo più affascinante del solito.
- Prigioniera della vanità! - commentò Amelia.
- E' vero! - ammise - Gli chiesi di farmi avere le fotografie, e, stupidamente, gli diedi un mio biglietto da visita su cui c'era l'indirizzo email, ma anche il numero di cellulare.
- Ha un nome questo ragazzo?
- Marco, si chiama Marco.
- Perché mai dargli un biglietto da visita? - domandò la psicologa - non sarebbe bastato dirgli a voce quale fosse l'indirizzo email?
- E' quello che avrei voluto fare, ma riuscì in qualche modo ad imbrogliarmi, asserendo di non aver nulla sotto mano su cui annotarlo. Semplicemente mi prese alla sprovvista e questo errore causò tutte le problematiche che accaddero in seguito.
- Un bel ragazzo?
- Sì... giovane, diciannove anni, educato, intelligente, piacevole nell'aspetto e nel comportamento. Vestiva in stile militare, pantaloni camo e t-shirt color sabbia, capelli lunghi, ricci e occhi di un azzurro cielo. Scambiammo due parole e mi resi conto che non aveva la minima idea di chi fossi. Questo allentò la mia soglia di difesa, mi resi conto che non rappresentava un pericolo e pensai che, considerato la natura frivola delle sue fotografie mi sarebbero state utili da postare su Twitter o su Facebook.
- Un modo per segnalare a tutti i suoi fans che lei era comodamente seduta in Piazza Mercanti a dispetto dei paparazzi.
- Beh... mi capita raramente di poter star tranquilla quando sono in giro per la città.
- Presumo quindi che il ragazzo, inorgoglito dai suoi commenti benevoli, abbia continuato a scattarle altre fotografie.
- In effetti andò così e lo lasciai fare, anzi... per assurdo mi infastidiva quando inquadrava la ragazza col flauto invece di me.
- Ecco di nuovo apparire la vanità!
- Alla fine del concerto, - continuò Vanessa - quando la piazzetta si svuotò del tutto, mi arrivò un messaggio sul cellulare con un file allegato. Quando lo aprii, ebbi un sussulto. Il ragazzo aveva memorizzato il mio numero e mi aveva inviato una fotografia alquanto imbarazzante.
- Definisca meglio la parola imbarazzante.
- Quel giorno indossavo una camicetta bianca, portata sopra una gonna corta, color mela. Non è mia abitudine girare in città con addosso abbigliamenti che possano mettermi in imbarazzo coi fotografi ma, ogni tanto, mi prendo delle libertà, pur correndo il rischio di essere beccata in pose sconvenienti.
- Come quando scese dal taxi a Parigi e l'immortalarono senza mutande?
- Per la verità in quell'occasione non ero senza slip, - si affrettò a precisare - li portavo color carne, ma lasciai credere alla versione del fotografo perché, di fatto, non si vedeva proprio nulla e poi... era tutta pubblicità!
- Quindi, la definizione di imbarazzante?
- La foto che mi arrivò sul cellulare era appunto un'inquadratura sotto la mia gonna, un primo piano degli slip mentre accavallavo le gambe. E questa volta non era un vedo e non vedo, bensì un primissimo piano, ricco di particolari. in pratica si potevano riconoscere i dettagli della mia intimità! Mi guardai intorno ma il ragazzo era sparito. Lo chiamai al telefono, pronta ad inveire contro di lui, ma non mi lasciò parlare. Disse che ero molto sensuale, che in altri scatti si riusciva ad immaginare il mio sesso in ogni minuscola fattezza... e porcate di altro genere.
- Sentiamo anche quelle. - insistette Amelia.
- Che ero bagnata... che il cotone degli slip era infilato tra le grandi labbra e cose simili.
- Era vero?
- Dalle foto successive potei constatare che era davvero così. Non so che diavolo di obiettivo avesse usato, ma il risultato era alquanto imbarazzante.
- E' la seconda volta che usa questo termine, era solo imbarazzante o anche eccitante? - la incalzò.
Vanessa trattenne volutamente il respiro: - Entrambe le cose! - annuì.
- E a lui lo raccontò?
- Prima che potessi reagire, il ragazzo disse di come mi stesse di nuovo inquadrando e mi invitò a schiudere le gambe. Una vampata di calore mi bruciò nel ventre ed in un attimo arrivò al cervello. Non riuscivo a ragionare, non ero in grado di comprendere il motivo per cui l'eccitazione stesse prendendo così il sopravvento. Percepivo la voglia che mi stuzzicava la mente e poi ritornava giù, da dove era venuta. Me lo chiese ancora, quasi implorandomi, e stupidamente mi lasciai convincere in quel gioco assurdo. Quando finalmente obbedii, percepii il flusso dei miei umori che sorgevano dal profondo ed il contatto con gli slip si fece carnale. Le fotografie successive che mi inviò sul cellulare erano tremendamente oscene. Il caldo, il sudore e gli umori avevano ormai intriso il cotone sino a renderlo un tutt'uno col mio corpo. Si percepiva ogni minimo dettaglio del mio sesso in trasparenza e, ben presto, fui così fradicia da perdere letteralmente la testa.
Amelia scosse il capo: - Perché una donna potente come lei ha deciso tutto ad un tratto di cedere alle lusinghe di un ragazzino sconosciuto?
- Perché riuscì ad eccitarmi come non lo sono mai stata e, per quanto ci ragionai, non trovai un motivo logico.
La psicologa la guardò fissa negli occhi finché Vanessa abbassò lo sguardo: - Lo so, - continuò - lo capisco anch'io di essermi comportata in modo assurdo... però la voglia che mi scoppiava nel ventre non mi faceva ragionare.
- Può definire di cosa avesse voglia? - le domandò Amelia.
- Di sesso! - rispose guardandosi in giro spaesata - Avevo una terribile voglia di sesso!
- Vada avanti.
- Marco mi chiese di entrare al bar, di pagare il conto, di andare nella toilette e di sfilarmi gli slip... ed io, ancora una volta, gli obbedii. Quando uscii, era lì ad aspettarmi, allungò la mano e mi chiese di consegnarglieli. Naturalmente obiettai, per me il gioco era andato fin troppo oltre, ma mi trovai di fronte ad una specie di ricatto.
- Un ricatto?
Izabel Nevsky
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