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Autore: Paolo Garganico
Pantera (Quelli della)
Narrativa
Lettori 3526 65 95
Pantera (Quelli della)
L'arrivo.

Erano gli ultimi anni di Pertini, come Presidente, poi di Schillaci e Baggio (... Maradona... va be'...), i calciatori, erano gli anni dei non ultimi attentati terroristici interni e di quelli mafiosi , di Falcone e Borsellino (purtroppo), ma anche gli anni di Pavarotti e dei Tre Tenori a Caracalla e altro...
L'elenco sarebbe infinito, ma il lettore di una certa età può metterci, come compito a casa, anche del suo: i modelli delle automobili in voga dell'epoca, i nomi degli amici o delle amiche che frequentava in quei tempi, le pubblicità alla radio o alla tivù (è mitica quella dell'uomo in ammollo, di alcuni anni prima), i politici (forse, molti, ancora gli stessi di oggi, i portaborse di allora sono i saggi o i ministri di adesso!), i cantanti del momento , i nomi delle proprie/i fidanzate/i, ecc.
Rimangono sempre nella memoria: canzoni, musiche, immagini legate a dei tempi precisi del nostro passato, a degli avvenimenti particolari della propria vita.
Per i ragazzi (non pochi) di questa storia erano gli anni un po' bui, anzi, delle ristrettezze economiche (non per tutti, ovviamente), dei primi sacrifici esistenziali. Qualche poetastro avrebbe detto bohémien: periodo in cui si narra che grandi pittori, poeti e scrittori degli anni venti o giù di lì, che, per stile di vita o poveri in canna, durante l'inverno per riscaldarsi bruciavano tele e manoscritti. Che falò! Sicuramente un po' enfatizzato, ma rende l'idea di quello che poteva essere, e passare, nella mente di chi, prima di esser famoso, era stato semplicemente affamato.
Ma il guaio era che il protagonista di questo libro (oddio, ce n'è più di uno) non aveva opere da bruciare, se non la sua stessa rabbia. Io l'ho conosciuto, frequentandolo per caso, abitando con lui, sempre per caso, lo stesso appartamento, la stessa camera, una doppia, non per caso. A volte diventava anche tripla, apposta, e quadrupla, per necessità. E per non parlare di alcune spassionate invasioni di amici, e di amici di amici, dove di notte non ci si riusciva neanche a mettere un piede sul pavimento, il corridoio diventava una distesa di corpi. Va be', lasciamo perdere...
Verrebbe voglia di citare, anche, tutti gli indirizzi dove abitò, o abitarono, lui e la sua schiatta, ma è meglio evitare, altrimenti potremmo incasinare le cose e qualche giornalista (dopo aver letto questo libro, poveraccio) potrebbe andare a curiosare nei quartieri, per le sue gesta. Così, un giorno, anche il sindaco di Roma sarebbe costretto a furor di popolo, ovviamente, a mettere una targa incisa sulla parete esterna di ogni edificio, con scritto: - Qui hanno dimorato, dal... al... quelli della Pantera - . E visto che ne avevano cambiate di case, e fatti di traslochi, sarebbe stato una sorta di accostamento al grande Peppe Garibaldi, l'eroe dei due monti (Aspromonte e Montevideo, se non sbaglio...), ma anche dei due mondi (a dire il vero dei due sesti, che non è poco, poi fate voi), il quale pare avesse, però, un parente alla lontana, un marmista , forse un cugino di secondo grado di un suo cognato sudamericano (credo di origini venete-trentine, ma ancora in corso di approfondimenti, forse salentine o, più probabile, calabresi... poi vi spiego...). Questi, nel seguirlo in tutta Italia, vendeva ai sindaci delle città e paesi, in cui albergava e sostava l'eroe, anche per una notte, i busti, le lapidi e le targhe già preincise, ad eccezione della data e del nome del luogo che incideva sul posto, mentre, ignaro, l'eroe affaticato dormiva. Pepè spesso gli suggeriva deviazioni, e visite particolari, ad amene cittadine o ville aristocratiche, piazzandoci altri marmi.

Ma non lasciamoci fuorviare da digressioni storiche, ancora in corso di approfondimenti !
Nell'ormai lontano settembre 1985, Sante, il secondo nostro protagonista (o forse il primo?... diciamo in ex aequo, va'!), si accingeva a prendere il treno da una stazione ferroviaria di una città del Sud. Non ha importanza quale, l'una vale l'altra. Poteva essere un qualsiasi figlio del Sud (scusate l'enfasi, ma ho ancora in testa le citazioni di un vecchio libro di Giovanni Russo).
La città poteva essere Crotone, o Messina, oppure diciamo, a caso, Lecce; tanto potrebbe essere la storia di uno dei tanti che saliva per lo Stivale, per andare a iscriversi usualmente a un'università del Nord, per esempio a Bari (oh, è a nord di Lecce!) o a Napoli.
Per intenderci, la città era Roma.
Bella.
Magnifica.
Unica.
Sante c'era già stato a Roma, a fine agosto, per iscriversi alla Facoltà di Ingegneria Civile. C'era stato con il nonno, che già la conosceva dai suoi tempi nella Benemerita, fecero tutto in un giorno, con tutti i documenti pronti, appena depositata l'iscrizione, subito ritornarono a casa, in Puglia. In pratica, arrivarono con il treno alle sette del mattino a Roma e ripartirono con quello delle undici di notte. Quest'ultimo era un interregionale, una specie di tunnel spazio-tempo, c'entravi di notte a Roma e ci uscivi alle sei del mattino a Foggia, però frullato. Nel frattempo nel buio, interno ed esterno, a parte i rumori e le voci, non ti rendevi mai conto di dov'eri e se, proprio all'ultimo, per la stanchezza ti scappava il sonno, scendevi a Bari. Spesso.
Questa volta, però, venendo a Roma, portava una valigia robusta, sicuramente piena più di scorte alimentari che di vestiti. Prima della sua partenza, genitori di amici e genitori di amici di amici, di parenti e affini, gli avevano affidato pacchi, pacchetti e buste, o altro, da portare ai loro rispettivi figli, che già stanziavano a Roma da anni, e che dovevano - prendersi una laura... - (scusate, ancora, ma qui Totò è d'obbligo).
Lui non sapeva dire di no e, forse, pensava che questi soggetti studiosi lo stessero tutti aspettando sulla banchina, appena il treno si sarebbe fermato all'arrivo.
Ovviamente, i colli erano più quelli da distribuire agli altri compaesani che non i suoi.

Il treno arrivava dalle campagne da sud e, alcuni chilometri prima del suo arrivo alla stazione centrale di Termini, nel rumore cadenzato delle rotaie sui binari, Sante, guardando fuori dal treno, fu sorpreso, come ipnotizzato da quegli antichi acquedotti che convergevano dritti sulla capitale, cavalcando quei clivi, tra pini marittimi e campi di grano mietuto, con i loro archi a regolare falcata. Anzi, sembrava come se uno di quegli acquedotti gareggiasse in velocità con il treno, addirittura in un punto gli tagliava la strada, come in un urto annunciato. Oddio!
Invece, correva dall'altro lato dei binari del treno e ancora più veloce lo seminava indietro, scomparendo alla sua vista.
Così, man mano che avanzava dalla periferia, dopo l'ingresso, decelerando dentro Roma, dal finestrino si scorgeva l'imponenza di Porta Maggiore, un monumento con sopra i canali degli acquedotti , e che aveva quasi messo Sante in uno stato di sogno.

Pare che in questo luogo convergessero nel tempo fino a otto acquedotti imperiali e, in più, in modo inspiegabile, Sante notò la presenza, in mezzo agli archi, di quella triste e solitaria tomba di un ricco fornaio e di sua moglie, a suggellare quell'eterno patto d'amore con la sua amata, di oltre 2000 anni fa! Costruita ancor prima della Porta monumentale e Claudio, l'imperatore, ordinò di non disturbare il loro eterno abbraccio.

Così, meraviglia e incredulità si erano impossessate di Sante, agitandolo. Eppure ne aveva visto di foto e letto anche di storia antica. Così, iniziava a meditare, se fosse stato capace di essere all'altezza del compito che si era assegnato, davanti a tanta testimonianza di uomini che avevano cambiato il mondo: prima ladroni e pastori, poi contadini, guerrieri e ingegneri e, infine, grandi legislatori e civilizzatori...
E pensava: ... oh, mica: - ... ominicchi, piglianculo e quaquaraquà. - ; avrebbe detto Leonardo .
Mentre il treno, ora, addentrandosi sempre più nella città, come intimidito, avanzava ancora più lento, quasi ossequioso davanti a tanta maestà.

Così, ormai agli ultimi metri, come spento, sfilava anche il tempio di Minerva Medica, quello della dea sapiente, cupo, tetro, buio e quasi spaventoso .

La realtà agli occhi di Sante si poneva come una magnificenza mai vista, sembrava rapito, il suo sguardo assente e la sua mente lontana agli albori di questa nostra, antica, civiltà. Ne era felice, si sentiva fortunato di essere lì. Era a Roma, la Caput Mundi.
Il treno arrivò in stazione, quindi, in testa ai binari, si fermò. Man mano che la gente defluiva all'esterno, lui iniziò a raccogliere i suoi non pochi bagagli. A terra, sulla banchina, non c'era nessuno ad attenderlo. Che strano. Infine era rimasto solo lui, come un pinguino (nel senso della banchina).
Eppure, qualcuno doveva esserci.
- Strano, qualche contrattempo, ora arriveranno...
Ma niente di niente.
Di tutti quei pacchi non sapeva neanche a chi andassero, lui si era segnato su un foglio la lista dei nomi e dei pacchi che avrebbe poi distribuito. Ma la cosa lo iniziava a infastidire e gli venivano in mente tutte quelle mamme che si erano raccomandate del proprio pacco, per i loro figli, dicendo: - ... e mi raccomando, daglielo con le tue stesse mani, lui è un bravo ragazzo che studia... - .
- Te lo do io un bravo ragazzo che studia, qui alla stazione non si vede nessuno!
A Roma Sante era diretto a casa di un lontano parente, un cugino di sesto o ottavo grado, o giù di lì. Questo lo avrebbe ospitato finché non avesse trovato un alloggio. Almeno questi erano gli accordi.
A proposito, gli accordi erano stati presi da suo nonno e da un altro parente dell'ospitante (un altro nonno), forse a sua insaputa (spesso era così, i parenti si mettevano d'accordo, ma dimenticavano di riferirlo in modo preciso ai diretti interessati).
Aveva un numero di telefono, lo fece al primo apparecchio SIP disponibile a gettoni.
- Pronto, Nunzio? Sono Sante. Sono arrivato or ora alla stazione.
~ Sante chi?
- Come Sante chi? Il figlio di Filomena, mio nonno è Giuseppe, il carabiniere, cugino di tuo nonno Raffaeluccio.
~ Hai sbagliato numero!
- No, aspetta, ma tu ti chiami Nunzio?
~ Sì, Apostolico!
E gli chiuse il telefono.
- Ma che caspita... e adesso dove vado?
Ricompone il numero. Risente la stessa voce.
- Nunzio? Vedi di non fare lo scemo. Ti conosco sai? Ci siamo incontrati una volta a casa di zia Rebecca.
~ Ma quando?
- Tanto tempo fa. E tu avevi un pantalone blu e una camicia rossa!
~ Tanto tempo fa?... Fammi pensare...
~ Con un pantalone blu e una camicia rossa, hai detto?
- Sì!
~ Aspetta... ah! Deficiente, quello era Garibaldi!
E gli richiude il telefono.
- Come Garibaldi?
Il terrore iniziava a prendere Sante allo stomaco, quello di essere solo in una città sconosciuta, con tutti quei pacchi, e non sapere dove andare, con ogni persona che gli si avvicinava come un possibile mariuolo di cose e, forse, anche di persone!
- Ma qui sono tutti pazzi. E adesso come faccio e con tutti questi pacchi?
- A proposito, anche lui ha un pacco.
Rifà il numero.
- Senti Garibaldi, tua madre ti ha inviato un pacco e se lo vuoi, mi devi ospitare, come disse tuo nonno a mio nonno, oppure lo butto, anzi lo apro!
Ora, aprire un pacco altrui, inviato da una santa madre del Sud a un figlio disgraziato più a nord, lontano da casa, era un sacrilegio nel credo studentesco, era come profanare una chiesa, rubare il vino delle messe dall'altare (quello dolce) o rubare a un vecchio vicino di casa, che ti lascia le chiavi in vacanza. Insomma una cosa del genere!
~ Ma che apri e apri, oh, non è roba tua!
Finalmente ha abboccato, pensò Sante.
E continuò:
- Sì che lo faccio, anzi, se non mi vieni a prendere in questa cacchio di stazione...
~ Piano, piano... Oh! Ancora non sei arrivato e già stai delirando. Calmati.
~ Adesso vengo. Fatti trovare sul marciapiede in via Marsala. Chiedila e lì vicino.
- Via Marsala? Va bene ti aspetto. Nunzio, ma lo sai che sei proprio uno stronzo?!
~ Sì, sono d'accordo con te.
- Veramente? Oh, ma io non volevo offenderti, ma tu mi ci hai tirato per il collo!
~ Non importa, tanto io non sono Nunzio!
- E allora chi cacchio sei? E che cacchio vuoi?
~ Te l'ho detto che hai sbagliato numero.
- Porca miseria. E mi fai perdere tutto questo tempo e adesso come faccio?
- Sicuramente nonno ha scritto male il numero.
- Ma tu, allora, come ti chiami?
~ Mi chiamo Gino.
Gino era un tipo curioso e sornione, a volte annoiato, a volte arrabbiato, era sempre alla ricerca di un motivo esistenziale, non era cattivo, era uno scrutatore, non nel senso elettorale, ma nel senso che scrutava e analizzava ogni cosa, era sempre dubbioso e meditativo.
- Ah, piacere Sante.
- Ma, veramente, verresti alla stazione?
~ E perché no. Ormai mi hai interrotto lo studio e visto che mi hai bombardato di telefonate, adesso, sono proprio curioso di vedere la tua faccia.
- Beh! Niente di speciale, sono un tipo normale. Oh, ma non devi, non preoccuparti, un posto lo trovo...
~ E chi ti ha detto che ti ospito? Neanche ti conosco.
- Ma allora che vuoi?
~ Niente, solo perdere un po' di tempo per distrarmi. Se ti trovo: bene! Altrimenti, buona fortuna. Io arrivo tra dieci minuti.
Sante era incredulo, anche un po' timoroso, il nonno gli aveva detto di stare attento e che Roma era una città fatta apposta per imbrogliare i bravi ragazzi, soprattutto le matricolacce universitarie.
Gli aveva sempre detto di scegliere una città meno grande per l'università. Gli avesse dato retta!
Ora si sentiva un po' a disagio e aveva anche un po' di paura. Si sentiva solo, senza speranza. Per un attimo lo assalì inspiegabilmente il panico! Il mondo lo sentiva ostile. Si guardava da tutti. Si allontanava da ogni possibile contatto con qualcuno.
Poi, un dubbio:
- Oddio, non è che quel matto del telefono viene veramente? Quello, mo, sa tutto di me...
Intanto pensava a qualche soluzione, ad esempio: pagare per una notte una pensione e lì ce n'erano parecchie di insegne, in quelle traverse vicino alla stazione, anche se poco invitanti. Poi si fermava e pensava ai pochi soldi che aveva o che non voleva già iniziare a spenderli a vuoto. Cercò di contattare il nonno, la madre a casa, ma non rispondeva nessuno al telefono, e i cellulari ancora non circolavano.
Mentre decideva il da farsi, ritenne opportuno mettersi dietro qualche auto parcheggiata, per non essere visto e per tener sotto controllo la situazione.
Nel frattempo, scrutando la grande stazione, ai bordi della grande galleria quadrata, Sante era come incantato dal flusso delle persone, dal vocio frastornante, dalla gente strana che lui osservava e che lo riteneva strano a sua volta, con quella montagna di pacchi.
Lo colpì il venditore di antennine tivù e tutti quei barboni, in perenne ricerca di qualcosa, e un tizio, in particolare, che palpava tutte le gettoniere dei telefoni pubblici della SIP, nella speranza di trovare qualche gettone telefonico o monetina dimenticata (e che in seguito lo conobbe anche, alla mensa universitaria, in via De Lollis, un ex studente fuori corso, sulla quarantina, e che tutti chiamavano Ho Chi Minh, per la stretta somiglianza con l'ex capo vietnamita).
Si era quasi calmato da tutto quel frastuono, ma i suoi pensieri lo riportarono alla realtà.
Così, a un tratto, intravide qualcuno che andava scrutando tra la folla le persone. Era lui: Garibaldi. Aveva un pantalone blu e una camicia rossa.
- No, pazzesco! Ti pare che uno viene così a cercarti, vestito in quel modo, e senza uno scopo?
Il sospetto diventava sempre più certezza. I suoi pensieri andavano a mille.
- Questo è veramente maattoo!
- Incredibile, ma questo è un'ossessione! Non è che vuole fregarsi i pacchi? Oh, ma chi gli ha detto che ho tanti pacchi? Porca miseria come corrono le voci qua.
- Neanche dalle nostre parti fanno così.
Invece non era nessuno, un passante, uno così...
Poi, di colpo, da dietro:
~ TU SEI SANTE?
- Ma che sei matto, mi hai fatto prendere un insulto al cuore! (ripetendo una frase del nonno, quando si spaventava)
- E tu sei Gino, ma che sei scemo, mi prendi alle spalle, mi fai prendere un infarto!
~ Eri l'unico che si nascondeva dietro le macchine parcheggiate e ho pensato: eccolo là a Marco Polo.
Si scrutarono per alcuni secondi. Poi, Sante ebbe un dubbio, come una brutta intuizione, e atterrito esclamò:
- Tu vuoi accalappiare, vai via! Guarda che chiamo i carabinieri.
Intanto la gente iniziava a fermarsi e a guardarli entrambi.
~ Ma che ti gridi, sei scemo? Lo vedi che ti osservano tutti?
- Meglio, così ho i testimoni!
~ Non fare il deficiente, guarda che sono anche quasi fidanzato!
- Ah, sì e con chi, con Nino Bixio?
~ No, con una del paese, da circa sei anni, è un po' indecisa.
- Ah, come la capisco!
~ Senti, sono qui perché mi fai un po' pena. Ti posso aiutare a trovare il tuo amatissimo cugino, se hai qualche indizio.
- No, tu mi vuoi fregare!
~ Va be', ciao. Ho visto la tua faccia e posso anche andarmene a dormire tranquillo, adesso.
- Oh, ma che vuoi, sei un perfetto sconosciuto, tu agganci le persone per qualche occasione e poi...
~ ... E poi le stuprooo, dietro i cartelloni della stazione!
~ Oh... ma da dove vieni? Ma che la Germania non ti ha voluto? (riferendosi a tutte quelle valigie e pacchi)
- Ah, ah... che ridere... vengo da Foggia, anzi dalla provincia, mi sono iscritto al primo anno di Ingegneria... e tu che fai?
~ Io studio Psicologia, al secondo. E sono anch'io della provincia di Foggia.
- Veramente, e di dove, di Vieste?
~ No.
- Di Carpino?
~ No.
- Di Rignano?
~ No.
- Di San Giovanni?
~ No.
- Di San Nicandro?
~ No.
- Di Peschici?
~ No.
- Di Monte Sant'Angelo?
~ No.
- Allora di San Marco?
~ No.
- Di Vico, di Rodi, di Cagnano, di Lesina..., ma di dove cacchio sei?
~ No, no, no... e se mi fai parlare!
E dopo una lunga pausa, con occhi puntati a sfida:
~ Sono... sono di Sant'Egidio.
- Di Sant'Egidio? Oh! Che coincidenza!
- Io di San Petriccolo.
~ Di San Petriccolooo? L'ho capito subito al telefono che eri delle mie parti, anche per questo sono venuto. Mi incuriosivi e avevo scommesso con me stesso che eri del Gargano, della provincia di Foggia.
- Te l'ho detto che tu sei matto.
~ Sì!... Senti, io abito nel quartiere di San Lorenzo, è qui vicino, altrimenti non sarei venuto. Se vuoi, ti posso ospitare per stasera.
Ci fu un attimo di silenzio. Sante non sapeva che fare, era quasi notte ormai, non sapeva dove andare, non conosceva nessuno e Gino, tutto sommato, non sembrava cattivo. Solo un po' esaltato, forse anche matto ma buono. Pareva. Almeno ci sperava. Poi, dall'accento, sembrava proprio che fosse dalle sue parti.
- Senti, non è che mi tendi una trappola?
- Appena puoi mi dai una botta in testa e...
~ Finiscila.
- Se mi rubi, guarda che ti porto iella. Non ti laureerai più. Ho tanti parenti carabinieri (se l'era inventato, ad eccezione del nonno in pensione da tempo). Ti faccio arrestare.
- Mi fai vedere un tuo documento?
Gino lo guardava divertito e infastidito. Pensava:
~ Che deficiente!
Gli indicò un motorino tutto scassato.
~ Dai monta.
- Lì sopra?
~ Perché mi vuoi seguire a piedi?
- E dove li mettiamo tutti questi pacchi?
~ Li metteremo, li metteremo... sul Motom!
- Hai un Motom?

Sembrava una vecchia Moto Guzzi col verme solitario, il nonno ne aveva una a San Petriccolo, ancora più esile. Mitica. Sante amava quella Moto Guzzi; da piccolo, appena ha potuto montarla, la rubava di nascosto per farsi i giri nel paesino, insieme a qualche amichetto, con relative cadute...
~ Sai quanti traslochi universitari ho già fatto con questo motorino?
La faccia di Sante era incredula e allibita.
- Ma dove la metti tutta ‘sta roba?
~ La metteremo, la metteremo...
La misero! Prima fece sedere lui sul porta pacchi, poi gli appioppò tutti i pacchi, sotto le braccia, a tracolla di dietro, a tracolla davanti, sul serbatoio, agganciati al manubrio... Partirono.
Tutta quella montagna di bagagli, con lui sotto e dietro, aggrappato con una sola mano al bacino di Gino, con la marmitta del motociclo improvvisata, a serpentina a destra, e che gli scottava pure l'internocoscia. Il dolore era insopportabile, il rumore era infernale e stridente, più che avanti, sembrava che andassero indietro. Con il peso tutto a poppa, dietro, la sensazione di Sante era quella che si sarebbero ribaltati di spalle, da un momento all'altro.
- Ma dove cacchio l'hai preso ‘sto motorino?
~ Me l'ha regalato un vecchietto, un amico vicino di casa, lo voleva rottamare.
- Uhm... ti voleva male!
~ E perché? Mi porta da A a B e questo mi basta.
- Sei sicuro che arriviamo a B e non ci fermiamo a S?
~ Che significa a S?
- Per Strada!
~ Oh! Basta... mo ti lascio! Come sei rompi...
Intanto Gino, man mano che proseguiva guidando, strisciando macchine e persone, in bilico come un elefante su un filo teso, pensava a sé stesso qualche anno prima, vedendosi come Sante, da solo, sperduto in una città immensa... e poi, in fondo, quel ragazzo anche se ingenuo e imbranato, lo trovava divertente. Quasi un sollazzo. Sentiva che poteva fare qualcosa per lui ed era, infine, quasi un trastullo e un pretesto per interrompere lo studio di quell'esame universitario in corso: Psicologia dello sviluppo... o qualcosa del genere.
Arrivarono al quartiere di San Lorenzo, a Sante sembrò un quartiere familiare, come se l'avesse già visto. Non sembrava Roma, piuttosto un quartiere come dalle sue parti, popolare, un po' grigio e anche un po' più sporco, come dopo una fiera di paese.
~ Qui non parlare di calcio, né di politica, che è meglio. Anzi non parlare proprio. Va bene?!
- Va bene, però, poi, mi dici tu quando posso parlare... a piacere.
~ Stai zitto.
- Sì!
L'ho detto, il Pantera, cioè Gino, viveva come in uno stato di guerra fredda personale, era lui contro tutti, ascoltava i discorsi della gente di strada, del quartiere, osservava le persone e di conseguenza agiva, camminando sempre radente i muri e sotto i balconi, in penombra, con passo felpato...
Non riteneva, secondo i suoi calcoli, di esporsi più di tanto, né far capire agli altri la sua indole o le sue tendenze, neanche quelle sportive, anzi, soprattutto quelle! A parte i satanelli del Foggia di Zeman e la Santegidiese, che in chissà quale sprofondo della Lega calcistica militava, non si è mai capito realmente per quale grande squadra tifasse. Lui, per tagliar corto, diceva: - ... per l'Italia! -
Era in perenne allerta! Non s'è mai capito il perché.
Sante cercò di scrutare Gino, osservando tutti i suoi strani gesti, come per inquadrarlo da un punto di vista psicosomatico, poi ci rinunciò. Era comunque complicato, a quel punto doveva fidarsi e basta:
- Speriamo, almeno, che non sia sadico e che non infierirà su di me, povera mamma mia, quando sarà chiamata dai carabinieri a riconoscere il mio corpo, che cazzata ho fatto... a venire a casa di questo matto, qua!
Dopo aver smontato dalla moto, Sante iniziò a osservare la zona e vide uno strano edificio, una parte di quel grande palazzo non era, come al solito, un parallelepipedo squadrato con le pareti verticali, ma era trapezoidale!
Che strano, da una parte le mura erano tagliate in diagonale e lui non aveva mai visto una cosa simile.

- Ma che roba è?
Lo indicò a Gino.
~ La guerra.
- La guerra? Quale guerra? L'ultima?
~ No, la seconda... rispetto alla prima!
- Eh, sì, va be'... quella del ‘40?
~ Sì! I bombardamenti nel ‘43. Gli americani volevano colpire lo scalo ferroviario di San Lorenzo, qui vicino, ma colpirono soprattutto le case intorno e non solo.
Sante si fermò, era incredulo nel vedere ancora i segni di quell'orrore. S'immaginava le macerie, le grida, le persone che scappavano, la polvere, il rumore degli aerei, i boati, la disperazione, i bambini, i pianti...
Gino si spazientiva.
~ Che fai, vuoi fare un reportaage prima di salire? Vuoi fare qualche intervista a qualcuuno del luogo?
~ Vuoi scrivere un articolo e mandarlo al giornalino del tuo paesino, a San Petriccolo? Che vuoi fare?
Sante continuava a guardare in alto, poi entrò nel portone.
Salirono su una palazzina di quattro piani, senza l'ascensore.
L'ascensore c'era, ma non funzionava.
- E l'ascensore?
~ Rotto.
- Sempre i bombardamenti?...
~ Vuoi salire o vuoi fare un altro servizio giornalistico sullo stato interno del palazzo?
Gino faceva strada, lui lo seguiva per le scale con tutti i bagagli. Non vedeva niente, solo il soffitto. Le scale non finivano mai, aveva il fiatone grosso, con tutto quel peso addosso stava per esplodergli il cuore.
A un certo punto, al quarto piano circa, Gino si fermò, lo prese per una spalla e lo bloccò.
~ Oh, fermati! Che vuoi andare sul terrazzo?
- Certo che no, ma se mi avessi avvisato prima di quest'ultima rampa in più e che mi hai fatto fare?...
Ridiscese mezza rampa di scale ed entrarono in un appartamento semibuio. Tanti poster. Alcuni calciatori. Vari cantanti. Donne calendario. C'era ancora un Pirelli 1983, Sante notò che giugno era fenomenale! Poi...
- Perché c'è la cornice senza il quadro, lì?
Gino, colpito, smise di fare quello che faceva, si avvicinò a Sante, con passo afono, lo guardò dritto negli occhi e, poi, iniziò a parlare con voce soffusa al suo orecchio:
~ Ti devo confessare una cosa, sai, lo sanno in pochi: era un Caravaggio, sì... appena ci siamo girati ce l'hanno fregato!
Tornò a fare quello che aveva interrotto di fare.
Sante non fece altre domande.
A vederla bene, la cornice inquadrava una macchia, sembrava sugo. Un affresco di Caravaggio con una passata di pomodoro. Forse era un quadro Naif.
Pensava che bisognava chiederlo a Piero Angela, lui sa tutto; o era, forse, il risultato di una vecchia festa. Appunto, mettendola bene a fuoco, era proprio una vecchia macchia di sugo. Piero Angela poteva restare tranquillo e non doveva più inviare Alberto per fare l'esame al Carbonio-14.
L'ingresso era una cucina-salotto. Forse, senza salotto. Anzi, senza cucina. C'erano dei fornelli elettrici sotto un tavolo, a fianco c'era un letto, quasi per terra, poggiava su una tavola che faceva da rete.
Sarebbe stato il suo letto per più di un mese. Ma lui non poteva ancora saperlo.
Visitò tutto l'appartamento e c'erano tre grosse stanze, una cucina/salotto/stanza per ospiti (a seconda di come veniva vista), un ripostiglio, un'altra piccola stanza, un bagno e un corridoio a L.
Dopo un po' Gino disse:
~ Allora?
- Bello! Veramente!
~ Sìi?... Sei il primo che lo dice.
~ Un anno fa, uno di qui è andato in overdose. L'abbiamo salvato per un pelo.
- Perché?
~ Boh! Non lo so, la ragazza lo aveva lasciato, un gesto d'amore.
A Sante gli venne una fitta al petto. Fece altre tremila domande a Gino sul caso.
- E meno male che si trattava d'amore!
- Ma era tuo amico?
- Che faceva?
~ Oh basta! Non lo so. Io stavo qui da poco. Forse si sentiva solo.
Voleva evitare il discorso, ma ormai ci si era infilato e non sapeva più come distogliere la curiosità dell'altro.
- Che significa si sentiva solo? E la roba chi gliela dava?
- Ma qui in zona è pieno di spacciatori?
~ Quelli stanno dove sono chi la chiede. Lui non era un drogato, era la prima volta che lo faceva. Voleva sballarsi per dimenticare.
- Ma come: la prima volta? E tu che ne sai?
~ Tu sei tonto e io non so nulla! La vita è complicata. A ognuno spetta la sua! Forse era un debole e ha ceduto, capita. Specie se hai qualche amico sbagliato!
E Sante:
- Ma che capita e capita, uno crepa di overdose, alla prima, così?
~ Sì, proprio così! Questo è stato, è andata così, non era contento della sua vita e la voleva buttare, ma è stato salvato!
- E tu sei contento della tua?
Gino fece finta di non sentire.
~ Oggi tu dormi qua, sempre se vuoi.
E gli indicò il letto nella cucina/salotto/ecc.
- Per me va bene, domani vado via, te lo prometto. Domani troverò un alloggio.
Pensò:
- E poi qui circola pure droga!...
Gino gli abbozzò un sorriso maligno, con la sua esperienza, sapeva che non sarebbe andata così.
A Sante gli venne un dubbio:
- Ma gli altri? Quelli delle altre stanze?
~ Non c'è ancora nessuno, devono tornare dalle vacanze tra qualche giorno, non preoccuparti.
Intanto mise vicino al letto tutti i pacchi. Poi fece finta di andare al bagno, ma tornò silenzioso subito dietro. Voleva verificare se Gino faceva qualche mossa furba, tipo: puntare sui pacchi.
~ Ma non eri al bagno?
- Ho dimenticato l'asciugamano.
Ritornò al bagno e subito appoggiò l'orecchio alla porta per sentire se Gino andava in cucina/salotto, ecc.
Dopo un po', Gino gli bussò alla porta e gli disse qualcosa.
~ Se vuoi, ti puoi portare al bagno anche i tuoi pacchi.
- Ma che dici? Oh, non penserai?...
~ Stai tranquillo, ti avrei già rapinato tutto e lasciato con le mutande per strada, perciò piscia tranquillo!
Sante incrociò gli occhi al cielo!
Uscì dal bagno un po' timoroso e vergognandosi, scusandosi per aver fatto pensare male.
Stavano in cucina seduti sul letto, non c'erano sedie.
- Ma le sedie?
~ Prendono spazio.
~ Chi sta in questo appartamento non deve stazionare più di tanto qui, questa è anche una stanza e bisogna rispettare la privacy.
Sante, arcuando le labbra e arricciando la fronte, camuffava il suo falso stupore.
- Caspita, sono contento di queste regole. Veramente.
Ormai era tardi, Gino propose uno dei suoi piatti veloci: spaghetti, olio, aglio e peperoncino (tipico tra gli studenti), oppure spaghetti alla Sangiovannese, in bianco, con tonno e limone.
Sante optò per la seconda ricetta e l'apprezzò, come se non avesse mai mangiato una tale specialità!
In effetti, pastrocchi simili neanche il nonno a casa sua li aveva mai fatti.
Dormì lì, in quella stanza. Non era facile prendere sonno. I pensieri andavano ovunque. Si sentiva un po' abbandonato, non aveva nessuno, con l'immaginazione andava nel peggio, pensava che non ci sarebbe riuscito a laurearsi in Ingegneria. Incominciò a sudare nel letto, una sorta di panico si impossessava di lui. Non sapeva che fare, il domani era prossimo e doveva andare via da lì. I numeri sbagliati! Si rigirava in continuazione nel letto. Poi... poi pensò al nonno. Si rasserenò. Gli venne quasi un sorriso. Muoveva i suoi occhi come se lo vedesse di fronte.
- Ma dove sono capitato, nonno! Qui non ci sono amici e conoscenti. Non sanno nemmeno che esisto!
Poi, si addormentò, ormai era quasi mattino.
Verso le otto, come un fastidio, una luce puntava nei suoi occhi, era accecante, con un odore di caffè bruciato, quasi nauseante. C'era un fornellino elettrico vicino al suo letto, lo sbuffo gli veniva direttamente in faccia.
~ Buongiorno!
Sante (che si era addormentato da poco) aprì gli occhi. Si ricordò tutto della sera.
- Madonna! Ancora tu.
~ Oh, Madonna ancora tu! Lo dico io!
- Ah sì, hai ragione.
~ Lo prendi il caffè?
- Sì, grazie.
E mentre iniziò a berlo, per lo schifo, gli andò tutto di traverso, per poco non innaffiò tutta una parete di quel liquido. Poteva rovinare un Caravaggio.
- Ma che è? Pure questo te l'ha regalato quello del motorino?
~ Che c'è, non ti piace?
Gesticolando con le mani e le dita Sante disse:
- No, mi piace, è solo il retro gusto che è forte.
~ Sei il primo che gli piace. Secondo me, invece, è proprio l'avanti gusto che fa vomitare, poi una volta assestate le labbra: quello dovrebbe scendere.
- Dovrebbe?!...
~ Ti devi abituare.
- Ma perché non cambi marca?
~ Io? E perché?
~ Guarda che io, di solito, non bevo caffè. Questo lo conservavo per gli ospiti.
- Ah sì? Li vuoi eliminare subito i tuoi ospiti! Guarda che è il terzo giorno che puzzano gli ospiti e non già dal primo!
- Ma non è che è scaduto o andato a male?
~ Può darsi, l'ultimo che l'ha bevuto è stato quello della droga!
Sante nel sentire ciò e nella fretta di “toccarsi” si dette una discreta botta che quasi si auto castrò. Non era scaramantico, ma non costava niente mettersi al sicuro. Stava, però, per rimanerci secco strozzato, peggio di una overdose.
Incominciò così la sua prima giornata universitaria.
Sante andò fuori a una cabina e cominciò a telefonare a tutti quelli dei pacchi, anche per farsi aiutare nel cercare un alloggio. Ebbe tante risposte, molte evasive, alcuni gli chiesero, addirittura, se lui stesso potesse portare il pacco a casa loro, altri non c'erano o non risposero al telefono...
Pensò all'infingardaggine delle persone. Era disgustato dall'umanità intera, non poteva credere ai suoi occhi, anzi alle sue orecchie.
Lasciò perdere i pacchi per il momento. Voleva concentrarsi sulla casa, su dove andare a dormire per la sera. Non poteva restare là.
Chiamò il nonno e tutto di un fiato gli raccontò la storia del giorno prima e della prima sera.
Il nonno gli chiese nome e cognome di chi lo ospitava, voleva passare l'informazione a qualche vecchio amico carabiniere.
- Oddio nonno! Lascia perdere, mi avrebbe già fatto a pezzi e nascosto nel sottoscala (era un posto buio e profondo) dietro la gabbia dell'ascensore rotto.
E mentre cercava di spiegare cosa era successo, il nonno continuava a imprecare alla cornetta, che lui c'era stato a Roma, come carabiniere, e ne aveva visto di tutti i colori e, sempre secondo lui, era zeppa di ladri, assassini, truffatori, meretrici, spacciatori, ricettatori e robivecchi... tutta pessima gente!
- Robivecchi? Ma che so'?...
- Sì, va be', a nonnooo... quando tu hai fatto il carabiniere a Roma, c'era ancora Spartaco in giro e Giulio stava partendo per la Gallia!
~ Non scherzare, stai attento!
Poi chiuse e lo rassicurò che lo avrebbe richiamato.
Intanto il nonno si sarebbe fatto ridare il numero esatto di Nunzio, quello da cui sarebbe andato a dormire la sera dell'arrivo.
Tornò da Gino, questi aveva già un piano d'azione: comprare un giornale bisettimanale per vedere gli annunci di locazione. Era un grande mezzo per cercare casa, lavoro e altro ancora.
Il giornale si chiamava Porta Portese, era un'istituzione per gli studenti, e richiamava il nome di una strada di Roma, dove veniva svolto un antico mercato rionale molto popolare. Qualcuno ci fece anche una bella canzone.
Il giornale era pieno di annunci e di tutti i generi.
All'inizio, per sbaglio, capitò la pagina degli annunci sentimentali, di anime sole e affrante, forse di giovani vedove inconsolabili. Prima di lasciare quella pagina passarono vari quarti d'ora a leggere le inserzioni, un po' si ingrifarono, poi passarono alle case in vendita, per la curiosità dei prezzi, ma era impensabile comprarne una; e poi, finalmente, agli affitti.
Bisognava sapere i quartieri, le strade, i percorsi della metropolitana e degli autobus, la vicinanza o meno dall'università. Gino diceva, da bravo veterano, che bisognava calcolare tutte le distanze e i tempi per arrivare in tempo al mattino a lezione, calcolare la vicinanza con qualche mensa universitaria, la vicinanza dal centro, dalla stazione, da San Lorenzo, dal Colosseo...
Un rompicapo...
- Dal Colosseo?... Che ci devi fare al Colosseo?
~ Il Colosseo serve, fidati. Un giorno capirai. Ora non te lo posso spiegare. Ma noi studenti abbiamo bisogno di stare vicino al Colosseo.
Sante lo guardava con preoccupazione. Pensava:
- Questo è matto veramente!
- Perché è così importante il Colosseo?
- ... Ché, prima di andare a lezione, la mattina, si fa un giro intorno al Colosseo?

- Sì, è proprio matto da legare. Altrimenti non sarebbe neanche venuto a prendermi alla stazione.

Paolo Garganico

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