Capitolo dieci.
Quella mattina mi alzai a sedere sul letto. Non avevo dormito per l'intera notte, o forse avevo dormito solo un paio di ore. Mi girai verso la sveglia e constatai che erano le sette. Dopo aver fatto una doccia mi preparai e andai in ufficio. Sulla scrivania trovai una busta indirizzata a me, dove dentro vi era l'invito ad un convegno, organizzato dalla casa editrice per cui lavoravo. Si sarebbe tenuto a Londra quel fine settimana. Andai nell'ufficio di Riccardo, per dirgli che avrei chiesto al medico se potevo viaggiare. Lui rispose che non era un problema, avrebbe aspettato la mia risposta per confermare i biglietti dell'aereo. Quel pomeriggio andai a fare la prima ecografia e portai mia mamma . Sentimmo il cuoricino battere, avevo le lacrime agli occhi, stavamo benissimo e avrei potuto viaggiare in aereo. Il mattino seguente confermai a Riccardo la mia partecipazione al convegno di Londra. In tarda mattinata, venne a consegnarmi il biglietto aereo, saremmo partiti il venerdì mattina alle ore nove e saremmo rientrati la domenica sera alle sei. Lui continuava a guardarmi e dopo essersi mordicchiato il labbro, disse: “ allora, che ne dici?”, e io “ Che ne dico di cosa?”. “ Di uscire con me!”. Inclinò la testa : “ sono sicuro che c è tanto da sapere su di te!” “ usciamo ci mettiamo in un angolo e parliamo ti va?, o possiamo andare a cena insieme, domani?” Mi sentivo a disagio, facevo caso ad ogni suo sguardo. Alla fine risposi: va bene, per domani sera!” “Sarà una serata piacevole, disse, “alle otto passerò a prenderti!” Gli diedi il mio indirizzo e ci salutammo. Mi piaceva non potevo nasconderlo. Lo stomaco mi si annodò come al solito, ormai era un'abitudine quella sensazione, ogni qual volta lo pensavo o lo vedevo. Appena controllavo l'ora e vedevo avvicinarsi le otto, il cuore mi rimbalzava sulle costole come se volesse uscire dal petto. Non sapevo cosa indossare, metà dei miei vestiti giacevano sul letto. Alla fine, scelsi un paio di jeans, stivali neri e una camicetta azzurra, un po' elegante e molto femminile. Alle otto in punto venne a prendermi. Mi squadrò dalla cima della testa alla punta degli stivali. Era incredibile come uno sguardo potesse somigliare a un tocco, e l'agitazione aumentò. Lui indossava jeans scuri e un maglione nero, un sorriso meraviglioso. Così bello che non credevo ancora che stessi per uscire con lui, come fosse possibile. Indossai il cappotto, presi la borsetta, e lui: “pronta?”, “si” dissi. “Non ancora!”, si avvicinò e iniziò ad abbottonarmi i bottoni del cappotto, dicendo: “Fa freddissimo fuori!” Restai lì immobile, ipnotizzata da quel semplice gesto. Le sue mani sfioravano il cappotto, e uno bottone dopo l'altro mi venne il batticuore. Lo guardavo con la coda dell'occhio mentre guidava, le mie farfalle si divertivano a svolazzare dentro il mio stomaco. Arrivammo in pizzeria, ordinammo, quando le bevande vennero posate sul tavolo, mi sentii più rilassata. I suoi occhi si posarono su di me, dovevo smetterla di arrossire. Così cominciai a parlare, gli raccontai il motivo del mio ritorno a Firenze. La mia storia con Alessandro, le botte che prendevo quando ubriaco mi picchiava ogni sera e che solo dopo averlo lasciato avevo scoperto della mia gravidanza. Lui mi ascoltava e con una voce quasi strozzata dall'emozione mi raccontò che suo padre era un ubriacone. Picchiava sempre sua madre, fin quando un giorno l'aveva quasi uccisa. Fu denunciato e finì in carcere, da allora non lo vide più. “Purtroppo, mia madre è morta pochi mesi fa, una grave malattia non le ha dato scampo. E sono rimasto solo.“ “Rebecca ti capisco vedevo mia madre soffrire distrutta da quell'uomo”, “ sposò mio padre quando era incinta di me. Ed io me lo ricordo sempre violento. Gli lanciava i piatti addosso, la insultava e la umiliava, davanti a me. È una situazione che lascia delle cicatrici permanenti nei bambini. Si è terrorizzati dal genitore che picchia e non si ci sente protetti dal genitore che subisce”,“ hai fatto bene a lasciarlo, non sarebbe mai cambiato, riprendi in mano la tua vita, torna a vivere”, “ tutti abbiamo delle cicatrici, sono nostre, ma non ce le siamo fatte da soli.” Intanto proprio in quel momento arrivarono le nostre pizze. Per circa due minuti s'interruppe la nostra conversazione. Poi lui sorrise: “ volevo dirti che sono contento che tu abbia accettato di uscire con me!” sorrisi mentre tagliavo un pezzo di pizza. Ogni tanto i nostri sguardi s'incrociavano, mi stavo rilassando, non pensavo a nulla, ero concentrata sul momento, ed era tutto bello. Mangiammo una pizza buonissima e parlammo di tante altre cose. Arrivò il conto e ci alzammo per andare via. Si levò un vento fortissimo , che mi scompigliò i capelli, mi strinsi il cappotto. L'aria della sera era molto fredda. Mi posò un braccio sulle spalle, dovetti concentrarmi per non inciampare, ero piena di brividi non appena Riccardo mi sfiorava. Mi accompagnò fino al quinto piano del palazzo dove abitavo con mio fratello. Avevo il cuore a mille, mi guardò gli brillavano gli occhi. Ci salutammo ci saremmo rivisti il giorno dopo a lavoro. Non riuscivo a prendere sonno quella notte. Riccardo mi piaceva molto. Mi ero costruita una corazza che mi tenesse al sicuro, ero convinta che nessuno sarebbe riuscito a farmi sorridere con tanta facilità, ma lui quella sera ci riuscì.
Capitolo undici
Dopo essere rimasta sveglia a lungo, mi addormentai. Mi svegliai, mi strappai di dosso la trapunta e mi alzai. Alle otto e trenta ero già seduta alla scrivania del mio ufficio. Cercai di concentrarmi sullo schermo del computer, ogni tanto mi fermavo a pensare, mordicchiando la penna. La mia vita in un lasso di tempo breve stava cambiando, stavo bene. Riccardo apparve nel mio ufficio e dopo esserci salutati, mi disse: “ ti chiederò ancora di uscire, vorrei conoscerti meglio, frequentarti. Dal primo momento che ti ho vista mi sei piaciuta, non ho mai incontrato una donna capace di darmi delle splendide emozioni. Sei un insieme di tutto ciò che mi piace, voglio seguire una sensazione senza chiedermi troppo se è giusto o no farlo”. “Riccardo sono una donna incinta !” gli risposi. “Non m'importa, impariamo ad accogliere questo tempo e viviamolo insieme senza pensare.” Non seppi trattenere il sorriso. “ Perfetto da domani faremo colazione insieme che ne dici?”, “ovviamente non sei obbligata!” “Va bene “ risposi “ci incontreremo in caffetteria” E fu così che da quel giorno di metà novembre con il sole, con la pioggia e il vento i nostri incontri diventarono un'abitudine. Sul suo bellissimo volto si dipinse un sorriso soddisfatto, poi mi guardò e andò via. Non sapevo cosa mi stupisse di più : il fatto che piacevo a Riccardo o che il mio cuore stava tornando a sprigionare emozioni, mi avviai a lunghi passi verso casa. Dopo aver pranzato mi appisolai sul divano. Nel pomeriggio studiai mi preparavo alla tesi di laurea, anche se ero troppo distratta dai miei pensieri, pensavo a Riccardo e a quanto mi piacesse. Ma non volevo soffrire.
Capitolo dodici
Mi svegliai di soprassalto, il libro era caduto a terra, mi ero addormentata mentre leggevo a letto. Mi alzai erano le sette, mancava un'ora e sarebbe arrivato il taxi con Riccardo. Quella mattina partivamo per Londra. Alle nove ci imbarcammo sull'aereo. Mi appisolai. Aprì gli occhi, mi stiracchiai quando l'aereo iniziò la discesa, avevo dormito per tutta la durata del volo. Guardai in basso il carrello si sganciò chiusi gli occhi, feci un respiro. Volevo soltanto uscire da quella scatola e toccare terra. Atterrammo all'aeroporto di Heathrow, giornata serena ma molto fredda. Riccardo noleggiò un'auto, avevo il cuore che mi rimbombava nelle orecchie, alzai gli occhi. Mi fissava. Mentre guidava, si girava a guardarmi, gli chiesi scusa di aver dormito per tutto il viaggio in aereo, lui sorridendo, rispose di avermi guardata dormire. Io accennai un sorriso e mi rigirai tra le dita una ciocca di capelli. La sede della casa editrice si trovava in una delle strade più commerciali di Londra. Oxford-street , una via piena di negozi, grattacieli, alberghi e ristoranti. Seguimmo il convegno in una grande aula. Fu tutto molto interessante, ogni tanto mi distraevo a guardare Riccardo. Lui mi guardava e poi distoglieva lo sguardo. Dopo ore ero stanca, finalmente finì e andammo in albergo. Alle otto avremmo cenato insieme. In camera mi sdraiai per dieci minuti sul letto, le tende erano tirate, ma dalla grande finestra filtravano le luci di quella splendida città. Feci una doccia, mi avvolsi in un telo di spugna e pettinai i capelli. Il mio stomaco sussultava, al pensiero di vedere nuovamente Riccardo. Mi lavai i denti, guardai allo specchio la mia pancia e delicatamente l'accarezzai. Con la pelle percorsa da un formicolio, ero pronta. Aprì la porta della camera, fuori ad aspettarmi c'era lui. Sorrise, divertito. “ Rebecca speriamo si mangi bene!”mi disse, ed io “spero di si, perché ho una fame pazzesca”. Fu tutto perfetto, il cibo, il luogo e soprattutto la sua compagnia. Ridevamo con le lacrime agli occhi. Ci fermammo davanti la porta della mia stanza, “ ho una domanda per te?” disse: “come è andato questo secondo appuntamento?” “interessante” non seppi dire altro. Inarcò le sopracciglia: “ bene, domani ci sarà il terzo!” rispose. “Buona notte, Rebecca.” “Buona notte, Riccardo” risposi. Quella notte andai a dormire con il sorriso stampato. Il cellulare trillò sul comodino, guardai il display, era lui. “Cosa fai?” ed io “ leggo”. Arrivò un altro messaggio “ Immaginavo, comincio a conoscerti” subito dopo scrisse: ”buona notte” ed io risposi “ serena notte a te “. Quelle attenzioni mi facevano stare bene e mi sentivo importante per qualcuno. Furono tre giorni piacevoli, tra un giorno di sole e uno di pioggia arrivò la domenica e ci imbarcammo nel volo di ritorno per Firenze. Quella sera il tempo di una doccia e crollai, ci saremmo rivisti il giorno dopo per la colazione . Mi rigirai per ore nel letto, nonostante la stanchezza il mio sonno era irrequieto, mi trovavo a pensare che ci sono momenti nella vita in cui tutto cambia. Succede qualcosa che riesce a mutare il colore del passato.
Barbara d'Angelo
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